Dicembre 3rd, 2016 Riccardo Fucile
LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI MILANO: “PARTECIPA SOLO AL 18% AI LAVORI DELLA COMMISSIONE DI CUI FA PARTE”
Tu non puoi sapere se domani il sole sorgerà , ma di una cosa puoi essere certo. 
Anche quel giorno Matteo Salvini porterà qualcuno in tribunale con l’accusa di averlo diffamato, e perderà .
Stavolta a esultare è il segretario generale della FIM (il sindacato dei metalmeccanici), ovvero Marco Bentivogli, che aveva detto a Salvini “Lei è il più grande assenteista di Bruxelles” durante uno scambio di battute tra i due nel corso di un programma su La7 nel luglio 2015.
“Dire che Salvini è un assenteista non è diffamazione, perchè è semplicemente la verità ”, commenta più che soddisfatto Bentivogli a Repubblica Milano.
“Non avevo dubbi che la querela sarebbe stata rigettata, anche perchè i dati delle presenze dei parlamentari europei sono pubblici e scaricabili dal sito e, quindi, visibili a qualunque cittadino”, dice parlando di come Salvini “partecipi solo per il 18%” ai lavori della Commissione sul commercio internazionale di cui fa parte.
“Salvini sentenzia su molti temi in televisione, ma poi non si prende il disturbo nemmeno di partecipare ai lavori di quella commissione — insiste Bentivogli — è un esempio di populismo irresponsabile che noi combattiamo, proprio per il rispetto della democrazia e della rappresentanza che abbiamo. Qualsiasi lavoratore, assente nel luogo di lavoro, viene licenziato. Salvini crede che le leggi si propongono, contrastano o approvano, stando giorno e notte in tv”.
Negli ultimi tempi i giudici hanno sentenziato che non è reato dire che Salvini non ha mai lavorato in vita sua, che “Noi con Salvini mafiosi e razzisti” si può dire, così come “Salvini non è uno sciacallo ma un nazista”.
Lui e altri esponenti di primo piano ma piuttosto terra terra della Lega avevano negli ultimi anni minacciato querele per chi li criticava o li definiva in maniera che loro non avevano apprezzato.
In questi anni hanno dovuto rassegnarsi al fatto che in Italia c’è libertà di parola e di critica politica.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 3rd, 2016 Riccardo Fucile
LA SENTENZA DEL GIUDICE: “NEPPURE LUI HA POTUTO DIMOSTRARE DI AVER MAI FATTO QUALCOSA AL DI FUORI DELLA LEGA”
Per molto tempo Matteo Salvini è andato in giro per le televisioni a minacciare querele nei confronti di chi ricordava le sue peripezie in politica.
Poi è passato ai fatti, ovvero alle querele vere e proprie.
Come quella che ha intentato nei confronti di Davide Vecchi del Fatto Quotidiano per un articolo in cui, tra le altre cose, affermava che il Capitano non aveva mai lavorato in vita sua.
Nell’articolo Vecchi ricordava :
La Lega Nord ormai esiste solo per ciò che è a carico dello Stato: i 71 dipendenti del movimento sono infatti stati licenziati in tronco, mentre il quotidiano di partito, la Padania, ha annunciato la chiusura definitiva a seguito della riduzione del contributo all’editoria. Anche qui, dunque: la pubblicazione proseguiva solamente grazie ai soldi delle casse pubbliche. E qualcuno affiderebbe non dico un Paese ma anche solo un condominio a chi non è in grado di gestire casa sua?
Matteo Salvini ha querelato Davide Vecchi e il Fatto Quotidiano per l’articolo in questione.
Il Gip di Bergamo ha archiviato la querela scrivendo, tra l’altro, che “neppure Salvini ha potuto dimostrare di aver fatto ‘qualcosa’ al di fuori della Lega”.
E già che c’era, ha precisato anche altro:
Il gip non si scaglia contro la politica. Prende solo atto di un sentire diffuso: “Quanto alla storia del non aver mai lavorato, basta osservare che — nel linguaggio comune — costituisce una frase che si predica del (deprecatissimo!) ‘professionista della politica’ che —magari ‘politicamente’ occupato per 15 ore al giorno — tuttavia non svolge o non ha mai svolto nessuna ‘attività civile’”.
Povero Salvini, bocciato su tutta la linea, anche quando si indigna per le accuse sulla gestione della Padania: “L’accusa di aver mandato (economicamente) a catafascio il giornale di partito, tenuto in vita soltanto dai contributi pubblici, riporta a circostanze sotto gli occhi di tutti (e poco importa che si tratti di un destino rivelatosi comune a tutte le altre testate di partito)”. Lo dice il giudice.
