Novembre 22nd, 2015 Riccardo Fucile
AL CONGRESSO DI BRESCIA ESPLODONO LE CONTRADDIZIONI DEL CARROCCIO: “NON DEVI DIMENTICARE IL TUO POPOLO”…E LUI: “LE ABBIAMO PROVATE TUTTE, A ME INTERESSA SOLO VINCERE”
Il ‘Va pensiero’ è tornato a suonare a tutto volume sotto la tensostruttura di via San Zeno.
Il congresso Nazionale della Lega Lombarda è iniziato così, alla vecchia maniera.
I delegati sono scattati in piedi, sull’attenti, mano sul petto e sguardo fiero. Le ultime note si sono fuse con il rumore degli applausi.
Pareva di aver compiuto un salto indietro nel tempo — giusto di qualche anno, prima dell’era Salvini — quando l’inno padano era d’uopo ad ogni raduno, immancabile come i foulard verdi e le bandiere col Sole delle Alpi.
E qualcuno, nel corso degli interventi che sono seguiti, lo ha fatto anche notare: “Troppo spesso ci dimentichiamo di suonare il nostro inno” e promette: “Torneremo a farlo in tutti gli eventi della provincia”.
Sabato mattino dietro al palco campeggiava, immensa, una scritta: “Lombardi, Roma vi ruba 153 milioni al giorno” e, più sotto: “Riprendiamoci il nostro futuro senza aspettare un giorno in più”, poi, la chiusura: “Liberi di decidere fino all’indipendenza“. Tre frasi che sarebbero state assolutamente in tono con gli argomenti, lo stile e le velleità della Lega di Bossi, ma stridono — e non poco — con le aspirazioni nazional popolari del felpato Salvini che qualche giorno fa, in un’intervista al Corriere della Sera, è arrivato a mettere in discussione l’articolo 1 dello statuto, quello che da sempre rappresenta il faro dell’azione politica di ogni militante del carroccio: l’indipendenza della Padania (lo citiamo qui per esteso. Sotto il titolo “finalità ” il famigerato articolo uno recita: “Lega Nord per l’Indipendenza della Padania è un movimento politico confederale costituito in forma di associazione non riconosciuta che ha per finalità il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana”).
Un’ipotesi che Salvini ha lanciato in pasto all’opinione pubblica forse per sondare umori e reazioni, forse per ingentilirsi davanti agli occhi dei moderati d’OltrePo’. Quali fossero le ragioni reali di quella sortita lo sa probabilmente solo lo stesso segretario leghista.
Certo è che la reazione del partito è stata chiara: “L’articolo uno non si tocca“, l’idea della Padania rimane nei cuori dei leghisti.
Qualcuno, a scanso di equivoci lo ha anche ribadito a voce, scandendo a più riprese il vecchio intramontabile slogan “Se-ces-sio-ne se-ces-sito-ne”.
Non c’è stata, a rigor di cronaca, alcuna contestazione nei confronti del leader maximo Matteo Salvini. Ma la sua boutade non è nemmeno passata come acqua sul marmo.
A più voci e durante tutta la mattinata si sono ripetuti i richiami al passato, allo statuto, alla missione originaria: “Va bene aprire al consenso di chi fino a ieri non condivideva la linea leghista, ma non dimenticarti del tuo elettorato storico, di quelli che non hanno smesso di crederci nemmeno quando eri al tre e mezzo per cento”. Proprio mentre Salvini, con il volto affaticato, entrava nel tendone del congresso stringendo mani e selfeggiando tra la folla, il segretario provinciale bergamasco Daniele Belotti, ha tuonato dal palco: “Dobbiamo essere padroni a casa nostra, noi non possiamo tradire un giuramento fatto il 15 settembre 1996” e, dopo di lui, al coro si sono aggiunti anche altri: “Non molleremo fino all’indipendenza”; “Il futuro è l’indipendenza”; “Milano è e sarà sempre la capitale della Padania libera e indipendente”; Davide Boni, fresco di elezione alla segreteria meneghina, ha aperto il suo intervento con un inequivocabile “Padania libera”, rievocando poi “i manifesti di 25 anni fa, ancora attualissimi, che parlavano di immigrazione, federalismo, secessione e rimangono il segnale forte di chi siamo noi”.
La risposta di Salvini è arrivata durante il suo lungo intervento, quando ha ribadito le proprie intenzioni. “Io sono qua per vincere, non per partecipare” ha detto “le abbiamo provate tutte in questi anni: federalismo, secessione, devolution, federalismo fiscale, federalismo demaniale, macroregioni, io so dove devo arrivare ma il mio dovere è usare il consenso per capire come”.
Alessandro Madron
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 22nd, 2015 Riccardo Fucile
“UNA CONCENTRAZIONE DI RISORSE PETROLIFERE IN PICCOLE ZONE SPOPOLATE”
La risposta al terrorismo dev’essere in parte la garanzia della sicurezza. Colpire Daesh, arrestare i suoi adepti. Ma dobbiamo anche interrogarci sulle condizioni politiche di queste violenze, sulle umiliazioni e ingiustizie che in Medio Oriente hanno determinato l’importante sostegno di cui beneficia quel movimento, e in Europa suscitano oggi vocazioni sanguinarie.
