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COSI’ RENZI PREPARA LA NUOVA SCALATA AL PD E A PALAZZO CHIGI

Dicembre 11th, 2016 Riccardo Fucile

DEVE SOLO EVITARE LA CONGIURA DELLE CORRENTI DEM…A MARZO LE PRIMARIE, A GIUGNO LE ELEZIONI…. TOUR IN CAMPER PER L’ITALIA

La prima cosa che un parlamentare renzianissimo chiede quando al telefono gli leggiamo il sondaggio di Scenaripolitici per Huffington Post secondo cui Matteo Renzi deve restare il leader per il 52 per cento degli elettori del centrosinistra è: “Ma gli altri sono uniti o no?”.
Vale a dire: tra i vari Franceschini, Orlando, Bersani, Orfini e tutti gli altri, c’è un nome che spicca e c’è qualcuno che manca? Tradotto: alcune di queste aree figurano come alleate oppure no?
Domande non casuali perchè adesso che non è più premier, adesso che gli è rimasta solo la carica di segretario del Pd, Renzi vuole evitare la ‘congiura’ della varie correnti Dem contro di lui.
Domenica a Pontassieve con la famiglia. Black out totale con i media. Non è da Renzi. Gioca ad allontanarsi dal palcoscenico per poi tornare.
Aveva finanche lasciato trapelare di voler disertare la direzione del Pd domani. Ma era solo un giochetto per vedere l’effetto che fa.
È durato meno di 24 ore: domani al Nazareno il segretario ci sarà .
L’obiettivo ultimo è restare sulla scena ma per farlo il segretario Dem scruta i movimenti interni al Pd, pur convinto che l’unica chiave sia guadagnare consenso fuori dal partito, con un giro di ri-legittimazione in camper a partire da metà  gennaio, dopo una vacanza all’estero con la famiglia per le vacanze di Natale.
Anche lì, black out totale o quasi: un’assenza che resta presenza.
“Ai milioni di italiani che vogliono un futuro di idee e speranze per il nostro Paese dico che non ci stancheremo di riprovare e ripartire. Ci sono migliaia di luci che brillano nella notte italiana. Proveremo di nuovo a riunirle. Facendo tesoro degli errori che abbiamo fatto ma senza smettere di rischiare: solo chi cambia aiuta un Paese bello e difficile come l’Italia”, scrive su Facebook alle 2 di notte, appena tornato a Pontassieve dopo le trattative romane sul governo.
Ad ogni modo, domani invece Renzi sarà  al Nazareno e terrà  la sua relazione alla direzione del Pd riunita per la seconda volta nel giro di questa settimana di crisi di governo post-referendum.
All’ordine del giorno c’è la fiducia parlamentare da accordare – pare già  mercoledì – al nuovo governo Gentiloni.
Ma il segretario comincerà  ad abbozzare la discussione sul congresso da sviluppare poi in assemblea nazionale domenica 18 (forse a Milano).
Il timing gli è chiaro.
Partenza a metà  gennaio, congressi nei circoli ma soprattutto primarie a metà  marzo massimo, voto a giugno.
Ciò che si muove o si potrà  muovere nel Pd gli è meno chiaro. Dal giorno della sconfitta, le correnti sono in fermento. L’idea di disertare la direzione domani era anche un modo per prendere le distanze dalle correnti.
Puntare subito fuori dal Pd, tra quegli elettori di centrosinistra che nei sondaggi lo riconoscono ancora come leader, rivolgersi a loro piuttosto che a un partito che ormai lo sopporta.
In direzione lancerà  la volata per il congresso e avvierà  la resa dei conti con la minoranza del no.
