Novembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
LA CANDIDATURA DEL MANAGER SCENDE, PRENDE QUOTA IL “MODELLO PISAPIA” E LA BALZANI
La candidatura a Milano di Giuseppe Sala, il fuoriclasse dell’Expo tanto apprezzato da
Matteo Renzi, finisce nel congelatore.
La svolta nelle ultime ore: da un lato il sindaco Pisapia ha rotto gli indugi, è sceso in campo con tutto il suo peso e ha lanciato la sua vice Francesca Balzani.
Dall’altro il manager ha escluso di poter prendere qualsiasi decisione sulla sua candidatura “prima della fine di dicembre”.
Sembra quasi l’antipasto del definitivo passo indietro, anche se la prossima settimana Sala incontrerà il premier e da quel summit potrebbe arrivare l’ennesima svolta di questa infinita telenovela milanese.
Già oggi il segretario cittadino Bussolati sarà a Roma per un incontro con i vertici nazionali del Pd.
Ad ora però l’ipotesi Sala appare in picchiata. “In tempi non sospetti ho detto che se la politica è in grado di esprimere un candidato forte io non solo lo rispetto ma credo che debba avere la priorità ”, ha spiegato lui stesso a margine di una cerimonia di premiazione dei vigili urbani che hanno prestato servizio a Expo.
“Probabilmente la ricerca di candidature alternative può nascere anche da questo”, dalla necessità di una figura che non “divida” la coalizione, ha detto Sala, “ed è effettivamente giusto. Io non vorrei assolutamente essere divisivo. Su una cosa come questa la mia ambizione personale conta veramente poco”.
“Se c’è qualcuno che non è divisivo credo che sia giusto che si faccia avanti”.
Nessun endorsment per la candidata proposta dal sindaco. Anzi, Sala torna a chiedere a Pisapia di correre in prima persona.
“Lui rappresenta questa capacità di tenere insieme tutti. Non è che io non mi sento in grado, ma spesso dalle osservazioni che nascono appare che io posso non essere in grado. Quindi da questo punto di vista senz’altro lui è meglio di me. Per questo mi augurerei che ci ripensasse”.
Un augurio che contiene anche un retrogusto polemico. Che nasce dalla delusione del manager che contava su un sostegno più esplicito da parte del sindaco uscente.
E’ stata un’altra lunga giornata per il centrosinistra milanese.
In mattinata Pisapia ha incontrato i segretari del Pd di Milano e della Lombardia, Pietro Bussolati e Alessandro Alfieri. I tre hanno ribadito che la data del 7 febbraio per le primarie è confermata.
“Eventuali modifiche possono essere decise solo all’unanimità dalla coalizione”. “Non ci possono essere indicazioni dall’alto”, ha spiegato il sindaco.
Un ulteriore freno per Sala. La raccolta delle firme infatti si svolgerà dal 7 dicembre al 7 gennaio. Ma se il manager fino a dicembre non intende sciogliere la riserva, diventa molto difficile che lui possa essere della partita, senza un significativo spostamento della data, magari al 20 marzo come proposto da Renzi per tutte le città .
La mossa di Pisapia ha terremotato la situazione, che sembrava evolvere verso una sfida ai gazebo tra Sala e l’assessore Pd Pierfrancesco Majorino, ben radicato a sinistra.
Ma di fronte alle esitazioni del manager, e al rischio assai concreto che la coalizione arancione saltasse per aria, il sindaco ha deciso di “riprendere in mano la palla” per salvare il suo modello milanese, a partire dal perimetro delle alleanze.
Ma ha scelto anche di non essere più solo un semplice arbitro. Ha lanciato la sua vice, ribadendo che in ogni caso ci devono essere le primarie. Balzani, classe 1966, indipendente Pd, già europarlamentare, assessore al Bilancio dal 2013 e da pochi mesi vicesindaco, non si è ancora candidata ai gazebo.
Ma Pisapia, nell’elogiarla, ha ribadito che quel percorso rimane: “Ci saranno le primarie, saranno i cittadini milanesi del centrosinistra a decidere chi sarà il candidato sindaco”.
Il sindaco ha escluso che Balzani sia un’alternativa a Sala ma ha speso parole di grande sostegno: “E’ un ottimo vice sindaco altrimenti non l’avrei scelta. E’ persona rappresentativa, conosciuta, che è riuscita a essere in più occasioni soggetto di condivisione di obiettivi, superando anche difficoltà e divisioni in certi momenti. E questo per me è elemento sicuramente importante”.
Poi ha aggiunto: “Non c’è un nome o l’altro, ma i nomi possibili di coloro che si presenteranno alle primarie e alla fine saranno i milanesi a decidere e non il sindaco nè le segreterie dei partiti. Io posso dare la mia opinione ma non voglio influenzare i cittadini”.
