Agosto 22nd, 2015 Riccardo Fucile
SI CAMBIA VERSO, ONORE AL CAPOCLAN E BAVAGLIO AL FATTO… SI CAMMINA VELOCE A PASSI DI GAMBERO
Ci sono segnali che contano più di un trattato di sociologia.
Ci sono messaggi che, messi assieme come le tessere di un puzzle, descrivono il Paese meglio di qualsiasi studio storico-politico.
In queste settimane ne abbiamo colti tanti.
L’immagine dei vigili urbani che scortano la carrozza funebre di Vittorio Casamonica, identica a quella utilizzata per le esequie di Lucky Luciano, si rivolge, per esempio, al mondo di sotto.
Comunica agli altri boss che “Roma è loro” perchè nella Capitale ci si può ancora mettere d’accordo con lo Stato e le altre istituzioni.
Dice alle mafie: noi siamo qui e ci resteremo sempre, nonostante le inchieste e la memoria da moscerino di tanti politici, di molti giornali e di troppe tv.
La destituzione dalle funzioni operative di coordinamento tra i vari nuclei del Noe del colonnello Sergio De Caprio, parla invece agli investigatori.
Spiega semplicemente a tutti che non farai carriera se arresti Luigi Bisignani, scopri i conti del tesoriere leghista Francesco Belsito, rompi le uova nel paniere a
Finmeccanica e a Maroni e sveli le tangenti rosse della Cpl Concordia.
Chiarisce che ti faranno saltare pure se sei il Capitano Ultimo, se hai catturato Totò Riina e ora stai facendo solo il tuo dovere.
Anche perchè non sta bene intercettare per caso il numero due della Guardia di Finanza mentre parla con il premier Matteo Renzi, o va a cena con il sindaco di Firenze Dario Nardella conversando amabilmente di presunti ricatti al presidente Giorgio Napolitano.
La decisione del direttore dell’Isola del Cinema, Giorgio Ginori, di vietare al Fatto Quotidiano la sua festa a Roma, guarda poi — anzi si mostra — alle nomenklature di partito.
Dire“niente Festa se recitate le stra-pubbliche trascrizioni di Mafia Capitale ”fa sapere che si può stare tranquilli.
Nel Belpaese c’è ancora un sacco di gente che pagherebbe per servire.
In autunno quando quasi tutto il Parlamento (con complice sottovalutazione da parte della magistratura) voterà una nuova legge bavaglio per limitare,con la scusa della privacy, la pubblicazione di intercettazioni sgradite al Potere, da frotte di sedicenti intellettuali gli applausi arriveranno a scrosci.
Infine, c’è la scelta del governatore della Campania, Vincenzo De Luca.
C’è la sua decisione, avallata da Matteo Renzi, di correre alle elezioni appoggiato da una lista ispirata dagli uomini Nicola Cosentino, il forzista detenuto in attesa di giudizio per fatti di camorra.
Quell’alleanza parla ai cittadini.
Dice che davvero l’Italia #cambiaverso.
Perchè cammina veloce a passi da gambero.
Peter Gomez
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 22nd, 2015 Riccardo Fucile
IL PAESE DI TARTUFFE CHE COMBATTE I BOSS DA MORTI E I MAGISTRATI DA VIVI
Il Paese di Tartuffe, che non è la Francia seicentesca di Molière ma l’Italia del 2015, s’indigna per il
Funeral Party al fu Vittorio Casamonica e lo chiama “boss” anche se non ha condanne per mafia, anzi ha una fedina penale decisamente più immacolata di quella del 10 per cento dei parlamentari italiani (per non parlare degli eurodeputati e dei consiglieri regionalie di un bel po’ di governatori).
Il che, intendiamoci, va benissimo: neppure Al Capone ebbe condanne per mafia, solo una per evasione fiscale, però chiamarlo“evasore”pare un po’riduttivo.
È una caratteristica dei boss scampare alle condanne, e spesso anche agli arresti.
Ma allora perchè Casamonica è “boss”anche con una condanna a un anno per truffa nell’acquisto di una Ferrari, e — per dire — i mafiosi amici e soci dell’allora presidente del Senato Renato Schifani non sono boss perchè furono condannati soltanto più tardi?
Il Paese di Tartuffe s’indigna per il Funeral Party a Casamonica ora che è chiuso in una bara, ma quand’era vivo e regnava su Roma da una villa arredata da Cetto La Qualunque e cantava MyWay al compleanno in un grammelot inglese degno di Fo e Proietti, i partiti di destra si scordavano le sue origini rom e prendevano volentieri i suoi voti per il Comune.