Ma la riflessione che lo interroga è sulla sua maggioranza nel partito.
Con Franceschini c’è una sorta di tregua armata. Subito dopo la sconfitta i primi sintomi del nuovo clima, il braccio di ferro sul voto subito o meno, il segretario costretto a frenare. Prima volta che ci riescono con Renzi.
Ora nasce un governo Gentiloni, voluto dal segretario che in questo l’ha spuntata.
E proprio domani, mentre la direzione nazionale del Pd sarà  nel pieno della discussione, il premier incaricato potrebbe salire al Colle a sciogliere la riserva.
Ma d’ora in poi come si muoveranno le correnti?
Un nome: Andrea Orlando. Il guardasigilli, che dovrebbe essere confermato al dicastero di via Arenula anche nel governo Gentiloni, non è più in ottimi rapporti con Matteo Renzi, da quando il disegno di legge sul processo penale è finito sul binario morto in Senato.
Argomento troppo spinoso da affrontare in campagna referendaria, messo da parte come quello sulla tortura o il cognome materno.
Invece Orlando continua ad avere buoni rapporti con Gianni Cuperlo e anche con Pier Luigi Bersani. Ora: tra Cuperlo che ha votato sì al referendum e Bersani che ha votato no, c’è un divario forse incolmabile.
Tanto più che Cuperlo ha cominciato a muoversi insieme con la sinistra di Giuliano Pisapia, la sinistra del sì fuori dal Pd nell’ottica di una ricostruzione del centrosinistra. Tra Orlando e Bersani però qualche renziano comincia a non escludere alleanze in nome della vecchia ditta. Operazione “nostalgia Ds” la chiamano.
Renzi non la teme, convinto com’è di avere più capacità  di leadership degli altri.
Ma se ne guarda lo stesso. Per lui è vitale che le altre aree si presentino divise al congresso, che non si saldino su un unico nome contro il suo.
Ecco il perchè del camper in giro per l’Italia.
“E’ tutto da costruire”, dice un fedelissimo. Renzi si prepara a ri-scalare il Pd con il solito aiuto da fuori.
Promette giri in ogni federazione e tra i giovani, coloro che più di ogni altra fascia sociale gli hanno voltato le spalle al referendum.
“Le primarie sono aperte”, ricordano i suoi, convinti che questo basti a legare la maggioranza del partito alla leadership di Renzi. A cominciare da Areadem di Franceschini.
Lo scenario a cui punta il segretario è ‘io contro lo spezzatino’, insomma.
Certo si ritroverà  come avversari i governatori Michele Emiliano ed Enrico Rossi.
C’è chi fa anche il nome di Sergio Chiamparino, per completare il quadro dei presidenti di regione candidati alla segreteria. Ma “ognuno per conto suo e senza leader”, esulta il renziano cui abbiamo letto il sondaggio di Huffington Post. Basterà ?
La scommessa è così aperta che, pur ragionando ormai in termini di proporzionale o semi-proporzionale per trovare al più presto un accordo con Berlusconi e andare al voto, nella cerchia del segretario non sono più tanto sicuri nemmeno di questo.
“Se l’operazione di ricostruzione della leadership di Renzi dovesse andar bene, perchè non insistere sul maggioritario”, ci dice un altro renziano di prima fascia.
Forse perchè si allungherebbero i tempi per andare al voto, sempre che sia semplice per Renzi staccare la spina al governo del suo fidato Gentiloni a primavera.
Forse, la sfida più difficile.