Fatto sta che, dopo mesi alla finestra, Pisapia è sceso in campo.
A questo punto lo schema delle primarie potrebbe complicarsi. Majorino rischia di essere oscurato sul fianco sinistro dalla Balzani, e potrebbe ritirarsi per comporre un ticket con lei.
Sul fronte renziano, con l’appannarsi dell’ipotesi Sala torna in auge la candidatura del deputato milanese Emanuele Fiano, che era stata autocongelata: “Io sono tra coloro che da tempo ha dato la propria disponibilità a candidarsi e mantengo questa disponibilità . Chi ha volontà di candidarsi lo dica, con tempi che permettano a tutti di fare le proprie scelte e di costruire poi, in un tempo utile, la campagna elettorale”, è il messaggio rivolto in primo luogo al manager Expo.
Il dato politico di queste ultime ore è che, dopo alcune settimane di apparente calma, lo scontro tra il “modello Pisapia” e il “modello Sala” voluto da Renzi ormai è scoperto.
Tra la coalizione arancione del 2011 e il candidato apprezzato anche da Lupi e Formigoni, nel segno del “partito della Nazione” prima o poi l’ambiguità doveva essere sciolta.
In mezzo, come un vaso di coccio, i vertici locali del Pd. Che devono rispondere a Renzi ma non possono rompere con Pisapia.
La tensione sembra destinata a durare ancora a lungo.
E potrebbe anche concludersi, ormai nessuno lo esclude, con un clamoroso ritorno in campo del sindaco-avvocato.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
SEL PRESENTA AIRAUDO E POTREBBE SOTTRARRE PARECCHI VOTI AL PD… E AL SECONDO TURNO LA MANAGER BOCCONIANA CHE BUCA IL VIDEO DIVENTEREBBE UN PERICOLO
Tra “l’Amleto Fassino”, la sinistra anti-Renzi e la giovane mamma grillina, le elezioni comunali a Torino del giugno 2016 rischiano di dimostrarsi più complicate del previsto per il premier.
Proprio nella città che sembrava più blindata per il Pd.
E invece, nelle ultime settimane, due fattori stanno creando nervosismo nel capoluogo piemontesi.
In primo luogo, il sindaco uscente Piero Fassino, nonostante il pressing del Pd locale e nazionale, non ha ancora annunciato la ricandidatura.
Alimentando così i sospetti di chi, anche a Roma, sussurra nei corridoi di Montecitorio che “a 67 anni Piero non ne ha più voglia di fare il sindaco, vorrebbe un incarico a Roma”.
Chi lo conosce bene però assicura che “mai e poi mai Fassino metterebbe a rischio la sua città e il suo partito per una esigenza personale”.
E dunque, stando a queste ultime fonti, la ricandidatura dovrebbe essere solo questione di giorni.
Il sindaco ha visto per alcuni minuti Renzi sabato scorso, a margine di un convegno alla Reggia di Venaria, guarda caso una delle cittadine della ex “cintura rossa” passata mesi fa in mano ai Cinque stelle.
Nessuna dichiarazione ufficiale dei due, ma nel sorriso del premier c’è chi ha colto la certezza che “Piero non si chiamerà fuori”.
E del resto, a pochi mesi dal voto, per il Nazareno —impegnato nelle difficili partite di Roma, Napoli e Milano- aprire la delicata partita della successione anche a Torino sarebbe un grosso problema.
All’orizzonte non si vedono candidati forti, bisognerebbe aprire il file delle primarie, con tutti i rischi del caso.
E così tutti aspettano che l’Amleto Fassino passi il Rubicone. “Deve farlo entro due settimane al massimo”, spiega ad Huffpost il deputato Giacomo Portas, leader dei Moderati, una forza che a Torino città viaggia sul 10%.
“Deve farlo in fretta e iniziare a raccontare ai torinesi il buon lavoro che ha fatto. Torino è diventata in questi anni la terza città italiana per numero di turisti, un risultato impensabile”.
L’ipotesi è che Fassino sciolga il nodo nei prossimi giorni, in occasione della conferenza programmatica del Pd di Torino.
In questi giorni, in realtà , il sindaco è alle prese con le fibrillazioni della sua maggioranza, dopo che Sel si è sostanzialmente chiamata fuori e sta preparando una campagna elettorale anti-Pd, candidando il rosso ex Fiom Giorgio Airaudo.
Il casus belli di queste ore è la riforma delle circoscrizioni: la soluzione trovata pare accontentare l’opposizione di centrodestra, ma Sel ha annunciato voto contrario, confermando il clima da separati in casa tra dem e vendoliani, e anche alcuni malumori tra i dem.
Non solo, anche le anime di Sel più vicine al Pd, che vorrebbero presentare una lista di sinistra a sostegno di Fassino, sono molto critici verso questa riforma, che invece di ridurre i quartieri da 10 a 6 si ferma salomonicamente a 8.
