Dicembre 8th, 2016 Riccardo Fucile
LA RUSSA, SANTANCHE’, BECCALOSSI, DE CORATO E SOVRANISTI DEI NAVIGLI, NON SGOMITATE: UN ITALIANO A TESTA A CASA VOSTRA, FINALMENTE DALLE PAROLE AI FATTI
Dopo aver cercato famiglie per ospitare rifugiati, adesso con lo stesso meccanismo e lo stesso
contributo il Comune di Milano cerca famiglie disposte ad ospitare sfrattati o senza tetto per sei mesi (prorogabili).
Per questo ha pubblicato un bando che resterà aperto fino al 9 gennaio.
I requisiti richiesti sono avere un’abitazione con una camera per la persona che viene accolta con l’uso del bagno (o un bagno dedicato).
Come contributo per vitto e alloggio Palazzo Marino stanza 350 euro al mese (che salgono massimo a 400 se si ospitano più persone).
“Dal prossimo gennaio – ha spiegato in una nota l’assessore alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino – partiremo con questo nuovo progetto di accoglienza destinato a chi è stato sfrattato e ai senza fissa dimora. Dopo l’esperienza con i cinque titolari di protezione internazionale vogliamo proporre l’ospitalità in famiglia anche a chi si trova in una situazione di grave emergenza abitativa e insieme alla casa ha perso il lavoro e i legami con la propria famiglia di origine”.
Secondo l’assessore, “la possibilità di ricostruire intorno a sè un contesto di accoglienza e di sostegno può essere di grande aiuto in un percorso di riconquista graduale dell’autonomia personale”.
Il Comune garantisce la supervisione e il monitoraggio della sperimentazioni in collaborazione con un partner del terzo settore ancora da selezionare. Il progetto di ospitalità già avviato con i rifugiati – per cui è stato fatto un elenco di 50 famiglie di cui 5 selezionate per l’ospitalità – ha avuto risultati più che soddisfacenti e riprenderà a gennaio.
“La convivenza – hanno sottolineato da Palazzo Marino – è stata molto positiva e ha portato risultati significativi sul piano delle relazioni interpersonali, della crescita individuale dei ragazzi e della loro inclusione sociale”.
Questa iniziativa del Comune siamo certi troverà la disponibilità di coloro che fino a ieri strillavano “Prima gli italiani” e che sicuramente ora, per la loro nota sensibilità e buonismo verso gli indigenti e i poveri, sgomiteranno per accogliere un povero ITALIANO.
Immaginiamo che Salvini, Beccalossi, De Corato, Santanchè, La Russa e sovranisti pluridecorati sgomiteranno per contendersi quegli sfrattati che spesso vanno a trovare nei loro tour elettorali, indicando nei profughi chi porta via loro un alloggio.
Finalmente è il momento del riscatto nazionale!
Avanti miei prodi, date l’esempio e magari rinunciate ai 350 euro al mese, visto che avete sempre sostenuto che non è corretto “guadagnare” su chi è in difficoltà .
E non fate i furbi dicendo che non avete spazio… qualcuno a Recco e a Zoagli ha delle belle seconde case libere, non fateci dire chi.
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Dicembre 8th, 2016 Riccardo Fucile
CAOS ALL’ASSEMBLEA M5S, GUERRA TRA CORRENTI, GRILLO COSTRETTO A INTERVENIRE
L’assemblea dei deputati e dei senatori M5S sembrava un crocevia di correnti.
E Beppe Grillo il giorno dopo parla con toni lapidari chiedendo a tutti di “partecipare alla scrittura del programma di governo e all’individuazione delle persone che lo attueranno, di lasciare da parte le questioni personali e l’interesse particolare. Altrimenti si faccia da parte”.
Alcuni parlamentari, andati via trafelati al termine della riunione, si sono ribellati alle “decisioni calate dall’alto”, come la scelta di chiedere il voto con l’Italicum che sa tanto di “giravolta”.
L’incontro era stato convocato per discutere del governo 5Stelle e per programmare le prossime mosse alla vigilia delle consultazioni al Colle, invece è finito nel caos con tanto di scontro tra chi, come il deputato sospeso Riccardo Nuti, voleva parlare del caso firme false di Palermo e chi invece ha silenziato l’argomento.
E così Beppe Grillo, nonostante qualcuno lo descriva “stanco” a causa del tour referendario, è intervenuto per la seconda volta in quarantotto ore per sedere le polemiche interne e per dire stop alle fazioni, ai punti di vista differenti, alle spigolature.
