Agosto 15th, 2015 Riccardo Fucile
“BISOGNA FINANZIARE L’ECONOMIA DEI PAESI DI ORIGINE DEI PROFUGHI PER CREARE LAVORO IN AFRICA”: QUELLO CHE IN DIECI ANNI DI GOVERNO IL CENTRODESTRA NON HA MAI FATTO
«La mia posizione rispetto all’immigrazione è quella di chi ha fatto la legge Bossi-Fini. Dovrebbe essere vietato immigrare quando non c’è lavoro perchè è il lavoro che integra, altrimenti l’immigrazione rischia di disgregare il Paese».
Lo ha detto il presidente federale della Lega Nord Umberto Bossi, invitato a Genova da Bruno Ravera, uno dei padri fondatori della Lega Nord ligure per rilanciare il progetto politico del Carroccio in vista dei prossimi appuntamenti elettorali.
«Occorre trovare un’altra via – ha detto Bossi, – per esempio finanziando lo sviluppo di sistemi di accoglienza dei profughi nei paesi nordafricani e favorendo anche l’insediamento di imprese». E ancora:«Fino a quando non si risolvono i problemi in Africa non possiamo far niente perchè l’Africa è un continente in cui abitano due miliardi di persone. E se si muovono tutte insieme saremo noi a dover scappare».
Bossi finge di dimenticare un dettaglio: che proprio quando il centrodestra era al governo l’Italia si era contraddistinta per non versare neanche quel minimo contributo per lo sviluppo di quei paesi, previsto dalla Ue.
Per la seria chi predica bene e razzola male.
Bossi ha anche parlato della Lega di oggi. «Le radici della Lega di oggi sono ancora quelle del movimento che ho guidato, ma bisogna stare attenti a non pensare che i voti siano tutto».
Assenti, complice il Ferragosto i vertici del Carroccio ligure, lancia un monito a Matteo Salvini. «A forza di andare a cercare i voti a tutti i costi si rischia di bloccare il progetto politico di cambiamento del Paese per quattro voti in più».
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Agosto 15th, 2015 Riccardo Fucile
SEI BUONI MOTIVI PER PREOCCUPARSI
Meglio poco che niente, per carità . 
La stima preliminare Istat dice che il Prodotto interno lordo-cioè la ricchezza prodotta in Italia -nel secondo trimestre di quest’anno è aumentato dello 0,2 per cento rispetto al trimestre precedente (e dello 0,5 rispetto a un anno prima, quando eravamo in recessione).
Abbastanza in linea con le attese, un po’ meno di quanto avrebbe voluto il governo: la variazione del Pil acquisita per il 2015 è, infatti, + 0,4% in linea con la previsione finale scritta nel Def dal governo di +0,7%.
E qui, purtroppo, finiscono le buone notizie, mentre abbondano i motivi per cui tutti gli apparatcik renziani che ieri festeggiavano la fine della crisi (dal responsabile economia Filippo Taddei passando per i vicesegretari Debora Serracchiani e Lorenzo Guerini fino ai peones d’ogni ordine e grado) farebbero bene ad essere preoccupati. Eccoli.
PRIMO.
Intanto questa sembra finora e, secondo le stime tanto del Fmi quanto dello stesso governo, sarà a lungo (se dura) una jobless recovery, ovvero una ripresa del Pil senza aumento dell’occupazione. E infatti l’ultimo dato sulla disoccupazione dice 12,7%, più o meno dove stava l’anno scorso e pure nel 2013.
SECONDO.
Anche centrare l’obiettivo dello 0,7% di crescita per il 2015 scritto nel Pil non è un fatto scontato:per riuscirci, ci dicono gli statistici, servono un paio di +0,4% nei prossimi due trimestri, cioè una crescita più sostenuta di quanto abbiamo avuto nei primi sei mesi dell’anno (+0,3 gennaio-marzo, +0,2 aprile-giugno).