Insomma, il clima dentro la maggioranza è molto lontano da quello del 2011. E in campo, forti come mai nel passato, ci sono i grillini.
Che hanno già scelto la loro candidata, la trentenne Chiara Appendino, bocconiana, telegenica, figlia di un ingegnere e sposata con un giovane imprenditore, con una nota in più: a gennaio partorirà una bambina, e dunque farà la campagna elettorale tra una poppata e l’altra.
Un rischio per i dem, visto che la neomamma plasticamente mostrerà la novità M5s contro il vecchio ex segretario di partito, che in città è molto rispettato ma non troppo amato.
Una volta, durante una lunga seduta del consiglio comunale, Fassino l’ha definita una “Giovanna d’Arco moralista”.
Lei insiste molto sul tema della povertà in città e annuncia, da copione, drastici tagli ai costi della politica.
Una candidata insidiosa, soprattutto se Fassino non dovesse vincere al primo turno.
Al ballottaggio, nella sfida uno contro uno, il Pd avrebbe da tremare. Soprattutto se la sinistra dovesse decidere di non fare alleanze con i dem al secondo turno.
Per questo Portas invita tutti alla prudenza: “Non bisogna avvelenare i pozzi, al secondo turno dovremo allearci”.
Per ora l’ipotesi appare improbabile. Airaudo ha già impostato una campagna molto anti-Pd, come chiede parte della dirigenza nazionale della neonata Sinistra italiana. “La sinistra in questa città si è persa lentamente”, ha detto Airaudo pochi giorni fa in un’intervista a Libero.
“A livello nazionale se possibile va ancora peggio. Fassino se lo vedi pensi al grigio, si è logorato nell’apparato”.
L’obiettivo di questo gruppo è arrivare almeno al 10%. In quel caso, il rischio per il Pd sarebbe un replay del caso Pastorino in Liguria. Solo che il centrodestra a Torino non ha chance, e il beneficiario sarebbe il M5s.
Anche i grillini hanno le loro spine.
La Appendino, consigliera comunale uscente, è stata scelta dal un “gran consiglio” di 250 persone, senza web e senza partecipazione popolare.
Il capogruppo in Comune Vittorio Bertola si è sentito spodestato, escluso anche dall’ipotesi di un ticket. E ha sbattuto la porta. “Mi sarei atteso più trasparenza e democrazia on-line. Temi che il Movimento sta abbandonando, anche per questo mi sento sempre più fuori posto”, si è sfogato in un’intervista alla Stampa. Non mi è piaciuto che la scelta sia arrivata da una riunione di partito chiusa, invece che da un’assemblea aperta per lo meno agli iscritti al portale nazionale: forse il risultato sarebbe stato un po’ diverso. All’assemblea erano cento attivisti, l’apparato appiattito su Appendino”.
Parole molto dure tra i due colleghi di partito sui banchi del Comune. L’altra volta furono eletti solo in due. Stavolta, dopo la conquista dei Comuni di Rivalta e Venaria, i grillini puntano al piatto grosso.
Per farlo, puntano su una ragazza che ha buoni rapporti nella borghesia torinese, quella che magari votava a destra ma si è stancata.
E che, a sua volta, cerca di interpretare il malessere dei ceti più popolari.
Un profilo pericoloso per l’Amleto Fassino, candidato suo malgrado.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
NEL PARTITO IN POLE MIGLIORE E NICODEMO…TRA GLI ESTERNI SCALELLA O CONDORELLI
Ora chiedono tempo. E, soprattutto, «società civile». 
Il Pd alla ricerca (moderata) di un piano B per battere Antonio Bassolino ormai inesorabilmente nel ring delle primarie, dopo l’autogol dell’annuncio sul presunto cambio di regole per eliminare dalla competizione gli ex sindaci.
Sei nomi sotto osservazione. Tre sono dirigenti renziani. Gli altri, su cui si va con più convinzione, appartengono al mondo delle start-up, dei professionisti, delle cliniche.
I vertici del Nazareno sperano di sfiancare innanzitutto anche con il rinvio dei tempi – primarie non più il 7 febbraio, ma il 20 marzo, elezioni a giugno – il maratoneta di varie stagioni, ex sindaco ed ex governatore che in perfetta solitudine s’incammina a sessantotto anni lungo la sfida, lunga, frastagliata e già molto accesa, delle amministrative di Napoli.
È il Bassolino dal proverbiale fiuto che ieri, per tutta risposta, manda a dire a Roma, dallo studio di Floris a La 7: «Capisco che Renzi punti tutto sul referefendum, però queste amministrative saranno molto importanti. A Roma, ad esempio, c’è la situazione più difficile per il Pd. E i 5 Stelle, nella capitale, rischiano di vincere perfino a prescindere dal profilo che metteranno in campo. A Napoli, invece, la sorte dei grillini dipenderà dalla forza del candidato che sceglieranno ».
