Aprile 27th, 2016 Riccardo Fucile
IN TV LA MELONI LO AVEVA ACCUSATO DI CONNIVENZA COI POTERI FORTI E I SALOTTI DI BILDEBERG, POI ACCETTA I SUOI SOLDI
C’è una sorpresina nell’elenco dei finanziatori di Fratelli di Italia- il partito di Giorgia Meloni—
depositato alla tesoreria del Parlamento con tanto di dichiarazioni congiunte. Nei 161 mila euro arrivati nell’ultimo anno c’è anche un contributo di 10 mila euro versato il 7 ottobre scorso dalla TCI Comunicazioni Italia srl di Saronno.
E’ l’azienda posseduta al 95% e amministrata da Gianfranco Librandi, responsabile finanziario di Scelta civica fin dai suoi esordi, scelto proprio da Mario Monti.
Fa specie che un deputato di uno schieramento finanzi volontariamente un partito avversario.
Ancora più singolare è che il partito della Meloni accetti un contributo, per quanto limitato, da quello che dovrebbe essere il nemico per eccellenza: il cassiere del partito che ha varato la legge Fornero, che viene accusato proprio da Fratelli di Italia di connivenza con l’Europa dei poteri forti, con i salotti di Bildeberg, la Trilateral e così via.
Pecunia evidentemente non olet, e riesce ad andare perfino al di là dei contrasti personali.
La Meloni e Librandi infatti se ne sono dette sempre di tutti i colori in trasmissioni televisive, in particolare modo a Quinta Colonna, condotta da Paolo Del Debbio.
Tra gli altri finanziatori privati di Fratelli d’Italia: 20 mila euro a testa sono stati versati dalla Deterchimica srl e dalla Service Coop Domus soc arl di Vimodrone, entrambe nell’orbita della famiglia Arpino.
Poi 10 mila euro dalla P-Tech di Roma e infine 20 mila euro versati dalla Nuova Domitiza srl di Pozzuoli, azienda amministrata dall’ex deputata finiana Giulia Cosenza, che prima della fine della scorsa legislatura tornò nelle fila del Pdl.
Tutti gli altri finanziatori sono dirigenti del partito eletti che versano una minima parte della propria indennità .
Il meno avaro è Pasquale Maietta (14 mila euro), poi la Meloni, Edmondo Cirielli e Fabio Rampelli (12 mila euro), Marcello Taglialatela (11 mila euro) e ultimo, con il braccino un pizzico più corto, Ignazio La Russa (10 mila euro).
Franco Bechis
(da “Libero”)
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Aprile 27th, 2016 Riccardo Fucile
BERLUSCONI PENSA A UNA LISTA CIVICA CHE APPOGGI ALFIO… NEL PARTITO CRESCE LA DIGA ANTI-LEGA
Nonostante le dichiarazioni di facciata rilasciate da Silvio Berlusconi a supporto di Guido Bertolsaso, la partita sul candidato sindaco forzista a Roma è tutt’altro che conclusa. Anzi. È un segreto di Pulcinella l’esistenza di un accordo tra il leader di Forza Italia e il candidato civico Alfio Marchini.
Una simpatia nata da tempo, ma mai tradotta concretamente in una nomina ufficiale a causa delle fazioni belligeranti che gravitano intorno a Berlusconi, più decise a scannarsi per la sopravvivenza che a ragionare per il bene dei romani. Tuttavia è nella tempesta che si vede il capitano migliore.
SCAMBIO DI CORTESIE
Tra l’altro non sono passate inosservate le parole di stima reciproca intercorse tra i due “rivali” moderati. Se Bertolaso accarezza il “Ronn Moss dell’Urbe” sostenendo che «Marchini è più simile a me. Io e lui siamo come Totti e Spalletti», il rivale rilancia melenso: «Grazie Guido, hai a cuore Roma». Insomma, le prove d’intesa, sempre più evidenti, nascondono un progetto politico più serio, e ampio, teso a superare anche il traguardo delle Amministrative 2016.
Berlusconi vuole scardinare l’asse tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Cominciando dalla Capitale.
PRONTA UNA LISTA CIVICA
Lo scenario, in una situazione fluida e incerta, potrebbe essere questo. Una lista civica legata a Bertolaso, con lui a capo, a sostegno di Marchini. Obiettivo: azzerare le polemiche, o, almeno, anestetizzarle e una partita verso il ballottaggio che potrebbe regalare sorprese. Certo, non è esclusa nemmeno la cristallizzazione dello “status quo” nel caso in cui a prevalere fossero “i tiratori per la giacchetta” professionisti, vicini a Berlusconi, e cerchi magici. Più interessati a rompere che non a costruire.
SENTINELLE SOSPETTOSE
La diaspora di donne e uomini dal partito, iniziata con la nascita del Nuovo centrodestra e proseguita nel tempo verso Raffaele Fitto, prima, e Denis Verdini, poi, ha reso più voraci e sospettose le poche sentinelle rimaste a guardia del fu Impero berlusconiano.Qualche esempio? Antonio Tajani, futuro presidente del parlamento europeo e termometro politico degli umori del movimento a Roma, non sottoscriverà mai la deriva estremista suggerita da alcuni “esponenti” azzurri (nordisti). Un concetto, peraltro, ripreso senza fraintendimento alcuno dallo stesso Berlusconi sulle pagine de il Giornale.
