Novembre 4th, 2015 Riccardo Fucile
SUGLI INCASSI L’INCOGNITA DEGLI SCONTI… LAVOCE.INFO FA LE PULCI A COSTI E BENEFICI
L’Expo 2015 ha chiuso i battenti, con ampia soddisfazione dei molti che l’hanno visitata, una
macchina organizzativa funzionante e un target di visitatori apparentemente raggiunto.
Il lavoro svolto con dedizione dall’èquipe di Expo ha consentito all’Italia di evitare la figuraccia che diversi avevano temuto.
Cosa possiamo dire invece dei benefici economici?
Già in fase di candidatura avevo espresso i miei dubbi sulle aspettative che si erano delineate. Le previsioni prospettavano, infatti, importanti ricadute in termini di spesa dei visitatori: 3,5 miliardi destinati ad attivare da 4 (Certet 2010) a 4,3 miliardi di valore aggiunto (Sda 2013); un contributo al Pil complessivo per l’Italia da 10 (Sda) a 30 miliardi (Certet).
Pur mettendo da parte qui le critiche metodologiche formulate in altre sedi, possiamo ora valutare le stime di previsione alla luce di alcuni risultati preliminari di un nostro studio, basato su una raccolta dati realizzata tra i visitatori di Expo
Per quanto riguarda la biglietteria, l’attenzione si è focalizzata sul superamento della soglia dei 20 milioni.
Tuttavia, oltre alla discussa trasparenza dei dati, si è assistito a uno slittamento fra obiettivo in termini di visitatori e quello in termini di visite (da 24 a 29 milioni nel dossier di registrazione).
E l’obiettivo delle presenze ha sostituito quello del ricavo, con numerosi sconti.
Le previsioni erano di ricavi per 520 milioni di euro con 29 milioni di visite (prezzo 2015, p. 364 del dossier di candidatura), con tariffa piena a 42 euro e “prezzo medio di 18 euro” (cap. 13) — ipotesi sostanzialmente confermata nel dossier di registrazione (p. 417) nonostante le mutate condizioni economiche.
La variabile chiave per sapere se gli obiettivi sono stati raggiunti sarà dunque il ticket medio — di cui finora si è poco discusso.
Più importante della biglietteria è però la spesa addizionale dei visitatori.
La Lombardia è probabilmente quella che ha guadagnato di più da Expo, perchè ha attivato flussi delle altre regioni.
Ma per l’Italia nel suo complesso?
Su questo punto, si possono esprimere varie perplessità .
In primis, la proporzione di stranieri è stata inferiore a quella prevista. Risultati preliminari indicano un 16 per cento di stranieri (soprattutto francesi e svizzeri) contro previsioni tra il 20 e il 30 per cento, secondo un’indagine Eurisko del 2013.
I non-europei, cinesi o altri, raggiungono quote insignificanti.
L’Expo ha per lo più captato domanda nazionale o addirittura regionale (38 per cento di lombardi) e non i flussi internazionali.
Ancor più importante è il fatto che, nei benefici, deve essere contabilizzata solo la componente addizionale della domanda, ovvero chi non sarebbe venuto in Italia senza l’Expo (o chi ha prolungato il suo viaggio in Italia per la manifestazione).
Esistono diversi metodi utilizzati in ambito internazionale per valutare tali fenomeni. Sulla loro base, il nostro studio mostra che solo il 50,5 per cento delle presenze straniere (e l’1 per cento di quelle italiane) appaiono addizionali.
Mentre la spesa addizionale sarebbe di 960 milioni di euro per gli stranieri e di non più di 30 milioni per gli italiani, per un totale stimabile in circa 1 miliardo, con effetti indiretti e indotti fino a 1,36 miliardi di valore aggiunto, contro i 4 pronosticati.
Ai risultati ridotti rispetto alle aspettative della spesa privata, si aggiungono poi interrogativi sugli effetti rispetto alla spesa pubblica, che pure dovranno essere approfonditi.
Il beneficio economico dei visitatori dell’Expo si riassumerebbe dunque negli 1,3 miliardi di valore aggiunto generati dalla spesa turistica addizionale.
Potrebbe apparire come un buon risultato, ma si tratta di un impatto lordo da confrontare con il costo sostenuto e un bilancio economico realistico sfida le facili interpretazioni. Già la nozione di costo dell’evento non è univoca: non ci sono infatti solo i costi d’organizzazione, si possono considerare anche gli investimenti per il sito o per le opere connesse; oppure, come purtroppo si fa raramente, aggiungere tutti i costi nascosti di tali eventi, come sicurezza, esenzioni fiscali concesse per l’evento e altri ancora
Il dopo Expo
Anche i benefici post Expo sono in forse. Se si guarda a numerosi megaeventi passati, l’impatto sul turismo è incerto.
Stessa cosa per l’investimento diretto estero.
Per non parlare dell’aumento dei prezzi immobiliari, prospettato da diversi studi (Certet 2010, Sda 2013) come un beneficio dell’Expo, ma del quale sarà difficile convincere i milanesi.
Grazie all’impegno di chi ci ha lavorato, l’Expo, è stato un discreto successo, almeno in termini operativi e di immagine.
Tuttavia, il beneficio economico appare difficile da stabilire: i flussi economici addizionali sono inferiori a quelli previsti, mentre i costi reali sono di difficile quantificazione.
L’impatto lordo è comunque molto inferiore (fino al 95 per cento) a quello prospettato in fase di preparazione.