(da “Huffingtonpost”)

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SONDAGGIO ELETTORI PD: RENZI STRACCIA TUTTI, IL 52,1% LO VUOLE ANCORA CANDIDATO PREMIER DEL CENTROSINISTRA

Dicembre 11th, 2016 Riccardo Fucile

SONDAGGIO SCENARI POLITICI: ROSSI 12,7%, BERSANI 11,8%, FRANCESCHINI 8,8%,   D’ALEMA 4,5%, SPERANZA 3,3%, CUPERLO 2,7%, ORFINI 1,8%

Il popolo del Pd vuole ancora Matteo Renzi a Palazzo Chigi.
Secondo il sondaggio fatto da ScenariPolitici per HuffPost, il 52,1% degli elettori del Partito democratico sceglierebbe ancora lui come candidato alla presidenza del Consiglio per il centrosinistra.
Al secondo posto si posiziona il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, staccatissimo, con il 12,7%.
Sul terzo gradino del podio c’è l’ex segretario del pd, Pier Luigi Bersani, con l’11,8%.
Seguono Franceschini con l’8,8%, D’Alema con il 4,5%, Speranza 3,3%, Cuperlo con il 2,7% e Orfini con l’ 1,8%.
Per il 68% degli intervistati poi, Renzi ha fatto bene a dimettersi da premier dopo la sconfitta al referendum costituzionale del 4 dicembre.
I più convinti della bontà  di tale scelta sono gli elettori del MoVimento 5 stelle, della Lega Nord e di Forza Italia.
Solo il 31% di chi vota Pd è invece d’accordo sull’abbandono di Palazzo Chigi.