L’orizzonte è rappresentato dai moderati riuniti sotto la bandiera del Partito popolare europeo (Ppe), non di coloro che, vuoi per scelta politica, oppure per opportunismo, gravitano nella galassia lepenista. Il messaggio è chiaro: all’interno del Ppe Forza Italia deve tornare ad avere un ruolo centrale.
ARGINE A DESTRA
L’aggregazione dei moderati avrà questa opportunità solo se capace di marginalizzare lo sfondamento a destra della coalizione. Dovesse risultare impossibile questo intendimento potrebbero cambiare i compagni di viaggio. La stessa Lara Comi, ambiziosa parlamentare europea, sta lavorando (sottotraccia) a un progetto diga in chiave anti-leghista.
TOTI VUOLE LA GUIDA
Il governatore ligure Giovanni Toti si applica, invece, come un novello Cicerone. Pro domo sua. Dopo la nascita della fondazione il consigliere politico dell’ex premier pensa in grande. Vorrebbe essere lui la prossima guida del centrodestra. Motivo per cui anche Paolo Romani, ultimamente un po’ emarginato, ne segue i passi con attenzione. Senza dimenticare la già citata Comi e il pugliese Raffaele Fitto, uscito dal partito ma bramoso di guidarne gli elettori. Insomma, la lotta personale verso la sopravvivenza è iniziata e non sarà indolore. Per fortuna, la politica vive una congiuntura d’interessante semplificazione.
Tutto ciò impedisce di ospitare alla tavola degli accordi e delle alleanze commensali eccessivamente ingordi, ricattatori di posizioni e prebende. Le elezioni amministrative del 2016, infatti, andranno ponderate non solo sulla semplicistica (e spesso strumentale) analisi dei dati statistici, ma soprattutto rispetto alle future prospettive politiche che traguardano il 2018. Cosa sarà della coalizione di centrodestra se, come annunciato da Matteo Salvini, la Lega Nord dovesse realmente appoggiare, a Roma, Virginia Raggi del Movimento 5 stelle e non eventualmente un candidato alleato? Avrà ricadute anche a Milano?
SI SPERA IN PARISI
Al momento a Forza Italia conviene temporeggiare e contenere le perdite, puntando con decisione sulla vittoria (non impossibile) di Stefano Parisi sotto il Duomo. La politica è un cielo in tempesta. Amministrative e futuro referendum costituzionale di ottobre 2016 potrebbero travolgere tutto, oppure riportare serenità nella perenne lotta tra raggruppamenti “per” e raggruppamenti “contro”. Forza Italia, per sintetizzare, è “per” la causa europeista, ma “contro” le riforme costituzionali.
Carlo Cattaneo
(da “Lettera43″)
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Aprile 27th, 2016 Riccardo Fucile
SI LAUREA UN ITALIANO SU QUATTRO, IN EUROPA LA MEDIA E’ DEL 38,7%… A UN ANNO DALLA LAUREA OCCUPATI 74 RAGAZZI DEL NORD SU 100, CONTRO 53 SU 100 AL SUD
Il «pezzo di carta» in Italia è un sogno per pochi. Oppure per molti non è un sogno, una meta, un
traguardo a cui aspirare: diventa «dottore» un italiano su quattro. Uno su due in Svezia; o in Lituania, Cipro, Irlanda, Lussemburgo.
Per numero di persone fra 30 e 34 anni che hanno completato il ciclo di educazione terziaria (università o un’altra scuola tecnica), il Belpaese è in coda, con il 25,3% dei cittadini laureati : ultimi in Europa, dove la media è del 38,7%, e (di poco) al di sotto del target Ue fissato per il 2020 (26%), scrive l’Eurostat nel rapporto del 2015.
Siamo comunque in miglioramento rispetto al 2002, quando la quota di laureati era addirittura al 13,1%. Ad arrivare alla laurea sono il 30,8% delle donne e il 20% degli uomini: un divario in continua crescita
70mila studenti in meno
Il numero dei laureati è anche al centro del XVIII Rapporto AlmaLaurea sul Profilo e la Condizione occupazionale dei laureati.
Che fotografa un preoccupante calo di matricole, a macchia di leopardo: drammatico al Sud – dice l’istituto di ricerca – dove le università dal 2003 al 2015 hanno perso il 30% di iscritti; grave al Centro (-22%); quasi insignificante al Nord (-3%).
Il dato di sintesi è di 70mila studenti in meno iscritti all’Università . La voragine si apre già dopo la maturità : 54 diplomati su 100 proseguono gli studi al Sud, 59 su cento al Nord.
Elevata la mobilità territoriale che, «sebbene sia un fenomeno positivo, mediante il quale studenti e atenei possono valorizzare a pieno le proprie potenzialità , allo stesso tempo riflette il profondo divario sociale ed economico che caratterizza le regioni italiane», si legge nel Rapporto.
Negli ultimi dieci anni, le regioni del Mezzogiorno hanno perso costantemente capitale umano: migra al Centro-Nord per motivi di studio il 20% dei ragazzi, mentre al nord si sposta solo il 2%.
Le discipline che mettono in movimento plotoni di studenti sono soprattutto Psicologia (32%), Chimica (27%), Agraria e Veterinaria (26%), Lingue (25%). Meno mobili gli studenti dei percorsi economico-statistico (15%), insegnamento (16%), giuridico (18%), ingegneria (19%).