Ma nella capitale del sud, oltre all’imbarazzo dello stesso gruppo regionale per la scivolata dei vicesegretari nazionali, c’è posto solo per un lavoro improvvisamente serrato su nomi, profili e strategie.
Sei nomi, oltre a quello ricorrente e mai definitivo di Umberto Ranieri, già sottosegretario agli Esteri, amico di Giorgio Napolitano e avversario di lunghissima data di Bassolino. Ranieri non ha ancora rotto formalmente gli indugi, anche se per molti sta già preparando la discesa in campo per un duello che ricalca le prove muscolari tra ingraiani e miglioristi e che i più giovani dirigenti renziani bollano drasticamente: «Bella partita: gli anni Ottanta contro gli anni Novanta ».
Ma sono tre, le storie che piacciono di più a Roma.
Sono i profili di Dario Scalella, cinquantenne imprenditore e campione di start-up, l’uomo che con pochi ingegneri temerari ha dato vita all’elicottero superleggero K4A, un gioiellino che ha conquistato cinesi e arabi, e per il quale già due anni fa si scomodò il premier Renzi, visitando l’officina al’estrema periferia orientale di Napoli dove questo sogno ha visto la luce; in pista c’è anche Celeste Condorelli, manager, proprietaria di una nota clinica cittadina e anche donna impegnata nel sociale.
Dettaglio non irrilevante: tra i suoi sostenitori più accesi vi sarebbe proprio quell’Andrea Cozzolino, europarlamentare Pd nonchè ex potente assessore regionale fedelissimo a Bassolino (e candidato delle primarie scandalo del 2011), che in questa tornata troverebbe politicamente una sponda nel governatore De Luca per “uccidere” politicamente il vecchio padre.
L’altra opzione porta all’avvocato Claudio Botti, penalista e intellettuale di sinistra.
Nomi che seguono ai rifiuti già opposti sia dal presidente degli industriali di Napoli, Ambrogio Prezioso, sia di Paolo Siani, il pediatra fratello del giornalista ucciso dalla camorra, Giancarlo, che oggi guida la Fondazione regionale che si occupa di vittime innocenti della criminalitò organizzata.
Meno probabile che si peschi tra i dirigenti interni: anche se con insistenza ricorrono i nomi del deputato Gennaro Migliore, del renzianissimo Francesco Nicodemo e dell’altro parlamentare Leonardo Impegno.
Ma un peso nella partita lo avrà il governatore De Luca, momentaneamente indebolito dalle ricadute politiche dell’inchiesta della Procura di Roma che lo vede indagato.
«Ma è naturale che qualunque nome – sostengono ora nella rinnovata segreteria regionale – debba passare attraverso la condivisione di Vincenzo».
Conchita Sannino
(da “La Repubblica“)
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Novembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
ALLARME UNESCO: ASSENZA DI QUALSIASI GOVERNO DEL TURISMO, SI VA VERSO L’ESPULSIONE DEI RESIDENTI
Che la lettera dell’Unesco al governo italiano sullo stato di Firenze abbia una vera rilevanza politica lo prova il fatto che il sindaco Dario Nardella l’abbia chiusa per sei mesi in un cassetto: se oggi tutti possiamo leggerla è grazie alla Rete dei comitati per la difesa del territorio.
L’Unesco entra a piè pari nella politica della città , rilevando l’«insufficient management of tourism», anzi l’«absence of tourist strategy».
L’assenza di un qualunque governo del turismo è uno dei problemi principali del Paese: sia da un punto di vista dello sviluppo economico (fino a quando l’Enit sarà bloccato da una paralisi che Dario Franceschini non riesce a sanare?), sia da quello della sostenibilità ambientale e sociale.
Firenze va verso Venezia, dice l’Unesco: cioè verso una progressiva espulsione dei residenti, una irreversibile trasformazione in lussuoso parco a tema del passato.
Il rimedio non è certo fermare il turismo, ma governarlo: indirizzandolo verso l’enorme parte del Paese che è tagliata fuori, decongestionando i feticci ormai al collasso.
Colpisce poi la critica radicale alla privatizzazione dello spazio pubblico italiano.
La lettera nomina esplicitamente il luogo simbolo di piazza Brunelleschi, nel cuore di Firenze.
Qua si sta per scavare l’ennesimo, inutile parcheggio: pericoloso per i monumenti (siamo a pochi passi dalla Cupola del Duomo), lesivo della piazza (che sarà ridotta a tetto di un grande silos interrato), dannoso per i residenti.
Contestualmente la Rotonda di Brunelleschi, opera importantissima del padre del Rinascimento, rischia di essere venduta, magari trasformata in albergo di lusso: sarebbe l’ennesimo caso.