Insomma, ognuno le può chiamare come meglio crede ma sempre di correnti si tratta. Il fondatore, ancora detentore di un simbolo da cui ha tolto il nome, ma che rimane di sua proprietà , ha riversato sul blog tutta la sua ansia: “Nel Movimento 5 Stelle non esistono correnti. Abbiamo bisogno di idee condivise, non di opinioni divisive”.
Parole che provano a sbarrare la strada alle due fazioni, che vedono da una parte Luigi Di Maio e dall’altra Roberto Fico.
“Hanno idee diverse del Movimento, certo, ma non ci vedo una corsa tra correnti per la spartizione delle poltrone”, dice la deputata Roberta Lombardi, conoscitrice profonda del mondo pentastellato, che in un’intervista a La Stampa ammette che tra i grillini vi sia una diversità di vedute.
Grillo però, per evitare che si vada alla conta già adesso, quando ancora le elezioni potrebbero essere lontane, mette in chiaro che “il candidato premier sarà un candidato premier portavoce che proporrà agli italiani il programma di governo 5 Stelle votato in Rete”.
Quindi, il leader conclude: “Dobbiamo essere uniti e compatti. Un corpo solo, un’anima sola”. Niente “idee diverse”. Il post suona come un richiamo alla compattezza.
La lotta interna però potrebbe essere solo all’inizio, e più sarà lontana la data delle elezioni più il pericolo di divisioni sarà concreto.
Per evitare altri screzi, sabato alle consultazioni con il presidente della Repubblica andranno solo i capigruppo di Camera e Senato, Giulia Grillo e Luigi Gaetti.
Non andrà Beppe Grillo, come invece successe nel marzo del 2013, e non ci saranno neanche componenti dell’ex Direttorio.
Una salita al Colle di Luigi Di Maio, che per i vertici rimane il leader in pectore, avrebbe suscitato l’ira dei parlamentari convinti ancora che il vicepresidente della Camera potrà avere una posizione di rilievo rispetto agli altri parlamentari 5Stelle solo se ci sarà un passaggio formale sulla Rete.
Nel caos generale c’è anche una fronda che preme per Alessandro Di Battista, che ha girato l’Italia in sella alla sua moto per dire No alla riforma costituzionale e che è il personaggio grillino che più di tutti raduna i sostenitori in piazza.
Per adesso Dibba si è collocato al fianco di Luigi Di Maio, in un asse che sembra saldo, ma secondo qualcuno sta giocando una sua personalissima battaglia anche lui verso Palazzo Chigi.
Venerdì i parlamentari 5Stelle torneranno a riunirsi proprio perchè, durante la riunione di mercoledì sera, diversi punti sono rimasti in sospeso.
Ci si è a lungo soffermati sulla proposta di votare con l’Italicum per spiegare ai dissidenti che non si tratta della legge voluta da Matteo Renzi ma di quella rivista dalla Consulta.
Tuttavia facendosi largo l’ipotesi di un nuovo governo, i 5Stelle dovranno riorganizzare la loro strategia di lotta evitando di logorarsi al proprio interno con il passare del tempo.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 8th, 2016 Riccardo Fucile
LA RICHIESTA ARRIVA DA 128 PARLAMENTARI CHE OVVIAMENTE LO FANNO PER “SENSO DI RESPONSABILITA'”
Un esercito di 128 parlamentari invoca un esecutivo purchè duri fino all’autunno prossimo.
Meglio ancora fino alla scadenza naturale, febbraio 2018.
Con sfumature differenti i ramoscelli dell’arco costituzionale che gravitano in orbita centrista si metteranno in fila, parleranno con il Capo dello Stato Sergio Mattarella e gli faranno più o meno un ragionamento di questo tipo: «Sì, alla modifica della legge elettorale, no a un Renzi-bis, sì a un profilo politico che rispetti le scadenze europee e che rilanci l’economia».
D’altronde, per dirla con Nicola Latorre, senatore di peso del Pd, «in Parlamento cresce ora dopo ora la consapevolezza di un forte senso di responsabilità anche da parte di chi invoca le elezioni anticipate».
«Responsabilità », appunto, è la parola d’ordine che impazza passando da un capannello all’altro del Transatlantico.
Vincenzo D’Anna è uno dei senatori di Ala, il partito di Denis Verdini che fra Montecitorio e Palazzo Madama annovera 34 membri.