TERZO. Come ha scritto l’economista Francesco Daveri su lavoce.info anche centrando gli obiettivi la ripresa è molto debole: “Se anche l’attuale ripresa si irrobustisse in modo da replicare quella del 2009-2011, la crescita di allora (+3,4% in otto trimestri) sarebbe solo sufficiente a riportare a fine 2016 il livello del Pil trimestrale a 397 miliardi, cioè grosso modo dov’era nel primo trimestre 2012.
In ogni caso, mancherebbero ancora 10 miliardi per ritornare ai livelli di prima dell’estate 2011 e ben 28 miliardi per ritornare ai livelli di inizio 2008.
Meno miliardi di Pil vogliono dire meno redditi, meno produzione industriale , meno consumi, meno occupazione”.
QUARTO.
Il traino dell’economia mondiale è più lento rispetto alle precedenti uscite da recessione.
Ancora Daveri: “Alla fine degli anni Novanta,a metà degli anni Duemila e anche nel 2009-11, il ritorno alla crescita fu agevolato da una rapida crescita dell’economia mondiale (vicina al +5,5% annuo in ognuno degli episodi).
Oggi invece il mondo-malgrado il petrolio basso e il denaro che non costa — cresce solo del 3,5% annuo. Il volano della crescita mondiale è meno efficace”.
QUINTO.
C’è una notizia che dovrebbe davvero preoccupare il governo e tutti gli italiani.
Scrive l’Istat nel suo comunicato di ieri: “Dal lato della domanda, vi è un contributo positivo della componente nazionale(al lordo delle scorte)e un apporto negativo della componente estera netta”.
Significa che le esportazioni — su cui l’esecutivo Renzi ha basato buona parte della sua politica economica-non stanno dando l’apporto sperato alla crescita del Prodotto interno lordo.
SESTO. L’Euro zona, che è il principale partner commerciale italiano, langue (+0,3%). Non solo il Pil di Francia e Germania — i due principali paesi della moneta unica-cresce poco, ma soprattutto è preoccupante il dato della produzione industriale tedesca di giugno: -1,4% (e la mini svalutazione difensiva dello yuan) non farà migliorare il dato nei prossimi mesi.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 15th, 2015 Riccardo Fucile
IN QUALE PAESE AL MONDO PER FARE 50 MIGLIA MARINE CON UN ALISCAFO SI IMPIEGANO 4 ORE?
“Passione, competenza, professionalità e qualità . Su tutto questo nasce e continua la nostra storia…” è quello che si legge aprendo il sito di Ustica Lines, e curiosi ci si chiede chi siano.
È una compagnia di navigazione, genericamente parlando, che si è aggiudicata tra l’altro il servizio di collegamento da e per le isole Eolie, meta desiderata dai vacanzieri di ogni età e censo nei mesi estivi.
Con i connessi contributi di una Regione, la Sicilia, in dissesto da molti anni, per non dire decenni.
Affollatissime le Eolie, soprattutto quest’anno che la Grecia appare pericolosa e instabile.
E poi funzionano pure i bancomat e non bisogna privatizzare i porti, come è costretto a fare Tsipras.
Chissà se i potenti armatori greci avranno da rimetterci… Invece quelli italiani dormono tra due guanciali, danno lavoro, magari stagionale, a molti e, come nel caso del comandante Morace, patron di Ustica Lines, comprano pure squadre di calcio: il Trapani.
Che dopo anni bui galleggia sicuro in serie B. Proprio come i suoi aliscafi.
E quando minaccia di interrompere i collegamenti con le isole Eolie, come nello scorso maggio, basta una telefonata del Governatore Crocetta per rassicurarlo e far riprendere il servizio.
Con i soliti standard di efficienza e professionalità , del resto lo dice il sito…
Anche io quest’anno ho rinunciato a incontrare Varoufakis, per recarmi alle Eolie.
E due sere fa sono andata alla biglietteria di Ustica Lines dovendo rientrare sul continente.
Mi è stato proposto un biglietto per l’aliscafo dell’indomani per Reggio Calabria. Partenza alle 10.40 dal porto di Marina Lunga ai piedi del castello, arrivo, a detta del professionale impiegato della compagnia, alle 12.40 a Reggio Calabria. Che bello!
