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M5S, SACRESTANI DEMOCRISTIANI: INVECE CHE MENARE IL TORRONE DEL REFERENDUM SULL’EURO ABBIANO LE PALLE DI DIRE SE SONO A FAVORE O CONTRO

Dicembre 9th, 2016 Riccardo Fucile

LA SOLITA MENATA DEL REFERENDUM CONSULTIVO (CHE NON SI PUO’ NEPPURE INDIRE)   PER PRENDERE PER I FONDELLI L’ELETTORE

Alessandro Di Battista ha spiegato che il MoVimento 5 Stelle vuole che siano gli italiani a decidere quale moneta utilizzare. L’unico modo per farlo, visto che i Cinque Stelle continuano a non dire se una volta al Governo vorranno fare uscire il Paese dall’Euro, sarebbe quello di indire il famoso referendum.
C’è innanzitutto un problema: l’Italia è nell’Euro in virtù di un trattato internazionale (l’euro è stato istituito proprio tramite un trattato internazionale, quello di Maastricht) e la Costituzione all’articolo 75 non ammette la possibilità  di tenere una consultazione referendaria per autorizzare la ratifica di un trattato internazionale (ratifica che per altro è già  avvenuta) in questo caso si tratterebbe di sottoporre ad un eventuale referendum l’articolo 108 del trattato istitutivo della Comunità  Europea, attuato con la legge n. 433/1997 e 213/1988.
Non è certo la prima volta che dalle parti dei Cinque Stelle si chiede un referendum per uscire dall’Euro, anzi Grillo stesso l’ha chiesto numerose volte ogni volta in un modo diverso, ma la dichiarazione di Di Battista, in un’intervista che inaugura la campagna elettorale, lascia ben sperare tutti i no euro italici, da Salvini a Borghi.
L’ultima volta che Grillo era tornato a martellare sull’uscita dall’Euro era il 2014, all’epoca il MoVimento 5 Stelle stava festeggiando al Circo Massimo e Grillo aveva annunciato l’inizio di la raccolta di un milione di firme per la presentazione di una legge d’iniziativa popolare per arrivare all’istituzione del referendum consultivo sull’euro.
Il MoVimento aveva anche stabilito anche i tempi entro i quali si sarebbe arrivati al referendum consultivo (che nel nostro ordinamento non esiste).
Detta consultazione si sarebbe dovuta tenere tra dicembre 2015 il gennaio 2016 e quindi all’uscita dall’euro sarebbe dovuta avvenire entro i primi mesi del 2016.
Lo certificava un post del giugno 2015 dove Grillo annunciava che il M5S stava per depositare 200 mila firme per dare il via alla legge di iniziativa popolare (non un milione quindi):
Proposta di legge che doveva essere per forza una legge costituzionale, visto che si sarebbe andati a modificare un articolo della Costituzione (quella intoccabile!) per poter consentire così al popolo di esprimersi.
Come forse i lettori più attenti si saranno accorti il referendum del dicembre 2015 / gennaio 2016 non si è tenuto, perchè il Parlamento non ha discusso la proposta di legge avanzata da Grillo (e il sito fuoridalleuro.com messo in piedi per la raccolta firme è scomparso).
Ironicamente se fosse passata la riforma costituzionale Renzi-Boschi che conteneva un articolo che — innalzando il numero delle firme necessarie per presentare una legge di iniziativa popolare a 150 mila — prevedeva l’obbligo per il Parlamento di discutere le leggi di iniziativa popolare.
Obbligo che al momento non è previsto.
Ma anche in quel caso i Cinque Stelle avrebbero dovuto lavorare per trovare un accordo con tutte le altre forze politiche per arrivare all’approvazione della legge costituzionale istitutiva del referendum consultivo sui trattati internazionali.
Senza contare che detta legge avrebbe potuto essere sottoposta a referendum qualora fosse stata approvata con una maggioranza minore dei due terzi del Parlamento.
In tutto questo Di Battista pubblicizzava la raccolta firme per “il referendum sull’Euro”, lasciando intendere che si sarebbe davvero fatto una volta finita la sottoscrizione.
Ma ammettiamo per un attimo che questo famoso referendum consultivo sull’euro si tenga davvero (anche se in realtà  per Beppe si è già  tenuto a dicembre 2015). il M5S dovrebbe spiegarci che cosa succederà  dall’annuncio del referendum fino alla sua attuazione (e forse pure dopo) e come ha intenzione di far uscire l’Italia dall’Euro.
Nel caso di vittoria dei No Euro ci sarebbe da gestire l’uscita dalla moneta unica e il ritorno alla sovranità  monetaria (con tutto quello che ne consegue) ma questo non significa che prima — ovvero durante la campagna elettorale — le cose non possano mettersi male per il nostro Paese.
Dovremmo aspettarci importanti fluttuazioni dei mercati ad ogni sondaggio che dà  l’uscita in vantaggio.
Tutti ricordiamo quello che successe in Grecia quando sembrava che il paese dovesse uscire dall’Eurozona: code agli sportelli bancomat, limiti per i prelievi di contante, fuga all’estero dei capitali.
Quanto potrebbe durare l’Italia durante una campagna elettorale per l’uscita dall’Euro? E chi ne pagherebbe il prezzo?
Il Cinque Stelle sembra non aver preso in considerazione la questione, l’importante è che il popolo si esprima sulla sovranità , quello che succede durante non è affar loro.
Insomma l’idea di Grillo di discutere e approvare una legge costituzionale e andare al voto tutto nell’arco di sei mesi non aveva assolutamente senso.
Rimane infine una questione relativa alla linea seguita dal partito di Grillo sull’Euro: nessuno la conosce.
Non sappiamo infatti in modo chiaro (e l’intervista sarebbe stato un momento utile per chiarirlo) se il MoVimento 5 Stelle è a favore o contro la permanenza dell’Italia nell’Eurozona.
La linea del Cinque Stelle si riduce a questo fantomatico e inesistente “referendum consultivo sull’euro”   e non è dato di sapere cosa avrà  intenzione di dire al suo elettorato il MoVimento qualora questo referendum dovesse tenersi davvero.
Il Vice Presidente della Camera Luigi Di Maio ad esempio oltre al referendum consultivo sull’Euro si è detto favorevole ad un Euro 2 o all’utilizzo di monete alternative (in realtà  complementari) senza spiegare però se ha in mente una riforma dell’Euro o della creazione di un’Eurozona a due velocità .
Tutte cose che dovranno però essere discusse e approvate a livello europeo, e sulle quali il referendum sull’euro com’è ora a quel punto non sarebbe più necessario.
Il MoVimento 5 Stelle farà  campagna per il Sì oppure per il No?
Bisogna tenere presente che la Lega Nord non è assolutamente favorevole ad un referendum per l’uscita dall’euro (anche se ovviamente Salvini e Borghi sono favorevoli all’uscita dall’euro, da attuarsi in altro modo).
Sarebbe bene che una forza politica che vuole governare il Paese in nome della trasparenza lo dicesse in maniera chiara, è un atto dovuto nei confronti degli elettori che non vogliono certo firmare una cambiale in bianco ma decidere a ragion veduta. Probabilmente però il MoVimento 5 Stelle su questo argomento continuerà  a fare melina, perchè è più conveniente far credere che una volta al Governo porterà  il Paese fuori dall’Euro e non farlo che prometterlo, scrivendolo nero su bianco, e trovarsi di fronte al problema di non poter mantenere quella promessa (magari incolpando i poteri forti).