Al di là del breve termine, l’unica vera risposta sta nell’attuazione, sia qui che laggiù, di un modello di sviluppo sociale ed equo.
È una realtà evidente: a nutrire il terrorismo è la polveriera delle disuguaglianze in Medio Oriente, che abbiamo largamente contribuito a creare. Daesh, lo “Stato Islamico d’Iraq e del Levante”, nasce dalla decomposizione del regime iracheno, e più in generale dal tracollo del sistema di confini stabiliti nella regione nel 1920.
Dopo l’annessione del Kuwait da parte dell’Iraq, nel 1990-1991, le potenze coalizzate inviarono le loro truppe per restituire il petrolio agli emiri e alle compagnie occidentali. Si inaugurò in quell’occasione un nuovo ciclo di guerre tecnologiche e asimmetriche: alcune centinaia di morti nella coalizione nata per “liberare” il Kuwait, contro varie decine di migliaia di vittime dal lato iracheno.
Questa logica è arrivata al parossismo durante la seconda guerra in Iraq, tra il 2003 e il 2011.
Circa 500.000 morti iracheni contro un po’ più di 4.000 soldati americani uccisi. E tutto questo per vendicare i 3000 morti dell’11 settembre, che pure con l’Iraq non avevano nulla a che fare.
Questa realtà , amplificata dall’estrema asimmetria delle perdite in vite umane e dall’assenza di sbocchi politici nel conflitto israelo-palestinese, serve oggi a giustificare tutte le efferatezze perpetrate dai jihadisti.
C’è da sperare che la Francia e la Russia, entrate ora in azione dopo il fiasco americano, facciano meno danni e suscitino meno vocazioni.
Al di là degli scontri religiosi, è chiaro che nel suo insieme il sistema politico e sociale della regione è fortemente determinato e reso vulnerabile dalla concentrazione delle risorse petrolifere in alcune piccole zone spopolate.
Esaminando l’area che va dall’Egitto all’Iran, passando per la Siria, l’Iraq e la Penisola arabica, con un totale di circa 300 milioni di abitanti, si può constatare che il 60-70% del Pil regionale si concentra nelle monarchie petrolifere, con appena il 10% della popolazione.
Per di più, nelle monarchie petrolifere, una parte sproporzionata di questa manna è accaparrata da una minoranza, mentre ampie fasce della popolazione sono tenute in uno stato di semi-schiavitù.
Ma proprio questi regimi godono del sostegno delle potenze occidentali, ben liete di ottenere qualche briciola per finanziare i propri club di calcio, o di vendere armi. Non c’è dunque da sorprendersi se le nostre lezioni di democrazia sociale non hanno molta presa sui giovani mediorientali.
Quanto ai discorsi sulla democrazia, sarebbe meglio smettere di farli solo quando i risultati elettorali sono di nostro gradimento.
Nel 2012, in Egitto, Mohamed Morsi era stato eletto presidente in seguito a regolari elezioni: un evento tutt’altro che banale nella storia elettorale araba.
Ma già nel 2013 fu destituito ad opera dei militari. I quali non tardarono a giustiziare migliaia di Fratelli Musulmani, che pure avevano compensato in parte le carenze dello Stato egiziano con la loro azione sociale.
Pochi mesi dopo, la Francia cancellò tutto con un colpo di spugna per poter vendere le sue fregate e accaparrarsi una parte delle scarse risorse del Paese.
Un caso di democrazia negata.
Resta un punto interrogativo: com’è possibile che alcuni giovani cresciuti in Francia confondano Bagdad con la banlieue parigina, cercando di importarvi i conflitti che nascono laggiù? Non vi sono scusanti.
Salvo forse notare che la disoccupazione e le discriminazioni nelle assunzioni non migliorano le cose. L’Europa, che prima della crisi riusciva ad accogliere un flusso migratorio netto di 1 milione di persone all’anno, oggi deve rilanciare il suo modello d’integrazione.
È stata l’austerità a far esplodere gli egoismi nazionali e le tensioni identitarie. Solo con uno sviluppo sociale ed equo si potrà sconfiggere l’odio.
Thomas Piketty
(da “Le Monde”)
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Novembre 22nd, 2015 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL PROF. JEAN PHILIPPE PLATTEU: “ALLA RADICE LA RESISTENZA AL COLONIALISMO”
L’Islam non è condannato all’arretratezza e a una battaglia di retroguardia contro la
modernità . Non più di altre grandi culture o civiltà , almeno.
Ma se non viene aiutato dall’Occidente rischia di ritrovarsi ostaggio delle sue correnti più conservatrici.
È la tesi di Jean-Philippe Platteau, professore emerito all’Università di Namur e uno dei massimi esperti mondiali dell’impatto delle istituzioni sociali e politiche sullo sviluppo, a Torino per la tredicesima Lezione Luca d’Agliano in economia dello sviluppo
Professor Platteau, perchè Occidente e Islam si scontrano molto di più che, per esempio, Occidente e induismo?