E noi non possiamo che complimentarci e aspettare che finalmente si faccia una legge che costringa chi fa causa per diffamazione e perde a pagare i danni del disturbo a chi si deve sorbire tante noie legali senza aver fatto nulla di male.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 3rd, 2016 Riccardo Fucile
CHE SUCCEDE NEL PARTITO DI GRILLO TRA LE TRUPPE PROFONDAMENTE DIVISE…. LA STRATEGIA INESISTENTE PER IL DOPO VOTO
I 5 Stelle sono più pronti a perdere che a vincere la battaglia del referendum. 
E, comunque vada, sul M5s rischia di abbattersi la sindrome del day after.
Perchè la partita chiave del dopo voto, quella sulla legge elettorale, vede le truppe di Beppe Grillo profondamente divise tra chi vuole giocare un ruolo chiave sul tavolo delle trattative e chi invece vuole preservare la purezza delle origini, non contaminandosi con gli altri partiti e rivendicando la scelte delle urne a qualunque costo, comunque vada.
Va da sè che in caso di vittoria del Sì la strada sarebbe molto più agevole, scongiurando almeno per il momento lo show down interno fra le due anime.
In caso di vittoria del No, al netto di un’onda emozionale che — se ben gestita — potrebbe essere incanalata positivamente, il rischio di frattura interna sarebbe molto più concreto.
Sono passati poco più di sei mesi, eppure sembra un’era geologica.
Tra fine marzo e inizio aprile, i ragionamenti che si portavano avanti nella cerchia stretta di Luigi Di Maio parlavano di una secca accelerazione sull’incoronazione a candidato premier già prima dell’estate, per colmare da subito il vuoto che avrebbe lasciato un Gianroberto Casaleggio già gravemente malato.
E altrettanto netta era la strada sul referendum: nessun impegno conclamato, restiamo alla finestra per capire che succede e non intestiamoci una probabile sconfitta.
Erano mesi quelli che non parlavano di un Sì vincente con ampio margine, comunque parlava di un testa a testa molto incerto, con un’affluenza talmente bassa da lasciare le porte aperte a qualunque scenario.
Il 15 maggio, per esempio, Scenari Politici accreditava appena un punto percentuale di distanza (50,5% al sì, 49,5% al no), con appena il 44% degli elettori alle urne.
Nel corso dei mesi il vento è cambiato, e tutto il Movimento 5 stelle è salito sul treno (metaforicamente e di fatto) delle previsioni che fino a due settimane fa davano la bocciatura della riforma Renzi-Boschi assai probabile.
Un cambio di paradigma colto con tempismo. Rendendo tuttavia monco l’orizzonte degli eventi.
Perchè se in primavera una strategia sul lungo termine era per lo meno abbozzata, oggi sul 5 dicembre dell’universo stellato è precipitato un imponente punto interrogativo.
Va bene la campagna aggressiva di Grillo, le rassicurazioni alla stampa e alla finanza internazionale di Di Maio, l’Alessandro Di Battista globetrotter su rotaie per spiegare alla gente le ragioni del No.
Ma il giorno dopo?
Le risposte alla domanda cruciale sono nebulose, nel migliore dei casi, arrivando a rasentare una vera e propria confusione nei capannelli che si creano sovente a Montecitorio e a Palazzo Madama.
La premessa da fare è che gli uomini di Beppe Grillo hanno sfogato la carica emozionale della scomparsa del cofondatore nel peggiore dei modi possibili.
Prima pasticciando come più non si sarebbe potuto l’avvio della sfida di governare Roma, poi facendo partire una ridda di faide e di sospetti sul caso delle firme false che hanno colpito la culla embrionale della svolta 5 stelle, la Sicilia, e uno dei suoi leader tetragoni, Riccardo Nuti.
Trovare una linea che metta a sintesi la miriade di diverse opinioni che si confrontano clima esploso ha un coefficiente di difficoltà molto alto.
Paradossalmente, dunque, il Movimento avrà meno problemi a definire la propria linea in caso di vittoria del Sì.
E questo avverrà semplicemente perchè, con un governo Renzi magari riveduto e corretto che continuerà a distribuire le carte, le elezioni saranno ragionevolmente più lontane, e la possibilità di sedersi al tavolo di riforma dell’Italicum saranno ridotte al lumicino.
In caso di vittoria del No, la questione si complicherà non poco.
Dall’interno del Movimento si dice una cosa chiara: “Qualunque sia l’esito, noi chiederemo subito una legge elettorale e una verifica delle urne”.