D’Anna non si recherà da Mattarella ma svela alla Stampa la strategia degli ex berlusconiani: «Il Renzi-bis si deve escludere perchè l’ex premier perderebbe la faccia. Chiederemo un esecutivo con un larga maggioranza guidato da un Guerini o da un Orlando. Queste due figure potrebbero traghettare il governo e avere come obiettivo un programma sei-sette punti».
Per D’Anna le urne sono l’ultima cosa a cui pensare: «Al massimo – ripete – si può immaginare di tornare al voto in autunno prossimo».
Sotto voce prende forma un esecutivo che guardi al 2018: «Se un governo inizia, poi dura. Chi avrebbe il coraggio di far cascare un governo così».
Paolo Naccarato, senatore del Gal con un passato da stretto collaboratore di Francesco Cossiga, è fra coloro che invocano la stabilità : «Siamo assolutamente impegnati a facilitare il gravoso impegno del Capo dello Stato. La legislatura deve proseguire fin dove è necessaria senza perdere di vista la scadenza naturale».
A taccuini chiusi qualcuno azzarda una previsione sul futuro premier: «In pole position vedo Paolo Gentiloni».
Anche Lorenzo Cesa, che varcherà l’ingresso del Quirinale in nome dell’Udc, afferma con chiarezza che «se ci fosse una responsabilità comune si potrebbe dar vita a un governo politico che duri fino a fine legislatura».
Pino Pisicchio, presidente del gruppo misto di Montecitorio, pronto a rappresentare le ragioni di ben 52 parlamentari, invoca «un governo vero che possa rassicurare i mercati internazionali e che ricompatti il Paese in queste settimane scollato dal referendum».
Tra i realisti Luigi Compagna, uno che in questa legislatura ha già cambiato quattro casacche, e oggi milita nel gruppo di Raffaele Fitto, Conservatori e riformisti: «Le rispondo dalla Macedonia, voglio solo osservare che il governo a termine non è previsto dalla Costituzione e che dunque l’Italia necessità di un governo. Ad esempio, un governo guidato da Paolo Gentiloni non sarebbe un esecutivo a scadenza». Altrimenti, ironizza prima di chiudere il telefono, «non essendoci più Giovanni Leone, il Capo dello Stato Sergio Mattarella potrebbe pensare a un governo Compagna. Ho un abito grigio per salire al Quirinale».
(da “La Stampa”)
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Dicembre 8th, 2016 Riccardo Fucile
SIA LORO CHE I BERSANIANI NON VOGLIONO ANDARE AL VOTO… LA GEOGRAFIA INTERNA DEI GRUPPI
Ormai il Pd è un partito “balcanizzato”. Lo scoramento di un fervente renziano dice tanto di come la sconfitta referendaria si sia abbattuta sul Partito Democratico.
Un fulmine che ha spaccato la maggioranza del segretario Matteo Renzi: i renziani di qua, i franceschiniani (Areadem) di là .
In mezzo, tanta tempesta e altri due poli: i Giovani Turchi, che stanno ancora con il segretario; i bersaniani, che stanno con l’ex segretario e Roberto Speranza ma di certo ora sono tornati vicini ad Areadem.
Perchè la rottura vera si è consumata tra i due big player: Renzi e Franceschini, i vincitori del congresso contro Bersani, l’asse che finora ha retto il Pd.
Ecco: Matteo e Dario non sono più una cosa sola, se ma lo sono stati.
Al netto di tutto, delle varie posizioni di partenza, voto o non voto, dimissioni, reincarico, governo di scopo o istituzionale, Renzi si è infastidito per come Franceschini si è presentato quale portavoce del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Nelle riunioni ristrette con Renzi, in quelle di area nel gruppo parlamentare.
Insomma, ritagliandosi il ruolo di ‘ambasciatore del Colle’ che ha oscurato il segretario di fronte al capo dello Stato.
Nessuna sorpresa, visto che alla Camera uno dei più ferventi franceschiniani, Francesco Garofani, presidente della Commissione Difesa, è vicinissimo a Mattarella. Da prima che venisse eletto al Colle.
Ma Renzi si è infastidito ugualmente. E come lui, le altre aree del partito. A cominciare dai Giovani Turchi, i quali – ora che questa crisi è incanalata sui binari delle consultazioni al Colle per vedere di formare un governo di larghe intese oppure il voto – sono dalla parte di Renzi.
E anche loro — da intendersi Andrea Orlando, Matteo Orfini e le loro nutrite truppe parlamentari – guardano con sospetto a Franceschini.
