Aprile 19th, 2016 Riccardo Fucile
TUTTI HANNO VINTO, MA ORMAI UN 40% DI ITALIANI SI ASTIENE IN QUALSIASI CONSULTAZIONE
Il motore del carro dei vincitori è tornato a ruggire. Più che un carro, assomiglia a uno di quei tram brasiliani: è talmente affollato che c’è chi resta in piedi, penzolante e con una gamba di fuori.
Hanno vinto tutti. Ha vinto Renzi che per rivendicare il trionfo in un messaggio a reti semi-unificate si era sistemato ai blocchi di partenza alle 22,55.
E hanno vinto tutti gli anti-Renzi, che alla vigilia schieravano dai Cinquestelle a Brunetta, da Piero Pelù al Wwf: “In realtà avevamo già vinto”, “è un segnale fortissimo”, “Renzi non può non tener conto”.
Tutti accusano tutti di strumentalizzare il referendum e la lotta nel greggio ha avuto pessimi risultati: il ciaone vince per distacco.
Fino all’euforia per un’affluenza che andava sempre più giù. “I dati che ci giungono — ha assicurato Guerini a metà pomeriggio, con altre parole — sono in linea, anzi direi addirittura meglio, con le nostre aspettative”. “E’ un risultato netto, chiaro, superiore alle aspettative di tutti gli opinionisti” ha detto a urne chiuse Renzi.
Ma Palazzo Chigi sa che il “risultato netto e chiaro” è frutto di una massa informe, indefinita, una specie di Blob.
Dentro quel 68 per cento di astensionismo in realtà c’è di tutto: quelli che hanno dato retta a Renzi, un po’ di berlusconiani, forse una quota di grillini, i bagnanti, i non residenti sfiduciati dalle previsioni (segreto di Pulcinella).
Ma soprattutto c’è l’area del non voto, che tutti i sondaggi danno da mesi intorno al 40 per cento.
L’effetto involontario di quella dichiarazione flash alla Obama è stato quello di un capo del governo che voleva abbandonare il ruolo di segretario del Pd per puntare alla poltrona di capo del primo partito, quello degli astensionisti.
Sarà stato anche un “referendum pretestuoso”, “inutile”, ma intanto è stato organizzato a un mese e mezzo dalle amministrative.
Dall’altra parte, invece, una sfida in difesa dell’ambiente, della salute, di un bene comune (il mare) è stata condotta a un risultato che voleva essere nelle intenzioni il nuovo riscatto del mito della “società civile” dopo i referendum del 2011 (su acqua, nucleare) e invece ha visto muoversi 12 milioni di persone in meno di 5 anni fa.
In realtà il fattore anti-B, che l’altra volta fu il carburante, fu più forte del fattore anti-Matteo, anche per la presenza del quesito sul lodo Alfano, che era la madre di tutte le partite, al crepuscolo del potere di Arcore.
Ma nè la questione “tecnica” nè la spallata politica hanno appassionato gli elettori. Solo la vicenda giudiziaria della Basilicata che ha preso il governo in pieno è riuscita a fare un po’ di respirazione bocca a bocca alla campagna referendaria, già azzoppata dai giornali e dalle tv più influenti.
E infatti il capo del partito No Triv Michele Emiliano, prima del voto ha detto che Renzi era un bugiardo. Ora pare che Renzi abbia fatto quasi tutto da solo: “E’ uno competitivo, ogni volta che c’è qualunque evento, dalle partite di calcetto in su, lui crede che la gente giochi contro di lui. Ma anche in questo caso, non c’era niente contro il premier”.
Grillo aveva dato l’indicazione di votare sì anche se non si capiva niente del quesito a cui rispondere. Di Maio sabato invitava “a votare in massa” per “dare un segnale forte a questi politicanti che rispondono agli interessi dei petrolieri e non a quelli dei cittadini”.
Oggi spiega che “un referendum come quello di ieri è diventato l’ennesimo terreno di scontro tra bande del Pd” e per questo i cittadini “lo hanno snobbato”.
Ma se il referendum appena fallito ha un senso è quello di aver fatto da starter alla campagna elettorale che accompagnerà gli italiani da qui alle Amministrative e dalle Amministrative al referendum costituzionale, quello che Renzi ha trasformato in ultimo livello del videogame, quello della battaglia finale col mostro.
Nè alle Comunali nè alla consultazione sulle riforme istituzionali c’è il quorum: per la Santa Alleanza cadrà un alibi, ma il presidente-segretario non potrà contare sul non voto grazie al quale gli è piaciuto vincere facile.