Toni e sfumature cambieranno sensibilmente a seconda dell’esito delle urne, non altrettanto la sostanza.
“Ma — continua una fonte di primo livello — quel che si muoverà sotto la patina dei post sul blog e delle dichiarazioni di facciata, sarà tutta un’altra storia”.
In caso di vittoria del No rischia di deflagrare in modo conclamato la frattura che già serpeggia da mesi nel mondo M5s.
Con l’ala di Di Maio intenzionata a giocare la propria parte nella riscrittura della legge elettorale prima del ritorno alle urne.
E la parte più intransigente che non ne vuole sapere, e che si arroccherà sulla posizione del “al voto subito” indipendentemente dalle modalità di selezione dei parlamentari, non volendo contaminare l’immagine del Movimento nella girandola delle trattative di Palazzo
“Luigi dovrà per forza battere pubblicamente sul tasto di elezioni subito”, spiega chi gli sta accanto in queste ore.
Ma il terrore è quello di finire in quello che si potrebbe ribattezzare come “loop Imposimato”. Il riferimento evidente è all’elezione del capo dello stato, quando i 5 stelle per preservare la propria purezza incontaminata non riuscirono ad uscire dal voto di bandiera all’ex magistrato, fin da subito inutile, in uno scenario nel quale sarebbero potuti essere determinanti a orientare le scelte del Parlamento.
Gli uomini di Grillo hanno colto una sfumatura importante.
Renzi in campagna elettorale ha eletto a suo bersaglio l’ex comico, curandosi di non attaccare mai frontalmente il vicepresidente della Camera. Sia perchè sa che è lui l’unico interlocutore possibile su quella sponda, sia per contribuire ulteriormente a scavare il solco tra le due anime del Movimento.
Il punto è che Di Maio al momento non ha un piano per andare a sedersi al tavolo dell’Italicum (in nessuno dei due scenari) senza tirare la corda con quella parte di partito che fa capo a Roberto Fico e Roberta Lombardi senza garanzie che si finisca per andare allo show down interno.
Potrebbe aiutarlo il riavvicinamento di queste ultime settimane ad Alessandro Di Battista, che pure gioca una personalissima battaglia tattica.
E la sostanziale copertura politica di Grillo (che non vede all’orizzonte altri leader) con il quale si è ben diviso il gioco delle parti (il leader carismatico a urlare di scrofe e denunce, il vicepresidente della Camera a rassicurare a mezzo stampa Usa, Russia, e la metà dei paesi del G20).
Il quale Grillo, tuttavia, se c’è un punto sul quale nutre forti perplessità , è proprio quello di contaminare l’immagine del Movimento sedendosi a tavoli che vorrebbe nient’altro che ribaltare.
Ed è anche per questo che la strategia sul dopo è tutta da costruire.
Perchè, al di là del fuoco di fila che si celebrerà a telecamere accese, lontano dai riflettori si giocherà una battaglia cruciale.
Che riguarda una legge elettorale che potrà segnare il discrimine tra un M5s al governo o meno. E la — almeno parziale — risoluzione di un braccio di ferro interno che va avanti ormai da mesi.
Su entrambi i versanti i 5 stelle si giocano una fetta importante del loro prossimo futuro.
E al momento, su questo, ancora non si sono schiodati dalla domanda: che fare?
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 3rd, 2016 Riccardo Fucile
RAPPORTO CENSIS: APPENA IL 30,6% VUOLE LA CHIUSURA DELLE FRONTIERE
Il cinquantesimo rapporto Censis sulla situazione sociale del paese disegna un paese sostanzialmente fermo, che si sostiene sui risparmi degli anni precedenti ma non li investe.
Dal 2007 a oggi gli italiani hanno accumulato 114 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva tenuta come riserva nell’incertezza del domani. E più delle cifre, sono le “età ” dei patrimoni a ritrarre il potenziale perso o sprecato che dir si voglia del Paese.
Le risorse sono per lo più nelle mani degli anziani.
L’ultimo rapporto firmato da Giuseppe De Rita, storico presidente dell’istituto, che oggi ha annunciato che l’anno prossimo non sarà più lui a presentarlo, racconta tra l’altro che + nata una “seconda era del sommerso” che punta, dal risparmio cash alla sharing economy, alla “ricerca di più redditi”.
Fenomeno diverso da quella degli anni ’70 che apriva a “una saga di sviluppo industriale e imprenditoriale”, perchè si tratta di una “arma di pura difesa”.