Tutti contro tutti? Da parte sua il ministro dei Beni Culturali lascia trapelare irritazione come viene raccontato sui media. Da una parte. Dall’altra, assicura che Renzi è il segretario del Pd e nessun governo può nascere contro di lui.
Per ora nel Pd ognuno gioca la sua partita, con alleanze che possono anche cambiare nei prossimi mesi a seconda di chi la spunta.
Una cosa però è certa: Renzi non ha più la maggioranza nei gruppi parlamentari, che sono sempre stati un campo difficile per lui, eletti in epoca bersaniana, modellati sulla base dell’asse Bersani-Franceschini che reggeva il partito nel 2013.
Ora Renzi ha perso l’appoggio dei franceschiniani, passati con lui alle primarie che lo incoronarono segretario esattamente tre anni fa: nel giorno dell’Immacolata del 2013. Continua ad avere una maggioranza in direzione, ma fragile: a patto che i Giovani Turchi restino con lui.
Basta un’occhiata al pallottoliere dei gruppi di Camera e Senato per pesare la solitudine di Renzi.
Il segretario può contare su circa 50 fedelissimi a Montecitorio: qui i renziani puri all’inizio della legislatura erano solo 34. Al Senato al momento dispone di 16 eletti, di cui 13 iniziali. Poca roba rispetto agli eserciti di Areadem.
Franceschini conta una 90ina di deputati, una trentina di senatori ed entrambi i capigruppo: Ettore Rosato alla Camera, Luigi Zanda al Senato. Una potenza di fuoco che può decidere tutto. E infatti in questi giorni post-voto ha deciso tutto, riuscendo a condizionare Renzi: è la prima volta che accade da quando è segretario e premier.
I bersaniani sono una ventina al Senato, dai capitani Gotor, Migliavacca e Fornaro a quelli che comunque hanno votato sì al referendum, come Chiti, Idem, Sposetti.
L’ex segretario e l’ex capogruppo Roberto Speranza possono contare su una trentina di parlamentari alla Camera.
L’altra componente forte sono i Giovani Turchi: 40 a Montecitorio, solo 17 a Palazzo Madama ma attivissimi per il ministro Orlando, pronti a sfornare un comunicato a ogni alzata di sopracciglio del Guardasigilli particolarmente infuriato con Renzi per lo stop al ddl sul processo penale prima del voto. Ruggini per ora ricomposte. Fino a quando?
Tra questi quattro poli, si muovono singoli, indipendenti, correnti più piccole. Gente su cui Renzi non può contare. O per lo meno, non è scontato.
‘Sinistra è cambiamento’ fa riferimento al ministro Maurizio Martina, che non nasce renziano ma lo è diventato. E ora è rimasto vicino al segretario, con la sua 50ina circa di parlamentari.
Anche se pure Martina, in una riunione di area martedì, ha dovuto frenare rispetto alla richiesta di voto immediato che aveva cavalcato all’unisono con Renzi subito dopo la sconfitta al referendum.
Anche lui è stato ‘richiamato’ ad allinearsi a Mattarella: al voto se proprio non si sa come uscirne e comunque non prima della fine del 2017, raffreddiamo le macchine.
Alla Camera ci sono cuperliani (una decina), rimasti col segretario, ma critici.
E poi 4-5 prodiani, tra cui Sandra Zampa; 4-5 veltroniani, tra cui Walter Verini, un paio di cattodem, un paio di lettiani, componente che si è per lo più dissolta quando Enrico Letta è partito per Parigi dopo la ‘cacciata’ da Palazzo Chigi.
Al Senato c’è poi il gruppetto di cosiddetti ‘indipendenti’. Sono 13, tra loro ci sono senatori che finora hanno lavorato col segretario, da Anna Finocchiaro, presidente di prima commissione attivissima sulle riforme costituzionali, a Nicola Latorre, presidente della commissione Difesa e primo dalemiano passato con Renzi.
Entrambi però ancora oggi non possono certo dirsi renziani. E poi tra gli indipendenti ci sono Walter Tocci, la madrina delle unioni civili Monica Cirinnà , l’ex operaista Mario Tronti, Sergio Zavoli, Felice Casson. Gente di estrazione varia, certo non ascrivibile a Renzi.
E sempre al Senato ci sono scampoli di Retedem, gli ex civatiani rimasti nel Pd.
Sono due: Lucrezia Ricchiuti e Sergio Lo Giudice. Avevano anche Laura Puppato, ormai renziana.