Anche questa è una tendenza nazionale: pericolosissima dopo che lo Sblocca Italia ha estromesso il ministero per i Beni culturali dalla scelta degli immobili da alienare.
Il fatto che l’Unesco si preoccupi non solo della conservazione materiale dei monumenti, ma anche della loro funzione sociale e civile dovrebbe aprire gli occhi ai molti che – in Italia – sostengono che valorizzazione significhi mercificazione: dobbiamo invertire la rotta, se non vogliamo ridurci a guardiani di un luna park altrui.
Infine, l’impatto delle Grandi Opere sul tessuto del paesaggio e delle città : l’Unesco guarda con preoccupazione al sottoattraversamento Tav e al folle sventramento del centro storico previsto per la tranvia (cui ora si aggiunge il pessimo progetto del nuovo aeroporto fiorentino).
Su questi temi l’Unesco loda l’azione dei comitati (i “comitatini” sbeffeggiati da Matteo Renzi) e critica la mancanza di collaborazione del governo italiano.
Se quei cittadini fossero stati ascoltati (ovunque: pensiamo alla Val di Susa, dove il Tribunale Permanente dei Popoli ha appena condannato «l’intero sistema delle grandi opere inutili e imposte»), oggi l’Unesco non dovrebbe denunciare il tramonto di Firenze. La morale è che «è sempre necessario acquisire consenso tra i vari attori sociali, che possono apportare diverse prospettive, soluzioni e alternative.
Nel dibattito devono avere un posto privilegiato gli abitanti del luogo, i quali si interrogano su ciò che vogliono per sè e per i propri figli, e possono tenere in considerazione le finalità che trascendono l’interesse economico immediato».
E questo non è l’Unesco, nè i comitati: è l’enciclica di papa Francesco.
Tomaso Montanari
(da “la Repubblica”)
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Novembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
INCHIESTA SULL’ASSEGNAZIONE DEI BANCHI IN PIAZZA NAVONA PER LE FESTE NATALIZIE
Monopolista nella Città Eterna. Lo smercio di bibite, caldarroste, panini e piccoli souvenir
sui camion bar piazzati strategicamente al Colosseo e ai Fori Imperiali, come a due passi dal colonnato di San Pietro o ai piedi di Trinità di Monti, da sempre è nelle mani della famiglia Tredicine.
Che è passata più o meno indenne tra scandali e inchieste giudiziarie.
Fino a far arrivare il rampollo Giordano – grazie alla militanza nel Pdl – a sedersi sugli scranni del Campidoglio ad appena 24 anni e, addirittura, a farlo diventare vicepresidente del Consiglio comunale nella giunta Marino.
Un’ascesa apparentemente inarrestabile, quella del figliol prodigo, che è stata però interrotta bruscamente con l’arresto nell’inchiesta su Mafia Capitale. Ma tant’è. Evidentemente il potere degli esclusivisti del ristoro «mordi e fuggi» al servizio dei turisti non è stato intaccato dalle indagini capaci di provocare un terremoto.
E, nel vuoto della politica e (forse) nella distrazione generale, la famiglia era riuscita ad assestare un altro colpo decisivo per alimentare ulteriormente l’immensa ricchezza accumulata negli anni, con le amministrazioni di tutti i colori politici.
Ecco dunque, che a sorpresa (ma sarà poi veramente così?) i Tredicine si aggiudicano una consistente fetta del bando (pubblico) per la gestione dei banchi natalizi a piazza Navona. «Ma possibile che nessuno se ne sia accorto?», ci si chiede in giro per questa Capitale già martoriata dagli affari sporchi di quel Mondo di Mezzo nelle mani di Buzzi e Carminati. Pare (forse) che sia proprio così.
E quando di questa quantomeno inopportuna assegnazione – cogestita da Comune e Municipio del centro storico – ne cominciano a parlare i giornali, ecco la precipitosa marcia indietro.
Indaga Cantone, autorizzazione sospesa.
Ma per tutti i vincitori del bando. Non si sa mai…
Flavio Haver
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
E CHI PROTESTA SUI SOCIAL VIENE BANNATO… LA RIVOLTA E’ DIRETTA AL NUOVO PEDAGGIO ELETTRONICO
Mentre sta combattendo in Siria, Vladimir Putin ha visto all’improvviso aprirsi un fronte di ostilità interno.
Da qualche giorno le città russe vengono paralizzate dalla protesta dei camionisti.
Decine di camion hanno bloccato gli Urali, il Caucaso, ieri è stata la volta di Pietroburgo dove i mezzi pesanti hanno puntato sullo Smolny, storico quartier generale di Lenin nell’ottobre del 1917 e residenza del governatore.