Non appare comunque una chiara appetibilità economica di questo tipo di eventi. Purtroppo, in questi casi l’analisi economica produce spesso studi “di circostanza”, commissionati dagli organizzatori, che, anche quando realizzati in buona fede, tendono a sopravalutare i benefici.
Una situazione che deve far riflettere, anche in vista di future candidature come quella alle Olimpiadi con Roma 2024.
Jerome Massiani
(da “LaVoce.info“)
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Novembre 4th, 2015 Riccardo Fucile
IL NOME SAREBBE GRADITO ANCHE AD ALFANO… LA MELONI CONTRARIA, VUOLE PERDERE DA SOLA
“Pd e Forza Italia potrebbero appoggiare Alfio Marchini. Sennò vince il M5S“. Parola di Beatrice Lorenzin. Un’indicazione che arriva da un ministro della Repubblica, nonchè esponente di quel Nuovo Centrodestra che con il Partito Democratico forma la maggioranza di governo, e che si inserisce nel solco di quelle arrivate negli ultimi giorni da diverse direzioni sul nome del candidato della politica “tradizionale” in grado di impedire che il partito di Beppe Grillo vinca le comunali a Roma.
Così le larghe intese tornano ad allungare la propria ombra sulle macerie del Campidoglio.
Lorenzin, dice lei stessa, non sarà della partita: “Nessuno mi ha candidato — ha detto l’esponente Ncd rispondendo a una domanda del Corriere.it — faccio la mamma di due gemelli e come ministro della Salute devo portare avanti il lavoro avviato”.
L’idea è quella che dem e forzisti uniscano le forze per appoggiare Marchini, erede di una famiglia di costruttori da sempre vicina alla sinistra romana, in quella somiglia a una prova generale del Partito della Nazione che Matteo Renzi immagina come evoluzione del partito Democratico e futuro della sinistra italiana: “Se non si spiaggerà sul centrodestra come candidato marchiato, Pd e Forza Italia potrebbero appoggiarlo. Una strada percorribile, se si riesce però a fare un azzeramento delle classi politiche che hanno governato questa città . Anche per non rischiare una deriva M5S”.
Anche perchè a livello nazionale il movimento di Beppe Grillo guadagna terreno. Secondo due diversi sondaggi realizzati da Euromedia e Emg, il Pd è ancora il primo partito, ma in un eventuale ballottaggio la spunterebbero i grillini in virtù di un possibile “effetto Parma“ (o anche “effetto Livorno”): i dem che arrivano al secondo turno al ballottaggio con un ampio distacco e poi vengono sconfitti grazie alle preferenze aggiuntive che il candidato M5s raccoglie da altri flussi di voto.
Un’indicazione precisa, quella su Marchini, già arrivata martedì dai vertici del partito. “Marchini? Risponde al prototipo di persona che non è iscritta ad un partito ma interpreta una comunità ”, spiegava Angelino Alfano, leader di Ncd e ministro dell’Interno, in una intervista a Ballarò parlando del possibile candidato per la Capitale.
“Ci vedremo e ne parleremo — aggiungeva — credo che parlando con lui si potrà trovare una buona soluzione”.
L’ipotesi Marchini non piace a Giorgia Meloni, che nella candidatura per la corsa al Campidoglio sotto le insegne del Centrodestra spera, eccome.
“Non condivido le parole di Berlusconi a sostegno di Marchini e l’ho detto — ha spiegato la leader di Fratelli d’Italia – mi sembra che il presidente Berlusconi abbia fatto saggiamente un passo indietro. Noi vogliamo che si faccia subito un tavolo dove sedersi tutti insieme per condividere innanzitutto i programmi e poi parlare di candidati”.
Qualche giorno prima Silvio Berlusconi aveva avuto parole nette. “Il nostro candidato a Roma sarà Alfio Marchini — aveva detto il Cavaliere il 31 ottobre in un’intervista a La Repubblica — lui comunque si candida, proporre un nostro nome alternativo porterebbe a una sconfitta certa. Anche a Milano abbiamo individuato una figura fuori dalla politica, di alto profilo, l’ho proposta a Salvini e mi sembra d’accordo. Lo presenteremo a giorni”.
Invece dopo qualche ora era arrivato il niet della Meloni: “Noi di Fdi, che ricordo essere accreditato come primo partito della coalizione nella capitale, non siamo in alcun modo disponibili a sostenere a Roma la candidatura di chi come Alfio Marchini, ha partecipato alle primarie del Pd, come abbiamo spiegato a Berlusconi più volte”, ha spiegato l’ex ministro delle Politiche giovanili.
Che può contare sul gradimento della Lega Nord. Se Matteo Salvini, intervistato da Il Tempo, ha fatto sapere di non aver “mai detto nè sì nè no su alcun candidato”, Gian Marco Centinaio, capogruppo al Senato della Lega Nord, è più netto: “Tra Meloni e Marchini… Meloni è più vicina al nostro modo di pensare”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 4th, 2015 Riccardo Fucile
IL PERSONALE COSTA DAI 3 AI 5MILA EURO… PER L’AFFITTO CIFRE INTORNO AI 1.500 EURO
La politica costa: anche per chi ha fatto del taglio ai costi della politica un cavallo di battaglia, come
i Cinque Stelle.
Costa vivere a Roma, ad esempio, e pagare lo staff. E questo fa sì che ogni mese una buona parte dei rimborsi venga trattenuta, anche dai pentastellati.