Il segretario forse può continuare a contare sugli ex di Scelta Civica: Lanzillotta, Ichino, Giannini. Forse.
Ma comunque non basta. Di certo, per ora Renzi è in minoranza sulla grande discriminante di questa crisi di governo: se andare al voto in primavera o aspettare, magari anche fino a fine legislatura nel 2018. Lui vorrebbe votare anche domani.
La maggioranza dei gruppi vuole aspettare di maturare la pensione a fine settembre.
E chi non sta sicuro nella propria corrente o non ne ha una di riferimento, prende tempo per cercare casa e candidatura al prossimo giro.
(da “Huffingtonpost“)
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Dicembre 8th, 2016 Riccardo Fucile
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Dicembre 8th, 2016 Riccardo Fucile
SONDAGGIO PIEPOLI: UN PARTITO DI RENZI AL 33%…. TRA I PARTITI STABILE IL PD, CALANO M5S E LEGA, SALE FORZA ITALIA…IL 55% VUOLE VOTARE SUBITO, IL 33% NO
Le dimissioni hanno fatto bene a Matteo Renzi.
È la conclusione che salta all’occhio guardando i risultati del sondaggio che abbiamo realizzato dopo la netta vittoria del No al referendum.
Il 59% degli intervistati ha gradito il passo indietro annunciato domenica sera e la fiducia nel premier dimissionario è cresciuta di due punti rispetto alla settimana precedente.
Un risultato abbastanza sorprendente, se si considera che i «vincitori» del referendum, ovvero Luigi Di Maio e Beppe Grillo, hanno perso rispettivamente uno e tre punti in popolarità , mentre Salvini è rimasto stabile.
L’unico vero vincitore a destra, in termini di immagine, risulta essere Silvio Berlusconi, che guadagna due punti (la sua base di partenza era però molto bassa).
Ma c’è di più. Se Matteo Renzi decidesse di fondare un nuovo partito di centro sinistra, un intervistato su tre (33%) si è dichiarato disposto a votarlo.
Un dato maggiore, se incrociato con le intenzioni di voto, rispetto a quanto prenderebbe il Pd (32,5%).
Il post crisi
Per quanto riguarda il dopo Renzi, invece, è stato chiesto a chi dovrebbe affidare Mattarella l’incarico di formare un nuovo governo.
Ci sono tre nomi in evidenza, tra cui quello dello stesso leader Pd.
In testa troviamo il presidente del Senato Pietro Grasso (16%) e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan (16%), seguiti proprio da Matteo Renzi (14%).
L’ipotesi di elezioni anticipate, poi, è caldeggiata dal 55% del totale degli intervistati. Più nel dettaglio, il 70% degli elettori di centrodestra e M5S vorrebbero andare subito alle urne.
Quelli di centro sinistra, invece, vorrebbero che la legislatura continuasse fino alla naturale scadenza del 2018.
Stabile il Pd
Un’altra sorpresa arriva osservando le intenzioni di voto, in cui il Pd risulta assolutamente stabile (come se nulla fosse accaduto), mentre il Movimento 5 Stelle scende di un punto e la Lega di mezzo punto.
L’unico partito non di sinistra che guadagna (un punto in più) è Forza Italia, per il rientro nei propri ranghi (almeno in termini di immaginario) di Berlusconi.
Ma chi sono stati, secondo l’opinione pubblica, il vero vincitore e il vero sconfitto dopo il voto popolare?
Uno solo risulta vincitore: il Movimento 5 Stelle, che appanna tutti gli altri. Ciononostante anche Lega Nord, Forza Italia e persino il Partito democratico compaiono come eventuali «partecipi» della vittoria. Quanto al vero perdente, gli intervistati ne hanno identificato uno soltanto: il Pd.
Tutti gli altri partiti, in termini di sconfitta, sono «comparse laterali».
Nicola Piepoli
(da “La Stampa”)
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Dicembre 8th, 2016 Riccardo Fucile
GENTILONI O PADOAN A PALAZZO CHIGI IL TEMPO NECESSARIO PER ANDARE AL VOTO
È sera, l’auto corre veloce verso Pontassieve, Matteo Renzi ha bisogno di mettere una distanza fisica e mentale tra sè e la Capitale.
«Mi tolgo dalla scena, vado via con un atto di dignità politica», dice.
Il governo è caduto in piedi, con 173 senatori che hanno votato la fiducia. Adesso è il momento di valutare la tattica più giusta per arrivare all’obiettivo, contare gli amici e difendersi dai nemici.