(da “NextQuotidiano”)

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GIANCARLO ANERI, L’IMPRENDITORE CHE HA COMPRATO LA PAGINA PER MARIA ELENA BOSCHI

Dicembre 9th, 2016 Riccardo Fucile

IERI IL PAGINONE SU “LIBERO”: “NON LA CONOSCO, MA QUANDO TUTTI ORA SPARISCONO E’ GIUSTO CHE QUALCUNO RICONOSCA I SUOI MERITI, COME ME LA PENSANO TANTI ITALIANI”

Ieri su Libero è stata pubblicata una pagina pubblicitaria con un messaggio di complimenti e incoraggiamento nei confronti di Maria Elena Boschi firmata semplicemente dall’iniziale G. Il messaggio recitava semplicemente:
Gentile onorevole Maria Elena Boschi, volevo ringraziarLa, come semplice cittadino, per quello che ha fatto…
Impegno e responsabilità : penso che abbia sopportato tutto e dato tutto in buona fede nell’interesse dell’Italia.
Sappia che il suo lavoro non è stato inutile.
Il giallo sull’identità  dell’autore è durato poco.
Si chiama Giancarlo Aneri, è un 68enne imprenditore veneto dei vini di pregio e inventore del premio E’ giornalismo.
«Io non conosco nè Renzi nè il ministro – spiega Aneri al Corriere della Sera dopo aver opposto un tentativo di resistenza –. Non volevo che il mio gesto fosse strumentalizzato. Semplicemente, ho ritenuto fosse doveroso rendere merito a una giovane donna che si è impegnata per fare qualcosa nell’interesse degli italiani. Mi ha colpito il fatto che dopo la vittoria del No al referendum nessuno le ha detto grazie. Da cittadino, ho pensato di farlo io».
Aneri ha parlato anche con Repubblica:
Perchè non ringraziare anche Renzi?
«Penso che lui si sappia difendere da solo mentre con la ministra sono spariti tutti, anche quelli che fino a sei giorni prima andavano a trovarla in elicottero».
Ci ha pensato molto prima di scrivere?
«No, mi è venuto spontaneo, l’ho fatto col cuore, un gesto gentile verso una signora che non conosco. Ma poi mi hanno chiamato in molti e ho capito che la cosa è diventata più importante di quanto pensassi».
Non si sente controcorrente a difendere l’autrice di una riforma bocciata?
«Credo che lo pensino molti italiani».