(da “Huffingtonpost”)

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PRENDE FORMA LA SQUADRA DEL PREMIER: ALFANO AGLI ESTERI, MINNITTI AL VIMINALE

Dicembre 11th, 2016 Riccardo Fucile

SERVIZI A LOTTI, SALE ZANETTI IN QUOTA VERDINI

Ci sono due bussole che orientano la trattativa che porterà  al nuovo governo di Paolo Gentiloni.
La permanenza di Luca Lotti, braccio destro (e sinistro) di Matteo Renzi a palazzo Chigi. E l’ingresso formale al governo delle truppe di Denis Verdini, l’ex plenipotenziario (pluri-imputato) di Berlusconi. Con Enrico Zanetti, destinato ad ottenere un ministero (anche se non di prima fascia).
E la richiesta di un secondo ministero, quello che fu della Boschi, o per Marcello Pera, già  presidente del Senato di Silvio Berlusconi o per Giuliano Urbani (tra i fondatori di Forza Italia nel ’94).
Ma è soprattutto il ruolo di Lotti che condiziona il giro di poltrone.
Garante della continuità  del potere come sottosegretario alla presidenza, in modo da poter gestire la partita delle nomine di primavera, Lotti non solo non lascia, ma raddoppia.
L’obiettivo sono le deleghe ai servizi segreti, in capo a Marco Minniti, un suo vecchio pallino sin dalla formazione del governo Renzi.
Per realizzare l’operazione sul tavolo del premier incaricato c’è già  un’ipotesi che fonti vicine alla trattativa definiscono “concreta”.
E che prevede il più classico dei “promoveatur ut amoveatur”, ovvero lo spostamento di Minniti all’Interno e la nomina agli Esteri di Angelino Alfano.
Il quale non è affatto contrario all’idea di lasciare il Viminale, ora che al piano nobile del ministero dell’Interno torna ad aggirarsi il fantasma del caso Shalabayeva. Scriveva Carlo Bonini su Repubblica, qualche giorno fa: “A 4 anni da quella ‘extraordinary rendition’ con cui, violando le norme del diritto d’asilo, vennero consegnate al Kazakhstan due donne che avevano la sola colpa di essere moglie (Alma) e figlia (Alua) del dissidente ricercato Mukhtar Ablyazov, il profilo e le responsabilità  del ministro dell’Interno Angelino Alfano e quelle degli allora vertici del Dipartimento di Pubblica sicurezza tornano ad essere illuminate da nuovi, decisivi dettagli documentati dagli atti depositati nell’ inchiesta per sequestro di persona appena conclusa dalla procura di Perugia. Quella per la quale si preparano ad andare a processo in 11. Sette tra dirigenti e funzionari di Polizia, il giudice di pace, Stefania Lavore, che autorizzò la consegna ad Astana, e tre diplomatici kazaki”.
Dunque: Lotti potente sottosegretario a palazzo Chigi anche con delega ai servizi, Minniti all’Interno, Angelino Alfano agli Esteri.
Più che un governo fotocopia, un bunker con la lunga mano del premier uscente su dossier delicati, nomine e servizi.
Già  si parla di un cambio dei vertici Rai e del direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via. E poi in primavera si passa ad Enel, Eni, Poste, Finmeccanica, Terna e tanti altri consigli di amministrazione.
Gran finale, Banca d’Italia, col mandato di Ignazio Visco che scade nel 2017. In parecchi ricordano che proprio una analoga infornata di nomine produsse l’accelerazione che portò Renzi a palazzo Chigi al posto di Letta.
Poi, i servizi, il vecchio pallino “del Lotti”, come dicono i toscani, sin da quando furono proprio Renzi e Lotti a pensare a una struttura sul modello americano della NSA, la National Security Agency, da insediare a palazzo Chigi.
E da affidare all’amico Marco Carrai. Bruciata nelle polemiche l’idea della struttura, nacque l’idea di una super-consulenza per l’amico Carrai.
Ora il dossier “servizi” è entrato nel rimpasto, anzi condiziona il rimpasto di governo perchè investi cambi nei ministeri di primissima fascia.
Tra le altre caselle, sono certe la riconferma di Padoan all’Economia, di Andrea Orlando alla Giustizia, di Roberta Pinotti alla Difesa, di Franceschini ai Beni culturali e di Delrio alle Infrastrutture.
Al momento — la trattativa si concluderà  nel pomeriggio di domani quando Gentiloni salirà  al Colle con la lista dei ministri – dovrebbe far parte della squadra Maria Elena Boschi.
È lei che ha espresso questa volontà . Anche se non alle Riforme. Per quel ministero una delle ipotesi è Anna Finocchiaro.
Tra le uscite pressochè certe Stefania Giannini che lascerebbe l’Istruzione, dove ha rifiutato l’offerta Gianni Cuperlo, ed è molto accreditata l’ipotesi Lorenzo Guerini, con Maurizio Martina che va a fare il vicesegretario.
Pressochè certa anche l’uscita di Giuliano Poletti. Per il suo posto circolano i nomi di Teresa Bellanova e di Tommaso Nannicini. Mentre all’Ambiente, al posto di Galletti, concreta è l’ipotesi Ermete Realacci. E la trattativa continua.
Martedì mattina il giuramento al Quirinale.