Il Paese di Tartuffe s’indigna per il Funeral Party al Casamonica morto, ma ha prontamente dimenticato le foto ricordo del rampollo Luciano con la felpa azzurra “Italia” nel 2010 a cena col futuro ministro Pd Giuliano Poletti, il sindaco Pdl Gianni Alemanno e una bella galleria di futuri ospiti delle patrie galere.
Il Paese di Tartuffe si vergogna perchè le immagini del Funeral Party a Casamonica fanno il giro del mondo, ma ha già dimenticato quando B. definì nella campagna elettorale 2008 il boss Vittorio Mangano “un eroe” perchè non aveva parlato di lui nè di Marcello Dell’Utri.
Dopodichè rivinse le elezioni e tornò al governo per tre anni, poi fu richiamato in servizio da Napolitano nel 2013 per le larghe intese con Letta e nel 2014 da Renzi per il Patto del Nazareno in veste di padre costituente.
Il Paese di Tartuffe s’indigna per il Funeral Party al presunto boss Casamonica, ma non dice una parola sul sicuro mafioso Dell’Utri che, dopo la fuga in Libano, risiede da 14 mesi nel carcere di Parma a poche celle di distanza da Riina, per scontarvi una condanna definitiva a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
Motivo: aver propiziato nel 1974 “un patto” tra “Berlusconi, Cinà , Bontade e Teresi (gli ultimi tre sono boss mafiosi, ndr) in base al quale l’imprenditore milanese avrebbe effettuato il pagamento di somme di denaro a Cosa Nostra per ricevere in cambio protezione”; e “in virtù del patto i contraenti (Cosa Nostra da una parte e Berlusconi dall’altra) e il mediatore contrattuale (Dell’Utri), legati tra loro da rapporti personali, hanno conseguito un risultato concreto e tangibile, costituito dalla garanzia della protezione personale dell’imprenditore mediante l’esborso di somme di denaro che Berlusconi ha versato a Cosa Nostra tramite Dell’Utri che, mediando i termini dell’accordo, ha consentito che l’associazione mafiosa rafforzasse e consolidasse il proprio potere sul territorio”.Il tutto “nell’arco di un ventennio”.
Poi Dell’Utri creò Forza Italia, di cui fu 4 volte parlamentare e 2 eurodeputato.
Il Paese di Tartuffe se la prende col parroco che ha celebrato il Funeral Party,con i vigili che hanno scortato il feretro,con le autorità che non hanno vietato l’immondo show e addirittura con l’elicotterista che ha sganciato petali di fiori sul corteo funebre (ecco: è lui il colpevole di tutto), ma non fece una piega quando il presidente della Repubblica Napolitano, il presidente del Senato Grasso e il presidente del Consiglio Letta — prima, seconda e quarta carica dello Stato — omaggiarono la salma di Giulio Andreotti, di cui la Cassazione aveva detto molto peggio che di Casamonica: cioè che era stato mafioso fino al 1980, “reato commesso” ma prescritto.
Il Paese di Tartuffe si scandalizzò quando scoprì che Renatino De Pedis, boss e killer della Magliana, era sepolto nella basilica vaticana di Sant’Apollinare, ma sorvolò sui rapporti con la Banda intrattenuti dal clan Andreotti ed ereditati da decine di politici e funzionari di ogni colore fino al blitz di Mafia Capitale.
Il Paese di Tartuffe non alza un sopracciglio se il Ros arresta Riina ma non perquisisce il suo covo, poi fa scappare Bagarella a Terme di Vigliatore, poi fa fuggire pure Provenzano a Mezzojuso; poi Ultimo, al comando del Noe, fa indagini delicatissime su Bisignani, il tesoro della Lega, il generale Adinolfi, Finmeccanica, i rapporti coop rosse-camorra, e viene subito rimosso senza che nessuno faccia un plissè.
Il Paese di Tartuffe si domanda cosa c’è dietro le complicità di politici e forze dell’ordine con i Casamonica, ma se ne infischia allegramente di quelle di politici e forze dell’ordine con Cosa Nostra che, dopo le stragi del 1992-’93, ottenne dallo Stato non un funerale kitsch, ma quasi tutto quel che chiedeva (dalla revoca di centinaia di 41-bis allo smantellamento della legislazione antimafia), dopo una regolare trattativa condotta dal Ros e dai politici retrostanti, oggi imputati nel silenzio generale davanti a magistrati condannati a morte nell’indifferenza generale.