«Prima dobbiamo chiederci che cosa intendiamo per modernità . La globalizzazione, o occidentalizzazione, ha come cardini materialismo, individualismo, ateismo. Nel mondo islamico le masse sono ancora in gran parte analfabete, tradizionaliste e conservatrici. E questo favorisce le correnti reazionarie dell’islam che resistono alla mondializzazione. Ma in realtà si trovano le stessi correnti nell’induismo e nel buddismo, penso alla Birmania. Ci sono state grandi civiltà islamiche aperte e tolleranti. Ancora all’inizio del Novecento in Egitto c’era una legislazione modellata su quella di Francia, Svizzera, anche nel diritto civile».
E poi che cosa è andato storto?
«Ci sono ragioni interne ed esterne. La principale è forse la particolarità del clero. Nell’islam sunnita non esiste una gerarchia. Quindi chiunque può autoproclamarsi imam, predicare, avere la sua moschea. Se prendiamo l’Egitto, abbiamo un clero ufficiale, quello dell’università Al Ahzar per intenderci, vicino a un potere oppressivo e corrotto (quasi sempre amico dell’Occidente), un clero espressione delle famiglie più ricche e in vista, e corrotto a sua volta. È chiaro che questi religiosi hanno poca presa sulle masse. Ed ecco che i predicatori radicali invece hanno molto seguito e soffiano sul malcontento. E non c’è modo, nella tradizione islamica sunnita, di «scomunicarli». Lo stesso rapporto esiste anche fra la monarchia saudita e i suoi ulema. In fondo Osama bin Laden era un «dissidente» politico. La sua evoluzione a terrorista anti-occidentale nasce dallo scontro con il potere saudita».
E come nasce?
«Bisogna ripercorre la storia dei movimenti islamisti. Tutti i Paesi avevano come obiettivo l’abbattimento delle dittature, compresa quella degli Al Bashar in Siria. La decisione di Bin Laden di attaccare l’Occidente nasce invece dalla pretesa di Bush senior, dopo la prima guerra del Golfo, di impiantare basi Usa in Arabia Saudita. Il re pressato, acconsente. Gli ulema non si oppongono. Per Bin Laden è un affronto ai luoghi sacri e una violazione della sovranità nazionale. Da lì in poi la priorità diventa la lotta all’Occidente».
La percezione negativa dell’Occidente è però diffusa in tutto il mondo islamico. Che errori abbiamo fatto?
«La radice comune di tutti i movimenti islamisti è la resistenza al colonialismo. E questo vale per l’Algeria, l’Egitto, l’Iraq, un’invenzione degli inglesi che imposero un re straniero alla popolazione locale. E vale anche per il Caucaso russo. Ma c’è un’altra ragione fortissima. La questione palestinese. Che vale in tutto il mondo arabo e noi sottovalutiamo. Anche in Egitto viene vissuta come una ferita. La stessa pace con Israele è vista come una pace mutilata, perchè presupponeva la risoluzione della questione palestinese. Che non è mai arrivata, per responsabilità soprattutto degli Usa. Ciò è visto come un tradimento, un’altra umiliazione. La vittimizzazione tipica del mondo islamico fa il resto. E il rigetto dell’Occidente è sempre più forte».
Giordano Stabile
(da “La Stampa“)
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Novembre 22nd, 2015 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL SOCIOLOGO KOSHROKHAVAR: “I PROSSIMI? DALLA CLASSE MEDIA”
Nati nei quartieri poveri delle capitali d’Europa, trovano nella violenza l’unico modo per emergere. L’illuminazione delle fede islamica per molti di loro avviene in carcere, dove iniziano a studiare il Corano.
Ma prima di tutto c’è l’odio per la società : “L’Islam serve a sacralizzare quel sentimento che precede ogni altra intenzione”.
E’ questo il ritratto dei terroristi responsabili degli attentati degli ultimi anni in Francia secondo Farad Koshrokhavar, sociologo iraniano all’Ecole des hautes ètudes en sciences sociales.
Autore di L’Islam nelle carceri, ha studiato il fenomeno della radicalizzazione dietro le sbarre e non solo.
In merito ai responsabili della strage di Parigi del 13 novembre scorso dice: “Questi soggetti sono più europei degli europei. Si sono organizzati in tre ‘squadre’ e hanno saputo beffare il nostro sistema dei servizi segreti mentre loro si sono mossi dentro e fuori la Francia senza problemi”.
Da Rachid Ramda a Amedy Coulibaly fino a Salah Abdeslam il profilo secondo il professore è sempre lo stesso: ragazzi che vengono dalle banlieue con un passato di delinquenza e una famiglia in crisi dove spesso il padre è assente.
La sfida è per l’Europa: “Serve un intervento per migliorare integrazione della società e comunicazione tra gli Stati. Siamo già in ritardo”.
Che cosa intendiamo per jihadismo europeo e come nasce?
Ci sono due modelli. Quello più frequente riguarda i soggetti che vengono dalle banlieue: nascono nei quartieri poveri di periferia dove c’è un tasso di disoccupazione elevato; abbandonano la scuola molto presto; poi sono portati alla delinquenza e infine sperimentano la prigione. Il secondo modello invece si è diffuso a partire dal 2013 ed è il caso dei giovani di classe media che sono andati in Siria. Questi, a differenza dei primi, non sono finora mai passati all’azione.
In Francia il fenomeno non è nuovo. Quali sono i casi fino a questo momento?