Chi fa le valigie
Inoltre, mobilità richiama mobilità : si sposta per lavorare più frequentemente chi ha già sperimentato uno spostamento per motivi di studio o un’esperienza di studio all’estero durante gli studi.
L’analisi mostra particolari differenze rispetto al percorso di studi intrapreso: i laureati del gruppo scientifico sono i più mobili (43%), seguiti da agraria e veterinaria (42%) e dal linguistico (41%).
Si spostano nettamente meno dei loro colleghi i laureati nei percorsi di insegnamento (25%), delle professioni sanitarie (26%) e giuridico (27%).
Mobilità
La mobilità territoriale nel passaggio dall’Università al mercato del lavoro è più frequente rispetto alla mobilità per motivi di studio. Anche in questo caso a spostarsi sono prevalentemente i laureati che provengono da contesti famigliari culturalmente ed economicamente più avvantaggiati.
A cinque anni dal conseguimento del titolo, dice Almalaurea, su cento laureati residenti al Nord, 7 se ne vanno per lavorare, prevalentemente all’estero; dal Centro, a spostarsi sono il 13% dei laureati, prevalentemente al Nord; il Sud perde oltre un quarto del suo capitale umano: il 26% lavora lontano dalla famiglia d’origine.
Occupati
Almalaurea fotografa anche il differenziale occupazionale: a un anno dal titolo magistrale lavorano il 74% dei laureati del Nord e il 53% di quelli del Sud, con una forbice del 16% negli stipendi: 1.290 euro mensili netti a Settentrione, 1.088 al Sud.
A cinque anni dal titolo, lavorano 89 laureati su cento residenti al Nord, mentre al Sud l’occupazione coinvolge il 74% dei laureati. Retribuzioni: 1.480 al Nord, 1.242 al Sud.
Abbandoni scolastici
L’Italia resta anche tra le maglie nere per gli abbandoni scolastici – è ancora l’Eurostat a sottolinearlo – sebbene su questo fronte abbia già raggiunto l’obiettivo di riduzione fissato da Bruxelles: arriva al 14,7% (con un target che al 2020 sarebbe fissato al 16%) la percentuale di ragazzi tra i 18 e i 24 anni che hanno completato al massimo la scuola secondaria inferiore e che non seguono nessuna formazione.
Resta il divario tra ragazzi che lasciano (17,5%) e ragazze (11,8%). Non siamo ultimi della classe perchè dietro di noi figurano Spagna (20% di abbandoni), Malta (19,8%) e Romania (19,1%).
E andiamo molto meglio del 2006, quando nel complesso gli abbandoni erano al 20,4%. Ma i modelli virtuosi ci distanziano di molte lunghezze: in Slovenia solo il 5% dei ragazzi lascia la scuola anzitempo, a Cipro e in Polonia il 5,3%, in Lituania il 5,5%.
«Ritardo clamoroso»
A commentare i ritardi del sistema italiano, la deputata e responsabile scuola e università di Forza Italia, Elena Centemero: un «primato poco lusinghiero – dice -. Un ritardo clamoroso, che rende i nostri giovani poco competitivi in un mondo globalizzato e che pesa sulla ripresa del Paese».
Per recuperare il terreo perduto, afferma la deputata, è necessario «implementare le borse di studio, creare un crescente raccordo tra scuole e mondo del lavoro e migliorare le strategie di orientamento a tutti i livelli per far sì che i nostri ragazzi possano trovare il percorso di studi in grado di valorizzare i loro talenti».
Antonella De Gregorio
(da “il Corriere della Sera”)
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Aprile 27th, 2016 Riccardo Fucile
PROROGA PER L’IMPIANTO VEGA DI EDISON-EDF PRIMA DEL REFERENDUM, AFFARE VEGA B E ROSPO MARE: IN FRANCIA HANNO FESTEGGIATO
A vincere il referendum anti-trivelle del 17 aprile sono stati soprattutto i francesi, anche se non se ne è accorto quasi nessuno.
Grazie all’azione del governo italiano, che in più di un’occasione e con più di un provvedimento negli ultimi anni ha favorito Edison.
Perchè se è vero che Eni è la compagnia titolare della maggior parte delle concessioni interessate dalla consultazione, è altrettanto sicuro che i progetti più importanti e redditizi sono nelle mani della multinazionale controllata al 99,5% dal gruppo à‰lectricitè de France, per l’84% di proprietà statale.
Che oggi, in virtù del mancato raggiungimento del quorum, può realizzare sia la piattaforma Vega B, a largo della costa di Pozzallo, in provincia di Ragusa (da affiancare alla già esistente Vega A), sia il progetto che prevede 4 nuovi pozzi per la piattaforma Rospo Mare B, in Abruzzo.
Tutti riguardano l’estrazione di petrolio.
La possibilità di sfruttare i giacimenti di gas e greggio per la loro ‘durata di vita utile’, opportunità non da poco introdotta dal governo Renzi nella legge di Stabilità , è il regalo più grande. Ma non è l’unico.
Solo una vittoria del ‘sì’ al referendum avrebbe potuto ostacolare i progetti della multinazionale. Nonostante Vega B avesse già ottenuto l’autorizzazione, infatti, in caso di abrogazione della norma avrebbe fatto fede la data di scadenza della concessione, a dicembre 2022. E non si sarebbero più potuti rilasciare altri titoli entro le 12 miglia.