Perchè il progetto ormai è delineato e non confligge con quel «percorso ordinato» che ha in mente il capo dello Stato: consentire la nascita di un nuovo governo che duri tutto il tempo necessario ad approvare una nuova legge elettorale, mettere in sicurezza i conti e le banche, non far sfigurare l’Italia al G7 che si terrà a maggio in Sicilia.
Un esecutivo guidato da una personalità riconosciuta a livello internazionale.
E ci sono, agli occhi del segretario Pd, vari profili sia interni che esterni al governo a cui affidare questo incarico.
Un poker con le facce di Pier Carlo Padoan, Paolo Gentiloni, ma anche Giuliano Amato o Romano Prodi.
Per i nomi è ancora presto, «non si possono bruciare le tappe», confida ai suoi il premier dimissionario.
Ma Renzi, per raggiungere la meta, ha bisogno che la crisi si svolga davanti al Paese, che vengano squadernate chiaramente le responsabilità di tutti i giocatori.
A partire naturalmente dalle opposizioni.
«Devo andare a vedere le loro carte», dice Renzi. Per questo le consultazioni che inizieranno oggi al Quirinale assumono un valore fondamentale.
I grillini dovranno ammettere che per approvare una nuova legge elettorale, fosse anche l’estensione dell’Italicum al Senato, bisogna dar vita a un nuovo governo e aspettare la sentenza della Consulta a fine gennaio.
Lo stesso dovrà ammettere Berlusconi, per fare una legge elettorale che vada bene a tutti non bastano poche settimane, secondo la previsione di Renzi «occorreranno sei mesi».
Senza contare la data fatidica del 16 settembre, quando per i parlamentari di prima legislatura scatterà il diritto alla pensione.
Insomma, il leader del Pd, prima di acconsentire alla nascita di un nuovo governo, ha la necessità che M5S, Salvini e Berlusconi si espongano.
«Io non ho paura di votare — ripete in privato — e non posso certo farmi dire da questi che diamo vita di nuovo a un governo non eletto che tradisce il popolo. Devono essere loro, le opposizioni, a chiederci di far proseguire la legislatura».
E lui, Renzi, adesso cosa farà ? Davvero non succederà a se stesso?
L’interessato lo esclude in maniera categorica.
«Il Renzi-Bis esiste solo se me lo chiedono Grillo e Salvini».
Ovvero è un’ipotesi dell’irrealtà . Nelle conversazioni di queste ore con i fedelissimi è un altro il compito che si assegna.
Si dedicherà in toto al partito. E farà piazza pulita dei suoi oppositori. Con un congresso, certo. Da fare il prima possibile, «subito», soprattutto in caso di accelerazione sul governo.
Insomma, nella testa del segretario il nuovo esecutivo Padoan o Gentiloni durerà il tempo necessario, anche un anno se serve.
«Nel frattempo io rifaccio la squadra al partito e preparo la ricandidatura alle politiche».
L’ex premier è convinto che lo spazio ci sia, la sconfitta al referendum, invece di abbatterlo, sembra averlo galvanizzato.
Parla di migliaia di mail arrivate al partito, di «tanta gente incazzata che ha voglia di battersi», di un boom di iscrizioni: «E’ come il popolo dei fax, come quando la gente piangeva dopo la caduta di Prodi».
Un movimento di popolo quindi, non una questione interna al Pd e alle sue eterne lotte fratricide.
Certo, oltre al ruolo giocato in pubblico e in campo aperto dalla minoranza bersaniana e da D’Alema, in queste ore Renzi sta considerando anche quello che starebbe svolgendo dietro le quinte il principale «stakeholder» del partito: Dario Franceschini. Con il quale dire che è calato il gelo è un eufemismo.
Il segretario non si fida affatto, pensa che il ministro stia giocando in queste ore una sua partita personale. Cercando persino, così gli è stato riferito, la sponda di Berlusconi per pugnalare il leader del suo partito.
La cosa che più lo ha fatto imbestialire è il sospetto che Franceschini stia lavorando per farlo litigare con Mattarella. O per accreditare all’esterno l’immagine di un diverbio tra il segretario Pd e il capo dello Stato.
Anche per regolare questi conti servirà il congresso prossimo venturo.