Tra diaria e fondi per l’esercizio del mandato, le Camere versano mediamente dai 7 ai 10 mila euro al mese circa per parlamentare.
Pochi emettono regolarmente bonifici «di restituzione» della diaria che superano i 2 mila euro, stando ai dati 2015.
Di più invece, una cinquantina (sui 127 tra Camera e Senato), i 5 stelle che non rimandano indietro, in media, più di mille euro al mese.
E il resto, quei 6-7 mila euro mensili di rimborso? Sono i costi della politica.
Legittimi, anche per un Movimento che si è definito «francescano» e che, in passato, ha deciso espulsioni portando agli atti gli scontrini.
Ma il M5S in questi anni ha avuto una sua evoluzione. E forse anche l’integralismo sui soldi può essere rivisto.
Come vengono spesi i 7-10 mila euro a disposizione
Premessa: i pentastellati fanno a meno ogni mese di parte dello stipendio.
Esempio: un deputato a cui spettano 5.034 euro ne incassa 3.283.
La differenza (1.751) va al fondo per le piccole imprese (dove il M5S ha versato finora 14 milioni).
I bonifici sono sul sito Tirendiconto , con i dati su diaria e rimborsi, cioè la parte dei compensi parlamentari che, per il M5S, va trattenuta solo per le spese rendicontate: il resto va al fondo per il microcredito.
Da qui, fuori dallo stipendio base, si pagano casa (solitamente nelle dichiarazioni M5S si legge di affitti per circa 1.500 euro al mese), pasti, telefono, trasporti, staff (di norma tra i 3 e i 5 mila euro), consulenze, eventi sul territorio e spese varie. Che prendono buona parte dei 7-10 mila euro a disposizione.
Le restituzioni a «zero euro»
Quanto di questo viene restituito? Nei rendiconti 2015 (molti aggiornati fino a maggio) si scorgono disparità di spesa. Ci sono, appunto, i pochi (circa 25) che versano con regolarità cifre che si attestano in media sopra i 2 mila euro o, in certi casi, oltre i 3: al Senato, Sergio Puglia restituisce spesso più di 4 mila euro; Loredana Lupo ha ridato in un mese oltre 6 mila euro; alla Camera, Massimiliano Bernini è tra i più virtuosi.
C’è poi un’ampia fascia che versa in media tra mille e duemila euro. Il resto è sotto i mille.
Per otto parlamentari, le restituzioni mensili sul sito segnano «zero».
Daniele Del Grosso, deputato, ha ricevuto rimborsi forfettari che variano da 7 a 10 mila euro al mese: non ne ha restituito nulla, fino a maggio.
Così Nunzia Catalfo (i rendiconti si fermano a marzo, mese in cui ha segnato oltre 700 euro di taxi). Zero per Federica Dieni, Dalila Nesci, Claudia Mannino, con 1.800 euro di spese per il vitto in un mese, Maria Edera Spadoni, con 1.600 euro tra pranzi, cene e bar solo a febbraio (il vitto, ristoranti inclusi, supera i mille euro per diversi parlamentari, nonostante Camera e Senato abbiano servizi a prezzi convenzionati.
Zero restituzione per Gianni Girotto e Nicola Morra: tra le spese dell’ex capogruppo un affitto da 2.155 al mese .
Il rendiconto di Arianna Spessotto a gennaio mostra la restituzione di 3 euro e 59 centesimi contro 10 mila euro di rimborso.
Marta Grande, tra gennaio e maggio, ha restituito in tutto 333 euro di diaria: è di Civitavecchia, paga un appartamento a Roma 1.800 euro al mese, ma le spese per l’alloggio, con pulizia e bollette anche sopra 400 euro, superano i 2.200 euro.
Consulenti, eventi e ztl (per oltre mille euro)
C’è chi spende più per voci «politiche» che per vitto e alloggio.
Roberta Lombardi, romana, non ha il problema della casa. Nei primi sei mesi dell’anno registra una sola restituzione della diaria da 514 euro, poi zero.
Dichiara a volte spese superiori ai circa 7 mila euro di rimborsi mensili: a parte la curiosità di un 1.054 euro alla voce «Ztl», il grosso va via tra collaboratori (circa 5 mila euro) e consulenze (oltre mille).
Così come quello di Luigi Di Maio. Che ha rinunciato ai trattamenti da vicepresidente della Camera, ma ha restituito meno di 476 euro complessivamente nei primi 5 mesi dell’anno.
«Francescane» le spese di alloggio e vitto: il grosso, per uno dei volti più noti del M5S, è soprattutto sulla partecipazione a eventi sul territorio (in alcuni mesi per quasi 5 mila euro ).
Altri membri del direttorio si mostrano più solerti nella restituzione, come Alessandro Di Battista, spesso oltre i 2 mila euro di rimborso, e Roberto Fico.
Ma anche per loro le spese sono soprattutto tra staff e consulenze.
I costi della politica, appunto.
Renato Benedetto
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 4th, 2015 Riccardo Fucile
IL MOTIVO DEL SUCCESSO? “LA CORRUZIONE DEI PARTITI”… EUROMEDIA E EMG CONCORDANO: SE SI VOTASSE PER LA CAMERA PD SCONFITTO DAI GRILLINI
Non solo il massimo nei sondaggi come partito, con valori ancora sopra al 27 per cento. Non solo il fiato sul collo del Pd. Ma ora anche il sorpasso in un eventuale ballottaggio.