(da agenzie)

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MS5, RISSA IN ASSEMBLEA E ALLA DEPUTATA SCAPPA UNA BESTEMMIA

Dicembre 9th, 2016 Riccardo Fucile

IL RESOCONTO DELLA LITE FURIBONDA SU ITALICUM, PREMIER E FIRME FALSE : “C’E’ LA CRISI DI GOVERNO E VOI PENSATE DI STARE A CASA, IL VENERDI’ NON CI SIETE MAI”

Se Beppe Grillo fa un post come quello di ieri, dove ha ribadito (cioè imposto) che «nel M5S non esistono correnti», e bisogna muoversi come «un corpo solo, un’anima sola», vuol dire che qualcosa sta succedendo e il Movimento è a rischio implosione. Ma a chi era diretto il post concordato con Davide Casaleggio?
A Roberto Fico e a Roberta Lombardi, soprattutto: il primo perchè lanciando la sfida a Luigi Di Maio, batte ogni giorno sul sogno di un M5S più movimentista; la seconda, perchè, nella sua quotidiana battaglia contro Virginia Raggi ha detto alla Stampa che Mafia Capitale è ancora in Campidoglio e che, sì, esistono due anime diverse all’interno del M5S.
Risultato: Fico e Lombardi hanno pubblicato un post riparatore su Facebook.
Grillo non ne può più, chiede di lasciar perdere «opinioni divisive» e «questioni personali».
Intima a chi non seguirà  il suo schema di «farsi da parte». Il governo potrebbe essere a un passo. Ma il comico sa che la pancia del M5S cova sospetti e rancore.
E doveva succedere prima o poi – dopo mesi passati a dissimulare serenità , a comprimere frustrazioni, dopo tante confessioni anonime ai giornali – che qualcuno dall’interno raccontasse con nomi e cognomi cosa sta succedendo.
Così abbiamo ricevuto un resoconto dettagliato dell’assemblea congiunta di mercoledì, dove tutti i nodi rinviati a dopo il referendum sono stati toccati.
L’Italicum
L’assemblea si apre alle 19.40. Interviene Matteo Mantero, lo stesso deputato a cui Grillo, oltre un mese fa, rispose duro «la linea politica la decido io», perchè aveva chiesto più attenzione per i temi sanitari.
Mantero, tra i più arrabbiati per la decisione del leader di puntare sull’Italicum, chiede di «abolire l’ordine del giorno sulla legge elettorale, perchè – dice ironico – tanto l’assemblea congiunta è già  stata bypassata».
Mantero e altri pensano che una decisione così radicale, presa da Grillo alla mezzanotte di domenica subito dopo le prime proiezioni, debba passare dall’assemblea di quei parlamentari che per due anni hanno incolpato l’Italicum di ogni malefatta.
Puntano il dito contro Danilo Toninelli, accusato di essere l’autore del post, «la responsabilità  è tua, è una tua idea».
Toninelli si difende: «Avevamo solo tre giorni per fare una proposta di legge e chiedere di andare al voto…».
Andrea Colletti, il primo ad aver apertamente criticato la giravolta sull’Italicum, risponde sarcastico: «Tre giorni? Peggio mi sento».
Poi parlano Fico e Di Maio che lancia un’altra idea, che esporrà  alle telecamere di Sky: «Renzi resta con un governo dimissionario, per noi è meglio. Tanto può fare solo ordinaria amministrazione. Dopo la Consulta si fa la legge elettorale e si vota». Seguono altri interventi critici sulle modalità  di gestione e sulle decisioni calate dall’alto. I più accesi sono Alberto Airola e Dalila Nesci.
Leadership
Si sentono battute sprezzanti sulla «leadership di fatto costruita dalla comunicazione». Il riferimento è Di Maio.
Prende la parola Paola Taverna: «Sul candidato premier non dobbiamo dividerci -si sfoga – sennò diventiamo un bersaglio facile per i giornali». La tensione aumenta.
E’ tardi. Alla proposta di riprendere l’assemblea all’indomani, cioè ieri, tra i senatori si sente: «Ma è festa!». La deputata Laura Castelli sbotta, si lascia andare a una bestemmia e urla «C’è la crisi di governo e voi pensate a stare a casa? Già  ogni settimana, non siete mai a lavoro il venerdì».
Firme false
Sul finale viene affrontato il capitolo firme false, infilato nell’odg su richiesta di 23 deputati.
Sono presenti, tra lo stupore di molti, i tre deputati sospesi, Riccardo Nuti, Giulia Di Vita e Claudia Mannino. Fino alla fine restano solo i primi due e chiedono di riaggiornare la riunione.
La capogruppo Giulia Grillo invece non vorrebbe più trattare la vicenda perchè «c’è un’inchiesta in corso e rischiamo di finire tutti in procura come persone informate sui fatti».
I senatori si astengono e si affidano alla decisione dei tre probiviri che li hanno sospesi. Nesci, ex fidanzata di Nuti, è di nuovo una furia. Non è la sola.
«Casi simili si presenteranno in futuro. Vuol dire che se uno sarà  indagato verrà  sospeso in automatico? Non abbiamo una regola chiara, dobbiamo votare».
Nuti insiste: «Riaggiorniamo l’assemblea». Grillo: «Non accetto ricatti».
L’ora è tarda, l’assemblea si scioglie. Alla prossima lite.