Per i prossimi giorni è prevista una protesta a Mosca. Il bersaglio della protesta è Platon, un nuovo sistema elettronico di pedaggi per i mezzi sopra le 12 tonnellate, che i camionisti trovano insostenibile.
Introdotto il 15 novembre, costa 1,53 rubli (circa 25 centesimi di euro) al chilometro, tariffa che dovrebbe raddoppiare l’anno prossimo e che, moltiplicata per le distanze russe, va a pesare sui costi degli autotrasportatori insieme alle tasse già esistenti.
Una protesta senza nulla di straordinario, basta ricordare i «forconi» italiani qualche anno fa, o il blocco della Francia da parte dei camionisti.
È vero che finora in Russia il pedaggio autostradale era inesistente. Inoltre pare che il Platon sia estremamente ingombrate e inaffidabile nell’utilizzo: il camionista deve inserire il suo itinerario sul sito, pagarlo in anticipo e venire poi monitorato elettronicamente lungo la strada.
Il sistema ha già prodotto errori come «allungare» la distanza tra Mosca e Tiumen da 2500 km a ben 11700, con costi conseguenti.
Il presidente della Sberbank Gherman Gref, ex ministro dell’Economia, stima (anche se con un certo scetticismo) il contributo del nuovo pedaggio all’inflazione in 1,5% annuo. E il blogger anti-corruzione Alexey Navalny ha rivelato che la riscossione del pedaggio è stata affidata, senza apparentemente nessun concorso, a una piccola società guidata da Igor Rotenberg, figlio di uno degli oligarchi amici di lunga data di Putin.
Una vicenda che altrove sarebbe stata di ordinaria amministrazione, ma che in Russia ha suscitato clamore non tanto per la sostanza, quanto per la sua totale assenza dai media governativi.
I canali della TV di Stato la ignorano, preferendo concentrarsi sui successi militari russi in Siria.
Quando gli iscritti al gruppo del Primo canale su uno dei social network hanno chiesto all’emittente più guardata del Paese di parlare dei camionisti, gli amministratori del gruppo hanno immediatamente aggiunto la parola «dalnoboyshik», letteralmente «a lungo raggio», il nome in gergo degli autotrasportatori, alla lista nera dei vocaboli da non menzionare, insieme a sciopero e camion.
In un quarto d’ora 200 utenti del social network sono stati bannati dal gruppo.
Sono stati bloccati anche quelli che, sul modello del flashmob organizzato durante il silenzio stampa a Bruxelles, postavano foto di gatti e bambini su camioncini giocattolo. Infine, il Primo canale ha postato «su numerose richieste dei telespettatori» un servizio sulla dura e avventurosa vita dei camionisti, dove non si faceva parola della protesta.
Mentre i «dalnoboyshiki» si vedevano negare incontri con gli esponenti delle autorità , l’unico politico a rivolgersi a loro è stato il deputato della Duma Evgheny Fiodorov.
Il deputato, già famoso per aver smascherato la Cia che avrebbe distrutto l’Urss finanziando i gruppi rock clandestini, ha spiegato che la protesta degli autotrasportatori è «un’idea degli Usa per liquidare lo Stato russo», e che a lanciarla è stata la «quinta colonna dei nazional-traditori».
Poche ore dopo una petizione per l’abolizione di Platon è apparsa sul sito della Casa Bianca, dove 480 utenti hanno chiesto a Obama — visto che è stato lui a organizzare la protesta — ad abolire il Platon.
Il presidente del comitato Trasporti della Duma Evgheny Moskviciov propone un compromesso: ridurre drasticamente le multe per chi non paga il Platon, e «collaudare il sistema» su qualche migliaio di camion prima di imporlo a tutti.
Il governo intanto ha bloccato i siti che annunciavano la data della mobilitazione degli autotrasportatori (in base alla recente legge che proibisce di diffondere notizie su «proteste non autorizzate»).
Intanto decine di camionisti hanno bloccato il Daghestan e gli Urali, e il 30 novembre vogliono partire per la «marcia su Mosca».
In effetti, mostrarli in televisione sarebbe imbarazzante. Sulle fiancate dei mezzi pesanti ci sono scritte «No al Platon», tracciate con una spugna sullo sporco del telone, ma molti montano anche cartelli come «Rotenberg peggio dell’Isis».
E considerato che il Daghestan è da anni la più grande polveriera di islamismo radicale della Russia, e che nella poverissima repubblica di 3 milioni di abitanti gli autotrasporti sono una delle principali fonti di sostentamento, paragonare l’amico di Putin ai terroristi è sintomo di una rabbia senza precedenti.
In Russia sono registrati due milioni di mezzi pesanti, e sospettare i camionisti di simpatie liberali è abbastanza difficile.