Secondo la rilevazione di Euromedia per Ballarò, infatti, a oggi il Movimento Cinque Stelle la spunterebbe sul Partito democratico, anche se solo dello 0,2 per cento (50,2 contro il 49,8).
Le avvertenze, come sempre in questi casi, sono molte. Intanto indecisi e astenuti insieme mettono insieme il 38 per cento degli intervistati.
In più in sondaggi come questo il margine d’errore è intorno al 3 per cento, quindi è sempre complicato cristallizzare il risultato.
Ma è una tendenza confermata da un altro sondaggio, condotto da Emg per il TgLa7. Qui i Cinque Stelle vengono dati addirittura avanti dello 0,6 per cento (50,6 contro il 49,4 del Pd).
In una settimana, tra l’altro lo spostamento di voti è dell’1,1 per cento, un movimento che potrebbe essere motivato in particolare al caos amministrativo di Roma.
E’ il cosiddetto “effetto Parma” (o anche effetto Livorno): il Pd che arriva al ballottaggio con un ampio distacco e poi viene sconfitto grazie alle preferenze aggiuntive che il candidato M5s raccoglie da altri flussi di voto.
In un secondo turno in cui fossero impegnati Pd e un listone di centrodestra (indicativamente Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia) la corsa dei democratici, secondo Emg, sarebbe meno complicata con un margine quasi del 3 per cento (52,9 contro 47,1).
Così si può capire perchè improvvisamente si è riacceso il dibattito sull’Italicum, la legge elettorale ormai approvata definitivamente che per il Pd (e soprattutto per Matteo Renzi) è sempre stata la migliore possibile e per il Movimento Cinque Stelle una specie di ferita della democrazia e robe simili.
Ora tutto sembra rovesciato: un parlamentare democratico, Giuseppe Lauricella, propone di togliere il ballottaggio.
Mentre il M5s — in blocco, da Grillo fino ai m5s scommessa vittoriaparlamentari più noti — si scaglia contro qualsiasi modifica, letta come mossa contro il movimento. Infine Renzi che si dice contrario alla proposta di Lauricella e per contro ironizza: “Quando ho visto che i Cinque Stelle ora difendono l’Italicum mi sono schiantato dalle risate: sono patetici”.
Il segretario del Pd, peraltro, ha aggiunto che non ha intenzione di modificare la legge elettorale: “Io preferisco il premio alla lista (com’è ora, ndr). È più logico, è in linea con il partito a vocazione maggioritaria, che è la natura del Pd. Poi è ovvio che non abbiamo totem ideologici” dice intervistato da Bruno Vespa nel tradizionale libro di Natale.
Area Popolare a rischio “espulsione”
Dunque le cifre. Il Pd continua a essere il primo partito con il 31,2 per cento davanti al Movimento Cinque Stelle che si attesta al 27. Il terzo partito è ancora la Lega Nord, con il 14,3, ma continua a ridursi il distacco con Forza Italia che risale al 12,2. Riuscirebbero, oggi, a superare la soglia di sbarramento per entrare in Parlamento solo Fratelli d’Italia (4,6) e Sel (3).
Non ce la farebbe Area Popolare (2,2) che sarebbe addirittura dietro a un’eventuale nuova forza di sinistra (Possibile di Pippo Civati, Coalizione sociale di Maurizio Landini, i fuoriusciti del Pd come Fassina, D’Attorre, Galli) che raccoglierebbe il 2,9. Con Sel non si andrebbe oltre il 6.
Quanto ai dati scorporati di Emg sui partiti il Pd è dato al 32,2. Seguono il M5s al 27,3, poi Lega e Fi rispettivamente al 14,1 e all’11,7.
Fratelli d’Italia aggancia il 5, mentre Sel è al 3,3. Area Popolare (Ncd e Udc) riuscirebbe a superare la soglia, secondo Emg, grazie al 3,1.
Si dice indeciso il 17,1 per cento degli intervistati, mentre l’astensione è valutata al 42,2.
Euromedia ha anche “indagato” sui possibili motivi del successo del M5s.
La maggior parte degli intervistati (43,2) attribuisce la crescita dei Cinque Stelle alla corruzione del sistema politico italiano e al desiderio della gente di cambiarlo.
Il 29,9 per cento degli intervistati risponde che il motore della prestazione nei consensi dei grillini sono programma e forza sul web, mentre una minoranza (10%) pensano che a trascinare il Movimento siano i “nuovi leader” e i parlamentari (come Di Maio, Di Battista e Fico) e ancora meno Grillo e Casaleggio (6%).
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 4th, 2015 Riccardo Fucile
ALLUDE A “UNA DONNA CHE POTREBBE RIMETTERE IN DISCUSSIONE IL SUO STESSO RUOLO NEL GOVERNO”
“Renzi sa che io so”. In una nota il senatore Corradino Mineo attacca il segretario Pd e
presidente del Consiglio.
Il giornalista ha lasciato il partito in polemica con la linea renziana e ora, dopo i vari botta e risposta, torna con dichiarazioni che fanno riferimento in modo confuso a notizie di cui sarebbe a conoscenza e che non può (o vuole) rivelare: “Renzi non si fa scrupoli, rivela conversazioni private, infanga per paura di essere infangato. E sa che io so. So quanto si senta insicuro quando non si muove sul terreno che meglio conosce, quello della politica contingente. So quanto possa sentirsi subalterno a una donna bella e decisa. Fino al punto di rimettere in questione il suo stesso ruolo al governo. Io so, ma non rivelo i dettagli di conversazioni private. Non mi chiamo Renzi, non frequento Verdini, non sono nato a Rignano“.