Ilario Lombardo
(da “La Stampa”)

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IL PESO DELLE DISCORDIE PD SULLE CONSULTAZIONI

Dicembre 9th, 2016 Riccardo Fucile

PRESSING SU RENZI PERCHE’ RESTI… FRANCESCHINI IN MOVIMENTO

Al Quirinale confidano che entro domenica le consultazioni possano diradare le nebbie nel campo renziano, a partire dallo stesso premier. E che non sarà  necessario un secondo giro.
Sarebbe auspicabile, perchè in tal modo l’Italia avrebbe un governo nel pieno delle sue funzioni che la rappresenti al Consiglio europeo del 15 dicembre.
Le nebbie sono quelle che avvolgono il campo del Pd.
Perchè le pressioni su Matteo Renzi, affinchè resti a palazzo Chigi, sono forti tra i suoi. E perchè la macchina infernale delle correnti si è messa in moto.
E c’è un motivo se Dario Franceschini ha risposto a parecchie telefonate con una battuta sarcastica: “Non posso parlare, sono ad Arcore a chiudere l’accordo con Silvio…”. La battuta rivela un certo fastidio per la ridda di voci sui sospetti del premier in relazione alla sue presunte trame per approdare a palazzo Chigi.
Voci che rivelano ansie, paure, sospetti nel giglio magico. “Non puoi lasciare”, “se molli a palazzo Chigi non torni più”, “se indichi un altro, poi non lo controlli”: frasi come queste Renzi le ha ascoltate decine di volte in questi giorni, da parte dei uomini più fidati.
Alcune volte sono sembrate consigli strategici lucidi, altre spie dell’incertezza da perdita del potere, altre ancora preoccupazioni per i destini personali, a tutti i livelli, anche di staff e collaboratori costretti a lasciare le stanze vellutate del governo per tornare (forse) in quelle austere e poco sfarzose del Nazareno.
Nell’ultimo colloquio al Colle è sembrato che il premier pensi, però, che rimanere equivarrebbe a perdere la faccia e a dare l’impressione di essere attaccato alla poltrona, dopo l’annuncio urbi et orbi del “me ne vado, perchè diverso dagli altri”.
Il me ne vado però non è accompagnato da una indicazione su quel “percorso ordinato” che ha in mente il capo dello Stato e condiviso, nel primo giorno delle consultazioni, dai presidenti delle due Camere, Boldrini e Grasso, e dal presidente emerito Giorgio Napolitano: consentire la nascita di un nuovo governo che duri tutto il tempo necessario ad approvare una nuova legge elettorale, mettere in sicurezza i conti e le banche, non far sfigurare l’Italia al G7 che si svolgerà  a maggio in Sicilia.
Un “percorso ordinato” che il capo dello Stato vuole avviare con consultazioni ordinate.
Per questo si confida molto, tra le alte cariche, che questo fine settimana aiuti a ritrovare serenità . E porti sabato la delegazione del Pd a collaborare al percorso.
E non a iniziare un gioco teso a far fallire questa o quella possibilità  di arrivare a un governo, per accusare le altre forze politiche di irresponsabilità  e tornare alla casella iniziale, cioè che si vada avanti con questa maggioranza — che non è mai stata sfiduciata — e con Renzi.
Un (ex) ministro del Pd che ha consuetudine con ambienti del Quirinale spiega: “Il punto è che Renzi, di qui a sabato, è davanti a una scelta. Il Quirinale ha fatto capire che serve un governo per mettere mano alla legge elettorale. E gli ha fatto capire la sostanza della questione: se vuoi una soluzione faccelo sapere. Può rimanere lui, può indicare un altro. Di fatto stiamo parlando di un governo fino a primavera. Se vuoi lo sfascio te ne assumi la responsabilità . E confida che questi due giorni facciano maturare una consapevolezza”.
L’importante, al Colle, sono consultazioni ordinate per un governo ordinato.
Nel disordine del Pd, per tutto il giorno, dal campo renziano è filtrato il nome di Paolo Gentiloni, la best option del giglio magico dopo Renzi perchè “è uno dei nostri”.
E la sua presenza assicurerebbe un minimo di continuità  a palazzo Chigi.
Della continuità  farebbe parte anche la permanenza di Luca Lotti, nel ruolo di sottosegretario.
Postazione strategica, perchè nel 2017 ci sono in agenda nomine che rappresentano il cemento di qualunque governo.
Già  si parla, per i primi mesi del prossimo anno, di un cambio dei vertici Rai e del direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via. E poi in primavera si passa ad Enel, Eni, Poste, Finmeccanica, Terna e tanti altri consigli di amministrazione.
Le vecchie volpi del Palazzo però scommettono che, in questo quadro, “se indichi uno del Pd, in questo quadro di scontro interno, la quadra non la trovi, anzi aumenti la balcanizzazione del Pd”.
Mentre Grasso e Padoan garantirebbero un clima più sereno, consentendo lo svolgimento del congresso del Pd nelle forme e nei modi opportuni, non sulla pelle del governo e del paese.