Il Paese di Tartuffe combatte i boss da morti e i magistrati da vivi.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 22nd, 2015 Riccardo Fucile
BAMBINE COSTRETTE ALLA PROSTITUZIONE, ADOLESCENTI PICCHIATI CON L’ILLUSIONE DI UN LAVORO: I RISULTATI DELLO STUDIO DI SAVE THE CHILDREN
«Ho perso mio padre quando avevo 7 anni — racconta Ahmad, diciottenne egiziano — e da quel momento la vita è diventata molto dura per la mia famiglia. Ho lasciato la scuola a 10 anni per poter lavorare e aiutare mia madre e le mie sorelle. Ho lavorato per un falegname pitturando mobili per sei anni. Guadagnavo l’equivalente di neanche 5 euro al giorno».
Un giorno, però, Ahmad viene a sapere che «un sacco di gente del mio villaggio era tornata dall’Italia e aveva costruito grandi case e aveva belle macchine, così con mio fratello sono andato a incontrare un mediatore e abbiamo concordato il pagamento per essere portato dall’Egitto in Italia via mare».
Dopo 12 giorni in mare e con solo qualche panino che «ho fatto durare più a lungo possibile», arrivando a non mangiare per quattro giorni interi, e dopo aver cambiato cinque barche differenti perchè «i trafficanti sanno che possono essere catturati e che la barca può essere confiscata dalle autorità italiane», Ahmad approda in Italia.
Dopo sei mesi in un centro di accoglienza in Sicilia, arriva a Roma per cercare lavoro. Ma, racconta il diciottenne, «è impossibile trovarlo, ci sono sempre almeno 50 ragazzi per un solo lavoro. Le possibilità per noi sono un lavoro al mercato, spostare frutta e verdura, oppure fare la pizza o lavare le macchine. Mi piacerebbe tornare a casa, ma bisogna pagare e io non ho i soldi. Ho detto ai miei amici in Egitto, tramite Facebook, di non venire, che non ci sono posti di lavoro. Ma pensano che io sia egoista e che non dico la verità perchè voglio tutto il lavoro per me».
La verità , dice Ahmad, è che «ho lasciato l’Egitto per un altro Egitto».
Questa è solo una delle tante incredibili storie raccolte, come ogni anno, da Save The Children nel dossier «Piccoli schiavi invisibili», che fa il punto sul drammatico fenomeno della tratta e dello sfruttamento di minori, che coinvolge, secondo gli ultimi dati, 168 milioni di bambini e adolescenti. Anche in Italia.
Secondo le ultime stime Eurostat, infatti, il nostro è il Paese è, in Europa, in cui è stato segnalato il maggior numero di vittime accertate e presunte, pari a quasi 2.400 nel 2010, con un calo rispetto ai 2.421 del 2009, ma un notevole aumento rispetto ai 1.624 del 2008.
Sono soprattutto nigeriani. Ma anche rumeni, marocchini, ghanesi, albanesi, eritrei.
Senza dimenticare, come ricordano dall’associazione umanitaria, che questi dati «non tengono conto della gran parte di minori che rimangono invisibili e che non vengono identificati come vittime di tratta e sfruttamento, sia perchè il fenomeno è di per sè sommerso, come nel caso dello sfruttamento sessuale in appartamenti e luoghi chiusi, o quando i minori vengono spostati frequentemente o rimangono nascosti sia per controlli e pressioni ricevute, ma anche nel caso dei minori migranti che sono solo in transito in Italia, perchè la meta finale del loro progetto migratorio è costituita da altri paesi europei».
È il caso, ad esempio, di Masal, 16 anni, in fuga dall’Afghanistan verso la Svezia.
Un viaggio che arriva a costare almeno seimila euro.
La sua storia è scioccante. «Io non potevo stare in Afghanistan, non avevo scelta. La maggior parte degli afgani va via per motivi di sicurezza. Ci sono così tante esplosioni! Ti allontani da casa e non sai se potrai tornarci. Non c’è libertà nel mio paese e tantissime persone se ne sono andate via già da tempo. Il momento più pericoloso del viaggio è il passaggio dalla Turchia alla Grecia perchè lo fai su dei gommoni e per me era la prima volta che ci salivo».
