Novembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
NIENTE TRUPPE SUL TERRENO, SOLO MAGGIORE PRESSIONE SUI TERRORISTI…SI CERCA UNA SOLUZIONE POLITICA
Ci siamo, dunque? Francois Hollande ha annunciato che la Francia è in guerra, che chiederà una
coalizione internazionale contro l’Isis, al fine di “distruggere il Terrorismo”.
Abbiamo dunque la risposta a quello che ci aspettavamo fin dalle prime ore dopo l’attentato a Parigi, una inevitabile discesa in campo coordinata degli eserciti di tutte le nazioni in Siria e in Iraq contro il terrorismo di Daesh?
Non esattamente. Anzi: il forte, alto ricorso di resistenza pronunciato dal Presidente Francese, soprattutto se letto insieme a quello fatto quasi contemporaneamente da Obama, svela, al contrario, che qualunque cosa sarà fatta nei prossimi mesi in Medioriente non sarà la preparazione di nuovi interventi militari di vaste proporzioni. Ci saranno molti interventi, la pressione salirà per il Califfato, ma nell’insieme il percorso che l’Occidente sembra scegliere è ancora quella di un combinato disposto di pressione militare e diplomazia.
Val la pena di andare in ordine e di ricominciare dal discorso di Versailles.
Hollande ha elevato a un livello senza precedenti l’asticella dell’intervento dentro e fuori del suo paese.
Parla in un’atmosfera di grande solennità , il Parlamento lo accoglie in piedi e alla fine sigla il suo discorso cantando in piedi la Marsigliese.
Annuncia l’aumento delle forze di sicurezza interne, annunci misure drastiche quali la cancellazione della nazionalita francese a chi ne ha due e si macchia di reati di terrorismo.
Annuncia infine il cambiamento della stessa Costituzione per poter allungare poteri d’emergenza eccezionali per il Governo.
Il discorso sulle azioni all’estero è altrettanto forte: si rivolge a tutti, non solo all’Occidente, ma anche “all’Iran, alla Turchia, ai Paesi del Golfo”.
Chiede un riunione del Consiglio Nazionale dell’Onu, “per parlare con Putin e Obama”, annuncia l’invio della portaerei de Gaulle verso lo sbocco sul mare della Syria, annunci che intensificherà la pressione aerea , e chiede appunto “una grande e unica coalizione ” contro l’Isis.
Ma al di sotto di questa grande e intesa affermazione di principi, il discorso del Presidente Francese si rivela molto ma molto fragile.
Non c’è richiesta di far scattare la clausola di difesa Nato ( le condizioni sono oggi dibattibili); chiede piuttosto poi la richiesta molto più generica agli altri Paesi dell’Unione europea di attivare l’articolo 42 del Trattato che prevede l’aiuto degli Stati membri al partner aggredito.
Del discorso rimane l’incontro con Putin e Obama, che certo lo vedranno, vista la sua obbligata assenza al G20, e la richiesta di una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, come è per altro semplice, visto che la Francia ne è membro.
Quasi nella stessa ora, parla Obama che conclude i lavori del G20 con un impegno generico contro il terrorismo.
Generico quanto il documento finale del summit. Un incontro dominato in verità da segnali molto lontani , a parte cadute retoriche occasionali, da ogni progetto di intervento militare coordinato in Siria.
È stata infatti la trattativa sulla sorte di Assad a tenere occupate le camere chiuse delle varie diplomazie. Sabato, sotto la pressione del sangue di Parigi a Vienna 17 paesi guidati da John Kerry e dal ministro degli esteri russo Sergei Lavrov, hanno raggiunto una prima bozza di accordo sulla Siria.
Con l’idea di convocare le forze di opposizione siriane il 1 gennaio, cercando nel frattempo una soluzione per il futuro di Assad, diventato ormai uomo simbolo della soluzione o meno della crisi di Damasco.
Un destino che, secondo un annuncio non formale della Turchia, prevede che il Presidente Siriano nel caso di elezioni non si ripresenterà . Un annuncio arrivato anche questo quasi contemporaneamente al discorso di Hollande.