(da “Huffingtonpost”)

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PD, PATTO TRA LE MINORANZA PER NON ANDARE AL VOTO

Dicembre 9th, 2016 Riccardo Fucile

TENTATIVO DI ACCERCHIARE RENZI… SI VA VERSO UN GOVERNO A GUIDA DEM , CON ELEZIONI IL 4 GIUGNO

Lui, nel primo giorno da presidente dimissionario, ha cercato di sublimare l’onta dell’addio, interpretando il ruolo del politico lontano dal Palazzo e facendo vita di famiglia nella sua Pontassieve.
Ma il Renzi bravo papà  è soltanto una parte della realtà : mai come in queste ore la «fronda» dentro il Pd sta provando a diventare maggioritaria e mai come in queste ore il presidente dimissionario – che sente la tempesta in arrivo – sta brigando per provare a pilotare la crisi di governo verso l’esito più gradito.
Renzi è interessato ad un governo che spiani la strada verso l’obiettivo che lo interessa di più: essere il candidato premier del Pd in vista delle prossime elezioni politiche.
Ma Renzi deve fare i conti con un Capo dello Stato che intende svolgere senza interferenze il suo ruolo. Renzi lo ha capito e infatti, da Pontassieve, ci tiene a far sapere: «Col Quirinale c’è un patto di ferro».
Ma deve fare i conti soprattutto con la novità  che temeva e della quale lui stesso non ha ancora tutte le coordinate: è in atto un autentico terremoto all’interno del Pd.
Un terremoto destinato a ridisegnare la geografia del partito.
Per effetto di una doppia novità .
La prima: una parte della maggioranza «renziana» – la corrente di Dario Franceschini e quella del Guardasigilli Andrea Orlando – ha fatto un passo di lato, rompendo politicamente con il segretario-presidente. Rottura significativa perchè le due correnti hanno una forte presenza nei gruppi parlamentari, tanto è vero che sono «franceschiniani» entrambi i capigruppo, quello dei deputati Ettore Rosato e quello dei senatori Luigi Zanda
Ma la seconda novità  è la più corposa, la più pericolosa per Renzi: il duo Franceschini-Orlando ha stabilito in queste ore un patto di consultazione con la minoranza che fa capo a Pier Luigi Bersani e anche, ecco l’ultima sorpresa, con Massimo D’Alema, molto attivo nella cucitura.
Una sorpresa perchè da anni ormai le due maggiori personalità  della sinistra Pd, Bersani e D’Alema, avevano rotto politicamente.
Certo, è presto per capire se il nuovo asse di centro-sinistra abbia i numeri per mettere in minoranza il leader.
Per il momento, non all’interno della Direzione del Pd, che infatti Renzi ha voluto in seduta permanente, elevandola così a organo deliberante durante la crisi di governo. Più incerta la situazione nei gruppi parlamentari.
La corrente di Franceschini (che raggruppa in prevalenza ex popolari, ma anche personalità  ex ds come Piero Fassino e la ministra Roberta Pinotti) conta su una novantina di deputati (su 301), ai quali vanno aggiunti i deputati vicino ad Orlando (una quindicina) e quelli delle minoranze, venticinque.
Si arriva a malapena a 140 deputati, dunque ne mancherebbero una decina per superare la quota non soltanto simbolica del 50%.
Stesse proporzioni al Senato. Anche perchè con Renzi sono ancora schierati Matteo Orfini e il ministro Maurizio Martina.
Per Renzi un occhio al partito e un occhio al Quirinale. Al termine della prima giornata di consultazioni, il presidente dimissionario ha preso atto che si sta aprendo la strada per un governo guidato da una delle personalità  che lui stesso ha fatto trapelare 24 ore fa: il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan o quello degli Esteri Paolo Gentiloni.
Due nomi che Renzi ha «calato» per verificarne l’«effetto» e anche per chiudere la strada alla candidatura di Dario Franceschini.
Ma su Padoan, lo stesso Renzi ha molte riserve – troppo collegato a D’Alema, dicono a Palazzo Chigi – mentre su Gentiloni, che pure ha l’aplomb «giusto», si stanno annidando le perplessità  della fronda interna, perchè troppo vicino a Renzi.
Ecco perchè, nelle ultime ore sono risalite le quotazioni di Graziano Delrio, figura di possibile compromesso per un governo a tempo.
Fino ad elezioni che avrebbero già  una data: 4 giugno 2017.