Morale: Edison avrebbe avuto solo sei anni di tempo per mettere in piedi la piattaforma, scavare i pozzi ed estrarre. Un affare poco produttivo.
Come quello dei nuovi 4 pozzi previsti da collegare alla piattaforma Rospo Mare B, nell’ambito della concessione B.C 8.LF (grazie alla quale già operano tre piattaforme e 29 pozzi). Se non fosse valsa ‘la vita utile del giacimento’, Edison avrebbe avuto tempo fino a marzo 2018 per realizzare nuovi pozzi.
Ora potrà agire sine die. Pressioni politiche, rapporti diplomatici e lobby. Dopo l’affaire Tempa Rossa, è lecito interrogarsi su autorizzazioni, proroghe, circostanze e coincidenze che negli ultimi tempi hanno fatto felici i francesi.
I CONTI DI EDISON
Edison ha chiuso il bilancio 2015 in rosso per 776 milioni, anche se con un indebitamento di 1.147 milioni di euro, 619 in meno rispetto allo scorso anno.
Per quanto riguarda il settore degli idrocarburi, nel 2015 i ricavi di vendita sono aumentati del 6,7% rispetto al 2014.
Sommando le produzioni interne e quelle all’estero, quella di petrolio è cresciuta del 4,6 per cento, risultato di un calo del 2,8% di quella domestica e di un aumento del 17,3% di quella estera. Un momento difficile, quindi.
E in un’intervista al Corriere della Sera l’amministratore delegato Marc Benayoun ha spiegato che un eventuale ‘sì’ al referendum “avrebbe avuto un impatto economico negativo”. La posizione dell’azienda è chiara: per Edison l’esito del referendum è una vittoria. Nessun commento su presunti ‘trattamenti di riguardo’ da parte del governo.
LA STRANA STORIA DELLE PIATTAFORME VEGA
Di certo c’è che ora nulla potrà fermare i progetti in cantiere. La concessione nell’ambito della quale verrà realizzata Vega B è la C.C6.EO.
L’originario ‘Programma di Sviluppo’ venne approvato nel 1984 e prevedeva la realizzazione di due piattaforme, la Vega A e la Vega B.
La prima è oggi la più grande piattaforma petrolifera fissa off-shore italiana, mentre la seconda non fu mai costruita e scomparve da qualsiasi documento. Fino al 2012, quando titolare della concessione era già Edison al 60 per cento con Eni socio di minoranza al 40 per cento.
Il 5 gennaio 2012 la compagnia chiese una proroga decennale e a luglio dello stesso anno presentò domanda di pronuncia di compatibilità ambientale per Vega B. Sul sito del ministero si legge che a Vega A sono allacciati 19 pozzi, il nuovo progetto ne prevede altri 12.
Perchè, dunque, è ragionevole affermare che negli anni Edison ha ricevuto diversi trattamenti di favore da parte di via Veneto?
Non tanto per la proroga della concessione (scaduta nel 2012 dopo 28 anni) arrivata il 13 novembre 2015, a neanche 6 settimane dall’entrata in vigore della legge di Stabilità 2016 con il divieto assoluto di nuove perforazioni entro le 12 miglia, quanto per i particolari del placet arrivato da Roma.
INQUINAMENTO CON ‘BUONA CONDOTTA’
Dopo la procedura integrata Via-Aia che si è conclusa positivamente al ministero dell’Ambiente il 15 aprile 2015 (negli stessi giorni è arrivato l’ok anche per Rospo Mare, al 61,7 % di Edison), a novembre il Mise ancora guidato da Federica Guidi ha concesso la proroga per “buona gestione del giacimento” fino al 2022, dimenticando un particolare non di poco conto.
Lo stesso dicastero, infatti, si è costituito parte civile e ha richiesto un risarcimento di 69 milioni di euro a Edison nel processo che si sta tenendo a Ragusa e in cui la multinazionale è accusata di aver iniettato illegalmente in un pozzo sterile enormi quantità di rifiuti petroliferi tra il 1999 e il 2007, nell’ambito delle attività collegata alla piattaforma Vega A.
Tradotto: ti chiedo risarcimento milionario perchè inquini, ma ti faccio continuare a estrarre per ‘buona condotta’.
QUESTIONE DI POLITICA DIPLOMATICA
In ballo ci sono tantissimi milioni di euro. E un rapporto, quello tra Roma e Parigi, che sembra essere assai saldo alla luce del favore a Total su Tempa Rossa e a Edison su Vega A. Non solo in tema energia: è ancora accesa la polemica per l’accordo siglato a gennaio 2015 dall’Italia per ridefinire i confini marittimi con la Francia.
Nel silenzio assoluto e senza passare dal Parlamento, il governo ha dato l’ok alla cessione di un triangolo di mare al largo delle coste di Liguria e Sardegna.
Acque molto pescose, per chi quel tratto di Tirreno lo conosce bene. E ricche di gamberoni e pesci spada. Ebbene, alla stipula del trattato di Caen non hanno partecipato solo ministeri politici, ma anche tecnici. Come quelli del Mise.
Il motivo? L’articolo 4 disciplina ‘lo sfruttamento di eventuali giacimenti di risorse del fondo marino o del suo sottosuolo, situati a cavallo della linea di confine’. Giacimenti di risorse, quindi di petrolio o gas.