Mineo allude a una donna che sarebbe a fianco dell’ex segretario e che avrebbe, sempre secondo le parole del senatore, un’influenza sulle sue scelte.
Nella nota il giornalista risponde poi alle critiche che lui voglia restare attaccato alla poltrona: “A differenza forse di qualcun altro”, si legge, “io non ne ho bisogno. Ho lavorato per 40 anni, salendo passo dopo passo il cursus honorum, da giornalista fino a direttore. Probabilmente ho ancora ‘mercato’, potrei tornare a fare quello che ho dimostrato di saper fare. Non ora, perchè ho preso un impegno accettando la candidatura che Bersani mi propose nel 2013, e lo manterrò, quell’impegno, in barba a chi vorrebbe ‘asfaltare’ il dissenso”.
Mineo è stato “liquidato” dal capogruppo Luigi Zanda con la frase “non ha stile” in riferimento al suo modo di opporsi alle decisioni della maggioranza del partito: “Diciamo che Matteo Renzi”, dice ora il senatore, “non ha stile. Non ho mai manifestato l’intenzione di dimettermi dal Senato, se non in un sms che mandai proprio a lui, disgustato dall’attacco volgare e strumentale che mi aveva mosso davanti all’assemblea Pd, dopo la vittoria alle Europee. Fu poi Cuperlo a riprendermi per i capelli e spiegarmi che la politica, ahimè, è anche questo, scorrettezza cialtrona, e che bisogna saper resistere. Grasso mi ricordò che avevo un mandato da onorare”.
Il senatore chiude la nota con un riferimento a quando litigò con il presidente del Consiglio perchè lo aveva definito “un bambino autistico”: “E’ stato Renzi a strumentalizzare i bambini autistici nel modo più squallido per ‘spianarmi’. Li ha usati per strappare un applauso in assemblea e non ha fatto poi seguire un solo provvedimento per andare incontro alle tante famiglie in difficoltà . I fatti hanno la testa dura”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 4th, 2015 Riccardo Fucile
LUSSI DI OGNI GENERE SENZA BADARE A SPESE… NUZZI: “L’ATTICO DI BERTONE E’ LA REGOLA, NON L’ECCEZIONE”
Gli sperperi della Curia sostenuti utilizzando i fondi destinati ai bisognosi.
I fasti dei cardinali a canone zero, con residenze immense nel centro di Roma riservate a porporati pressochè privi di incarico.
Sono solo alcuni degli scandali raccontati in “Via Crucis”, il nuovo libro di Gianluigi Nuzzi edito da Chiarelettere
Nel cuore pulsante della Chiesa c’è un buco nero che Francesco scopre dopo molte difficoltà : una malagestione che diventa truffa e raggiro.
Grazie alla task force che ha messo in piedi con un colpo di mano senza precedenti, il papa riesce ad accertare che i costi della curia vengono sostenuti impiegando i fondi destinati ai bisognosi. Uno scandalo.
I soldi che arrivano in Vaticano, mandati dai cattolici di tutto il mondo per le opere di carità , non finiscono ai poveri ma servono per colmare i buchi finanziari generati da alcuni cardinali e dagli uomini che controllano l’apparato burocratico della Santa sede.
Jorge Bergoglio aveva scelto il nome di Francesco perchè la missione della sua Chiesa doveva essere esattamente quella di san Francesco d’Assisi: aiutare i poveri.
Dal primo saluto in piazza San Pietro il papa rifugge qualsiasi orpello indossando spesso abiti dimessi. Invita i senzatetto nella Cappella Sistina e chiede ai responsabili degli istituti religiosi e degli enti che fanno riferimento alla Chiesa di ospitare negli immobili in disuso tutti coloro che ne hanno bisogno: nei palazzi, nei convitti, nelle camerate dei grandi seminari rimasti deserti per la crisi delle vocazioni
Oltre al rigore e alla trasparenza, povertà e carità sono le parole chiave del suo linguaggio pastorale e del pontificato.
Con una sensibilità che cerca di trasmettere e accrescere soprattutto tra sorelle e sacerdoti. A iniziare dalle piccole cose, le più semplici. Come l’utilizzo dell’automobile sul quale si sofferma nell’udienza generale del 6 luglio 2013: «A me fa male quando vedo una suora o un prete con la macchina ultimo modello — afferma Francesco — ma non si può… La macchina è necessaria per fare tanto lavoro, spostarsi di qua e di là … ma prendetene una umile. Se ne volete una bella, pensate ai bambini che muoiono di fame… Giustamente a voi fa schifo quando vedete un prete o una suora che non sono coerenti».
Bergoglio è il primo a dare il buon esempio.
Quando va a Lampedusa per abbracciare i profughi che arrivano dall’Africa usa una Fiat campagnola messa a disposizione da un cattolico che vive nell’isola, mentre ad Assisi, nella terra di san Francesco, eccolo usare una piccola auto, una Fiat Panda. Perfino «quando un prete veronese gli regala una Renault4, il papa accetta ma la trasferisce al museo delle automobili papali».
Di fronte a questi discorsi e comportamenti, inconsueti per un papa, sono molti i cardinali curiali che, dopo un iniziale smarrimento, hanno mostrato di allinearsi al nuovo corso. In realtà è una sintonia solo a parole e a larghi sorrisi.