Fabio Martini
(da “La Stampa”)

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ORFINI: “LEGISLATURA FINITA, NEL PD ANARCHIA”

Dicembre 9th, 2016 Riccardo Fucile

GUERINI FRENA: “SEGRETERIA NON E’ IN BALLO”

“Questa legislatura nasce con l’impegno solenne a fare riforme e legge elettorale. Così giustificammo maggioranze disomogenee. Il 4 dicembre questo film è finito. E questo porta alla fine della legislatura”. Lo afferma Matteo Orfini, presidente del Pd, in un’intervista al quotidiano “La Repubblica” .
Esclude che il Pd governi solo con l’attuale maggioranza?
“A oggi, non mi sembra la possibilità  più realistica. Ma aspettiamo le consultazioni”, risponde Orfini, che sulla legge elettorale sottolinea: “Noi ci fidiamo e ci affidiamo al Presidente per risolvere la crisi. Penso che sarebbe utile al Paese rendere omogenee le leggi. Ma per farlo non basta il Pd e l’attuale maggioranza, perchè le regole è meglio provare a scriverle insieme”.
“Il Pd non ha paura delle elezioni. Aggiungo che anche durante il governo Monti non ero tra quelli che consideravano le elezioni un dramma: è la democrazia”, prosegue.
Quanto al confronto interno al Pd, il presidente del partito afferma: “Abbiamo subito una sconfitta importante e dobbiamo aprire una riflessione vera, anche su quello che non ha funzionato. Non in una direzione, ma al congresso”.
E aggiunge: “Lo sostenevo già  prima del referendum: dopo il 4 dicembre serve subito un congresso. Ci sono state divisioni e lacerazioni profonde. Questo tema va affrontato: non si può pensare che l’anarchia possa essere la fisiologia del Pd”.
Una spaccatura però che il vicesegretario del partito Lorenzo guerini non vede.
“La maggioranza del partito sostiene la posizione che ha espresso il segretario” Matteo Renzi.
“Dopo le consultazioni la direzione si ritroverà  e discuteremo”, afferma al Corriere Guerini che ripete: “Noi abbiamo detto chiaro che non temiamo il voto, e siamo disponibili a un governo di responsabilità “.
Sull’ipotesi di un Renzi bis, Guerini afferma: “Non mi lego a nessuna formula, anche per rispetto del capo dello Stato. Renzi ha fatto quel che aveva sempre detto. Ha tratto le conseguenze della sconfitta al referendum ed è questo il fatto con cui ci dobbiamo confrontare. Per noi, che siamo una forza responsabile, l’interesse del Paese viene prima di tutto”.
Sui nomi di Grasso, Padoan, Franceschini e Gentiloni, Guerini frena: “Adesso noi non parliamo di nomi nè di formule”.
Sul rischio che il segretario rimanga solo, non volendo il resto del partito andare a votare, Guerini spiega: “Il segretario è tutt’altro che solo. Nel Pd e in tutta Italia c’è compattezza intorno alla sua figura”.
“Non inseguo il gossip – dice quindi sul’ipotesi che Franceschini abbia rotto con Renzi perchè vuole fare il premier – La maggioranza del partito sostiene la posizione che ha espresso il segretario”.
Guerini frena anche i retroscena che vogliono Orlando smarcato perchè punterebbe al Nazareno: “Il Pd ha un segretario che si chiama Matteo Renzi e che non è stato minimamente messo in discussione. Il lungo applauso che ha salutato il suo ingresso in direzione testimonia come tutto il partito si sia stretto intorno al suo leader”