Come quello di Tempa Rossa (concesso alla francese Total per il 50%, mentre l’inglese Shell e la giapponese Mitsui hanno ciascuna il 25%), come per la piattaforma Vega A e, in futuro, per Vega B.
LO ZAMPINO DELLE LOBBY
C’è un altro filo rosso tutto lobbistico, poi, che collega le due infrastrutture. Ed è rappresentato da Gianluca Gemelli, il compagno dell’ex ministro Guidi, dimessasi proprio dopo la pubblicazione dell’intercettazione in cui comunicava al suo fidanzato l’imminente via libera all’emendamento che di fatto ha sbloccato Tempa Rossa. Gemelli conosce molto bene Vega A. E non per l’attività della sua società Industrial Technical Services, che si occupa di “costruzione, avviamento e manutenzione di impianti chimici, petrolchimici, petroliferi, farmaceutici e di produzione di energia”. Prima di conoscere Federica Guidi, infatti, Gemelli era sposato con Valentina Ricciardi, figlia di Giuliano Felice Ricciardi, che ha introdotto il genero nel giro degli ambienti che contano.
Ricciardi, guarda caso, era uno dei progettisti di Vega A. Solo coincidenze, per carità . Fatto sta che, tornando agli effetti del referendum mancato, delle 94 piattaforme attive entro le 12 miglia marine Eni possiede la stragrande maggioranza, ma i progetti in cantiere più importanti sono proprio quelli di Edison.
LE POSSIBILI PRESSIONI
Evidente, quindi, l’interesse della multinazionale e, di conseguenza, della Francia. Probabili le pressioni politiche.
Che, in altri casi, ci sono state di sicuro. Del resto lo ha detto anche il ministro Maria Elena Boschi ai pm che l’hanno interrogata: “L’ambasciata inglese ci sollecitò l’emendamento Tempa Rossa”.
I francesi hanno fatto lo stesso? Di certo lo stesso ministro Boschi (che a luglio ha rappresentato il governo ai festeggiamenti della Repubblica di Francia) a novembre è volata a Parigi per due importanti incontri istituzionali.
E non è escluso che durante quei colloqui si sia parlato anche di energia. E quindi degli interessi di Edison che, come Eni del resto, è di proprietà pubblica. Interessi cui si è sempre dato un certo peso.
Anche al di qua del confine.
Luisiana Gaita
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 27th, 2016 Riccardo Fucile
PER L’EUROPA CRISTIANA, CATTOLICA, ANGLICANA O LUTERANA I BAMBINI NON DOVREBBERO ESSERE SACRI?
È sicuro ormai che l’Europa è solo all’inizio di un processo di decomposizione politica. I segnali si
moltiplicano. La vittoria dell’estrema destra in Austria, la crisi polacca, il regime di Orbà¡n, l’affermazione dell’AdP in Germania, la chiusura delle frontiere, il referendum sul Brexit.
Ma il voto con cui la Camera dei comuni inglese ha rifiutato di accogliere i 3000 bambini di Calais è qualcosa di molto più profondo e sinistro di una crisi politica continentale.
È, come hanno notato i critici della decisione, qualcosa di vergognoso
Perchè in gioco, oltre al destino migliaia di orfani, c’è un confine che le cosiddette democrazie occidentali non dovrebbero, almeno ufficialmente, varcare: il senso minimo di umanità , quello che per gli apologeti distinguerebbe la «civile» Europa dagli altri mondi.
Oddio, anche sequestrare beni ai profughi, come fanno la Danimarca e altri stati della Ue, è vergognoso, proprio come lasciarli alla deriva a Idomeni e Lesbo, o dare un po’di quattrini a Erdogan perchè non ce ne mandi altri.
Ma i bambini non dovrebbero essere sacri, nell’Europa cristiana, cattolica, anglicana o luterana che sia?
Con il voto alla Camera dei comuni, la risposta è stata semplicemente «No!»
D’altra parte, i leader della Afd tedesca non hanno forse dichiarato che è legittimo sparare ai profughi che attraversano illegalmente i confini, anche quando sono donne e bambini? Certo, i conservatori inglesi a parole non arrivano a tanto. Ma il risultato non è molto diverso.
Che fine faranno i bambini che il socialista Hollande fa marcire a Calais, tra assalti xenofobi e manganellate? Nessuno lo sa e a nessuno interessa.
La motivazione del voto inglese è sublime nella sua ipocrisia squisitamente british. Noi non li accogliamo, per dissuadere altri profughi dal chiedere asilo in Inghilterra. Con la stessa scusa, le navi militari inglesi non soccorrono più la carrette del mare dei migranti nel Mediterraneo.
Ora, immaginiamo dei bambini che scampano alla morte in Siria e poi ai naufragi nell’Egeo o nel canale di Sicilia.
Ebbene, qualcuno pensa che si faranno dissuadere dal passare in Europa, e magari dal raggiungere dei parenti in Inghilterra, pensando al voto della Camera dei comuni? Quando la Svizzera respinse i profughi ebrei che scappavano dalla Germania con la motivazione che «la barca piena», si macchiò della stessa vergogna, ma con meno ipocrisia.
Noi europei non dovremmo sorprenderci più di nulla. E nemmeno pensare che,siamo al sicuro dagli stermini di massa. Migranti e profughi muoiono a migliaia per raggiungere le nostre terre benedette dalla ricchezza.