Tutto comincia nel ’95 con il franco-algerino Rachid Ramda. Emarginato, si radicalizza dopo un viaggio nella patria natale e fa esplodere una bomba nella metropolitana di Saint Michelle a Parigi. Poi nel 2012 è la volta di Mohammed Merah, anche lui è un giovane della periferia con un passato di delinquenza e anche lui sceglie l’Islam radicale: uccide 7 persone a Tolosa. Poi c’è un’accelerazione della storia. Nel 2014 Mehdi Nemmoush, giovane franco-algerino della banlieue con la famiglia in crisi, fa un viaggio nelle terre della jihad, al suo ritorno viene arrestato e infine uccide 4 persone al museo ebraico di Bruxelles. Nel 2015 c’è un altro passo in avanti con gli attacchi al giornale Charlie Hebdo e poi al supermercato Hyper Chacher. L’ultimo colpo è appunto quello del 13 novembre. A firmarlo sono tre gruppi di giovani a dominanza francese, ma tra cui ci sono anche dei belgi. Vengono tutti dalle banlieue e addirittura tra loro ci sono tre fratelli che vengono dalla stessa famiglia.
Con il passare degli anni com’è cambiato il profilo degli attentatori?
E’ rimasto lo stesso. I terroristi vengono dalla periferia e attraversano varie fasi: nascono in famiglie in difficoltà con il padre assente; vivono in posti dove la delinquenza è l’ideale per diventare ricchi e dove la violenza è vista come l’unico mezzo per il riscatto; poi c’è la prigione dove trovano l’illuminazione; infine c’è un viaggio in Siria, Yemen, o Pakistan grazie al quale diventano dei jihadisti e tornano in Europa. Una delle poche differenze è quella dei kamikaze: fino ad ora i terroristi in Francia sparavano (salvo il caso del ’95). Con gli ultimi attacchi per la prima volta assistiamo a persone che si fanno saltare in aria.
Perchè e come avviene “l’illuminazione” in prigione?
La tappa del carcere è molto importante. C’è il tempo per riflettere, l’odio per la società si approfondisce, c’è la possibilità di leggere il Corano e ci sono compagni che ti aiutano nell’interpretazione dei testi sacri. La prigione è una fase per i ragazzi delle banlieue, non per quelli della classe media che non ci passano quasi mai. Il fenomeno è cambiato negli ultimi anni: i jihadisti dietro le sbarre in un primo momento si riunivano in gruppo e si facevano crescere la barba, ma hanno visto che questo creava troppi sospetti. Ora siamo di fronte al “modello introverso”, ovvero fanno di tutto perchè il loro estremismo rimanga invisibile agli altri.
Lei nei suoi scritti dice che i terroristi sono più “europei degli europei”.
I terroristi sono un passo avanti all’Europa. Per la strage del 13 novembre tre gruppi hanno organizzato il piano fuori Parigi e poi sono rientrati nella città per fare gli attacchi. I servizi segreti europei non sono stati capaci di accorgersi di nulla. I terroristi comunicano con email, sms e telefonate: tutto è passato sotto gli occhi dei belgi che non hanno avvisato i francesi. E’ la prova che il sistema non funziona: ognuno lavora per sè e non comunica con gli altri Stati. Bisognerebbe dotare l’Europa di un sistema coordinato, oppure bisogna tornare a chiudere le frontiere.
Quali sono le cause di questo fenomeno?
La prima è esterna ed è naturalmente l’Isis, più pericoloso dell’”artigianale” Al Qaeda perchè gestisce molti miliardi di dollari e dispone di un territorio grande quasi come la Gran Bretagna. Non dimentichiamo che 25mila persone da tutto il mondo sono partite per raggiungere lo Stato islamico, tra questi si stimano 5mila europei. Molti di loro conoscono bene l’uso di internet e dei social network. Questi contribuiscono a creare un sistema di propaganda molto moderno e pericoloso. La causa interna è invece da ricercare in quello che io chiamo “esercito di riserva jihadista” in Europa: si forma nei quartieri poveri, dove si ha l’impressione di essere abbandonati e dove i giovani sono pronti a morire per punire la società .
L’odio per l’Occidente come nasce e come si sviluppa?
E’ un sentimento per niente superficiale e antropologicamente costruito. I terroristi pensano che la società ce l’abbia con loro, che li abbia trasformati in insetti. L’islamizzazione è un pretesto per sacralizzare il loro odio. Prima odiano, poi si radicalizzano, poi trovano il pretesto per agire. All’inizio quasi non sono capaci di pregare e non hanno un bagaglio religioso islamico: la radicalizzazione precede in qualche modo l’islamizzazione.
Cosa si può fare di fronte a questa rabbia?
L’Europa deve intervenire per migliorare l’integrazione nella propria società . Ma anche per avere una comunicazione più efficace tra gli Stati che permetta di stare al passo dell’Isis. Ci vorrà molto tempo e siamo già ritardo.
Martina Castigliani
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 22nd, 2015 Riccardo Fucile
MOLTI DEGLI ASSEGNATARI SONO DELLA FAMIGLIA CHE HA IL MONOPOLIO A ROMA SU CAMION BAR E CALDARROSTARI
Tredicine Alfiero… Tredicine Dino… Tredicine Elio… Tredicine Tania Donatella… Ecco
alcuni dei nomi che hanno vinto il bando per la Festa della Befana in piazza Navona.