L’elettorato si rimescolerà : le riforme, nel Pd e anche a destra, piacciono a qualcuno in più, ma anche a qualcuno in meno.
I sondaggi danno i sì alla legge Renzi-Boschi in ampio vantaggio, ma mancano 6 mesi al terzo round del Renzi contro tutti e le amministrative hanno fatto imparare al Pd — a suon di disfatte — qual è il funzionamento dell’effetto Parma, anche detto effetto Livorno.
Così, in attesa della Festa dell’Unità , arriva la Festa dell’Imu, il 16 giugno, a tre giorni dai ballottaggi. Berlusconi sorpassato e stracciato.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 19th, 2016 Riccardo Fucile
ATTIVISTI CONTRO LA CASALEGGIO PER UN NUOVO REGOLAMENTO, VIRGINIA MEDIA
Ieri mattina Virginia Raggi, la candidata sindaco del Movimento cinque stelle a Roma, è salita a
Milano, la sede di un’azienda privata, per incontrarne il capo, Davide Casaleggio. Entrando ha detto «volevo confrontarmi con lui sullo stato dell’arte della campagna elettorale, è normale, ci stiamo preparando a fare una cosa grandissima, vincere a Roma. Quindi è importante farlo tutti insieme e condividere tutte le tappe».
Davide, ha spiegato la Raggi, «ha un ruolo di garanzia, esattamente come è sempre stato. L’ultima parola su candidati e liste l’abbiamo tutti, ce l’avrò io, ma le decisioni continueranno a essere prese di concerto, come è sempre avvenuto».
A sera, rientrata a Roma, aggiungerà all’assemblea dei parlamentari del Movimento che «Davide la legittimazione ce l’ha già , ce l’aveva da tempo».
Qui possiamo aggiungere qualche altra informazione.
Innanzitutto, la Raggi – se si esclude Luigi Di Maio – è la prima politica del Movimento a parlare a lungo faccia a faccia con l’erede di Gianroberto, dopo la morte di quest’ultimo.
I due sono stati un’ora e mezzo e, particolare interessante, è Raggi a essere andata a Milano da Davide in azienda, non viceversa.
Simboli e formalità che hanno un loro peso evidente.
Di cosa si è parlato? Certamente della campagna elettorale e della composizione delle liste.
A Roma nei giorni scorsi è scoppiata una rivolta degli attivisti del Movimento perchè la Casaleggio ha calato dall’alto un nuovo regolamento (oltre al contratto che La Stampa rivelò in anteprima), regolamento che prevede un nuovo imperativo da Milano: i quindici candidati-presidente di municipio del Movimento (a Roma i presidenti di municipio gestiscono vere e proprie città da duecentomila abitanti e anche più, a volte) saranno scelti solo dagli altri candidati in lista, non da tutti gli attivisti.
La base era arrabbiata, gli attivisti avrebbero voluto scegliere loro quei candidati presidente, così importanti per la vita locale (incarichi, contratti, consulenze, eccetera). Sapete a quel punto la Raggi che ha fatto?
Mostrandosi assai più dotata politicamente del solito pugno di ferro stile Roberta Lombardi a cui erano abituati i simpatizzanti romani, Virginia ha mediato.
Senza derogare dal regolamento voluto alla Casaleggio, anzi; ma proponendo – e facendo passare – una specie di doppio turno: gli attivisti indicheranno in una prima votazione i loro candidati presidenti, mentre in un secondo turno la scelta sarà compiuta solo dai candidati in lista, che però in questo modo dovranno in qualche forma tener conto del volere della base.
Così facendo Raggi compie un’azione molto politica e astuta della sua gestione, che è palesemente iniziata da un po’.
Ragione per cui Davide, Di Maio e lei hanno concordato il passo di questo incontro in azienda.
Un terzo importante elemento dice quanto Raggi stia crescendo nelle gerarchie informali del Movimento: in questa fase è stata Silvia Virgulti, fidanzata di Di Maio, a cercare di costruire un rapporto con lei, non viceversa.
Infine, Raggi si sta palesemente smarcando da Roberta Lombardi, dando la sensazione di essere una che – dentro il meccanismo del partito azienda – riesce a comporre i conflitti meglio. Il che fa di lei un soggetto politico dotato di una sua autonomia crescente rispetto al direttorio; e di un rapporto diretto con Davide.