Negli ultimi due anni, “pur se segnati da una “diffusa sensazione di impoverimento”, “c’è stata una grande esplosione dei comportamenti volti all’accumulazione di redditi, di risparmi, di patrimoni e alla decisa volontà di farli ulteriormente fruttare”.
Si va dall’attuazione di “una puntuale politica del risparmio” all’esplosione “negli ultimissimi anni di un grande risparmio cash”: dall’inizio della crisi gli italiani hanno accumulato un incremento di cash pari a 114,3 miliardi di euro: una montagna di denaro ‘tenuta sotto il materasso’ soprattutto per paura.
In Italia non prende quota il populismo neonazionalista come accaduto in altri Paesi, visto che l’uscita dall’Unione trova contrario il 67% degli italiani e favorevole solo il 22,6% , con un 10,4% di indecisi.
E’ favorevole al ritorno alla lira il 28,7% contro un 61,3% di contrari, è favorevole alla rottura del patto di Schengen e alla chiusura delle frontiere italiane solo il 30,6%), contrario il 60,4%.
(da agenzie)
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Dicembre 3rd, 2016 Riccardo Fucile
I DEPUTATI SOTTO ACCUSA PARLANO DI ESSERE VITTIME DI UN INSANO REGOLAMENTO DI CONTI INTERNO… MA LE PROVE VANNO IN ALTRA DIREZIONE
«Inopinate dichiarazioni» di «inopinati protagonisti»: è un linguaggio molto simile quello
dell’avvocato Domenico Monteleone nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera evidentemente in nome e per conto del suo cliente Riccardo Nuti, e quello della deputata Giulia Di Vita nel suo abbastanza programmato «sfogo» su Facebook nel quale ha chiesto le dimissioni di Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio, ovvero degli unici due tra i tredici indagati nell’inchiesta della procura di Palermo sulle firme false a 5 Stelle alle elezioni comunali del 2012 che hanno deciso di rispondere ai magistrati e di collaborare all’indagine
L’ipotesi di complotto sulle firme false a 5 Stelle
Monteleone, calabrese trapiantato a Roma con studio a Gianicolense ma spesso presente alle iniziative sul territorio della deputata Daila Nesci, fidanzata di Nuti, difende sia il deputato siciliano del Grillo di Palermo che Claudia Mannino e Giulia Di Vita indagate insieme a Samantha Busalacchi, collaboratrice sospesa all’Assemblea Regionale Siciliana accusata, insieme ad altri, dal professore di educazione fisica e fan delle scie chimiche Vincenzo Pintagro ma anche, e soprattutto, dal ritrovamento di alcuni dei fogli in cui erano state messe le vere firme raccolte dai 5 Stelle per sostenere la candidatura di Nuti a sindaco, poi sostituiti, secondo l’accusa, nella notte tra il 3 e il 4 aprile nell’allora sede del M5S di via Sampolo a Palermo.
Nel colloquio con Felice Cavallaro l’avvocato Monteleone non parla molto ma qualcosa dice.
In primo luogo se la prende con un gruppo preciso di persone: «I soggetti che oggi accusano erano stati allontanati o avevano motivi di forte rivalsa verso il gruppo guidato da Riccardo Nuti. Protagonisti di un insano regolamento di conti interno al Movimento 5 Stelle», sostiene, il che è vero solo in parte.
«L’autospensione avrebbe portato a compimento un preciso disegno di lotta pseudopolitica con automatico danno verso i miei clienti nonchè verso lo stesso Movimento. Da legale, non vedo perchè un soggetto innocente debba limitare la propria sfera di azione aiutando, così, chi trama alle sue spalle», spiega poi, adombrando una vera e propria ipotesi di complotto che coinvolgerebbe evidentemente anche elementi attualmente dei 5 Stelle ai danni di Nuti, Mannino, Di Vita e Busalacchi.
Posto che finora si parla di soggetti solamente indagati e che prove concrete di questo complotto non se ne vedano, è possibile ricostruire per lo meno parzialmente la versione dei quattro 5 Stelle del Grillo di Palermo sospesi e in attesa di “giudizio” da parte del tribunale speciale grillino e a rischio di richiesta di rinvio a giudizio anche per quello penale.
Bisogna però riepilogare questa storia dall’inizio, e prima ancora mettersi d’accordo: qual è il vero inizio di questa storia?
Quando gli accusati parlano di caso mediatico si riferiscono evidentemente all’«irruzione» della iena Filippo Roma alla festa di Italia 5 Stelle a Palermo.
Ma c’è invece un antefatto: «La questione nasce proprio all’inizio della campagna per le elezioni comunali di Palermo», dice l’avvocato.