La battuta sarcastica che circola tra i loro autisti fa capire il clima: «Hanno lasciato le auto blu, le berline, nel garage, ora vanno in giro con le piccole utilitarie, le 500, le Fiat Panda, ma vivono sempre nelle stesse regge».
I cardinali, infatti, continuano a concedersi lussi di ogni genere, senza badare a spese. L’attico di Bertone — scrive Nuzzi — è la regola, non l’eccezione.
Basti verificare come e dove vivono i porporati che occupano le posizioni più alte nella gerarchia per capire dove vanno a finire i soldi destinati alla carità : nelle case lussuose del cuore di Roma, realtà inimmaginabili per gran parte dei cattolici, da fare invidia perfino alle star di Hollywood.
Sui giornali è finita la storia della casa del cardinale Tarcisio Bertone che, unendo due appartamenti situati all’ultimo piano di Palazzo San Carlo in Vaticano, oggi abita in una residenza da 700 metri quadrati.
Ma questa è la regola, non l’eccezione.
I cardinali di curia risiedono in dimore principesche da 400, 500, anche 600 metri quadrati. Vivono da soli o con qualche suora missionaria come assistente, colf, cuoca e perpetua, meglio se proveniente da un paese in via di sviluppo.
Sono appartamenti costituiti da sale di ogni tipo: d’attesa, della televisione, da bagno, dei ricevimenti, da tè, della biblioteca, dell’assistente personale, del segretario, d’archivio, della preghiera.
E ancora camere, cucine e dispense.
Residenze in edifici da favola, come lo splendido palazzo del Sant’Uffizio, subito dietro il colonnato di piazza San Pietro: risale al Cinquecento e un tempo ospitava il tribunale dell’inquisizione.
Qui l’appartamento più grande, ben 445 metri quadrati, è andato al cardinale Velasio De Paolis, ratzingheriano di ferro, classe 1935, presidente emerito della Prefettura degli affari economici della Santa sede.
Con una casa da 409 metri quadrati gli fa compagnia il cardinale sloveno Franc Rodè, ottantun anni, già arcivescovo di Lubiana e amico personale di Marcial Maciel Degollado, il fondatore dei Legionari di Cristo sospeso dal ministero per gravissimi atti di pedofilia.
È uno dei membri, tra l’altro, del Pontificio consiglio della cultura. Il cardinale Kurt Koch, invece, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, deve accontentarsi di una casa di 356 metri quadrati.
Un’altra pattuglia di porporati si trova poco distante, al di là di piazza San Pietro, in un bel palazzo a ridosso di via Conciliazione.
Siamo nel cuore della città eterna.
Qui, sfiora i 500 metri quadrati la dimora del canadese Marc Ouellet, classe 1944, prefetto della Congregazione per i vescovi e presidente della Pontificia commissione per l’America Latina.
Il cardinale Sergio Sebastiani, ottantaquattro anni, membro tra l’altro della Congregazione per i vescovi e di quella per le cause dei santi, vive in 424 metri quadrati. Va ricordato che tutti i porporati al di sopra degli ottant’anni conservano un ruolo soprattutto simbolico e non hanno più diritto al voto in conclave per superati limiti di età .
Lo statunitense Raymond Leo Burke, classe 1948, patrono del sovrano militare ordine di Malta, è a suo agio in 417 metri quadrati, così come il polacco Zenon Grocholewski, classe 1939, dal marzo scorso prefetto emerito della Congregazione per l’educazione cattolica. A lui una residenza di 405 metri quadrati.
A pochi passi, sempre nel quartiere romano di Borgo Pio, una residenza principesca di 524 metri quadrati è abitata dal cardinale americano William Joseph Levada, nato a Long Beach, classe 1936, fedelissimo di Ratzinger, che nel 2005 lo ha voluto suo successore come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Nel 2006 Levada è stato chiamato a testimoniare, a San Francisco, sugli abusi sessuali commessi su minori da alcuni preti dell’arcidiocesi di Portland, dove è stato arcivescovo dal 1986 al 1995. Era l’autorità responsabile dei preti poi risultati colpevoli di abusi. In tutto questo scenario, la stanza 201 di papa Francesco a Santa Marta è quasi una capanna, non arrivando a 50 metri quadrati.
I privilegi dei cardinali però non finiscono qui.
I porporati, infatti, non pagano l’affitto ma solo le spese finchè ricoprono incarichi all’interno della curia.
Dopo viene fissato un canone calmierato di 7-10 euro al metro quadro.
Spesso però gli alti porporati mantengono incarichi in qualche dicastero che consentono loro di continuare a godere del benefit “canone zero”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 4th, 2015 Riccardo Fucile
“DEROGHE ILLEGITTIME E INACCURATEZZE”: COSI’ LA RELAZIONE SULL’APPALTO PIU’ GRANDE SMONTA IL MITO DEL COMMISSARIO
La glorificazione patriottica di Expo comporta anche la santificazione del commissario
Giuseppe Sala, il quale effettivamente è riuscito a condurre in porto un vascello che rischiava il naufragio (e ora, a proposito dell’ipotesi di una sua candidatura a sindaco per il Pd, dice: “Io non sto facendo il prezioso”).
Ma come c’è riuscito? A Milano c’è chi paragona Sala a un personaggio di Enzo Jannacci, il palo della banda dell’Ortica, che “resta solo a fissare nella notte”, mentre attorno gli arrestano tutti i compagni, perchè “a vederci non vedeva un’autobotte, però a sentirci ghe sentiva on accident”.