Un dettaglio interessante di questa prima bozza di accordo è che è stata creata un lista di organizzazioni terroriste dove è stato messo l’Isis ma anche al Nusra, che è un fronte terrorista di ispirazione Qaedista, e in competizine con l’Is. La lista altro dettaglio interessante, sarà gestita dalla Giordania e potrà allungarsi includendo altre organizzazioni del terrore.
Del resto, una coalizione di tutti per l’intervento in Siria non esiste politicamente. Ironicamente, alla base dell’incubo siriano c’è lo scontro fra Arabia Saudita e Iran, due paesi che nessuna nazione occidentale, più Russia, vuole o può alienarsi.
L’Italia, se si deve leggere il discorso fatto alla camera dal nostro ministro degli esteri Paolo Gentiloni, pensa di star facendo già molto e non pare disposto a fare molto di più. Renzi stesso ha più volte ripetuto in questi giorni di non volere “reazioni emotive”.
La Germania, che ha in casa migliaia di immigrati dal Medioriente e ne attende un milione nei prossimi anni sta molto quieta. Allo stadio con Hollande la sera delle bombe c’era il ministro degli esteri Tedesco Frank-Walter Steinmeier, che non ha poi pronunciato parola.
L’Inghilterra è a sua volta impegnata su molti fronti esteri e se farà qualcosa intende mantenere una sua agenda anche militare.
Cosa resta dunque, alla fine di questa disamina, del discorso di Guerra di Hollande? Rimane certo l’elevarsi del livello di intervento occidentale in Siria.
La Francia otterrà sicuramente l’appoggio che chiede – del resto gli Usa stanno già collaborando e forse altri paesi Europei potranno dare una mano.
Ma sarà probabilmente sulla linea di un maggior coordinamento di intelligence e di impiego di strumenti.
Un intervento funzionale a tenere sotto pressione le forze dei terroristi (e quelle di Assad) mentre si lavora a una soluzione politica.
Niente truppe sul terreno dunque, e ancora meno coalizione generali.
Una decisione non sbagliata. Sempre che questa soluzione politica si trovi in tempi brevi.
Il rischio di un protrarsi del caos siriano, dopo queste tante parole e promesse, e sangue, sarebbe il segnale di un ulteriore rafforzamento di Daesh e di tutto l’universo terroristico che nasce respira e si nutre di guerra in Medioriente.
Lucia Annunziata
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
STRAPPO DELLA CORRENTE DI BASSOLINO: “USCIAMO DALLA SEGRETERIA”…L’EX SINDACO E L’IPOTESI DI CORRERE DA SOLO
«Dobbiamo ricostruire il rapporto con i cittadini, oggi confusi da questa vicenda che è stata gestita malissimo sul piano della comunicazione e si è abbattuta come una folgore sul partito creando un forte danno d’immagine al Pd».
Il segretario campano Assunta Tartaglione, sponsor e alleata di Vincenzo De Luca, riunisce parlamentari e consiglieri regionali lanciando un forte atto di accusa che, precisa, «non è contro il buon lavoro che De Luca sta svolgendo in Regione, ma contro la pessima comunicazione relativamente all’inchiesta».
Atto di accusa non per le battute folkloristiche che accompagnano ogni intervento del governatore ma , piuttosto, per le “bugie” raccontate.
A cominciare dal comunicato in cui lunedì scorso la Regione ha annunciato le dimissioni di Nello Mastursi dalla guida della segreteria politica in via Santa Lucia motivandole con l’eccessivo carico di lavoro per poi scoprire, poche ore dopo, che in realtà il braccio destro di De Luca era stato perquisito il mese scorso e che era al centro dell’inchiesta, in cui è indagato lo stesso presidente, sulle minacce per una nomina nella sanità campana.
A chiedere la nomina, non andata a segno, era stato Guglielmo Manna, marito di Anna Scognamiglio, uno dei giudici del Tribunale che ha congelato gli effetti della Severino su De Luca.
La Tartaglione è infuriata anche perchè inizialmente Mastursi si era dimesso solo dalla Regione e non dal vertice del partito dove occupava fino a metà della scorsa settimana la poltrona di capo dell’organizzazione in Campania.
E ora la Tartaglione, dopo averne parlato con il vicesegretario nazionale Lorenzo Guerni, accusa: «Dobbiamo costruire un rapporto diverso tra il partito e De Luca riportandolo nella dialettica normale che deve esserci tra il presidente e il suo partito. Ci vuole un cambio di passo».