E con concessione decennale. L’elenco di coloro che dal 6 dicembre allestiranno il nuovo banco «tipo» per vendere dolciumi, statuine del presepe o giocattoli nella più caratteristica fiera natalizia della capitale, vede un ritorno alla «tradizione» anche negli assegnatari.
Il nuovo bando che doveva portare sulla piazza banchi perfino di operatori stranieri non ha così raggiunto i risultati sperati. «Avevamo ragione quando, dopo il primo momento di contentezza, ci siamo resi conto che il bando avrebbe portato la sopravvivenza ai soliti noti fino al 2024 – afferma Viviana Piccirilli Di Capua, dell’Associazione abitanti centro storico – per questo mi auguro che coloro che possono, compreso il Commissario, rivedano questa situazione che non ha nulla di trasparente e va sicuramente a decremento di quanto era stato espresso dal I Municipio».
«L’assessore Sabella – aggiunge – ha detto che chi scrive le delibere o è ignorante o le fa pretestuosamente: qualcuno faccia tesoro di queste parole e prenda un serio provvedimento».
Misurando molto le parole non nascondono del resto la loro poca soddisfazione anche la presidente del I municipio, Sabrina Alfonsi, e l’assessore municipale al Commercio, Jacopo Pescetelli: «Sicuramente – dicono – possiamo affermare di non essere soddisfatti del risultato ottenuto sotto il profilo delle garanzie per la qualità della merce in vendita. A quanto emerge da una prima lettura delle diverse graduatorie in alcuni settori, come i dolciumi, i punteggi per la certificazione della qualità della merce sembrano non essere stati assegnati, il che ha aumentato in modo preponderante il peso del requisito di anzianità . Faremo ovviamente tutte le verifiche amministrative del caso sull’esito del lavoro della Commissione per essere certi che sia stato rispettato in pieno il principio di legalità ».
Ma intanto niente novità , e niente «biologico» come invece richiesto.
E ai primi due posti per la vendita di dolci c’è Alfiero Tredicine: «C’è stata una riduzione del 50 per cento dei banchi di dolciumi – spiega Pescetelli – che due siano dei Tredicine è normale, vige un criterio di anzianità . Non siamo soddisfatti».
Neppure per le novità nei presepi o giocattoli: per 20 postazioni ci sono state solo 16 domande e due sono stati esclusi. Ci saranno quindi solo 14 banchi.
Gli altri sei? «Li rimetteremo in gara l’anno prossimo», spiega l’assessore.
Per di più nella graduatoria del commercio dei giocattoli appare al numero due il «Food Store di Tredicine Alfiero». E per altre postazioni c’è chi dice che si tratti, in alcuni casi, di loro parenti.
Lilli Garrone
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 22nd, 2015 Riccardo Fucile
SI LEGALIZZA IL LAVORO NERO E LO SI LEGITTIMA… NE SONO STATI VENDUTI 81 MILIONI, COME SONO STATI USATI?
Dipende da come li si usa, spiega Milena Gabanelli nel promo del servizio che andrà in onda questa sera: dove l’oggetto della frase sono i famosi voucher, i buoni del lavoro per pagare lavori accessori, introdotti nel 2008 e che in questi ultimi anni hanno visto incrementare il loro utilizzo.
1 ora di lavoro 10 euro, di cui 7,5 finiscono al lavoratore e il resto sono tasse e spese per il gestore del servizio. Si comprano nelle tabaccherie e si incassano nelle tabaccherie. Hai bisogno di un cameriere per qualche ora? Prendi due buoni ed è fatta. Semplice.
Servivano originariamente a far emergere le situazioni di lavoro nero ma, come racconterà Bernardo Iovene, spesso costituiscono una forma di lavoro nero legalizzato.
Specie nei settori del commercio e della ristorazione.
L’inps di Boeri aveva lanciato l’allarme ad ottobre, su questa proliferazione incontrollata dei buoni lavoro:
Il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha da tempo alzato il livello di guardia nei confronti dei voucher, che sono stati da lui stesso definiti “la nuova frontiera” del precariato e dell’irregolarità nel mondo del lavoro. E la dimensione del fenomeno è in crescita: proprio l’Istituto oggi pubblica una rilevazione secondo la quale sono oltre un milione i lavoratori pagati con voucher nel corso del 2014
Secondo quanto ha comunicato l’Inps, sono 212,1 milioni i buoni lavoro per la retribuzione delle prestazioni di lavoro accessorio venduti da quando sono stati introdotti, nell’agosto del 2008, al 30 giugno 2015.
La vendita dei voucher è progressivamente aumentata nel tempo, registrando un tasso medio di crescita del 70% dal 2012 al 2014 e del 75% nel primo semestre del 2015 rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. In costante aumento è anche il numero dei lavoratori retribuiti con i buoni lavoro, che nel 2014 ha superato il milione (1.016.703).
La tipologia di attività per la quale è stato acquistato il maggior numero di voucher è il commercio (18%) seguita dai servizi (13,7%) e dal turismo (13%).