Lì, in Grecia, Masal conosce un altro ragazzo, con cui partirà da Patrasso e con cui nascerà , nella disperazione, un rapporto di amicizia. Anche lui ha lasciato il suo paese, a 12 anni, senza nemmeno dirlo ai genitori.
Insieme, racconta ancora, Masal, «abbiamo dormito in una fabbrica abbandonata, insieme ad altre persone, perchè lì c’era una pompa d’acqua e pezzi di legno da bruciare per riscaldarci».
D’altronde, non sono pochi gli afghani che, come Masal, partono nella speranza di un futuro più roseo.
Per arrivare in Italia, i minori viaggiano attraverso il Pakistan e l’Iran prima di arrivare in Turchia. Qui bambini e adolescenti si fermano spesso mesi per lavorare e guadagnare il necessario per continuare il viaggio e già qui sono coinvolti in situazioni di sfruttamento lavorativo.
Ecco che allora si parte per la Grecia, per un costo di circa mille dollari. E poi l’Italia. Spesso i minori entrano nascosti su auto o tir a bordo dei traghetti diretti principalmente ai porti della Puglia, di Venezia o di Ancona, e da qui raggiungono Roma.
Oppure si sceglie la direttrice balcanica: Bulgaria, Romania, Ungheria.
In ogni caso, il viaggio dall’Iran all’Italia arriva a costare non meno di 3 – 4 mila euro. Cosa diversa per chi, invece, arriva nel nostro Paese dall’Eritrea.
In quel caso il viaggio, prima nel deserto e poi in mare, può arrivare a costare anche settemila dollari.
E se non hai soldi? I trafficanti pensano anche a questo.
«Coloro che non hanno disponibilità economica — dicono da Save The Children — possono essere usati dai trafficanti per condurre i gommoni dalla Turchia alla Grecia ed essere, in questo modo, esonerati dal pagamento del viaggio in mare. Sono state raccolte testimonianze secondo le quali sembra addirittura che, al fine di garantire il buon esito della traversata, i trafficanti facciano fare loro una giornata di prova per imparare a guidare l’imbarcazione».
SFRUTTAMENTO SESSUALE E RITUALI VODOO
Glory ha 16 anni, è nigeriana, dello stato di Yarouba. Ha perso entrambi i genitori in un incidente stradale ed è stata affidata alla zia che, sin da subito, ha cominciato a maltrattarla, a picchiarla, lasciandole anche alcune cicatrici in volto.
Glory è costretta a lasciare la scuola e a cominciare a lavorare, vendendo acqua al mercato e consegnando alla zia tutto il denaro guadagnato.
Un giorno, però, viene avvicinata e circuita da alcuni ragazzi che le rubano tutti i soldi che aveva con sè, non prima di averla violentata sessualmente. Tornata a casa, sconvolta e con forti dolori addominali a seguito dell’abuso (non aveva mai avuto alcun rapporto prima), racconta l’accaduto alla zia che, invece di soccorrerla, la punisce per aver perso il denaro.
È troppo: Glory scappa di casa in cerca di nuova fortuna. Dopo aver chiesto per giorni l’elemosina, incontra una donna che si offre di aiutarla, promettendo di portarla in Europa dove avrebbe potuto riprendere i suoi studi.
Ben presto, però, si accorge che è stata solo ingannata. E, all’età di soli 13 anni, per un anno e sei mesi è costretta a prostituirsi in Libia, a Tripoli, con una piccola paga di 15 dinari per ogni prestazione sessuale.
La tappa successiva è la traversata del Mediterraneo sui barconi e l’arrivo in Italia. Qui il suo destino sarebbe stato lo stesso, se Glory non fosse stata intercettata dagli operatori di Save The Children che si stanno, oggi, occupando di lei.
Ma, come Glory, sono tante le bambine e adolescenti, soprattutto nigeriane, costrette a prostituirsi.
L’incubo dello sfruttamento, in molti casi, comincia già nel paese d’origine. Si tratta, perlopiù, di giovani provenienti da famiglie povere che spesso, coscienziosamente, “vendono” le proprie figlie, abbagliate da un facile guadagno. Inizia allora il viaggio, caratterizzato, anche questo, da abusi e violenze.