Più precisamente, la questione nasce quando vengono presentate le candidature per le comunarie del MoVimento 5 Stelle a Palermo.
A quel tempo chiesero di candidarsi oltre 120 e tra questi il fondatore di Addiopizzo Ugo Forello, l’attivista in difesa dei diritti gay Daniela Tomasino, i collaboratori parlamentari Adriano Varrica e Samantha Busalacchi.
E, ancora, Riccardo Ricciardi, marito della deputata Loredana Lupo, e Igor Gelarda, poliziotto e dirigente sindacale.
Già all’epoca la Casaleggio aveva chiesto ai candidati di evitare dichiarazioni pubbliche, tanto per far capire il clima.
L’intenzione era di proclamare il vincitore durante Italia5Stelle a Palermo, ma vari ritardi hanno portato a rimandare fino allo stop di oggi.
Per quali motivi? A quanto pare c’erano molti curriculum da vagliare attentamente, visto che «Dai controlli sulle esperienze professionali inviate allo staff milanese dei pentastellati, infatti, è emersa la necessità di “approfondimenti aggiuntivi” su alcuni profili» a fronte di prime risposte giudicate non sufficienti
Lo scontro tra correnti alle Comunarie e le firme false
I grillini insomma stanno litigando sulle candidature. La tensione ha già portato il Movimento a “commissariare” momentaneamente anche la gestione del forum, del profilo Facebook e del profilo Twitter.
Gli attivisti locali scrivono un documento per “denunciare” il comportamento dei portavoce, accusati di voler favorire la candidatura di Riccardo Ricciardi, marito della deputata Loredana Lupo. E sfavorire quelle alternative.
Ma molti di questi attivisti sono da anni “nemici” di Nuti e degli altri e ne contestano il ruolo e l’autorità soprattutto dopo le molteplici espulsioni tra i grillini siciliani che nel dicembre 2014 ne avevano falcidiato il numero.
Molti di quelli che accusano se ne erano andati sbattendo la porta cercando strade di partecipazione politica alternative con l’appoggio dei parlamentari siciliani espulsi.
In questo clima torna a spuntare la storia delle firme false. Della quale si hanno molti antefatti.
Come ad esempio l’indagine della Digos che risale al 2013 dopo le dichiarazioni di Pintagro con i poliziotti, che però si rivelò un buco nell’acqua.
Gli uomini di Giovanni Pampillonia, che qualche tempo dopo accompagnerà Grillo in una passeggiata al mercato di Ballarò, fecero qualche domanda ma non trovarono la pistola fumante.
Ovvero sempre quei fogli con le “vere” firme poi falsificate a causa dell’errore nel luogo di nascita di uno dei candidati che rischiava di invalidare l’intera raccolta.
Chissà poi se è vero che Pintagro, come si racconta nella lettera inviata insieme alle firme in forma anonima, subito dopo la testimonianza venne raggiunto da telefonate di attivisti che gli dissero: “Che cazzo hai fatto, la spia su di noi con la polizia?“.
Ma soprattutto: come facevano a sapere gli anonimi di questa storia nota evidentemente solo ai telefonisti e a Pintagro?
Quei fogli nessuno li consegna alla Digos quando indaga, ma qualcuno li manda alla procura di Palermo, a Luigi Di Maio e alle Iene proprio mentre stanno iniziando le Comunarie con relative polemiche.
Se veramente qualcuno voleva lavarsi la coscienza, perchè ha aspettato così tanto tempo?, si domandano alcuni attivisti. Ma anche: chi aveva in custodia quei fogli?
Che collegamenti ci sono tra questa o queste persone e i candidati delle Comunarie? Perchè vengono chiamati in causa fin da subito i parlamentari siciliani?
Claudia La Rocca, la pietra dello scandalo
In tutto questo, la corrente “nutiana” del M5S ce l’ha soprattutto con Claudia La Rocca. In primo luogo perchè, ragionano tra di loro, la La Rocca che su Facebook aveva annunciato di voler vuotare il sacco è la stessa Claudia La Rocca che qualche giorno prima, in seguito alle accuse di Pintagro, aveva detto di essere pronta anche lei a querelare e negato ogni coinvolgimento.
Una coscienza da lavare a intermittenza? Non è poi sfuggito a nessuno che l’avvocato difensore della La Rocca Valerio D’Antoni sia il cofondatore dello studio Palermolegal insieme a Ugo Forello, ovvero uno dei candidati delle Comunarie.