Francesco Bei
(da “La Stampa”)
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Dicembre 8th, 2016 Riccardo Fucile
ALTRO CHE FAMIGLIA MAROCCHINA RESPINTA PER RAZZISMO, CHI FOMENTA LA CACCIA ALLO STRANIERO E’ PERCHE’ NON VUOLE PERDERE IL CONTROLLO DI UN TERRITORIO DOVE SI SPACCIA A CIELO APERTO E I CLAN GESTISCONO IL MERCATO ILLEGALE DEGLI ALLOGGI…. E LA PSEUDO DESTRA COGLIONA TIENE LO STRASCICO
A Roma, nel quartiere San Basilio, a una famiglia di origini marocchine è stato impedito di
prendere possesso di una casa assegnata dal Comune.
Ma facciamo un passo indietro.
Esattamente un anno fa, a San Basilio, l’operazione “Terra nostra” sgomina una banda dedita allo spaccio di stupefacenti in via San Benedetto del Tronto e in piazza Urbania.
Droga nascosta ovunque: nei contatori del gas, della luce, nelle aiuole.
San Basilio è una piazza di spaccio a cielo aperto, come Scampia, come i bassi di Forcella, come i Quartieri Spagnoli e la Sanità a Napoli.
Come il “casermone” di Frosinone, dove l’operazione “Fireworks” ha appena portato a oltre 50 arresti. Una piazza di spaccio attiva 24 ore su 24, con un guadagno di 40 mila euro al giorno.
Fireworks perchè la presenza di droga è segnalata con fuochi d’artificio, esattamente come da sempre avviene a Napoli. Un know how esportato per il più redditizio degli affari.
E come ogni piazza di spaccio, San Basilio deve essere sotto il controllo totale delle organizzazioni.
Sono loro a decidere chi può rimanere, chi può entrare, chi deve andar via, chi vi può transitare e di certo lo Stato non è il benvenuto, con le sue legittime decisioni, con le sue “imposizioni”.
Queste dinamiche sono familiari a chi studia le organizzazioni criminali perchè a Napoli i clan gestiscono l’ingresso e l’uscita dalle case popolari.
Tempo fa un giornalista, Antonio Crispino, se ne occupò, ma la notizia non ebbe il giusto rilievo sui media nazionali. Bastava osservare la mappa criminale disegnata dalla Direzione Investigativa Antimafia per accorgersi che i clan controllavano gli alloggi popolari per avere il territorio sotto scacco.
Non è un caso che durante le faide di camorra interi nuclei familiari vengano deportati da un palazzo all’altro. Il Comune di Napoli e le forze dell’ordine, pur sapendo, non agiscono perchè agire equivarrebbe a dichiarare guerra ai clan e allora si mantiene la pace, ma a quale costo?
Giuseppe Borrelli, procuratore aggiunto della Dda di Napoli dice: “Diverse inchieste hanno accertato che soprattutto nella zona orientale della città i clan gestiscono l’ingresso e l’uscita dalle case popolari”.
È un fatto mai smentito, un fatto che sfugge al sindaco di strada Luigi de Magistris. Di strada sì, ma solo in alcuni quartieri.
E le periferie romane stanno prendendo sempre più le sembianze di quelle napoletane perchè sono piazze di spaccio e il traffico di droga è l’unico affare redditizio
Qualcuno obietterà che nel caso di San Basilio i condomini hanno protestato perchè l’alloggio era già occupato da un’altra famiglia. Qualcuno penserà che droga e criminalità organizzata non c’entrino nulla, che si tratta di persone perbene che non volevano finire in strada. E c’era bisogno di cori razzisti, mi domando.
La famiglia di origini marocchine ha deciso di rinunciare all’alloggio. Voi che avreste fatto?
Certo non si può pretendere che gli immigrati vengano in Italia a difendere diritti che noi abbiamo persino dimenticato di avere.
Quali sarebbero state le loro prospettive di vita? Sarebbero stati assediati, minacciati, braccati. E questo ci fa capire che oggi è sulle periferie che dobbiamo rivolgere lo sguardo e le periferie romane sono un’emergenza assoluta.
La sindaca Raggi ha definito ciò che è accaduto a San Basilio “una vergogna per Roma e per i romani”: ma adesso cosa accade?
Una vergogna, ma con quali conseguenze?
Il Movimento 5 Stelle amministra Roma, si candida al governo del Paese e Grillo ha chiesto agli italiani di votare con la pancia, io invece ritengo che si debba sempre votare con la ragione perchè il voto d’istinto è svuotato di consapevolezza e quindi di libertà .
Roma è la ferita, osserviamola dunque attentamente per capire cosa accade, cosa possiamo aspettarci e cosa dobbiamo legittimamente chiedere.