Nei giorni scorsi il segretario Pd, dopo le dimissioni di Mastursi, ha azzerato la segreteria e ha annunciato un nuovo esecutivo più agile con sette componenti anzichè venti e, soprattutto, più autorevole verso la Regione.
L’obiettivo è chiaro: un Pd più forte che possa avere anche un peso maggiore nell’amministrazione regionale. L’ultimo passo prima di un rimpasto che dovrà portare in giunta alcuni assessori direttamente espressi dal Pd.
Mastursi dopo l’elezione di De Luca, in realtà , non si era praticamente più visto nella sede del partito, ma la Tartaglione ha comunque accelerato l’operazione da cui si sono tirati fuori i bassoliniani targati a Napoli “Giovani Turchi”.
L’eurodeputato Andrea Cozzolino, il parlamentare Valeria Valente e il consigliere regionale Antonio Marciano, ex capostaff di Bassolino in Regione, non hanno partecipato alla riunione nella sede del Pd.
E la Valente ora chiede l’intervento della segreteria nazionale: «Qui non sono in ballo gli assetti interni al Pd. Nel caso di De Luca trasparenza, correttezza ed etica della politica non vanno declamate, ma esercitate con rigore. Occorre dunque una svolta che non può prescindere dal coinvolgimento della segreteria nazionale».
Sullo sfondo le prossime elezioni di Napoli e il ritorno sulla scena di Antonio Bassolino che chiede da tempo le primarie e che potrebbe pensare ad una propria lista.
Ottavio Lucarelli
(da “La Repubblica”)
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Novembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
IL DOCENTE E’ UNO DEI MASSIMI ESPERTI DEL RADICALISMO ISLAMICO: “PIU’ PRENDE CAMPO LA DESTRA XENOFOBA, PIU’ LORO TRAGGONO PROFITTO DALLA ESTREMIZZAZIONE DEL CONFLITTO”
«Isis vuole lo scontro frontale per la conquista dell’Europa. Non mi stupisce che possa aver
lasciato un finto passaporto di immigrato siriano sui luoghi dei massacri di Parigi. Sa bene che ciò scatenerà i gruppi xenofobi della destra europea contro i migranti e contro il mondo islamico tout court. Per reazione, diversi settori tra i moderati musulmani saranno quindi spinti nelle braccia dei gruppi radicali, avvicinando la battaglia finale. È la stessa logica del tanto peggio tanto meglio che ha visto Bashar al Assad favorire Isis contro i gruppi moderati delle proteste nel 2011, o tra le due Guerre mondiali i comunisti guardare di buon occhio a nazisti e fascisti in quanto utili per far esplodere le contraddizioni del capitalismo e avvicinare lo scoppio della rivoluzione».
Con il consueto fare lucido e disincantato il professor Gilles Kepel analizza gli attentati nella capitale francese.
La sua lunga esperienza di massimo studioso del radicalismo islamico sin dai primi anni Ottanta, sia in Medio Oriente che in Europa, lo spinge ora a guardare con attenzione al retaggio delle vicende coloniali algerine e all’estremismo di ritorno tra i figli degli immigrati in Francia.
Un fenomeno che lui e i suoi studenti alla facoltà di Scienze Politiche definiscono «rètro-coloniale» e su cui sta scrivendo un libro.
Professore, la polizia francese ha identificato tra i terroristi il 29enne Omar Ismail Mostefai. Cosa le suggerisce?
«Mostefai è nato in Francia, figlio di immigrati algerini, noto per un passato costellato di piccoli crimini, da un paio d’anni era in contatto con i circoli radicali islamici. Le notizie su di lui sono già sui media. Ma è interessante notare che egli è il tipico rappresentante di questi franco-algerini di seconda, terza o quarta generazione, spesso disoccupati, poco scolarizzati, abituati a vivere di espedienti ai margini. Come lui sono stati tanti altri coinvolti in violenze, aggressioni e terrorismo negli ultimi tempi: quello che ha provato l’attentato al treno, quell’altro ad attaccare il padrone dell’azienda dove lavora, un terzo che aggredisce nei luoghi ebraici per farsi notare dai capi di Isis in Siria. Gli stessi aggressori di Charlie Hebdo in gennaio avevano nelle loro vicende personali rapporti più o meno diretti con la comunità e la storia algerine».