Il commissario non si accorge di ciò che combina il suo alter ego e braccio destro, il manager Angelo Paris, non si rende conto di cosa fa il subcommissario Antonio Acerbo, non vede le imprese del facility manager Andrea Castellotti. Tutti finiti agli arresti.
Ma al di là di ogni disattenzione e oltre ogni responsabilità penale, c’è un documento riservato che delinea un ritratto impietoso delle capacità manageriali del commissario: è l’audit del giugno 2014 sul più grande degli appalti dell’esposizione universale, quello sulla“piastra”, l’infrastruttura di base dell’area.
Appalto da 272 milioni vinto il 3 agosto 2012, con un’offerta di 148,9 milioni più 16,2 di oneri di sicurezza, da una cordata d’imprese capitanata dalla Mantovani di Padova che, a sorpresa, batte il colosso Impregilo.
Nel novembre 2013 Expo spa affida a due società di consulenza, Adfor e Sernet, le obbligatorie analisi di controllo.
Il documento finale è datato 25 giugno 2014 e allinea una quindicina di osservazioni pesantemente critiche.
Dopo gli arresti di Antonio Rognoni (il capo di Ilspa-Infrastrutture Lombarde spa che faceva anche da stazione appaltante Expo) e di Angelo Paris (il direttore dei lavori), l’audit nel settembre 2014 viene consegnato da Expo spa alla Procura di Milano, insieme a un documento di contro deduzioni.
È Sala in persona a essere bacchettato dagli auditor.
Come amministratore delegato, ha potere di spesa per10 milioni. Ma“alcune determine a contrarre opere complementari superano nell’insieme” la soglia e “sono assunte dall’ad, nell’arco temporale ristretto di circa due mesi, prima dell’informativa fornita in consiglio d’amministrazione” che “in modo cumulativo approva l’affidamento”.Il tutto condito con“inaccuratezze nella predisposizione delle determine”, “refusi nell’indicazione del valore massimo di spesa”, “riferimenti a documenti interni non presenti”.
In questo guazzabuglio, Sala, con sette determine tutte sotto i 10 milioni, affida a Mantovani lavori per 34 milioni.Il braccio destro di Sala, Paris, non aveva neppure i requisiti professionali per fare il responsabile unico del procedimento: perchè non aveva “alcuna precedente esperienza tecnicanè in ambito privato nè pubblico”; e perchè, addirittura, non era ingegnere (“non risulta l’iscrizione all’Ordine” nè il “superamento dell’esame di Stato”).
Le irregolarità iniziano fin dalla programmazione dei lavori, avviati senza i “documenti organizzativi” previsti dal codice degli appalti. Così, scrivono gli auditor, “si è dovuto procedere con affidamenti diretti alla Mantovani per recuperare il tempo perduto, sopportando maggiori costi”.
Alla fine, gli errori di programmazione costano cari: ci sono “atti aggiuntivi per un importo di circa 40 milioni di euro”.
Tutta l’organizzazione dei lavori è un disastro, osservano gli auditor: “si rileva l’assenza di specifici mansionari per le figure dell’ufficio, che faciliterebbero la chiara definizione di ruoli, compiti e responsabilità , nonchè la piena tracciabilità delle attività svolte”.
Non risultano controlli “sulle progettazioni svolte da soggetti esterni” (Mm, Infrastrutture Lombarde, Fiera Milano), con la conseguenza di“ errati computi metrici utilizzati per l’analisi dei prezzi”.
“Nessuno all’interno di Expo ha controllato il computo metrico di scavi e fondazioni, opere caratterizzate da alto rischio di azioni corruttive”.
Sono state inoltre “adottate in modo illegittimo delle deroghe all’applicazione del codice appalti”.
Gianni Barbacetto
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 4th, 2015 Riccardo Fucile
E’ USCITO DAL PD CON GALLI E FOLINO… SABATO A ROMA L’ESORDIO DELLA COSA ROSSA: “BACINO POTENZIALE DEL 15%)
“Bacino potenziale, 15 per cento. Subito alla prova nelle amministrative di primavera con propri candidati e contro il Pd là dove «diventa partito della Nazione ».
E in quel caso, al ballottaggio, la scelta può cadere sui 5stelle.
Il bersaniano Alfredo D’Attorre disegna lo schema del nuovo progetto di sinistra che nasce sabato al Teatro Quirino.
Vi troveranno posto Sel, Fassina, alcuni esponenti del mondo cattolico, lo stesso D’Attorre, Carlo Galli e Vincenzo Folino.
Quest’ultimi tre lasciano oggi il Pd e lo annunciano in conferenza stampa.
E’ una mini scissione, gocce che cadono una dopo l’altra. D’Attorre però è convinto che ben presto si aprirà la falla. «Per Renzi la sinistra ha una funzione puramente decorativa».
Parole che forse faranno più male ai compagni della minoranza che al premier
Perchè non poteva continuare a opporsi alla segreteria Renzi nel Pd aspettando di combattere per un’alternativa al congresso nel 2017?
«Perchè il Pd ha subìto un riposizionamento completo e una mutazione genetica. E’ una forza centrista che finisce per guardare più volentieri verso settori della destra che a sinistra ed è illusorio pensare che sarà soltanto una parentesi. Il Pd non è il Labour o l’Spd, non ha 100 anni di storia, quelli che ti permettono di passare dalla stagione di Blair all’epoca di Corbin. Ha pochi anni di vita, è per la prima volta al governo e quello che fa adesso lascerà un segno indelebile. La discontinuità di Renzi è qualcosa di diverso da una normale alternanza tra segretari ».