(da “Huffingtonpost”)

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AL BANCHETTO M5S SPUNTA L’INDAGATO

Dicembre 11th, 2016 Riccardo Fucile

IL MARITO DELLA DEPUTATA LONGO SI ERA RIFIUTATO DI RISPONDERE AI PM E DI SOTTOPORSI ALLA PERIZIA CALLIGRAFICA… LA SUA APPARIZIONE DIVIDE I MILITANTI: CHI PARLA DI PROVOCAZIONE E CHI FA IL GARANTISTA… E I TRE DEPUTATI SOSPESI CONTINUANO A FAR PARTE DEL GRUPPO CINQUESTELLE SENZA CHE NESSUNO DICA NULLA

Appena compaiono gli attivisti indagati la folla si spacca in due: c’è chi va via, ma anche chi rimane ostentando inedito garantismo.
E quello che doveva essere un innocuo banchetto informativo del Movimento 5 Stelle si trasforma in una spaccatura pubblica.
A Palermo la tensione è alta tra i grillini travolti dall’inchiesta sulle firme false e ormai divisi in due fazioni contrapposte: quelli che rimangono fedeli ai deputati e attivisti indagati e i cosiddetti dissidenti, che invece marcano le distanze da questi ultimi.
Il casus belli va in onda in quello che sembra un tranquillo sabato pomeriggio. In piazza Mario Francese i pentastellati hanno organizzato un banchetto informativo dedicato ai residenti della sesta circoscrizione cittadina sotto il simbolo del Movimento 5 Stelle.
A un certo punto però tra i presenti compare anche Riccardo Ricciardi, marito della deputata Loredana Lupo: è uno dei 13 indagati nell’inchiesta sulle firme false, che davanti ai pm Dino Petralia e Claudia Ferrari si è avvalso della facoltà  di non rispondere, rifiutandosi anche di rilasciare agli inquirenti un campione della sua calligrafia.
Ricciardi è l’attivista che nel 2012 ha consegnato le firme per sostenere la lista del M5s alle amministrative, ma secondo la procura di Palermo molte di quelle sigle furono ricopiate, dato che in primo momento erano state raccolte in alcuni moduli che contenevano un errore nel luogo di nascita di un candidato al consiglio comunale.
Nonostante sia indagato, però, il marito della deputata Lupo non è stato sospeso dai probiviri del Movimento, che invece hanno preso provvedimenti nei confronti dei parlamentari Riccardo Nuti, Claudia Mannino, Giulia Di Vita e dell’attivista Samantha Busalacchi.
E infatti quando quest’ultima si materializza al banchetto di piazza Francese, una decina di attivisti decide di allontanarsi polemicamente.
“Quella di oggi è stata una vera e propria provocazione — racconta uno dei grillini della prima ora — già  ieri sul nostro forum avevamo discusso sull’opportunità  che gli indagati continuassero a frequentare i banchetti con il simbolo del Movimento e la nota dei probiviri è chiarissima in questo senso”.
E in effetti Paola Carinelli, Nunzia Catalfo e Riccardo Fraccaro avevano utilizzato parole nettissime per motivare la sospensione cautelare di Nuti, Di Vita, Mannino e Busalacchi dal M5s.
“Sono stati segnalati come comportamenti non conformi ai principi del MoVimento — scrivevano — l’avvalersi della facoltà  di non rispondere di fronte ai pm e il rifiuto di procurare un saggio grafico”.
È per questo motivo che adesso molti attivisti rumoreggiano. “Sembra quasi che abbiano voluto mettere in scena una prova di forza”, dice un altro dei dissidenti, mentre tra i grillini c’è anche chi sostiene gli indagati, in nome della presunzione d’innocenza.
“Bisogna aspettare la sentenza definitiva. Fino a prova contraria siamo tutti innocenti”, dice per esempio un’altra attivista presente a Repubblica Tv. “Sono cittadini come tutti gli altri perchè non dovrebbero essere qua? È un problema personale, a loro discrezione: chiunque può venire”.
E mentre a Palermo il meet up si spacca sugli attivisti indagati, a Roma il M5s dovrà  discutere presto della posizione di Nuti, Di Vita e Mannino.
I tre deputati, infatti, non hanno ancora lasciato il gruppo parlamentare pentastellato alla Camera, nonostante i probiviri ne avessero decretato la “sospensione cautelare dal Movimento 5 Stelle” già  dieci giorni fa.
La crisi di governo e le consultazioni al Quirinale hanno ovviamente rinviato la discussione di qualche giorno, ma l’impressione è che i tre intendano tenere duro: si professano innocenti e dunque non vogliono lasciare il gruppo dei 5 Stelle.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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SONDAGGIO PAGNONCELLI: IN ITALIA ABBIAMO SOLO TRE MINORANZE

Dicembre 11th, 2016 Riccardo Fucile

MS5 31,5%, PD 29,8%, FORZA ITALIA 11,9%, LEGA 11,9%, FDI 4,8%, AREA POP. 3,8%, SIN. IT 3,2%.. GRADIMENTO RENZI-GOVERNO 35-37%

Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera oggi racconta i suoi sondaggi che danno il MoVimento 5 Stelle ancora avanti rispetto al Partito Democratico di due punti, come in altre rilevazioni pubblicate nei giorni successivi al referendum.
Le intenzioni di voto fanno registrare scostamenti minimi, tutt’al più nell’ordine di qualche decimale: gli astensionisti si confermano il «primo partito» con il 35,9% degli elettori e tra chi esprime una preferenza il M5s (31,5%) prevale sul Pd (29,8%); al terzo posto Forza Italia e Lega all’11,9%, seguiti da Fratelli d’Italia con il 4,8%, Area popolare 3,8% e SelSinistra italiana con il 3,2%.
Quindi, nulla di nuovo sotto il sole: tre poli di quasi uguale consistenza e due aree (centristi e sinistra) che si collocano tra il 4% e il 5%
Lo scenario politico non vede emergere una maggioranza univoca ma tre minoranze.
Ne consegue che l’iter che porterà  alla nuova legge elettorale deve fare i conti con il consueto dilemma tra governabilità  e rappresentatività .
In attesa della sentenza della Consulta del 24 gennaio, molti tra politici e cittadini mettono in discussione il premio di maggioranza dell’Italicum: il pendolo sembra andare verso la rappresentatività  dell’esecutivo, a differenza del passato quando gli elettori davano priorità  alla governabilità  per evitare che il governo fosse ostaggio dei singoli partiti che sostenevano la maggioranza.
Erano altri tempi ma la questione è rimasta identica, come pure la propensione di molti elettori a cambiare idea a seconda delle circostanze e della convenienza per la propria parte politica.