(da “Huffingtonpost”)

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INTERVISTA A DELL’UTRI: “SI AVVICINA LA FINE E SONO IN CELLA, DOVEVO FARMI ARRESTARE PRIMA”

Dicembre 9th, 2016 Riccardo Fucile

“MI SENTO COME UN PRIGIONIERO DELLA GUERRA A BERLUSCONI”

Per spiegare il senso della sua vita da detenuto, Marcello Dell’Utri cita Dante: «Che il tempo non passi perduto».
Dimagrito ma apparentemente in salute («mi tengono sotto controllo in Infermeria»), racconta le giornate scandite da due ore di passeggio in cortile, la mattina nell’area universitaria con i reclusi che studiano Giurisprudenza, il pomeriggio chiuso in cella a studiare per il prossimo esame in Lettere e Storia all’università  di Bologna, la sera a sbrigare la corrispondenza, qualche volta un po’ di televisione, e poi a letto: «Un’esistenza quasi monastica, anche se manca il silenzio; c’è sempre troppo chiasso».
Ma quando arriva a descrivere il disinteresse della politica per il mondo carcerario ricorre a un proverbio palermitano che tradotto significa: «Il sazio non crede a chi è digiuno»; bisogna fare un’esperienza diretta per comprendere le sofferenze altrui, e ciò che accade dietro le sbarre non sfugge a questa regola: «Ai politici i problemi delle galere non interessano, e io stesso in Parlamento non me ne sono occupato. Sono dovuto arrivare qui per capire».
Qui è il carcere romano di Rebibbia, dove l’ex senatore e fondatore di Forza Italia è arrivato dopo due anni trascorsi nel penitenziario di Parma e due mesi in una prigione in Libano, dove fu arrestato mentre cercava di organizzare la latitanza.
«Questa è una leggenda metropolitana – ribatte –. Le pare che se avessi voluto sottrarmi alla giustizia avrei soggiornato nel più famoso albergo di Beirut? Ero andato a verificare la possibilità  di una collaborazione tra la mia fondazione “Biblioteca di via Senato” e un’analoga fondazione culturale dell’ex presidente Gemayel».
Dell’Utri sta scontando 7 anni di pena per concorso esterno in associazione mafiosa, ne ha già  fatti 2 e 8 mesi; togliendo i giorni della liberazione anticipata dovrebbe essere a metà  del percorso, se non oltre: «Ma non faccio calcoli, aspetto e basta».
Si rammarica perchè da politico non s’è occupato dei problemi dei detenuti?
«Sì, ma del resto la mia esperienza politica è stata un disastro».
Rinnega Forza Italia e il partito creato con Berlusconi nel 1994?
«No, quella fu un’iniziativa giusta, ma bisognava continuare a selezionare la classe dirigente del cosiddetto “partito azienda”. Nel 1996 mi sono candidato per difendermi nei processi, come ho sempre ammesso, e ho sbagliato. Lo status di parlamentare mi ha evitato la carcerazione preventiva e ha allungato i processi, ma avrei fatto meglio a farmi arrestare prima e scontare subito la condanna, quando avevo cinquant’anni; oggi sarei libero, un uomo saggio con un bagaglio di esperienza in più. Invece mi trovo qui dentro a 75 anni, vedo avvicinarsi il finale di partita e sinceramente mi dispiace passarlo qui anzichè con la mia famiglia, i miei nipoti e i miei più cari amici».
Scusi, ma non è che ha sbagliato a frequentare certi capimafia per mediare i rapporti con Berlusconi, come ha stabilito la sentenza di condanna?
«Io non ho fatto niente di tutto questo. Ho conosciuto solo Vittorio Mangano e Gaetano Cinà  , senza sapere che fossero mafiosi, se poi è vero che erano mafiosi; e partecipai alla festa di matrimonio di quel Jimmy Fauci, altra persona di cui non conoscevo le attività  criminali, in cui arrivai che erano già  alla torta».
Veramente ci sarebbero anche gli incontri con i boss Bontate, Teresi e Di Carlo, che risalgono addirittura agli anni Settanta.