Ma quello che imputano alla La Rocca (e a Ciaccio) sono proprio le “inopinate dichiarazioni“.
Perchè, è questa la tesi, se firme false a Palermo ci sono state (e questo è difficile negarlo), loro sono stati accusati ingiustamente perchè non ne sanno nulla. O meglio: non ne hanno saputo nulla fino all’incursione delle Iene a Italia5Stelle.
«Quando abbiamo capito che la presunta ricopiatura delle firme non era un’accusa campata totalmente in aria ma cominciava ad apparire verosimile siamo stati i primi a preoccuparci e, diciamolo pure, a incazzarci, sia per il presunto errore/tremenda stupidaggine compiuta ma soprattutto per essere stati, addirittura, additati come i fautori della stessa!», ha scritto qualche giorno fa la deputata Di Vita su Facebook. Perchè la La Rocca che ha confessato un crimine passa per vittima e noi che non c’entriamo niente siamo automaticamente considerati complici del crimine? — pensano.
«In forza delle stranezze che abbiamo rilevato, a cominciare dalle inopinate dichiarazioni di La Rocca e Ciaccio, mi è parso chiaro il quadro di quell’insano regolamento di conti interno al Movimento e da lì è nata la forte indicazione di attendere la discovery e di avvalersi della facoltà di non rispondere», dice oggi l’avvocato di Nuti al Corriere della Sera.
I quattro aspetteranno di leggere il verbale di La Rocca per sapere di cosa sono accusati precisamente e con quali prove; poi diranno la loro.
E rilasceranno il saggio grafico, che avrebbero però potuto lasciare subito (la Busalacchi l’ha fatto) per velocizzare le indagini anche perchè poteva dare la certezza di escluderli dalla ricerca di chi aveva falsificato le firme
Un complotto di credibilità
Ma è credibile questa versione? Nella lettera che accompagna i moduli con le firme si racconta che Davide Faraone, durante una polemica con Nuti, nel gennaio 2014 avrebbe risposto al deputato grillino «pensa alle firme false di Palermo».
Alcuni attivisti oggi candidati alle Comunarie dicono di averla saputo a grandi linee la storia perchè veniva raccontata nelle chiacchiere durante e dopo gli incontri.
Che tutti sapessero tranne i leader del Meet Up di Palermo sembra poco credibile.
C’è poi chi aggiunge altri dettagli alla storia: ad esempio il particolare della decisione della La Rocca di confessare arrivata dopo un colloquio con Giancarlo Cancelleri.
Lo stesso Cancelleri che subito dopo lo scoppio della vicenda aveva assicurato punizioni per i responsabili.
Lo stesso Cancelleri che fa parte del comitato d’appello che dovrebbe giudicare i deputati in caso di sanzioni comminate dal collegio dei probiviri dopo la sospensione.
Lo stesso Cancelleri la cui sorella era candidata a Palermo nonostante fosse, come il fratello, di Caltanissetta: una coincidenza che ha portato alcuni attivisti ed ex come Fabio D’Anna e Giuseppe Marchese a puntare il dito contro il fratello: “In quel periodo ancora non si conosceva il nuovo regolamento che, per partecipare alle elezioni in Parlamento, prevedeva una precedente candidatura a una competizione elettorale comunale. Sospettiamo che questa regola fosse già conosciuta all’epoca, altrimenti non si spiega questa fretta nel presentare le liste. Dopo il servizio delle Iene, si sta dipanando un filo logico molto chiaro: gli attivisti storici mai avrebbero avallato questo comportamento, l’hanno studiata per avvantaggiarsi personalmente, estromettendo quelli che potevano dare fastidio e hanno reso il M5S a Palermo terreno sterile”.
Anche questo complotto difetta di credibilità : come potevano sapere prima di una regola decisa dopo?
Di vero quindi finora qui ci sono solo le firme false.
Perchè la La Rocca avrebbe dovuto confessare e, insieme, chiamare in causa altri estranei alla vicenda? Che tipo di vantaggio ne avrebbe avuto?
Perchè mettersi nella condizione di dire il falso con il rischio di essere scoperta?
Soltanto per una battaglia politica — le Comunarie — a cui lei era estranea, visto che era eletta in Regione?
Tutte domande che restano senza risposta e fanno di tutto il quadro scarso logicamente.
In attesa di sentire dalla viva voce dei protagonisti finora muti davanti ai PM come sia andata e in che modo intendano provarlo, le ipotesi di complotto e la loro scarsa (per ora) credibilità partono però tutte da un assunto inequivocabilmente vero: la vicenda delle firme false a 5 Stelle parte in contemporanea con le Comunarie di Palermo e sicuramente non è estranea alla competizione.