(da “NextQuotidiano”)

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REGALATEVI IL SOGNO DI UNA DESTRA DIVERSA: SOSTENETE “DESTRA DI POPOLO”

Dicembre 11th, 2016 Riccardo Fucile

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Abbiamo raggiunto un successo impensabile, diventando uno dei siti di area più seguiti in Italia e con decine di lettori ogni giorno anche dall’estero, fornendo un servizio gratuito di approfondimento attraverso una linea editoriale coerente.
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SALVINI VEDE LA MADONNA, C’E’ IL POSTO LIBERO PER L’ASINO

Dicembre 11th, 2016 Riccardo Fucile

A CASCINA IL PRESEPE VIVENTE DELLA GIUNTA LEGHISTA: LA SINDACO FARA’ LA MADONNA, GLI ASSESSORI SI CONTENDONO IL POSTO DI SAN GIUSEPPE E DEL BUE… PER I RE MAGI POTREBBERO CHIEDERE A BELSITO CHE DI LINGOTTI D’ORO SE NE INTENDE

Da quando si è saputo che alla rappresentazione del presepe vivente parteciperà  l’intera giunta leghista con tanto di consiglieri di maggioranza, a Cascina, 45 mila anime secondo comune per numero di abitanti della provincia di Pisa, il toto-Natività  è diventato il tormentone prenatalizio.
Chi interpreterà  il ruolo di San Giuseppe? E chi quello di Maria? E quali politici vestiranno i panni sontuosi dei re Magi?
Per non parlare poi di pastorelli e zampognari, figure minori, che potrebbero suscitare qualche rifiuto tra gli amministratori più ambiziosi.
C’è chi ha persino previsto un’interpretazione umana del bue e dell’asinello e in questo caso il problema della scelta sarebbe anche più complicato e imbarazzante. Insomma, le discussioni sul dopo referendum, nella cittadina del poeta e critico letterario Piero Bigongiari, si sommano a quelle della nuova pensata della giunta leghista che, si sa, nel presepe ha sempre identificato uno dei simboli cristiani da ergere contro «il dilagare di moschee, burka e mezze lune varie».
Così, per la prima volta, è stato deciso di promuovere il presepe vivente che, dopo una riunione organizzativa martedì, avrà  una prima rappresentazione domenica prossima, 18 dicembre, con tanto di corteo per le vie del centro.
«L’idea è venuta al Comitato Cascina Ad 1364 e saranno loro ad organizzare l’iniziativa — ha fatto sapere il vice sindaco Michele Parrini — ci hanno invitato a partecipare al presepe e noi abbiamo accettato volentieri».
Sui nomi degli interpreti, per ora, viene mantenuto il più stretto riserbo.
E allora, siccome siamo in Toscana, l’ironia si spreca.
C’è chi giura di aver saputo di straforo che la Madonna potrebbe essere la stessa sindaca, Susanna Ceccardi.
Il problema è che la prima cittadina più per le sue doti celesti, è salita alla ribalta della cronache per le sparate anti Islam e contro gli immigrati. Come quanto pubblicò sul profilo Facebook una vignetta che raffigurava una donna guerriera, con tanto di scudo crociato con su scritto Europa, che prendeva a pedate un islamico dalle sembianze di un maiale.
Oppure quando annunciò l’obiezione di coscienza per le unioni civili gay rifiutandosi di celebrare matrimoni (beccandosi un esposto).
E ancora scrisse al prefetto annunciando che il suo comune non avrebbe accettato l’arrivo di nuovi immigrati.
Per poi affibbiare l’etichetta di comunista a “Imagine”, il capolavoro di John Lennon e ritrovarsi sotto il comune il cantautore Bobo Rondelli che gli dedicò una serenata proprio con i versi del grande Beatles.
«Cascina è diventato il Comune dei continui selfie degli amministratori, dell’apparenza e d’iniziative che rischiano di far diventare ridicola persino un’importante tradizione religiosa — commenta Michelangelo Betti, professore di inglese, già  consigliere comunale e provinciale e membro della segreteria del Pd locale -. Il presepe è stato inventato da San Francesco, il santo più vicino ai poveri ed alfiere del dialogo religioso con l’Islam, sarà  bene che anche la giunta se lo ricordi sempre».