Ma in un Paese che — almeno nei media — appare da anni totalmente pacificato e coeso nell’appoggio del suo presidente, dove le proteste dei medici e dei pazienti per i tagli alla sanità e le denunce di corruzione del governo trovano spazio solo su alcuni siti Internet, anche una protesta di categoria comune altrove diventa una attività sovversiva, da fronteggiare come una minaccia alla sicurezza nazionale
Anna Zafesova
(da “la Stampa”)
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Novembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
“VOGLIO DARE QUALCOSA INDIETRO AI TEDESCHI”
“Dare qualcosa indietro ai tedeschi”: è questo il motto di un giovano rifugiato siriano che è
stato fotografato al centro di Alexanderplatz, a Berlino, intento a distribuire cibo ai senzatetto.
Alex Assali ha lasciato Damasco otto anni fa: colpevole di aver criticato il regime di Bashar al-Assad in alcuni post pubblicati online, è fuggito dalla persecuzione certa.
È diventato un rifugiato ed è stato accolto in Germania, dove ha potuto ricostruirsi una vita.
Ed è proprio con il popolo tedesco che ora Alex sente il bisogno di sdebitarsi.
Un suo amico lo ha fotografato, al centro della piazza principale di Berlino, e ha raccontato la sua storia su Facebook, per renderla da esempio.
“Ha perso tutto: ha dovuto lasciare la sua famiglia in Siria perchè alcune persone volevano ucciderlo. E, anche se non possiede molto, ora se ne va in giro per le strade a distribuire cibo ai senzatetto. Il suo motto è: ‘Dare qualcosa indietro ai tedeschi’. Dio lo benedica, lui stesso è una benedizione per così tante persone”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
I DATI DELLA RICERCA DI AMBURGO
Statistica del terrorismo: l’unica matematica disponibile per capire la guerra di Daesh e quella dell’Occidente.
Contiene l’identikit scientifico degli attentatori che massacrano Europa, Africa e Medio Oriente, e la carta d’identità aggiornata degli estremisti sunniti che rientrano a pieno titolo nell’album di famiglia.
E indica – soprattutto – che dopo Parigi e Bruxelles forse è meglio cominciare ad «attenzionare» Stoccolma, Copenhagen, Sarajevo e Tirana, perchè che la linea del fronte passa proprio di lì.
C’è da precisare, che queste liste di personaggi in viaggio dall’Europa alle zone di guerre non risultano, come abbiamo avuto modo di scoprire, propriamente sconosciute alle polizie europee.
È chiaro che in un determinato momento questi viaggi così semplici da un paese europeo a una zona di guerra sono stati monitorati, se non addirittura «sostenuti» dai servizi di intelligence che avevano la loro convenienza a utilizzare i foreign fighters. Venendo poi ai numeri, l’istogramma dell’Istituto Statista di Amburgo sugli «extimated foreign fighter pro capite» si rivela decisamente sintomatico.
Mostra che subito dopo il verminaio del Belgio (40 «jihadisti» ogni milione di abitanti) ci sono quelli di Svezia (32) e Danimarca (27) ben più esposte della Francia (18) che pure è già in stato di guerra.
Di peggio solo il «cancro» nei Balcani con Bosnia-Erzegovina (92) Kosovo (83) e Albania (46) fucine conclamate e impossibili da liquidare.
Gli analisti tedeschi hanno elaborato la provenienza dei volontari arruolati nella galassia dell’Isis, con i risultati tutt’altro che rassicuranti.
Cinquemila sono partiti dalla Tunisia, 2.275 dall’Arabia Saudita, altri 2.000 dalla Giordania, 1.700 dalla Russia e 1.550 dalla Francia.
Si aggiungono ai 1.400 miliziani giunti dalla Turchia, altrettanti dal Marocco insieme ai 900 che si attivati dal Libano, ai 700 con il passaporto della Bundesrepublik tedesca e all’equivalente partiti dal Regno Unito.
Una «marmellata» spaventosa, spalmata su una fetta dell’Europa troppo vasta per circoscrivere l’infezione.
L’Istituto Statista rileva anche il numero esatto degli attentati e rivela i target di droni e caccia delle aviazioni di Usa, Russia, Francia, Giordania, Turchia.
Nell’ultimo anno si sono registrati 3.370 attacchi in Iraq, 1.821 in Pakistan, 1.591 in Afghanistan, 763 in India, 662 in Nigeria e «appena» 232 in Siria.
I morti nell’arco degli stessi dodici mesi hanno superato quota 32.000.
Una lista nera, proprio come l’analisi degli air-strike della coalizione che ha sganciato decine di migliaia bombe senza scalfire granchè la capacità operativa dei terroristi.
Il conto ufficiale a fine giugno 2015 risulta pari di 7.655 missioni di guerra, 1.859 posizioni nemiche distrutte, 2.045 edifici rasi al suolo, 472 accampamenti bombardati e 325 Health and usage monitoring systems per lo più made in Usa annientate.