Il ricorso ai buoni lavoro è concentrato nel nord del paese, e in particolare nel nord-est, che con 82 milioni di voucher venduti incide per il 38,7%. La Lombardia, con 37,5 milioni, è la Regione in cui sono stati venduti più buoni lavoro, seguita dal Veneto (29,9 milioni) e dall’Emilia Romagna (26,3 milioni).
“Al crescente aumento della diffusione dei voucher”, spiega ancora l’Inps, “oltre all’estensione degli ambiti di utilizzo del lavoro accessorio, ha contribuito anche l’ampliamento delle modalità di acquisto. Inizialmente infatti i buoni lavoro erano reperibili solo presso le sedi Inps o tramite la procedura telematica. Successivamente si è allargato il numero dei luoghi dove possono essere acquistati, prima mediante le convenzioni con l’associazione dei tabaccai (FIT) e con le Banche Popolari, e infine con la possibilità di comprare i voucher presso tutti gli uffici postali”.
E’ il caso della ragazza che lavora in un locale, con tanto di laurea, sette giorni a settimana, pagata attraverso i voucher
E’ il caso del muratore che, dopo aver subito un infortunio, scopre di non essere in nero ma di essere stato assunto coi voucher (con tanto di coperture nel caso di infortuni), ma la sua impresa non glielo aveva detto
Come con la legge Biagi del 2003, si giustifica questo sistema, con l’aumento dell’occupazione nel paese: ma è una forma di occupazione sana oppure ci troviamo di fronte ad una forma di sfruttamento coperta dalla legge?
I voucher sono la nuova forma di retribuzione e contribuzione del lavoro accessorio. Dal 2012 la possibilità di utilizzarli è stata allargata a tutti i settori produttivi e così la cifra del loro impiego è passata dalle poche migliaia nel 2008 ai 70 milioni del 2014 e ai cento milioni previsti del 2015. Ma il meccanismo di attivazione permette ai datori di lavoro più furbi di praticare il trucco del nero a metà : in pratica ti pago un’ora con il voucher, il resto in contanti.
Il risultato è il contrario di quelle che erano le buone intenzioni del legislatore che ha introdotto i “buoni lavoro” proprio per far emergere il lavoro nero. Invece, paradossalmente, il voucher può addirittura diventare la foglia di fico di alcune forme di sfruttamento.
Sono tanti gli esempi: nel lavoro domestico, nella ristorazione, nel turismo nell’edilizia e in agricoltura. Abbiamo fatto un confronto con l’utilizzo dei voucher in Francia, a cui l’Italia si era ispirata quando nel 2008 li ha introdotti.
Oltralpe sono limitati al lavoro domestico e hanno effettivamente dato un sostegno alle famiglie e regolarizzato circa due milioni di lavoratori che prima venivano pagati in “nero”. Infine siamo stati in Inghilterra per capire come viene regolato il lavoro occasionale.
«La notevole diffusione dei voucher, soprattutto nelle regioni del Nord — spiega Russo —, indica che questo strumento ha consentito l’emersione di rapporti di lavoro che altrimenti sarebbero rimasti sommersi. È verosimile ipotizzare anche un crescente utilizzo del lavoro accessorio al posto di altre tipologie contrattuali, come i rapporti parasubordinati, si pensi solo alla parallela flessione delle collaborazioni a progetto a seguito della riforma Fornero. Si possono invece esprimere perplessità sul ricorso ai voucher in settori come l’industria e soprattutto l’edilizia, che pongono ad esempio serie problematiche relative alla sicurezza sul lavoro».
(da unoenessuno.blog)
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Novembre 22nd, 2015 Riccardo Fucile
ALBERTO SOLESIN, IL PADRE DELLA RAGAZZA UCCISA: “CREDIAMO NEI VALORI CHE NON DIVIDONO”
“I funerali di Valeria non saranno una cerimonia laica bensì civile perchè tutti possano
partecipare senza che nessuno però ci metta il proprio cappello sopra”, ha dichiarato il padre di Valeria Solesin alla camera ardente allestita nella sede del Comune di Venezia, Ca’ Farsetti.
Quindi ha aggiunto: “Le benedizioni mi vanno benissimo, anche quella dell’imam. Noi crediamo nei valori che non dividono le persone”.
La notizia viene riportata da Il Mattino di Padova.
I genitori della ricercatrice uccisa dai terroristi al Bataclan hanno deciso di dare l’ultimo addio alla figlia il 24 novembre a piazza San Marzo.
Una cerimonia non religiosa, hanno specificato, alla quale potrebbe partecipare anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Proprio in queste ore è emerso il racconto degli ultimi momenti di vita della ragazza. “E’ morta dissanguata tra le mie braccia”, ha raccontato il fidanzato Andrea Ravagnani, che viveva con Valeria a Parigi, ai carabinieri di Venezia.
Una raffica di mitra ha colpito Valeria nei primi minuti dell’assalto. Il ragazzo si è stretto alla fidanzata e si è finto morto, ha raccontato, per poi scappare quando sono entrate le teste di cuoio.