Prima nel deserto, poi in Libia dove, spesso, le ragazze vengono chiuse in “guest house” e qui obbligate ad avere rapporti sessuali, nella maggior parte dei casi non protetti. Ed eccole, infine, in Italia: ragazze di 15-17 anni che, però, si dichiarano spesso maggiorenni dopo essere state indottrinate dai loro padroni.
Napoli, Bari, Verona, Bologna, Roma e Torino sono le principali destinazioni. Dalle testimonianze raccolte, sembra che Napoli sia una delle prime mete per le minori che entrano via mare, mentre Torino per quelle che arrivano con l’aereo.
Difficile per loro ribellarsi. Anche perchè già prima della partenza, come racconta Save The Children, viene effettuato un vero e proprio rituale vodoo, dalla forte valenza simbolica, tramite il quale si creano le premesse per un controllo totale sulla ragazza. «Il rituale vodoo sancisce l’accordo iniziale tra la famiglia della minore e gli organizzatori del viaggio e ha la funzione di ufficializzare davanti a figure religiose locali il patto di restituzione del denaro prestato per poter intraprendere il viaggio».
Ma, arrivati in Italia, il rituale viene riutilizzato strategicamente, affinchè le ragazze si sentano obbligate a restituire alla “maman” tutti i soldi guadagnati.
Per rendere il rituale ancora più suggestivo, spesso vengono utilizzati indumenti delle minori, capelli, unghie.
Col risultato che, da un punto di vista psicologico, «questa forma di controllo ed invasione nella parte più intima della minore ha un effetto devastante sulle minori perchè le fa sentire completamente violate ed impotenti di fronte al controllo che subiscono».
Ecco, allora, che uscire e ribellarsi allo sfruttamento è praticamente impossibile, anche perchè spesso il debito iniziale da ripagare può toccare i 60 mila euro.
Una cifra inestinguibile considerando che le adolescenti devono far fronte anche ad alcune spese. Dalla stanza dove dormire alle bollette. Fino all’affitto dello “spazio” sul marciapiede, che può variare da 100 a 250 euro.
Tutto questo per prestazioni sessuali, pagate anche solo 10 euro, spesso senza protezione, con tutte le conseguenze del caso.
«Frequentemente — dicono ancora dall’associazione — le minori ricorrono all’interruzione volontaria di gravidanza o, nel peggiore dei casi, assumono medicinali con effetto abortivo (autosomministrati o somministrati dalla maman o da altri soggetti) che provocano gravi effetti collaterali».
ITALIA IN RITARDO
Una situazione, dunque, di grave emergenza, davanti alla quale, però, il nostro governo è in forte ritardo.
«Il nostro Paese — secondo quanto denunciato direttamente da Carlotta Bellini, responsabile Protezione Minori dell’associazione — avrebbe dovuto adottare, con delibera del Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro dell’interno, il Piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani».
Un Piano, questo, finalizzato alla prevenzione e al contrasto della tratta e dello sfruttamento, con azioni di sensibilizzazione, prevenzione e integrazione sociale delle vittime.
Peccato, però, che nonostante la bozza del Piano sia stata redatta dal Dipartimento delle Pari Opportunità (anche se in ritardo, dato che la direttiva Ue risale al 2011), non è mai stata approvata. Con la conseguenza che, nel frattempo, il termine fissato dalla legge (30 giugno 2015) è scaduto.
Tutto in fumo, dunque. Ma non è finita qui.
Perchè, ad esempio, la Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale stipulata il 25 ottobre 2007, aveva stabilito la necessità di garantire l’accesso alla giustizia da parte dei minori vittime attraverso l’istituzione presso ogni tribunale di un elenco di gruppi, fondazioni ed organizzazioni non governative ed associazioni in grado di garantire l’assistenza psicologica e affettiva alla persona offesa minorenne.
Il nostro Paese è in ritardo anche su questo. Nonostante abbia ratificato quanto stabilito nella Convenzione già il primo ottobre 2012.
Sono tutti punti, questi, contenuti in un disegno di legge (n. 1658) su cui ha lavorato anche Save The Children, relativo appunto alle «misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati» e di cui si sono fatti promotori diversi parlamentari (prima firmataria l’onorevole Pd Sandra Zampa).
Il disegno di legge è stato presentato il 4 ottobre 2013, ma dal 3 giugno 2014 è fermo in commissione. Oltre un anno di nulla.
Mentre trafficanti e organizzazioni criminali sventrano vite di bambine e adolescenti.
Carmine Gazzanni
(da “L’Espresso”)
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