(da “il Corriere della Sera”)

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M5S IN CONFUSIONE, VOLEVANO RESTASSE RENZI, SI RITROVANO GENTILONI, ORA PENSANO A DIMISSIONI DI MASSA (MA NON SUBITO, CON COMODO)

Dicembre 11th, 2016 Riccardo Fucile

“NON PARTECIPEREMO AL VOTO DI FIDUCIA IN AULA”

I 5 Stelle sono spiazzati, spaesati perchè si sentono addosso l’odore del governo, ma vedono allontanarsi il voto.
Scelgono la piazza, pensano a una protesta davanti alla Corte Costituzionale e minacciano dimissioni di massa se alle urne non si arriverà  entro l’estate.
Eppure, usciti dopo 40 minuti di colloquio con Sergio Mattarella, i 5 Stelle sembravano molto soddisfatti.
Illusione o incomprensione? La cronaca della giornata pentastellata spiega meglio l’altalena emotiva vissuta nel M5S.
«Mattarella ci ha rassicurati. Siamo molto contenti. Ha un atteggiamento completamente diverso da Giorgio Napolitano».
All’uscita dal Quirinale i capigruppo di Camera e Senato Giulia Grillo e Luigi Gaetti non vogliono aggiungere nulla al comunicato letto e poi pubblicato sul blog, in cui confermano l’opposizione totale del M5S a qualsiasi governo che non sia quello dimissionario per gestire la fase di transizione, permettere di riscrivere la legge elettorale e andare al voto.
Insomma, la linea decisa dai vertici e condivisa con i gruppi parlamentari: «Qualunque nuovo governo ancora una volta calato dall’alto – spiegano Grillo e Gaetti – non avrebbe la legittimazione popolare».
«Abbiamo ribadito al presidente Mattarella la nostra assoluta contrarietà  al conferimento di un nuovo incarico di governo. E – continuano – gli abbiamo chiesto di garantire il percorso istituzionale più rapido per andare al voto, con la legge elettorale certificata dalla Consulta».
Dopo la consultazione al Quirinale, i grillini, scortati dai responsabili della comunicazione Rocco Casalino e Ilaria Loquenzi, anche loro presenti al colloquio, gironzolano per mezz’ora in cerca di uno sfondo dove registrare il video per il blog. Bocche cucite, come da ordini ricevuti.
Coincidenza vuole che Giulia Grillo sia medico legale e Luigi Gaetti anatomopatologo.
È sua la migliore battuta, per giustificare il silenzio insistito: «Sono abituato a parlare con i morti».
Neanche il tempo di gioire, però, che i 5 Stelle vengono freddati dalla notizia di Mattarella che tira dritto sull’ipotesi di un governo in continuità .
Il M5S organizza un’assemblea con i senatori e i deputati rimasti a Roma. C’è da reagire a una bocciatura di fatto da parte del presidente Mattarella alla proposta grillina di andare al voto subito con la legge ratificata dalla Consulta e allargata al Senato, senza un nuovo esecutivo.
La piazza, invocata già  nell’assemblea di venerdì e rimasta congelata in attesa di capire le intenzioni di Mattarella, diventa la strada obbligata: dopo l’insediamento del nuovo esecutivo scatteranno le barricate in strada.
Il consenso è unanime, e lo è anche per la decisione di disertare il voto di fiducia in Aula: «Qualunque governo per noi non è legittimo».
Intanto, si stanno valutando due ulteriori forme ulteriori di protesta, da declinare ancora nei dettagli, e suggerite venerdì sera tra gli altri da Roberto Fico e Carlo Sibilia, entrambi ex membri del direttorio, e animatori dell’ala più movimentista del gruppo: una manifestazione davanti alla Corte Costituzionale (e quindi accanto al Quirinale che è di lato) se si dovessero allungare ancora i tempi della sentenza sull’Italicum.
E una lettera di dimissioni dei deputati e dei senatori da inviare ai presidenti di Camera e Senato Laura Boldrini e Piero Grasso se il governo si protrarrà  oltre giugno: «Dobbiamo dimostrare che siamo diversi, e che non ce ne frega nulla della pensione come vuole far credere Renzi» spiega Alessandro Di Battista.
A settembre infatti scatteranno i termini di legge con i quali i parlamentari di prima nomina maturano la pensione di cui poi godranno a 65 anni compiuti.
Essendo tutti di prima nomina, sui 5 Stelle negli ultimi giorni si sono ricamate polemiche e sospetti: «Basta con questa storia che nel M5S siamo tutti fancazzisti – si sfoga Gaetti -. Io sono un medico, il mio stipendio è di 120 mila euro, se torno a lavorare prendo più che da senatore».