Chi aveva in custodia le firme può aver collaborato con altri con lo scopo di mettere fuorigioco i candidati “sgraditi“.
Per avvantaggiarsene o per procurare vantaggio a chi ritiene un amico.
Magari per avere qualcosa in cambio dopo. Anche se evidentemente gli è scappata la mano.
Oggi le Comunarie sono sospese. E se fossero indette è difficile che i candidati del Grillo di Palermo possano farcela, visto che volano stracci giudiziari.
Così come sarebbe difficile per gli onorevoli palermitani ripresentarsi per una riconferma della candidatura alle prossime elezioni politiche, ad oggi.
L’anonimo un risultato almeno l’ha ottenuto.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 3rd, 2016 Riccardo Fucile
LA “FEDE” DEGLI ATTIVISTI E I DUBBI DEI NUOVI ELETTORI… LA VICENDA DEL CENTRO COMMERCIALE: IL M5S PRIMA CONTRARIO QUANDO ERA ALL’OPPOSIZIONE, ORA FAVOREVOLE
Da una parte gli attivisti vecchi e nuovi: quelli che hanno iniziato a credere nel Movimento anni fa o subito dopo le elezioni.
Dall’altra gli elettori, che al progetto per Torino della Sindaca Appendino hanno deciso di scommetterci anche solo per il tempo di mettere una crocetta sulla scheda del ballottaggio.
Piazza San Carlo è divisa così. Una separazione anche geografica, con attivisti più vicini al palco e pronti ad applaudire ai discorsi gridati al microfono.
E gli altri? Ai margini, qualcuno a mugugnare.
LA PAZIENZA FINITA
Avvicinandosi al palco, si incontrano le due anime del M5S cittadino.
Dopo i primi cinque mesi di governo una parte sembra aver terminato la pazienza.
E pretende i cambiamenti promessi in campagna elettorale da Chiara Appendino.
«Io l’ho votata ma per ora mi pare che abbia fatto poco – dice a mezza voce Vito Giacalone, ex dipendente statale ora in pensione – Mi aspettavo un inizio più deciso e anche un intervento per garantirci maggiore sicurezza».
Poi, si ferma e sembra guardare all’orizzonte. «Avevano detto che avrebbero pensato alle periferie ma io che vivo in corso Svizzera non ho visto nessuna differenza: c’è spaccio e l’immigrazione è fuori controllo».
IL CASO WESTINGHOUSE
Il tema del bilancio è il più sofferto per chi milita nel M5S. E i riferimenti sono tutti per il contestato centro congressi e nuovo supermercato nell’area Westinghouse.
«Cosa avrebbero potuto fare? – si chiede un altro attivista – Il rischio era di finire commissariati. Non appena saranno finite le beghe lasciate da Fassino la situazione cambierà radicalmente».
Eppure il tema dei centri commerciali e delle promesse elettorali, sembra interessare solo gli attivisti Cinquestelle.
Troppo distante e tecnico per i semplici elettori che guardano di più ai problemi ravvicinati.
«Westinghouse? Non saprei dirle – dichiara Annibale Tonelli, che vive in Borgo Filadelfia – Io abito davanti al Moi e penso che anche su quella situazione si sarebbe dovuto fare di più».
Federico Callegaro Paolo Coccorese
(da “La Stampa”)
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Dicembre 3rd, 2016 Riccardo Fucile
ENNESIMA PRESA DI POSIZIONE CONTRO IL RESPONSABILE DEL PERSONALE VOLUTO DA VIRGINIA RAGGI
A metà novembre si venne a sapere che la Direr, il sindacato dei dirigenti e dei quadri della Regione
Lazio, aveva inviato un dossier su Raffaele Marra, già vicecapo di gabinetto della Giunta Raggi, nel quale si sosteneva che Marra non avesse i titoli per fare il dirigente al Comune di Roma.
In un dossier inviato all’ANAC il sindacato segnalava le «anomalie relative all’inquadramento del dott. Raffaele Marra nei ruoli della dirigenza del Comune di Roma».
Sufficienti, secondo Direr, a invalidare il suo attuale incarico.
Marra infatti, ricostruisce l’esposto, è diventato dirigente a maggio 2006 vincendo con Alemanno ministro un concorso al Centro ricerche e sperimentazioni in agricoltura. Ebbene il capo del Personale capitolino non solo avrebbe preso servizio prima della pubblicazione della graduatoria, ma sarebbe stato subito trasferito all’Unire con procedura di mobilità interna (per poi sbarcare in Campidoglio, nel 2008, con lo stesso meccanismo).