Dopo un po’ di lacrimucce sui bambini annegati sulle spiagge greche e turche, ecco che prendiamo a calci quelli che non sono annegati, o semplicemente ne ignoriamo l’esistenza.
Noi europei, così civili e democratici, stiamo gettando le premesse di nuovi stermini, magari per omissione, disattenzione o idiozia.
Ma per le vittime non fa nessuna differenza.
Alessandro Dal Lago
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Aprile 27th, 2016 Riccardo Fucile
E SULLE FONDAZIONI GIRAVOLTA CLAMOROSA: FINO A UN ANNO PER GRILLO ERANO STRUMENTO DI CORRUZIONE
Il 25 aprile Davide Casaleggio, pubblicando in un post le volontà di suo padre Gianroberto appena scomparso, ha annunciato la costituzione di un nuovo blog che sostituirà quello di Grillo e diventerà la voce ufficiale del Movimento.
Una voce senza scopo di lucro, viene promesso, sganciata dall’azienda e collegata a un’associazione non profit, di nome Rousseau, che presto – anche se non sappiamo esattamente quando – evolverà in una fondazione.
La Stampa grazie alle sue fonti privilegiate è in grado di raccontare tre dettagli decisivi.
Il primo è che il dominio www.ilblogdellestelle.it è stato registrato a novembre del 2015 a nome «davide casaleggio – casaleggio associati».
Il blog precedente, www.beppegrillo.it, era registrato a nome «Emanuele Bottaro». (Da oggi è visibile una ulteriore modifica: come registrante la Casaleggio Associati è stata, in un secondo momento, sostituita dall’Associazione Rousseau).
Al di là dunque dell’operazione nominalistica, la migrazione da beppegrillo.it al blog delle stelle ha un effetto giuridico oggettivo: trasferire la proprietà materiale del dominio su cui gira tutta l’infrastruttura tecnica del Movimento (e molte delle sue scelte politiche chiave) su un dominio intestato in questo momento al solo figlio del cofondatore.
Il secondo dettaglio è che fino a ieri sera il dominio punta sul sito www.casaleggio.it. Anche se è stato aperto effettivamente un conto corrente bancario diverso, l’associazione Rousseau se vorrà utilizzare il blog delle stelle dovrà dunque avere integralmente a che fare con Davide Casaleggio.
Questo dice la legge italiana, anche nel caso in cui l’associazione avesse a breve una compagine allargata anche ad altri membri (magari qualcuno del direttorio).
È stato Gianroberto a volere tutto questo, come è stato lui – la seconda cosa è chiaramente scritta nel post – a indicare che la prossima tappa sarà la creazione di una Fondazione (forse intitolata proprio alla memoria del cofondatore del Movimento). Ma se finora le cose erano relativamente semplici, col passaggio della fondazione entriamo in un territorio complesso, sia dal punto di vista giuridico-economico, sia nella logica delle premesse originarie del Movimento.
È il terzo dettaglio decisivo che ci hanno posto davanti agli occhi le nostre fonti: cose che non tutti possono ricordare a meno che non sappiano molto della vita del blog e delle prese di posizione della Casaleggio associati in tutti questi anni.
Per farla breve: Beppe Grillo, il blog e l’intera struttura della Casaleggio fino all’altro ieri erano contrarissimi allo strumento delle fondazioni, peggio che mai le fondazioni «politiche».
«Dove ci sono le fondazioni c’è aria di corruzione», scriveva il blog esattamente un anno fa. Le fondazioni – in questo caso il bersaglio era la Fondazione ItalianiEuropei di D’Alema – sono «vere e proprie cassaforti dove far confluire soldi di provenienza totalmente sconosciuta e spesso illecita».
Si descriveva, non senza ragioni, l’opacità di uno strumento che non deve presentare bilancio, e gode di sgravi fiscali pesanti: «Questa mancanza di obblighi da parte delle Fondazioni, molto apprezzata dal malaffare, serve ad alimentare ulteriormente la corruzione ed è per questo che dove ci sono le Fondazioni, c’è aria di corruzione», si leggeva sul sito di Grillo.
Anche su questo, il M5S ha cambiato idea.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Aprile 27th, 2016 Riccardo Fucile
SFIDA IN TRIBUNALE, IL NUOVO MSI CHIEDE DI INIBIRE L’USO DEL SIMBOLO ALLA FONDAZIONE AN: “PENSANO DI ESSERE POTENTI PERCHE’ HANNO I MILIONI IN BANCA”… IL PRECEDENTE DI FIRENZE HA DATO RAGIONE AL NUOVO MSI
La «guerra (di carte bollate) della Fiamma» potrebbe costare cara a Fratelli d’Italia già alle prossime Amministrative di giugno.
Tutta colpa, a quanto pare, della Fondazione An che ha richiesto l’inibitoria dell’utilizzo del simbolo contro il Nuovo Msi di Maria Antonietta Cannizzaro e Gaetano Saya.
Scelta che, dopo la sentenza di Appello di Firenze di marzo che ha dato ragione a questi ultimi, potrebbe rappresentare un autogol.
«Si sono dati da soli la zappa sui piedi – spiega il presidente del Nuovo Msi Cannizzaro – Questo accade perchè c’è chi crede di poter avere sempre ragione anche quando tre giudici a Firenze hanno stabilito esattamente il contrario».