Inizierei col pretendere dalla sindaca Raggi e dal Movimento 5 Stelle una posizione netta sulla questione migranti, non sulla loro gestione, ci mancherebbe, quella riguarda le prefetture, ma una posizione che chiarisca una volta per tutte il rapporto politico con la peggiore destra romana che dimostra di essere eversiva nel sabotare le decisioni dello Stato e i diritti acquisiti dalle persone.
Una posizione che servirebbe a chiarire anche in che termini si distingue, il Movimento, dalla xenofobia di Salvini e della Lega Nord, con cui hanno fatto fronte comune per il No.
E poi, essendo San Basilio una piazza di spaccio riconosciuta, mi domando quale sia l’orientamento della sindaca Raggi in merito alla legalizzazione delle droghe leggere: a oggi è l’unico sindaco di città metropolitana a non avere ancora assunto una posizione.
Guardare dentro la ferita è l’unico modo per comprendere l’anima di un Paese che ancora si sogna solare e accogliente, ma che è diventato cupo e sofferente.
Di una sofferenza che non trova consolazione.
Un’Italia che ci piace poco, perchè la marginalizzazione, la segregazione, la povertà , la disperazione è difficile guardarle in faccia. Eppure c’è qualcosa di peggio che guardare in faccia la miseria, qualcosa di cui la misera riesce a essere paravento.
Qualcosa che sotto la miseria si può nascondere. Eppure dovremmo sapere che dove mancano opportunità , dove c’è dispersione scolastica, dove la disoccupazione supera i livelli di guardia, la miseria è in fondo la faccia presentabile di una piaga ben peggiore: la criminalità , che ci mette poco a diventare organizzata.
E così, non più tardi di domani, avremo dimenticato la famiglia marocchina cacciata da San Basilio mentre il quartiere, la sindaca e tutti noi ci terremo stretti gli spacciatori: loro portano guadagno, creano indotto, si va a San Basilio a prendere una dose.
In fondo sempre di turismo si tratta.
Roberto Saviano
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 8th, 2016 Riccardo Fucile
TRA LITI INTERNE, SCANDALO FIRME FALSE, CAUSE IN TRIBUNALE A SUE SPESE, SPACCATURE SUL FUTURO PREMIER, IL COMICO NON NE PUO’ PIU’ E MEDITA IL RITORNO A FARE IL COMICO A TEMPO PIENO
Cosa succede a Beppe Grillo?
L’interrogativo è quanto mai attuale perchè alcuni quotidiani nazionali, come La Repubblica e La Stampa, rivelano un retroscena di rilievo: il leader del Movimento 5 Stelle è stanco e vorrebbe ritornare a una delle sue passioni, il teatro.
Scrive La Stampa
“Basta non ne posso più, mi prendo una pausa, ha confidato il leader M5S subito dopo il voto sul referendum. In realtà , era nei piani già da prima. Grillo vuole tornare al suo vero mestiere, sta lavorando a un nuovo spettacolo da portare in tour.
Quando è dovuto riscendere nell’arena politica nei giorni turbolenti del pasticcio a Roma, pensava di farlo a tempo. Invece alle laceranti liti dentro il M5S culminate con l’attacco a Luigi Di Maio sono seguite le incognite sul regolamento, le cause in tribunale che rischiavano di prosciugare le tasche del comico. Poi ci sono state le spaccature non sanate, come tra Di Maio e Roberto Fico, lo scandalo delle firme false a Palermo, e l’intensa campagna elettorale per il referendum.
Ecco perchè, spiega sempre La Stampa, il post pubblicato ieri da Grillo su Facebook, in cui si dice “assediato in casa da tre giorni dalle tv” e dove sottolinea che “non capiscono cosa sia un comico professionista” suona come un campanello d’allarme.
Qual è la strategia di Grillo?
“Fonti del M5S – si legge ancora nel retroscena della Stampa – confermano l’intenzione di staccare la spina e di essere sempre meno fisicamente presente. Ci sarà virtualmente, dal blog, da cui continuano a piovere scelte strategiche e indicazioni politiche.
Grillo è stanco insomma. Così stanco, scrive Repubblica, che non salirà al Colle per le consultazioni con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, volte a dare un nuovo governo all’Italia.
Al Quirinale andranno i due capigruppo M5S accompagnati da Luigi Di Maio.
Grillo, invece, sarà a Genova, dove lunedì e martedì è in programma uno spettacolo.
(da “Huffingtonpost”)
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