Le tabelle con i dati Centom dimostrano anche e inequivocabilmente che senza l’embargo del petrolio agli Stati canaglia – nell’Opec come nel G20 – distruggere le pompe dell’oro nero serve a poco.
Le infrastrutture danneggiate o messe fuori uso sono 154, un po’ più dei 98 carri armati annientati finora e molto meno degli altri 2.702 obiettivi non meglio classificati.
Le cifre statistiche sono altrettanto illuminanti, quando si focalizza l’attenzione sul numero delle vittime provocate dal terrorismo a livello planetario.
Nel 2006, i morti erano 20.487 e l’anno successivo diventano 22.719.
Ma poi scendono costantemente: dai 15.708 del 2008 fino agli 11.098 del 2012.
È lì che si registra plasticamente la svolta dell’effetto terrorismo nel mondo, perchè i morti salgono a 18.066 nel 2013 e addirittura a 32.727 durante l’anno scorso
Il gruppo decisamente protagonista era Al-Qaeda che in 14 attacchi in altrettanti paesi ha da solo provocato oltre 4 mila vittime.
Dal punto di vista geografico, poi, le azioni del terrorismo si concentrano nel Medio Oriente e nella zona meridionale dell’Asia: nel 2011 numericamente il triplo rispetto a Europa, Africa, Asia orientale e zona del Pacifico.
Infine, una «curiosità » contabile che tuttavia appare come spia dell’effetto collaterale alle stragi.
Il 24 aprile 1993 l’esplosione del furgone imbottito di esplosivo a Bishopgate nella City di Londra — «firmata» dall’Ira — provocò un morto e 44 feriti.
I danni materiali ammontavano a 350 milioni di sterline, ma alla fine fu quasi un miliardo di dollari la somma dei risarcimenti pagati dalle assicurazioni.
Sebastiano Canetta, Ernesto Milanesi
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Novembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
LUNEDI’ 23 SAREBBE DOVUTO ANDARE IN ONDA UN SERVIZIO CON NUOVE RIVELAZIONI SULLE SPESE DI RENZI, MA LA MANINA DEL CENTRODESTRA SALVA IL PREMIER… RENZI SI SAREBBE FATTO PAGARE DALLA PROVINCIA UNA CENA FAMILIARE DA 80 EURO CON LA MOGLIE
Il servizio era già pronto. Tagliato, confezionato e approvato per la messa in onda lunedì 23
novembre.
Poi il dietrofront: Mediaset decide che non deve andare.
E così sparisce anche il post che sulla pagina ufficiale delle Iene aveva annunciato nuove rivelazioni sugli scontrini di Matteo Renzi. “Anteprima del servizio ‘Gli scontrini di Renzi #escili’ di Iena Dino — Dino Giarrusso in onda questa sera #LeIene“, si leggeva online.
Oggi, cliccando su quel post, il risultato è una pagina vuota in cui si legge: “Spiacenti, questo contenuto non è al momento disponibile”.
Sulla vicenda degli scontrini di Renzi sindaco (2009-2014) oggi si è pronunciata la Corte dei Conti, che ha “stranamente” archiviato l’inchiesta.
Stesso destino anche per quella che riguardava le spese quando era presidente della Provincia (2004-2009).
La mancata messa in onda è stata rilanciata anche da diversi utenti su Twitter, specie dopo l’intervento — riportato anche da Dagospia — di Giuseppe Cruciani, conduttore de la Zanzara su Radio 24.
“Perchè ieri sera non è andato in onda il servizio delle Iene di Dino Giarrusso sugli scontrini di Renzi quando era sindaco e presidente della Provincia? — ha detto durante la trasmissione del 24 novembre — Sul sito Facebook del programma era uscita persino un’anteprima di trenta secondi in cui si annunciavano nuove rivelazioni imbarazzanti per il premier. E il pezzo era regolarmente in scaletta. Cosa è successo?”.
E prosegue ancora: “E’ intervenuta una manina dall’alto o l’ufficio legale Mediaset ha bloccato tutto per fare ulteriori verifiche? Nel servizio si parlava di una cena familiare di Renzi al ristorante da Lino interamente rimborsata dalla Provincia, con tanto di fattura”.
Cruciani, si legge sul sito di Radio 24, rivela anche il contenuto del servizio: “La iena aveva scoperto — ho poi saputo da altre fonti — che Renzi si sarebbe fatto pagare dalla provincia di Firenze una cena familiare da 80 euro, con la moglie che era incinta della terza figlia (nata nel 2006, ndr). Hanno pure scoperto che la scusa ridicola del sindaco Nardella di non rendere trasparente le spese di Renzi al comune — c’è un’inchiesta della Corte dei Conti — non regge da un punto di vista legislativo”.
Sempre pià aria di inciuci e coperture reciproche
(da “il Fatto Quotidiano”)
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