Ho pensato, solo due ore per percorrere circa 50 miglia. Non proprio l’alta velocità francese e neppure i piroscafi norvegesi, ma certo meglio dei barchini che settant’anni fa conducevano sull’isola, come magistralmente raccontato da Marcello Sorgi, Edda Ciano costretta al confino.
Poco dopo, la prima sorpresa.
Il modernissimo sito di Ustica Lines contraddice le informazioni del solerte impiegato. L’arrivo a Reggio è previsto alle 13.45 e non già alle 12.40. Le due ore diventano tre. Ma io il biglietto l’ho già fatto e pagato.
L’aliscafo si fermerà a Vulcano e a Messina. E vabbè, ci può stare, siamo in Sicilia in un torrido mese di agosto. E io da “terrona” sono abituata a ritardi e cambi di programma.
La mattina dopo, puntuale, con il mio bagaglio, arrivo sul molo, m’intruppo in una lunga e disordinata fila, salgo sul natante, intitolato a una congiunta del comandante Morace, Mirella, che parte in perfetto orario.
Tout va bien! In un quarto d’ora eccoci a Vulcano e poi in poco più di un’ora e mezza a Messina.
È lì che accade l’incredibile: ci comunicano che l’aliscafo deve fare carburante e che per ragioni di sicurezza bisogna scendere lasciando a bordo il bagaglio. Sono le 12.30. L’equipaggio ci fa sapere che “in mezz’ora, massimo 40 minuti” saremo reimbarcati.
Ma, attoniti, su un molo incandescente dal sole agostano, ci chiediamo: “ma il carburante non si può fare a Reggio che è proprio lì di fronte dopo che i passeggeri sono scesi?”.
La risposta di un graduato della compagnia è inesorabile. “A Reggio Calabria non abbiamo il deposito.”
D’improvviso, mentre noi ci sciogliamo sotto la canicola, l’aliscafo molla gli ormeggi e si sposta. Ma che fa? Se ne va? Chiede qualcuno.
“No, mica pretenderete che il carburante lo faccia qui?” Intanto, il mio bagaglio è a bordo e io sono prigioniera. Riuscirà l’aliscafo a fare il carburante ed io, prima o poi, ad arrivare a Reggio?
Passano i minuti, poi un’ora, e dell’aliscafo nessuna traccia.
Alla fine, alle 14.10, dopo un’ora e quaranta di attesa (più o meno il tempo che un atleta allenato, o Beppe Grillo, impiega ad attraversare a nuoto lo stretto), il Mirella Morace si materializza.
Arriviamo esausti a Reggio Calabria alle 14.40. Molti hanno perso la coincidenza col volo aereo, qualcuno anche la fidanzata che urla “alle Eolie mai più!”
In quale Paese del mondo per fare 50 miglia marine con un aliscafo si impiegano 4 ore?
E in quale Paese del terzo mondo un’azienda che riceve contributi pubblici per svolgere un servizio di collegamento essenziale può permettersi di dire che servono due ore, scrivere che se ne impiegano tre e mettercene quattro?
Per fare carburante lungo la rotta solo perchè nel porto di arrivo non ha il suo deposito? Nel nostro Mezzogiorno d’Italia è possibile. Altro che piagnistei e “scateniamo l’inferno”.
All’inferno ci siamo già .
Così il mio Sud non ce la farà mai.
Myrta Merlino
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 15th, 2015 Riccardo Fucile
CENTINAIA DI CHILOMETRI DI LITORALE CANCELLATI DALL’URBANIZZAZIONE
Siete in vacanza al mare? Ci siete già stati o siete in procinto di andarci? In ogni caso, potrà
interessarvi sapere che nella nostra amata penisola “spariscono” 20 metri di costa in media al giorno
Più precisamente, vengono “divorati” da un mostro famelico che si chiama urbanizzazione e ha le sembianze del cemento. E purtroppo c’è da temere che la riforma della Pubblica amministrazione approvata recentemente dal Parlamento, introducendo il meccanismo del silenzio-assenso se le Soprintendenze non esprimono il proprio parere entro 90 giorni, finisca per alimentare questa voracità .