La Cosa rossa con Landini, Sel, sindacati e scissionisti del Pd non nasce con le stigmate del soggetto vecchio, che guarda al passato?
«Non sarà una Cosa rossa, non sarà un soggetto della sinistra minoritaria e antagonista. Vogliamo creare un partito di governo, largo e plurale, con le radici nell’esperienza di centrosinistra, ulivista, aperto al cattolicesimo democratico e sociale».
Quale può essere il vostro traguardo elettorale?
«Il bacino potenziale è intorno al 15 per cento».
Con il 40,8 per cento del Pd la sinistra non ha già trovato una casa?
«Le Europee sono l’equivalente delle amichevoli nel calcio. Ciascuno si prende una qualche libertà e i punteggi sono un po’ drogati. Alle ultime amministrative il Pd di Renzi è sotto il Pd di Bersani».
Speranza, Cuperlo arriveranno?
«Per il momento prevale il senso di responsabilità , ma non so quanto potrà durare, specie all’approssimarsi di appuntamenti elettorali in cui la divaricazione tra partito della Nazione e sinistra rischia di diventare totale».
Quindi alle amministrative ci sarà lo scontro tra due sinistre?
«Dove c’è la possibilità di aprire un confronto noi ci saremo, dove si realizzerà il partito della Nazione la sinistra esprimerà un candidato alternativo».
Ma al ballottaggio voterere il candidato Pd?
«Gli elettori di sinistra non voteranno i candidati della destra, molti potrebbero essere attratti dai 5stelle. Non stiamo facendo la Cosa rossa, non siamo nè settari nè protestatari».
A Roma per voi correrà Stefano Fassina?
«A Roma bisogna cambiare spartito nel segno dell’onestà , della serietà e della vicinanza al mondo del lavoro. In questo senso Fassina sarebbe un ottimo candidato, da offrire anche alle forze sane del Pd per uscire dal cul de sac in cui Renzi e Orfini le hanno cacciate».
(da “la Repubblica”)
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Novembre 4th, 2015 Riccardo Fucile
TRA POST OMOFOBI E SLOGAN DEL VENTENNIO: ORMAI NEL PD RENZIANO C’E’ DI TUTTO
“Boia chi molla” e “Neri come la morte”. Galeotto fu Facebook e ritenute gravi le esternazioni
da parte di quattro giovanotti per il semplice motivo che erano iscritti al Partito democratico o ai Giovani democratici.
Due di loro – Giuseppe Bongiovanni e Alessio Boi – sono stati espulsi e gli altri due – Umberto Raschi e Francesco Sergiampietri – chiamati ad affermare pubblicamente la loro fede antifascista, pena l’espulsione.
La commissione di garanzia provinciale del Pd, presieduta da Maria Angela Lazzoni e composta da Fabrizio Dellepiane, Rosita Piscopo e Maria Vicari, ha deliberato sul ricorso presentato qualche settima fa dall’iscritto Alessandro Biggi che aveva fatto presenti le reiterate irregolarità da parte dei suoi compagni di partito chiedendo fossero assunti provvedimenti disciplinari nei loro confronti da parte dei garanti. Biggi, peraltro, non era stato affatto tenero nei confronti degli organi dirigenti del Pd, accusati di aver tenuto un “silenzio assordante” sulla vicenda.
Delle esternazioni su Fb si era occupato proprio il Secolo XIX sollevando vibranti proteste da parte di alcuni degli interessati e la piccata reazione del segretario provinciale dei Giovani democratici, Riccardo Delucchi, che, nel difendere Raschi (segretario Gd della Val di Magra) e Bongiovanni (membro del direttivo) se l’era presa, come spesso succede, con la stampa.
Ora a fare chiarezza sulla vicenda è arrivata la pronuncia della commissione di garanzia provinciale – inviata anche al commissario regionale del Pd, David Ermini – a fare chiarezza.
Riportiamo testualmente. «Dagli allegati post su Facebook risulta quanto segue. Bongiovanni Giuseppe: nel 2010 scrive post inneggianti al fascismo, che proseguono nel 2012 e sono reiterati il 16/03/2014, quando scriveva “Neri come la morte”. Boi Alessio: i suoi post omofobici sono del marzo 2014 e del 3 febbraio 2015. Da segnalare anche l’accostamento del “Giorno della memoria” con l’uscita del nuovo disco di JAx. Raschi Umberto: risalgono al 2010 i suoi post inneggianti al fascismo. Sergiampietri Francesco: i suoi post inneggianti al fascismo risalgono al 2010”.
Di qui la “sentenza” dei garanti.
«Per gravi ed evidenti violazioni dell’articolo 1 del codice etico, le iscrizioni di Bongiovanni e Boi sono da ritenersi “nulle” (in pratica espulsi dal partito) mentre Raschi e Sergiampietri sono stati richiamati ad affermare pubblicamente (non è specificata la modalità , ndr ) la loro fede antifascista, pena l’espulsione dal Partito democratico e dai Giovani democratici».
Non manca il monito finale da parte dei garanti agli organismi dirigenti del partito e dell’organizzazione giovanile affinchè vigilino sul tesseramento allo scopo di scongiurare il ripetersi di fatti simili a quelli condannati e puniti.
(da “Il Secolo XIX“)
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