Erano prevedibili questi attentati?
«Erano stati previsti. La polizia, gli esperti, le autorità competenti li ritenevano inevitabili. Ma si pensava sarebbero stati sferrati al momento del summit Onu pianificato a Parigi a fine mese».
Similitudini e differenze con il terrorismo di gennaio?
«I luoghi sono simili, nella zona tra il decimo e undicesimo arrondissement, abitata da classe media, puntellata di uffici, ristoranti, caffè, con una cospicua presenza di popolazione di origine araba. Non si dimentichi che il Bataclan si trova a 500 metri dalla sede di Charlie Hebdo . E questo ci dice almeno una cosa: Isis non teme di tornare a colpire due volte negli stessi paraggi. I terroristi sanno che possono muoversi impuniti. La grande differenza è però che in gennaio i terroristi hanno colpito «nemici riconosciuti». Ai loro occhi c’era un motivo ben chiaro per sparare ai giornalisti del periodico che aveva offeso l’Islam e contro gli ebrei. E infatti sui social media di area islamica in Francia e all’estero hanno raccolto plausi e consensi massicci. Tutto diverso è però sparare alla cieca contro civili anonimi nei luoghi pubblici. È la prima volta che non si colpisce un obbiettivo preciso in Francia. Sono certo che alla fine i musulmani tra le vittime rispecchieranno le percentuali che ci sono nella popolazione, tra il 5 e 10 per cento».
Cosa significa?
«Probabilmente gli stessi responsabili di Isis si sono subito accorti di aver commesso un errore. Con i miei studenti che seguono i social media islamici abbiamo visto che le reazioni all’attacco sono state poche, per lo più fredde o negative. Nulla a che vedere con le masse di gennaio che plaudivano alla morte dei vignettisti «blasfemi», o che scendevano in piazza per dire che loro non erano Charlie Hebdo. Si spiega adesso così il comunicato di Isis, che racconta di avere colpito i «luoghi della depravazione dei crociati». A ben leggere, sembra quasi un tentativo un poco goffo di giustificarsi a posteriori».
E delle capacità militari dei terroristi?
«Sono un gruppo misto. Chiaramente le cinture bomba erano fatte in modo amatoriale. Credo che loro volessero causare molte più vittime, ma in un paio di casi hanno ucciso solo se stessi. Quelli che hanno sparato invece lo hanno fatto con la calma e la precisione di gente addestrata. I testimoni dicono che sembrava fossero in un videogioco».
Le conseguenze politiche ?
«In Europa portano acqua al mulino del campo anti-migranti. In Francia il Fronte nazionale è già in netta crescita e otterrà ottimi risultati alle elezioni regionali di dicembre e in vista delle presidenziali del 2017. Ma è esattamente ciò che Isis vuole. Più gli europei diventeranno xenofobi e più i musulmani simpatizzeranno per il Califfato. Isis vuole rompere qualsiasi fronte di solidarietà tra i musulmani ed il resto della popolazione. L’obbiettivo è la guerra totale, non il dialogo».
Lorenzo Cremonesi
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Novembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
IL LIBRO DELLO STRATEGA ISLAMISTA ABU BAKR AL-NAJI DETTA LE REGOLE PER DESTABILIZZARE L’ECONOMIA DEGLI STATI ATTRAVERSO IL TERRORE
Più di dieci anni fa, uno stratega islamista di nome Abu Bakr al-Naji scrisse un testo destinato a esercitare un’influenza straordinaria all’interno del movimento islamista.
È un documento che consente di spiegare non solo la strategia perseguita negli ultimi cinque anni dallo Stato islamico e dai gruppi che lo hanno preceduto, ma anche la nuova predilezione di Daesh (l’acronimo arabo dell’organizzazione) per una campagna di attentati sanguinari in Europa.
Il saggio di Abu Bakr al-Naji è quasi sconosciuto al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori.