Un passaggio – denuncia Direr – avvenuto senza aver compiuto il periodo di prova presso il Cra previsto per legge e senza che la mobilità interna fosse preceduta da uno specifico bando o avviso pubblico.
Oggi il Corriere torna sulla storia:
La storia è nota, e Marra ha sempre sostenuto di avere carte e sentenze dalla sua parte: il sospetto della Federazione nazionale dei dirigenti regionali è che Marra non possa ricoprire l’incarico di capo del Personale del Comune di Roma perchè non in possesso dei requisiti necessari.
A cominciare proprio dalla qualifica di dirigente che secondo i sospetti sarebbe stata ottenuta in un concorso poi annullato
Non solo: il ruolo di capo del Personale in Campidoglio può essere ricoperto da Marra in virtù dell’analogo incarico svolto nella Regione di Renata Polverini, ma anche qui la Direr, il sindacato dei dirigenti, non ci vede chiaro visto che il Tar ha più volte dichiarato «illegittima» quella nomina.
A questo punto non rimane che attendere l’Anac: di certo Marra, fortemente difeso da Raggi, ha fatto parecchio discutere dentro lo stesso Movimento. Dai parlamentari alla base, in molti avrebbero preferito farlo fuori dalla squadra.
Anche il Fatto Quotidiano aveva parlato ieri della storia:
Marra “nasce” comandante della Guardia di Finanza: è il 2006 quando, durante il ministero di Gianni Alemanno, approda al Cra, il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura.
Ci resterà appena un mese, prima di transitare in mobilità all’Unire, da cui poi nel 2008 si sarebbe trasferito per la prima volta in Campidoglio.
Tutti passaggi tecnicamente legittimi, se non fossero viziati dalla questione a monte posta dalla Direr: quando è diventato dirigente amministrativo?
Sia al Cra che all’Unire furono banditi dei concorsi in concomitanza del suo arrivo.
Il secondo, però, fu annullato e impugnato dal Consiglio di Stato, quindi è da escludere.
Resta il primo, indicato infatti dallo stesso Marra in più occasioni (ma non per iscritto nel suo Cv leggibile sul sito del Comune), le cui graduatorie non sono più disponibili. C’è però un’incongruenza secondo il sindacato: Marra prende servizio al Cra il 20 aprile 2006, prima che l’elenco dei vincitori del concorso venisse pubblicato.
E se ne va un mese dopo, senza completare il periodo di prova di sei mesi obbligatorio per tutti i neo-assunti da concorso.
In entrambi i casi (che il bando da lui vinto sia stato quello al Cra o all’Unire), “il risultato sarebbe lo stesso”, si legge nell’esposto: “cioè che al momento in cui Marra ottiene l’autorizzazione ad essere assunto al Comune egli non sarebbe stato un dirigente pubblico”.
La Direr contesta anche la sua idoneità ad essere Capo del Personale del Campidoglio: “Può ricoprire questo incarico in virtù della sua esperienza analoga in Regione con la Polverini, che però fu frutto di una nomina che il Tar ha dichiarato più volte illegittima. Gli fa curriculum un’esperienza frutto di un abuso”.
“Il Comune — conclude la numero uno dei dirigenti laziali — avrebbe potuto verificare tutti questi passaggi e l’effettiva validità dei suoi titoli, ma non lo ha fatto”.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 3rd, 2016 Riccardo Fucile
GAFFE DEL M5S DI LIVORNO CHE POSTA LA FOTO SBAGLIATA
“Torino stasera, io dico No”. E’ il post lanciato su Facebook dal Movimento 5 Stelle di Livorno che accompagna la foto di una piazza gremita di persone.
Secondo i grillini la gente che riempie la piazza (Piazza San Carlo a Torino, appunto) sarebbero tutti i contrari alla riforma che sarà sottoposta al referendum costituzionale del 4 dicembre.
Peccato che l’immagine non rappresenti Torino, città dove il Movimento 5 Stelle ha tenuto il comizio di chiusura della campagna elettorale.
Tutt’altro: è Piazza della Signoria a Firenze, dove si è tenuto il comizio del comitato del Sì con l’intervento conclusivo del premier Matteo Renzi.
Insomma, una gaffe in grande stile.
Il post è rimasto online per molte ore nonostante tanti gli utenti cercassero di far notare agli amministratori della pagina l’incredibile errore.
E’ stato poi successivamente rimosso.
E’ rimasta solo la figura barbina.
(da agenzie)
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