I dati raccolti da Legambiente a partire dal 2012 compongono un quadro allarmante sul “consumo delle aree costiere italiane”.
Da Ventimiglia a Trieste, il dossier traccia il profilo dell’intera penisola e sarà completato l’anno prossimo con lo studio di Sardegna e Sicilia
Ma la situazione risulta già ora impressionante: sui 3.902 chilometri di costa analizzati, oltre 2.194 sono stati trasformati dall’urbanizzazione selvaggia in palazzi, alberghi, ville e porti, con una percentuale del 56,2 per cento sul totale.
Dal 1985 a oggi, cioè da quando la legge Galasso impose la distanza minima di 300 metri dal mare per le nuove costruzioni, sono stati praticamente “cancellati” 222 chilometri di litorale, al ritmo di quasi otto all’anno
La lava di cemento non distingue fra i tre mari che ci circondano: 1.257,3 chilometri su 1.784,9 trasformati sul Tirreno; 706,2 su 1.309 lungo l’Adriatico e 485,7 su 808,5 nello Jonio. Nè la colata fa differenza tra Nord, Centro e Sud.
Nella classifica generale delle regioni, il record negativo spetta nell’ordine a Calabria, Liguria, Lazio e Abruzzo, dove si salva ormai appena un terzo del paesaggio costiero.
Dal 65 per cento di litorale calabrese cancellato, per un totale di 523 chilometri su 798 di cui 11 dopo il 1988, si varia al 36 per cento del Veneto (sei chilometri su 170 dopo l’entrata in vigore della legge Galasso): qui, però, ha fatto da argine la particolare morfologia della costa, tra laguna di Venezia e delta del Po. E ciò vale anche per il tratto che va dal Conero (Marche) al Gargano (Puglia)
Nel Lazio, su un totale di 329 chilometri e 208 cancellati, in questi ultimi anni sono stati distrutti 41 chilometri di paesaggi costieri con caratteristiche naturali o agricole.
La Puglia ha eroso addirittura 80 chilometri, per un totale di 455 su 810.
Ma è stato il piccolo Molise a registrare l’aggressione più violenta, con il 28,6 per cento della costa trasformata in tempi più recenti: dieci chilometri cementificati dopo l’introduzione della legge Galasso, per una somma di 17 sul totale di 35
Il consumo delle coste non è solo un problema di ordine estetico o paesaggistico. È in senso più ampio una questione ambientale.
Un’emergenza che compromette l’assetto idro-geologico del territorio: quando i fiumi non trovano più sbocchi sufficienti nel mare, ingabbiati o bloccati dalla barriera di cemento, allora esondano e provocano alluvioni, com’è avvenuto nei giorni scorsi in Calabria.
E quindi, parliamo anche di una minaccia per quella risorsa nazionale che è costituita dal turismo.
«Il silenzio-assenso previsto dalla legge Madia — avverte il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza — mette ancora più a rischio le coste italiane ed è l’esperienza di decenni a dimostrarlo. Da un capo all’altro della penisola, sono troppi i casi di opere eseguite forzando i vincoli delle procedure, anche senza questo meccanismo automatico. Eppure, per impedire ulteriori scempi,basterebbe limitare il silenzio-assenso alle regioni che hanno già approvato Piani pae-saggistici, ai sensi del Codice dei Beni culturali, come Puglia, Toscana e Sardegna».
Oltre a questa prima misura immediata, gli autori del Rapporto propongono di «aprire i cantieri di riqualificazione delle aree costiere », nel quadro del programma europeo 2014-2020
Il patrimonio edilizio lungo le coste è generalmente obsoleto e malandato.
Qui si tratta innanzitutto di favorire la rigenerazione energetica, come s’è cominciato a fare adesso per 11 fari marittimi, in modo da incrementare l’offerta turistica.
Giovanni Valentini
(da “La Repubblica”)
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