Andiamo con ordine.
Ieri mattina a Roma vi è stata la prima udienza del processo cautelare (ossia il ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile), per l’inibizione dell’utilizzo della Fiamma.
«Il ricorso è stato proposto dalla Fondazione Alleanza Nazionale e dall’Associazione An – spiegano a Il Tempo Alberto Ramin e Luigi Fratini, avvocati dei neomissini – mentre il Nuovo Msi si è costituito con comparsa di costituzione, con domanda riconvenzionale». Tradotto: ci si costituisce nel giudizio, ci si difende e in più si chiede al giudice qualcosa contro colui che ha fatto il ricorso.
«Noi abbiamo richiesto che sia inibito a loro l’utilizzo della Fiamma – continuano gli avvocati – questo in virtù di molteplici elementi tra cui, quello più importante, la sentenza della Corte d’Appello di Firenze».
Quest’ultima, infatti, ha attribuito l’utilizzo del simbolo al Nuovo Msi, ribaltando la sentenza di primo grado che aveva dato ragione, invece, ad An guidata allora da Fini.
Il colpo di scena, a questo punto, potrebbe essere dato dalla tempistica.
Dalla prima udienza di ieri, infatti, il giudice ha previsto un termine di nove giorni per la produzione di nuovi documenti e per le repliche: dopodichè deciderà .
In tempo utile perchè la sentenza abbia un valore già nell’ambito delle elezioni amministrative di giugno.
Uno degli scenari? «Nel caso vincessimo noi – continuano i legali – la Fondazione An non potrebbe più utilizzare la fiamma e non può più disporne, ossia darla in concessione come ha fatto finora al movimento Fratelli d’Italia».
Uno scenario che potrebbe rivelarsi un handicap per il partito del candidato sindaco a Roma che da parte sua rivendica la diretta trasmissione ereditaria della Fiamma (tanto che la Fondazione ha autorizzato l’utilizzo del simbolo).
Da parte sua Cannizzaro non fa sconti: «Andiamo avanti, stiamo facendo le nostre liste, e anche su Roma scioglieremo presto il nodo».
E rivolta ai membri della Fondazione: «Pensano di essere potenti perchè hanno i milioni di euro in banca. Noi siamo la vera destra. Noi siamo i legittimi eredi del Msi, rifondato nel 2003 da Gaetano Saya».
Antonio Rapisarda
(da “il Tempo”)
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Aprile 27th, 2016 Riccardo Fucile
VOGLIONO CONQUISTARE ROMA, NON RIESCONO NEMMENO A RISOLVERE LE FAIDE INTERNE
Basta un post su Facebook per precipitare nel caos la Lega a Roma. 
Soprattutto se il post è firmato da Gian Marco Centinaio, capogruppo del Carroccio in Senato e commissario di Noi con Salvini nel Lazio e nella Capitale.
«Faccio le cose con entusiasmo, non mi sacrifico. Rinuncio a tutto pur di raggiungere gli obiettivi, rinunciando a tutto per far felici tutti. Quando poi mi rendo conto di aver lavorato per niente, di essere accoltellato alle spalle e di essere preso in giro… mi fermo. E non riparto».
Poche righe che scatenano più d’un interrogativo. A chi e a cosa si riferisce Centinaio?
Possibile che si stia dimettendo da coordinatore di NcS a Roma?
I dirigenti e i militanti romani prendono le parole come una vera e propria lettera d’addio.
Fabio Sabbatani Schiuma, membro del coordinamento romano e segretario di Riva Destra, ad esempio, risponde così al capogrupo: «Caro Gian Marco stiamo ingoiando bocconi amari tutti e tu per primo, per colpa di una cosa che a Roma chiamiamo infamia. Nella vita non esistono uomini che vincono e uomini che perdono, ma solo uomini che combattono o non combattono: io scelgo di combattere. Ma se ti fermi, mi fermo anch’io».
Sara Adriani, coordinatrice del X Municipio (Ostia) e vicinissima a Barbara Mannucci – anche lei componente del coordinamento romano – invece sprona Centinaio a «non mollare mai».
Colpisce tuttavia che a invitare Centinaio ad andare avanti sia solo l’ala che fa riferimento a Schiuma-Mannucci. In silenzio tutti gli altri esponenti di spicco della Lega a Roma.
Ieri i candidati al Consiglio comunale e nei Municipi hanno cominciato a recarsi dal notaio per firmare la candidatura.
Ma il caos che regna in Noi con Salvini a Roma lascia perplessi in tanti. In molti hanno notato, ad esempio, l’assenza di Centinaio all’apertura della campagna elettorale di Giorgia Meloni e all’inaugurazione della prima sede del Carroccio nella Capitale.
Eppure era presente tutto lo stato maggiore nazionale, nè sono mancate tensioni e insulti tra i componenti del coordinamento romano. A farne le spese Souad Sbai. Segno di un nervovismo crescente e di un movimento che sta preparando le liste elettorali senza ancora essere diventato veramente un partito, tra faide interne e reciproci scaricabarile.
Quanto alle liste, poi, i nomi pubblicati da Il Tempo rivelano trasformisti di professione, vecchi paracarri della politica romana, mestieranti e personaggi legati alla giunta Alemanno.