Qualcuno ovviamente mugugna, specie tra i parlamentari, che dicevano di non sapere nulla di questo vertice milanese. Poco importa.
Lo sapeva il Patto D-D.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Aprile 19th, 2016 Riccardo Fucile
SOLO IL LORO GRANDE SACRIFICIO HA LIMITATO LA CATASTROFE AMBIENTALE: “ABBIAMO CHIESTO LO SCHIUMOGENO A IPLOM, LO STAVAMO FINENDO, CI HANNO MESSO TROPPO TEMPO A FORNIRCELO”
Il fiume va bloccato. È nero, viscido, oleoso. Puzza di gas che prende alla gola, bolle in superficie, schiuma negli angoli.
Si insinua nel letto quasi secco del torrente come un serpente.
«Se quello schifo arriva in mare, è un disastro». Lo pensano tutti, nella sera tiepida di primavera rovinata dall’olezzo immondo che si diffonde tra i palazzi di Borzoli e poi più giù sino al ponte di Cornigliano, dove il letto si allarga e c’è più acqua.
C’è chi non si limita a pensarlo, ma lo fa. Ferma il fiume nero e salva il mare.
L’intervento
Trenta vigili del fuoco, presenti per caso, perchè alle otto di sera c’è il cambio del turno, sia nella centrale di San Benigno che nel distaccamento di Bolzaneto. Ma questa volta no: l’emergenza è grossa.
«Nessuno ce lo ha chiesto, purtroppo è la prassi perchè gli organici sono sempre più risicati. In teoria dovresti aspettare che ci sia lo stato di calamità per essere chiamato in straordinario. Ovviamente nessuno molla i colleghi. Ma per fortuna che ieri non c’è stato un incendio a Genova, sennò eravamo scoperti», racconta Davide Palini, uno di loro, che è anche sindacalista della Usb.
Si muove per primo il nucleo Nbcr, specializzato per le emergenze di questo tipo.
Una squadra va sul luogo della perdita, un’altra comincia i monitoraggi per rilevare la presenza di acido solfidrico nell’aria, con gli “esplosimetri”.
«Purtroppo alcuni sensori non funzionano, i rilevatori andrebbero rinnovati», attacca Palini. In zona arrivano quattro ambulanze che aiutano a chiudere al traffico via Borzoli e a rassicurare gli abitanti che sentono la puzza dai balconi.
La schiuma e la paura
Il livello del Polcevera è basso e l’acqua scorre lenta: si agisce prima sui due affluenti. Sul Pianego e sul Fegino viene gettata una grande quantità di schiuma per evitare che possa infiammarsi il greggio.
Intanto, una squadra di pompieri si posiziona all’altezza del ponte di Cornigliano e un’altra piazza le “panne” assorbenti nel torrente con l’aiuto di tecnici Iplom e dell’azienda Servizi ecologici.
Gli stivali affondano nella ghiaia e l’olezzo è forte.
«Abbiamo usato tutte quelle che avevamo in dotazione, mentre ne chiedevamo altre all’azienda. Sembravano non bastare mai», spiega il pompiere.
Più a valle, si mettono in moto le ruspe, mentre i rimorchiatori e le motovedette della Capitaneria di Porto iniziano a pattugliare la foce del Polcevera.
Quando ormai è calata la notte, vengono alzate delle specie di mini-dighe, terrapieni verso i quali i vigili del fuoco convogliano l’acqua più sporca. La fase più acuta dell’emergenza termina intorno all’una di notte. Il mare, per ora, è salvo.
Poche ore di sonno, poi ancora sul torrente per fermare la “marea nera” sul Fegino e dare il cambio ai colleghi.
Il lavoro dei vigili del fuoco prosegue costante per tutta la notte. Le bolle di schiuma si alzano a intervalli regolari, come soffiati in una vasca da bagno.
Spruzzi posati dal vento sui davanzali delle finestre, mentre le pompe continuano a sparare acqua e materiale schiumogeno. «Non è ancora finita, anche se l’odore si sente molto meno della notte scorsa. Ma non è ancora finita», ripetono i vigili del fuoco parlando e scambiandosi sguardi consapevoli con gli abitanti del quartiere.
Il racconto
Negli occhi ancora le difficoltà dell’intervento di domenica sera. «Nelle prime ore sul posto abbiamo chiesto lo schiumogeno a Iplom, lo stavamo finendo, ma prima di fornircelo o di intervenire ci hanno messo un sacco di tempo, troppo per una situazione simile», raccontano.