L’Europa non è sempre stata un bersaglio dei militanti islamici. La prima ondata di violenze dell’estremismo islamista, negli Anni ’80, lasciò quasi indenne l’Occidente. Solo negli Anni ’90 i problemi del mondo islamico cominciarono a riversarsi sull’Europa. La Francia fu uno dei Paesi più pesantemente colpiti, perchè la sua ex colonia, l’Algeria, precipitò in una guerra civile terrificante. L’apice arrivò nel 1994-1995, ma il numero di vittime, grazie al cielo, rimase contenuto.
Alla fine del decennio, al-Qaeda lanciò il suo nuovo brand di jihad globale, prendendo di mira il “nemico lontano”, gli Stati Uniti e l’Occidente, invece del «nemico vicino », i regimi locali del Medio Oriente.
Il gruppo lanciò una serie di attacchi che culminarono negli attentati dell’11 settembre, che uccisero 3.000 persone. Seguirono gli attentati di Madrid e di Londra.
Lo Stato islamico, invece, è arrivato agli attacchi contro l’Occidente per una strada diversa.
Al Qaeda, almeno in quella fase, non cercava di conquistare e conservare un territorio, ma perseguiva una strategia di istigazione, formulata da un uomo, Osama bin Laden, che aveva sempre nutrito interesse per i media e la propaganda.
Daesh non è altrettanto sofisticato nella sua strategia: il suo primo obbiettivo è conquistare territori e risorse fisiche, e i suoi attentati in Europa sono un’estensione del desiderio di rimanere fedele al proprio motto: persisti e allargati.
È qui che entra in gioco l’analisi strategica di Abu Bakr al-Nadji.
La sua opera è stata soprannominata “Il management della ferocia” ed è un manuale per la fondazione di uno Stato islamico, e in prospettiva di un nuovo califfato.
È stato pubblicato su Internet nel 2004 e continua a costituire un punto di riferimento per gli estremisti. Pare che sia una lettura raccomandata per i comandanti dell’Is.
Il testo descrive tre fasi di una campagna.
La prima è la nikaya, in cui forze irregolari conducono una guerra non convenzionale che include tattiche terroristiche per distruggere il controllo delle autorità locali su una certa area.
La seconda è il tawahhush, la creazione di una guerra civile per destabilizzare la zona presa di mira.
Infine c’è il tamkin, quando i guerriglieri prendono il controllo della zona e, offrendo a popolazioni disperate una forma approssimativa di sicurezza, riescono a imporre la propria autorità e consolidare una base più durevole.
Lo Stato islamico ha applicato questa strategia con spietata efficienza in Iraq, in Siria e in altri posti.
Crea il caos attraverso la violenza e sfrutta ogni spaccatura, ogni tensione sociale in una certa comunità .
Fa leva meticolosamente sulle rivalità settarie, etniche, economiche, tribali e di altro genere, per avere l’opportunità di prendere le parti di una fazione contro un’altra.
Una volta che la polarizzazione è avvenuta, tutto quello che resta da fare è assicurarsi che la parte con cui si è schierato prevalga.
Ci sono molte ragioni che possono spiegare perchè Daesh abbia optato per una strategia più globale, e in particolare perchè abbia deciso di colpire l’Europa. C’è la lunga storia di presunta «ostilità » dell’Europa verso l’islam, che nell’immaginazione di Daesh va dalle Crociate alla spartizione coloniale del Medio Oriente, e più in generale del mondo islamico.
C’è la tradizione europea di laicismo, libero pensiero, e «libertà di pensiero e immoralità decadenti e corrotte».
L’intervento della Francia accanto alla Gran Bretagna, gli Stati Uniti e alcune potenze arabe nella campagna di bombardamenti in Iraq e in Siria è un’altra ragione.
È quella indicata nella dichiarazione diffusa sabato dall’Is.
La difficoltà pratica di colpire gli Stati Uniti o gli interessi degli Stati Uniti è evidente:
Al Qaeda ci ha provato per un decennio o più senza riuscirci; l’Europa è un obbiettivo meno pregiato, ma più accessibile.
Senza contare che Daesh, in Europa, può contare su una via d’accesso che negli Stati Uniti non ha: le centinaia di veterani che rientrano in patria.
Dei 1.500 cittadini francesi che si ritiene siano andati a combattere in Siria e in Iraq, 140 sarebbero morti e circa 250 avrebbero fatto ritorno.