Ilario Lombardo
(da “La Stampa“)

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“RENZI VUOLE RICANDIDARSI? SI DIMETTA DA SEGRETARIO”: IL BERSANIANO ZOGGIA INIZIA LA GUERRA INTERNA

Dicembre 11th, 2016 Riccardo Fucile

L’ALTRO CANDIDATO ALLA SEGRETERIA ROSSI: “PIU’ SINISTRA O PERDEREMO SEMPRE”

“Il Pd andrà  a un congresso anticipato? A guidare la fase di transizione non può essere il segretario Renzi, soprattutto se ha intenzione di ricandidarsi. Quando si dimise Bersani nel 2013 arrivammo al congresso con alla guida una figura di garanzia come Epifani”.
È quanto afferma alla Stampa, Davide Zoggia, deputato dem ed esponente della minoranza bersaniana
“Servono regole chiare – spiega – che garantiscano tutti, un congresso dove si discuta cosa è successo il 4 dicembre e in questi anni di governo, e di come riconnettersi con un popolo di centrosinistra che ha voltato le spalle al Pd. Non vorrei che si andasse a un congresso in fretta solo per la volontà  di rivincita di chi ha perso il referendum”.
“Il modello dell’uomo solo al comando – fa notare Zoggia – non ha funzionato, nè al governo e meno che mai nel partito, che è in condizioni pessime, nonostante gli sforzi di Lorenzo Guerini. Noi pensiamo a una squadra, una leadership diffusa. E chiediamo di separare il segretario dal candidato premier. Il segretario per noi non dovrà  essere scelto con primarie aperte”.
“Gentiloni – osserva quindi Zoggia – non rappresenta la discontinuità  necessaria. Serve una svolta nelle politiche sociali, se il nuovo esecutivo sarà  una copia del precedente non sarà  possibile risalire la china. Bisogna cambiare le ricette che non hanno funzionato, a partire da Jobs Act, voucher e scuola”.
“Il governo – sottolinea – deve fare le cose necessarie al Paese, senza limiti temporali legati ai desiderata di qualcuno”
“C’è bisogno di un congresso vero e di un governo di svolta”. Lo afferma a Repubblica, il governatore toscano Enrico Rossi, che annuncia: “Intendo presentare formalmente la mia candidatura alla segreteria nazionale del partito”.
“O il congresso apre una dialettica e una discussione vera sulla politica – osserva Rossi -, sul profilo culturale e sul programma fondamentale del Pd, oppure se si riduce invece ad un altro plebiscito ‘Renzi sì-Renzi no’, non vedo come possa interessare la sinistra del Paese”.
“Il punto – sottolinea – è che sono cresciute le disuguaglianze ed esiste una sofferenza sociale che si manifesta ad ogni tornata elettorale e ci fa perdere voti a partire dal nostro insediamento elettorale”.
“Faccio un appello – continua – a tutti coloro che hanno a cuore la sorte del Pd. Abbiamo perso le amministrative del 2015, poi quelle del 2016 e ora anche il referendum. Mi pare serva una svolta. Ma c’è una cosa che dovremmo fare in vista del congresso”, “ritengo cruciale, come avvenuto con Bersani, sui cui voti raccolti nel 2013 Renzi ancora governa, che si vada al congresso con una segreteria di garanzia, che sia super partes”.
Il Paese, aggiunge Rossi, ha bisogno di “un governo che tenga conto del disagio sociale in atto, altrimenti il pericolo è quello di consegnare il Paese ai 5 Stelle”.

(da “Huffingtonpost”)

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