Ecco perchè non sapeva dove fosse Valeria, forse nella speranza che in realtà si fosse salvata.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 22nd, 2015 Riccardo Fucile
QUESTA ORGANIZZAZIONE TERRORISTICA, ESSENDO FORMATA DA ITALIANI DOC, QUASI TUTTI DEVOTI CATTOLICI, NON SUSCITA LO STESSO ALLARME DI QUELLE MEDIORIENTALI
Magari fa comodo dimenticarlo, ma in Italia è tuttora viva e vegeta un’organizzazione terroristica che per un secolo ha fatto migliaia di morti ammazzati, che 13 e 12 anni fa mise l’Italia a ferro e a fuoco con stragi mai viste in Europa e nel mondo (salvo la Colombia e il Libano) e che da vent’anni non spara più perchè ha avuto quasi tutto ciò che chiedeva: la revoca di centinaia di 41-bis per i detenuti e l’ammorbidimento progressivo del carcere duro per chi ci è rimasto, una legge più blanda sui pentiti, l’omertà legalizzata con la sostanziale depenalizzazione della falsa testimonianza, la chiusura delle supercarceri di Pianosa e Asinara, la delegittimazione scientifica di magistrati e pentiti, continui limiti alle intercettazioni e alle indagini, grandi opere da sub appaltare agli amici degli amici, mano libera sugli affari da Sud a Nord, condoni fiscali per ripulire i soldi sporchi direttamente con lo Stato, addirittura (dal 1999 al 2001) l’abolizione dell’ergastolo, leggi col buco su voto di scambio e autoriciclaggio, ora persino l’innalzamento del limite ai pagamenti in contanti da mille a 3 mila euro (così da poter spendere i proventi delle estorsioni spicciole senza dare nell’occhio).
Questa organizzazione terroristica, essendo formata da italiani doc, quasi tutti cattolici e molto devoti, non suscita lo stesso allarme di quelle di origine maghrebina e mediorientale.
Eppure controlla da decenni un vasto territorio: non fra Siria e Iraq, ma fra Sicilia, Calabria e Campania, con propaggini non in Libia o in Mali, ma in Lazio, Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia, Val d’Aosta e altre regioni.
Non si è mai proclamata Stato solo perchè non ne aveva bisogno: diversamente dall’Isis, fortunatamente isolato, esecrato e combattuto dall’intero consesso civile, questa organizzazione terroristica ha sempre avuto ottimi rapporti con quello già esistente, attraverso premier, ministri, sottosegretari, politici, governatori, sindaci, funzionari, poliziotti, carabinieri, 007, avvocati, banchieri, commercialisti, giornalisti, medici e prelati, ottenendo trattative, leggi di favore, impunità , assunzioni, appalti, finanziamenti, licenze, cure sanitarie e sacramenti.
Senza tutti questi agganci (i “concorsi esterni”), dopo due secoli di vita, sarebbe stata sconfitta da un pezzo.
Un sette volte presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, è risultato associato a essa fino al 1980 (e aveva cominciato nel 1946). Il n. 3 del Sisde, Bruno Contrada, era pagato dallo Stato ma lavorava per essa, infatti fu condannato a 10 anni.
Un tre volte presidente del Consiglio, Silvio B., leader del centrodestra, intratteneva con essa affettuosi e fruttuosi rapporti tramite l’amico Marcello Dell’Utri,che nel 1992-’93 s’inventò Forza Italia e ora sconta una condanna a 7 anni per mafia nel carcere di Parma, a qualche cella di distanza da Totò Riina.
Un due volte presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ora senatore a vita, ha appena rifiutato di testimoniare nel quarto processo su una delle stragi da essa perpetrata, dove morirono il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della scorta (il primo processo fu depistato da uomini della polizia, che confezionarono ai giudici un pacchetto completo di falsi colpevoli per risparmiare quelli veri).
Il pm che sostiene l’accusa nel processo sull’ultima trattativa fra l’organizzazione e pezzi dello Stato, Nino Di Matteo, è stato condannato a morte dal Riina con un piano stragista giunto al trasporto dell’esplosivo a Palermo,ed è costretto a viaggiare su un bomb jammer, ma soprattutto a subire l’isolamento dalle istituzioni e dalla sua categoria, il dileggio dei pennivendoli berlusconiani e l’indifferenza di quelli “progressista”.
Invece l’attuale ministro dell’Interno Angelino Alfano, responsabile dell’ordine pubblico e della lotta al terrorismo, passa per il nuovo Kennedy (nel senso di JFK) per le intercettazioni ambientali in cui si sentono alcuni mafiosi augurargli una morte violenta per non aver abrogato il 41bis.
Ora, il 41bis non è stato abolito non solo da Alfano, ma da tutti i governi succedutisi da quando fu istituito (decreto Scotti-Martelli, 6.8.1992). Ed è di competenza del ministro della Giustizia Andrea Orlando.
Perchè, allora, i mafiosi vogliono farla pagare a quello dell’Interno Alfano? Perchè essi stessi spiegano che, diversamente da altri, Alfano è stato “portato qua con i voti degli amici. È andato a finire con Berlusconi e poi si sono dimenticati tutti”.
Cioè è stato eletto da loro e poi s’è scordato di loro.