Matteo Salvini sarebbe contrariato e avrebbe messo nel mirino il commissario romano e il suo cerchio magico. Da qualche giorno circolano voci su un ridimensionamento di Centinaio con l’arrivo di un subcommissario per mettere ordine nel movimento romano e verificare tutte le liste.
Circola il nome del deputato Stefano Borghesi, che sta già lavorando all’accettazione delle candidature a Roma. Un compito solo tecnico, non una verifica politica. Qualcuno ipotizza invece Armando Siri. Ma sull’arrivo di un supercommissario per verificare i candidati non arrivano conferme.
Di certo il presunto addio di Centinaio arriva anche Oltreoceano, con l’entourage di Salvini che da Philadelphia chiede chiarimenti sul post.
Non presunte ma effettive sono le dimissioni di Daniela Domanico, dirigente di Latina. La Domanico, medico di professione, sbatte la porta, inorridita dalla conduzione del partito nel Lazio tra mancanza di progettualità , ingressi di personaggi impresentabili e disgregazione.
Daniele Di Mario
(da “il Tempo“)
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Aprile 27th, 2016 Riccardo Fucile
LA SENATRICE DEM ANTICAMORRA: “IL PD HA SCARSA PERCEZIONE DEL RISCHIO COLLETTI BIANCHI”
“Matteo Renzi ascolta solo chi è portatore di grossi pacchetti di voti, mentre dovrebbe ascoltare anche chi non lo è. Tanti come noi non portano voti e per questo sono relegati ai margini”.
A parlare in un’intervista a La Stampa è Rosaria Capacchione, cronista del Mattino di Napoli che vive sotto scorta per le minacce della camorra, eletta nel 2013 in Senato con il Pd.
Un partito nel quale dice di non riconoscersi più dopo l’inchiesta antimafia sulla presunta corruzione e gli appalti truccati in favore del clan dei Casalesi, che vede indagato il presidente del Pd campano Stefano Graziano, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
“Ho abbracciato un progetto un progetto che in quel momento era rappresentato dal partito ma devo constatare che in quel partito non c’è la capacità di leggere certi fenomeni”, questa la dura analisi della Capacchione secondo cui tra i democratici “c’è una scarsissima percezione del pericolo che arriva dai colletti bianchi e dall’attività disinvolta di certe parti della Pubblica Amministrazione. I rimedi che si cercano sono spesso di facciata — continua la senatrice — l’esibizione del casellario giudiziario non serve a nulla, non quello il punto”.
Secondo la senatrice il punto è che “una volta i partiti facevano da argine contro le mafie“. La futura classe dirigente dei partiti si faceva le ossa nei circoli. Mentre adesso “quell’istanza di controllo è fallita”.
Perchè oggi “i circoli sono luoghi pressochè disabitati, le decisioni arrivano tutte preconfezionate e le voci di allarme vengono derubricate costantemente a echi di guerre tra correnti. Queste cose le dico e mi batto da tempo, inascoltata”, accusa la giornalista che punta il dito contro il segretario-premier: “Ascolta solo chi è portatore di grossi pacchetti di voti”.
E in Campania, “territorio intriso di cultura mafiosa”, anche nel Pd “c’è la corsa di certi personaggi a salire sul carro del partito che vince”.
“Che il Partito democratico della Campania fosse diventato oggetto di un arrembaggio piratesco da parte di affaristi privi di scrupoli e collusi, è cosa che abbiamo denunciato da molto tempo”, ha detto ieri a caldo subito dopo l’iscrizione nel registro degli indagati di Graziano.
E il suo futuro all’interno del partito dopo l’inchiesta che lo ha travolto in Campania? “Magari resterò anche iscritta al gruppo Pd a palazzo Madama, se i colleghi mi vorranno ancora tra loro. Di certo non mi candiderò alle prossime elezioni politiche. D’altronde io non sono una portatrice di voti controllati. E poi mi manca la possibilità di dire queste cose che ho sempre detto nel corso della mia carriera di giornalista, senza che vengano lette sempre col filtro dell’interpretazione partitica” conclude Capacchione che nel 2013 venne candidata alle politiche perchè “emblema della cultura della legalità nella lotta contro la criminalità organizzata, temi per noi di assoluta priorità che avranno bisogno di protagonisti nel nuovo Parlamento”, diceva il segretario dell’epoca Pierluigi Bersani.
Della stessa idea Andrea Orlando, allora responsabile giustizia e futuro Guardasigilli, che parlava di “un forte segnale di incoraggiamento a chi raccontando le mafie e la loro perversa azione contribuisce a combatterle. Con Rosaria entra in Parlamento una storia e una competenza importante per rafforzare gli strumenti di contrasto alla criminalitaà organizzata e per il riscatto civile del Mezzogiorno e del Paese”.
Il duro attacco alla classe dirigente del Pd da parte della Capacchione arriva a pochi giorni di distanza dalle parole di un’altra icona dell’antimafia in Campania, Roberto Saviano.
Che in un’intervista a Sky TG24 ha detto (guarda): “Non credo nella giustizia neanche più per un secondo. In nome della giustizia si sono fatti i peggiori crimini ed ancora oggi vengono commessi. Credo nella bontà , credo nel bene fatto occhio che guarda nell’occhio, mano che stringe mano. Non ho alcuna speranza verso le istituzioni, non ho alcuna speranza verso la politica, non ho alcuna speranza verso i media”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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