Nell’ultimo anno, la polizia e i servizi di sicurezza d’Oltralpe hanno sventato almeno sei piani di attentati che coinvolgevano veterani della guerra siriana.
Uno di questi attentati sventati prevedeva di colpire una sala concerti di Tolone, sulla Costa Azzurra.
In Italia la minaccia è minore, ma comunque presente.
Il numero di italiani che sono andati in Siria o in Iraq a combattere è una frazione rispetto a francesi, inglesi o tedeschi. Eppure una minaccia rimane. Lo Stato islamico parla di conquistare (o quantomeno attaccare) Roma. Se Parigi probabilmente è l’obbiettivo primario, la possibilità che ci siano attentati in altre parti d’Europa non è da escludere.
Perchè quello che l’Is sta cercando di fare è applicare la strategia delineata nel “Management della ferocia” al continente europeo.
Il testo dice ai militanti di estendere i loro attacchi per prosciugare le risorse del nemico, o prendere di mira «direttamente l’economia », perchè questo porterà «debolezza economica», determinerà una carenza di quei «piaceri mondani di cui queste società sono assetate», scatenando a sua volta «una competizione per queste cose» e «disparità sociali che innescheranno contrapposizioni politiche e disunità in tutti gli strati della società ».
Tutto questo contribuirà a creare l’elemento essenziale della frammentazione.
«Quando si applica la ferocia, comincia a emergere una polarizzazione spontanea fra le persone che vivono nella regione in preda al caos», dice; e questo, unitamente al collasso dell’economia, mette Daesh nelle condizioni di espandersi nell’area presa di mira.
È questa la visione alla base della campagna scatenata contro l’Europa.
Sta a tutti gli europei, ora, dimostrare che Daesh si sbaglia e che non ci sarà nessun collasso dell’economia, nessuna polarizzazione e nessuna guerra fra settori della società .
Jason Burke
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
“ALLAH E’ IL MIO DIO, NON POSSO CREDERCI”…LO STUDENTE: “BASTA GENERALIZZARE”
“Sono stati i 25 minuti più tristi della mia vita. Un tassista musulmano ha detto che ero il suo
primo cliente della serata dopo l’attacco a Parigi. Le persone erano spaventate”.
Alex Malloy, un ventitreenne statunitense, ha raccontato in un post su Twitter il suo emozionante viaggio in taxi nella sera di venerdì 13, trascorso a consolare un tassista musulmano in lacrime, perchè la gente aveva paura di lui.
“Allah è il mio Dio, non posso crederci! Le persone pensano che io c’entri qualcosa, ma non è vero. Nessuno vuole entrare nel mio taxi perchè si sentono minacciati. Non potrò più fare il mio lavoro”, ha detto il tassista ad Alex, che si è ritrovato a piangere con lui, cercando di fargli capire che non poteva assumersi la responsabilità degli attentati.
“Per 25 minuti ho detto a quell’estraneo, quell’essere umano simile a me e te, che non era sua la colpa per quanto accaduto e quanto dispiaciuto fossi che le persone potessero guardarlo con paura o con rabbia”.
Alex ha concluso il suo post rivolgendo una preghiera a chi guarda con diffidenza i musulmani: “Molte altre persone si sentono come lui. Vi prego mostrate la vostra solidarietà a questa gente. Smettete di generalizzare attribuendo a un’intera società gli atti di violenza degli estremisti”.
Perchè, dice Alex, “questi non sono i vostri estremisti. Questi non sono i vostri nemici. Questi sono i vostri amici, vicini e alleati. Vi prego smettetela di dire che i musulmani sono i colpevoli”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
UNITI CONTRO IL TERRORISMO
Quando ho visto quello che sta passando in tv in queste ore, ho deciso che non potevo restare inattivo.
Così ho deciso di dire agli imam miei amici: dobbiamo reagire. Quella che sta girando non è vera informazione.
Spinge la maggior parte della gente a pensare: forse i musulmani non sono cattivi, ma la maggioranza degli imam è guidata da paesi stranieri — Arabia Saudita, Algeria, Qatar — e spinge i giovani verso la violenza.
E siccome è molto difficile chiamare ogni tv o giornale per andare a spiegare, bisognava organizzare un evento, avere i media tutti nello stesso posto. Dovevamo reagire.