«Mai avvenuti. I giudici hanno detto il contrario, lo so, ma senza prove. La verità  è che noi viviamo nel Paese dei pubblici ministeri, sono loro che comandano».
Ma lei è stato condannato dai giudici dopo cinque processi, non dai pm…
«Che le devo dire? I giudici possono anche sbagliare, o subire i condizionamenti di certi climi, com’è successo a Palermo nel mio processo d’appello. Ma ormai è inutile parlarne».
Come si difenderà  negli altri processi a suo carico ancora in corso?
«Di alcuni non mi interesso tanto sono astrusi, come la trattativa Stato-mafia o la P3; alla frode fiscale penseranno i miei avvocati, mentre la storia dei libri rubati alla Biblioteca dei Girolamini mi brucia più dell’accusa di concorso esterno. Io li ho acquistati o ricevuti senza sapere della loro provenienza furtiva, altrimenti non li avrei messi a disposizione del pubblico nella mia biblioteca, incardinandoli nel catalogo. In tal modo ho potuto restituirne più di quelli contestati».
Manca ancora L’Utopia di Tommaso Moro. Dov’è?
«A parte che si tratta di un libro cosiddetto ‘scompleto’, e quindi di scarso valore venale, non si è rintracciato per via di alcuni traslochi. Ma io saprei trovarlo in mezzo agli scatoloni, purtroppo al momento sono impedito…».
A che punto è il suo ricorso alla Corte europea dei diritti umani?
«Dopo la sentenza Contrada (quella secondo cui per fatti avvenuti prima del ’94 il concorso esterno non sarebbe perseguibile ndr) stabiliranno che la condanna è stata illegittima e sarò risarcito per ingiusta detenzione. Ma i tempi sono lunghi, temo avverrà  a pena scontata».
Continua a sentirsi una vittima, pure da condannato?
«Io non mi sento un condannato detenuto, bensì un prigioniero che ha perso una guerra ancora in corso, e finchè non finisce devo stare qui. Solo dopo mi libereranno».
Una guerra contro chi?
«Contro Silvio Berlusconi, e contro di me per interposta persona. Io per adesso studio la storia, ma forse arriverà  un giorno in cui la scriverò anch’io. Ho già  qualche idea».
A proposito di Berlusconi, vi sentite ancora per posta?
«No, ogni tanto gli mando gli auguri, e lui mi ha mandato i saluti attraverso l’amico Confalonieri e altri che sono venuti a trovarmi. Ho ricevuto le visite di Brunetta, Romani, Toti, Palmizio, Prestigiacomo, Bernini, Gasparri, Santanchè e molti altri. Mi hanno fatto piacere».
E Denis Verdini, suo coimputato nel processo sulla P3 che oggi è sul fronte opposto a Berlusconi?
«Per motivi di opportunità  non s’è fatto vedere, ma mi ha mandato i saluti. Questa storia del suo tradimento di Berlusconi non mi convince, conosco la sua devozione e l’affetto che ha per Silvio».
Dopo il referendum costituzionale, come vede la politica di oggi?
«Molto distante. Io avrei votato No. Forse Berlusconi, che a ottant’anni ha ancora l’energia e l’ostinazione per stare in prima linea, può giocare un ruolo per una riforma elettorale condivisa. Vedremo. Guardo i talk show in tv, ma sono più inquietanti che interessanti. E poi devo limitare la televisione, perchè devo studiare».
Dell’Utri ha con sè il libro del domenicano francese Marie Dominique Chenu, «La teologia del XII secolo», a febbraio deve dare due esami, Storia della Chiesa medioevale e Istituzioni della Chiesa ortodossa; l’ultimo l’ha fatto a fine ottobre e ha preso 30 e lode.
La sola distrazione sono le partite a scacchi con un detenuto georgiano: «È fortissimo, prima vinceva sempre, adesso comincio a batterlo anch’io. È una grande soddisfazione, le partite durano anche due ore, a volte di più. Mi aiutano, perchè per giocare a scacchi ci vuole una mente totalmente sgombra da pensieri. Soprattutto tristi».

Giovanni Bianconi
(da “il Corriere della Sera”)

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