Ma di questo passaggio cruciale delle intercettazioni non c’è traccia nei titoli dei giornali e dei tg, così Alfano può tirarsela da martire ambulante che “rischia ogni giorno la vita per la lotta alla mafia”.
Purtroppo i mafiosi dicono ben altro: più che come Kennedy, è come Salvo Lima.
Ora sostituiamo la parola “mafia” con “Isis” e proviamo a immaginare che accadrebbe, in un qualunque paese d’Europa, se si scoprisse che: un ex premier era iscritto all’Isis; un altro — tuttora leader del centrodestra — è amico dell’Isis e ha il suo braccio destro in galera per complicità con l’Isis; pezzi dello Stato hanno trattato con l’Isis per smettere di combatterla; l’ex presidente della Repubblica rifiuta di testimoniare al processo su una strage dell’Isis; e il ministro d el l’Interno è stato eletto dall’Isis e poi non s’è più fatto trovare.
Dovrebbero tutti dimettersi e correre a nascondersi, per evitare la lapidazione.
Invece, in Italia, l’Isis non ha (ancora) una sede nè un indirizzo.
Infatti i nostri eroi sono sempre andati sul classico, cioè su Cosa Nostra. Quindi tranquilli: siamo in buone mani.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 22nd, 2015 Riccardo Fucile
DISTANZA RIDOTTA A SOLI 4 PUNTI TRA RENZI E I GRILLINI… IL PREMIER VINCEREBBE INVECE DI 11 PUNTI CONTRO IL CENTRODESTRA UNITO, ADDIRITTURA DI 20 CONTRO SALVINI
I tragici avvenimenti di Parigi hanno “congelato” il clima d’opinione – politica – in Italia.
Come se l’esigenza di “unità ” avesse, in parte, stemperato le tensioni interne.
Le polemiche fra leader e partiti, al proposito, sono apparse meno violente che in altre occasioni. Anche così si spiegano gli orientamenti emersi nel sondaggio dell’Atlante Politico di Demos, condotto nei giorni scorsi, in ambito nazionale.
L’indice di gradimento del governo: sale al 46%, 4 punti più di un mese fa.
Anche la fiducia personale nei confronti di Matteo Renzi risale al 48%.
In entrambi i casi, un grado di consenso che non si osservava dalla scorsa primavera. Tuttavia, la richiesta di ” tregua politica”, nell’opinione pubblica, non favorisce solo il premier e il governo.
La fiducia nei confronti dei leader politici, infatti, fa osservare un miglioramento generalizzato. Tutti, infatti, rafforzano la loro immagine, agli occhi dei cittadini. Ad eccezione di Giorgia Meloni, il cui gradimento scende al 33%: 3 punti in meno, rispetto a un mese fa.
Unica novità : Diego Della Valle. L’ultimo arrivato sulla scena politica, insieme a un nuovo marchio: ” Noi italiani”. L’imprenditore marchigiano – presidente della Fiorentina – ottiene un buon grado di consensi: 35%.
Le stime di voto lo confermano.
Davanti a tutti, il PD di Matteo Renzi. Quindi, il M5s.
Il PD: 31,6%, appena sotto un mese fa. Il M5s appena sopra: 27,4.
La distanza fra i due partiti, dunque, si consolida, intorno a 4 punti.
L’arretramento del PD di Renzi, peraltro, si spiega anche con l’avvio della Sinistra Italiana (SI), a cui hanno aderito SEL e altri gruppi, insieme agli esponenti della sinistra del PD usciti dal partito. SI, infatti, potrebbe intercettare una quota di elettori dalla base del PD. In ogni caso Sinistra Itaiana è data al 5,5%
La Lega è data al 14,1%, Forza Italia al 12,8%, Fratelli d’Italia al 4%, Ncd-Udc al 3%.
In caso di ballottaggio (come prevede la nuova legge elettorale, se nessuna lista superasse il 40%), il PdRenzi prevarrebbe senza troppi problemi contro i soggetti di Centrodestra.
Di larga misura (20 punti) contro la Lega – da sola. Ma in modo netto (più di 11 punti) anche contro una lista unitaria, che associasse la Lega di Salvini e il partito di Berlusconi.
Così, l’unica sfida veramente incerta appare (e sarebbe) quella fra il PdR e il M5s. Come si era già osservato un mese fa. Ma oggi l’incertezza appare ancora maggiore. Una distanza di poco più di 4 punti, 52% a 48%, si traduce, infatti, in una differenza di 2 punti.
Perchè ogni punto in più per una lista è sottratto, automaticamente, all’altra.
In altri termini: ogni esito pare possibile. Anche perchè il M5s non sembra più condannato al ruolo dell’opposizione ” non alternativa”.
Certo, due terzi degli elettori pensano che non sarebbe in grado di governare, a livello nazionale. Ma quasi metà lo ritiene, al contrario, adeguato, in caso di vittoria, ad amministrare le grandi città dove si vota l’anno prossimo.
Come Roma, Milano, Torino. Un’idea condivisa da quasi tutti gli elettori del M5s. Due anni fa non era così. Il M5s era ” solo” un voto di protesta. Per quasi tutti gli elettori italiani. E per gran parte degli elettori del M5s.
Ma i tempi cambiano.
(da “La Repubblica”)
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