E il posto migliore era al teatro Bataclan, dove i francesi andavano a portare i fiori.
Tutte le tv del mondo erano lì.
Abbiamo fatto un comunicato, con quindici imam che rappresentano la religione islamica in Francia, assieme a me, un ebreo polacco, per onorare i morti del teatro.
E siamo andati a rendere il nostro omaggio.
Il ragionamento era giusto: c’erano tutti i media. Ma c’era qualcosa che non ci aspettavamo: anche la gente semplice era lì e ognuno ha reagito all’interno della sua cultura politica.
C’era una donna dell’estrema destra, che si è messa a gridare contro gli imam: voi siete una minoranza, la maggioranza degli islamici fa propaganda alla violenza.
Non l’avevo previsto, non pensavo di dover andare a una discussione, ma ho dovuto rispondere. La mia iniziativa doveva essere un gesto simbolico, non un confronto. Ma ho risposto: bisogna rispettare la memoria dei morti.
Qui ci sono 15 imam francesi, molti di loro sono nati in questo Paese e sono venuti per onorare gli stessi morti. Lei è violenta, loro no. Li guardi, sono venuti a portare fiori
Molta gente ha applaudito
Poi, tutti avevano la loro storia da raccontare. Dicevano: il mio migliore amico era qui, oppure: conoscevo l’americano ucciso
Mi sentivo uno psicanalista: tutti avevano qualcosa da dire, si lamentavano di non essere abbastanza informati e avevano paura.
Perchè la maggioranza degli assassini sono ancora in strada, preparano altre uccisioni domani o fra una settimana e nessuno sa dove. Quando la gente ha paura, è difficile parlare logicamente e la razionalità non esiste più. Siamo preda dei sentimenti.
Ora sentiremo in tv gli specialisti del Medio Oriente spiegare che la violenza è questo e quest’altro, tutte cose che già sappiamo.
Però non ci sono risposte per il sentimento di insicurezza che adesso pervade lo stato d’animo dei francesi.
Ma il significato del nostro omaggio è stato capito: c’è stato un interesse straordinario dei media, così tanti giornalisti che non so come abbiano potuto lavorare.
Alla fine la polizia ha dovuto portare a casa gli imam in auto, non perchè temessero violenze su di loro, ma perchè non riuscivano ad andare via. C’erano centinaia di persone, è diventato un incontro popolare, non era previsto. Ma il messaggio è arrivato.
L’ estrema destra dirà : Marek ha portato qualche buon imam, ma la maggioranza degli islamici continua a coltivare la violenza. Marine Le Pen sostiene che l’islam è violento come religione: abbiamo sei milioni di islamici in Francia e sono naturalmente violenti.
Ma è stato importante vedere gli imam pregare in arabo qui, indossando gli abiti tradizionali, perchè gli abiti sono importanti.
Un imam ha fatto un discorso in arabo, uno in francese. Quando alla fine i militanti dell’estrema destra sono arrivati per distruggere questa bella immagine, ho cominciato a cantare la Marsigliese, e tutti mi hanno seguito.
Ed era bellissimo vedere gli imam, con un rabbino arrivato all’ultimo momento, che cantavano tutti assieme l’inno nazionale.
Marek Halter
(da “la Repubblica”)
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Novembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
QUEL TIPO DI MISSILE NON E’ NEANCHE IN DOTAZIONE ALL’ESERCITO FRANCESE
Dopo l’annuncio dei nuovi bombardamenti francesi su Raqqa in risposta agli attentati di Parigi,
su internet ha cominciato a girare una foto nella quale si vedono dei missili con sopra scritto «From Paris With Love».
Secondo i tweet e i post su Facebook, si tratterebbe di alcune delle bombe lanciate dall’aviazione francese in Siria.
Sulla foto si intravede un simbolo con scritto «USAWTF», riconducibile ad alcune pagine Facebook che ironizzano sull’esercito americano.
Tra queste, U.S. Army W.T.F! moments ha pubblicato la foto alle 18.46 di domenica 14 novembre, pubblicando un commento che recita: «Hey Isis! USAWTF ti sta mandando un pacchetto dalla gente di Parigi»..
I missili nella foto non avrebbero nulla a che fare con i bombardamenti francesi, quindi.