Le protezioni al naso, le maschere a coprire narici e occhi, sembrano guerrieri di qualche scenario post-bomba. Pronti a scendere nel torrente per combattere un nemico che è tutto tranne che invisibile.
Le esalazioni si riducono grazie al getto continuo di schiuma e al passaggio della marea nera verso mare, in gran parte bloccata sul Polcevera all’altezza del deposito Ikea mentre il sole illumina il letto del torrente.
Dei pesci, nemmeno più l’ombra. Pochissima acqua macchiata da chiazze oleose, il terreno ormai nero.
«Qui per bonificare tutto servirà un tempo infinito», confidano parlando tra loro alcuni vigili del fuoco, pronti ad aiutare un terzo a scendere per dare una spruzzata di liquido.
L’ennesima di questa lotta che sembra non finire mai.
(da “il Secolo XIX”)
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Aprile 19th, 2016 Riccardo Fucile
600.000 LITRI DI GREGGIO FINITI NEL POLCEVERA: “DISASTRO AMBIENTALE COLPOSO”
Tamponata l’emergenza, ora si lavora alla ricostruzione degli eventi che hanno portato al maxi
sversamento di petrolio nel torrente Polcevera e nei suoi affluenti.
Il pm Alberto Landolfi ha aperto un fascicolo ipotizzando il reato più grave possibile, disastro ambientale colposo, per cui sono previste pene fino a dieci anni di carcere.
E ha posto alla squadra giudiziaria dei vigili del fuoco e di Arpal una serie di quesiti. Buona parte dell’inchiesta giudiziaria si gioca su due punti: la manutenzione dell’impianto Iplom e i tempi in cui l’azienda è intervenuta per arginare la fuoriuscita di petrolio.
Una verifica ulteriore riguarda anche la segnalazione dei comitati di residenti, per capire se una frana collegata ai lavori dei cantieri del Terzo Valico abbia influito sul guasto alle tubazioni.
In un primo tempo la Procura sembrava intenzionata a procedere per inquinamento ambientale colposo, ma il sopralluogo effettuato nella notte di domenica ha convinto il magistrato a iscrivere il fascicolo partendo dalla condotta più grave.
L’eventualità di un sabotaggio è stata esclusa da subito, anche perchè l’oleodotto correva sotto terra.
A questo punto si tratta di chiarire le cause dell’incidente e i tempi di intervento: «La rottura è stato un evento improvviso e inaspettato – spiegano fonti dell’azienda – in questo momento stiamo lavorando per capire cosa possa averla provocata».
Di certo per ora c’è che l’impatto della fuoriuscita è imponente.
Le prime stime dei vigili del fuoco parlano di 600.000 litri di greggio finito nelle acque .
Parte della massa oleosa ha oltrepassato le barriere installate dai pompieri alla foce del Polcevera e ha raggiunto il mare, ma una buona parte del danno è stata circoscritta al greto del torrente: «Abbiamo evitato una catastrofe – dice senza mezzi termini il comandante provinciale dei pompieri Antonio La Malfa – ancor prima di aver notizie certe, abbiamo deciso di posizionare sul tratto terminale del Polcevera “panne” e ruspe. Sono grato del lavoro svolto dai miei uomini, che hanno operato senza sosta».
Decisivo, per le indagini, l’accertamento della cronologia degli eventi.
Secondo una prima ricostruzione, l’esplosione del tubo viene sentita da alcuni residenti già intorno alle 19.
Nella mezz’ora si susseguono le chiamate alla centrale operativa dei vigili del fuoco e dei carabinieri. Nel frattempo al porto petroli i sensori indicano un forte calo di pressione, che porta i responsabili a interrompere il rifornimento, effettuato dalla nave battente bandiera maltese “Sea Dance”.
Il vero interrogativo riguarda quello che è accaduto dopo.
I comitati spontanei di residenti lamentano forti ritardi da parte dei tecnici Iplom nell’intervento: «C’è un vuoto di almeno due ore».
L’azienda sul punto ha una diversa versione dei fatti: «Già a 20-25 minuti dall’allarme, i nostri tecnici sono intervenuti per isolare il punto esatto del danneggiamento e chiudere le valvole dell’oleodotto, una manovra che poteva essere effettuata solo manualmente, in condizioni complesse, per via dell’ora».
Ora saranno gli accertamenti dei magistrati a stabilire la verità .
(da “il Secolo XIX”)
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