Se non dovesse bastare la poca attendibilità dell’autore della foto e il commento, c’è un elemento in più che smentisce la connessione tra la foto e i bombardamenti francesi.
Su internet i missili vengono indicati come dei Joint Direction Attack Munition, un particolare modello di bombe che non risulta in dotazione all’aviazione francese.
Francesco Zaffarano
(da “la Stampa”)
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Novembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
CHIUNQUE CI ABBIA PROVATO A NEGARLA NEGLI ULTIMI DUE SECOLI NE E’ USCITO SCONFITTO
Parigi è sopravvissuta all’occupazione nazista, sopravvivrà alle incursioni jihadiste. C’è una invincibile inerzia, nella libertà , che è perfino più forte della forza militare. La libertà non è più un’idea, ormai: lo è stata nei lunghi secoli della sua laboriosa, contrastata definizione, ma ormai è diventata un istinto, è scritta nel nostro Dna. Significa che la gente considera naturale divertirsi, ballare, mangiare al ristorante, bere alcolici, camminare per strada, fare musica, fare sesso, leggere i libri che vuole, non leggere i libri che non vuole, usare le parole che preferisce per dire quello che ama dire.
È un nemico, la libertà , che il jihadismo non può neanche immaginare di sconfiggere. Chiunque ci abbia provato, almeno negli ultimi due secoli, ha vinto qualche battaglia ma alla fine ha perduto la guerra.
Si capisce che Parigi sia odiata tanto quanto New York, nella guerra mondiale dichiarata dal jihadismo alla libertà di tutte le persone (anche delle persone musulmane).
Sono le due città che incarnano al livello massimo il cosmopolitismo brulicante, la febbrile promiscuità tra culture e dunque il primato culturale dell’Occidente, che quella promiscuità non teme e anzi promuove.
Per non dire della libertà delle donne, che è la più odiata, la più temuta, la più irreversibile di tutte le libertà .
Della nostra incolumità possiamo dubitare, di qui in poi.
Della vittoria della libertà , mai.
Michele Serra
(da “La Repubblica”)
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Novembre 16th, 2015 Riccardo Fucile
IL SUO GESTO HA SALVATO LA VITA A CENTINAIA DI PERSONE
Gli attacchi di Parigi, l’aereo schiantatosi nel Sinai e le decine di vittime dell’attacco multiplo
condotto contro la comunità sciita di Beirut.
Tanti, troppi, i nomi delle vittime del terrorismo dell’Isis.
Tra questi si fa largo anche quello di Adel Termos, l’uomo che ha sacrificato la sua vita per placcare uno dei kamikaze responsabili dell’attacco nel distretto della capitale libanese di Burj al-Barajneh di giovedì scorso.
Grazie al suo gesto, è riuscito a contenere il numero delle vittime, salvando centinaia di persone.
Termos stava passeggiando con sua figlia, quando sente la prima esplosione causata dall’attacco del primo attentatore suicida.
Nella confusione, l’uomo – membro di Hezbollah, partito politico sciita del Libano – nota il secondo attentatore mentre comincia a dirigersi verso il numeroso gruppo di persone che circondano la moschea presa di mira dal primo kamikaze.
E’ in quel frangente che Termos decide di gettarsi sul terrorista, causando in questo modo la detonazione anticipata dell’ordigno ed evitando una seconda strage.
“L’ha placcato, facendolo cadere a terra. Poi c’è stata l’esplosione”, racconta un blogger e medico, Elie Fares, che lavora a Beirut. ” Ci sono molte famiglie, centinaia probabilmente – spiega il medico – che devono ringraziare di essere ancora in vita grazie al suo sacrificio”.
In un primo momento si era sparsa la voce che anche la piccola figlia di Termos fosse rimasta vittima dell’espolosione, ma ora stanno girando foto della piccola sui social network con in mano la foto del padre.
Venerdì, il giorno stesso dell’attacco a Parigi, si sono tenuti i funerali dell’uomo nel villaggio di Tallusa, sud del Libano.
Alla cerimonia sono accorsi parenti, amici e centinaia di persone scampate all’attacco che ha provocato 45 morti e circa 200 feriti.
Tutti loro hanno condannato l’Isis e la politica del terrore.
(da “Huffingtonpost”)
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