Dicembre 13th, 2016 Riccardo Fucile
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Nove anni e tre mesi fa abbiamo creato un blog dalla forma “professionale” che copre 18 ore al giorno, sette giorni su sette, con circa 15 articoli ogni 24 ore: tutto questo è garantito solo dal sacrificio personale di pochi che, oltre che a collaborare gratuitamente, devono pure fare fronte alle spese vive per acquisto quotidiani, abbonamenti, manutenzione del sito e rinnovo materiali (circa 5.000 euro l’anno).
Abbiamo raggiunto un successo impensabile, diventando uno dei siti di area più seguiti in Italia e con decine di lettori ogni giorno anche dall’estero, fornendo un servizio gratuito di approfondimento attraverso una linea editoriale coerente.
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Dicembre 13th, 2016 Riccardo Fucile
NECESSITA’ DI VOTARE PRIMA DEL REFERENDUM SUL JOBS ACT… LO SCHEMA DI COALIZIONE: PD, LISTA DI SINISTRA CON PISAPIA E CUPERLO, CENTRO MODERATO… VERDINI D’INTESA CON RENZI FUNGE DA POLIZZA SULLO SCIOGLIMENTO ANTICIPATO
C’è uno schema di gioco che l’ex premier Matteo Renzi considera, al momento quello su cui
puntare. Magari scoprendolo già domenica, all’Assemblea del Pd.
Lo schema del Mattarellum subito.
Proporre, con qualche aggiustamento, la legge il cui padre, negli anni Novanta, è l’attuale capo dello Stato. La legge dell’Ulivo, nell’immaginario della sinistra.
Per la serie: chi può dire di no? Suonerebbe come un atto di sfiducia verso Sergio Mattarella.
E portarla subito in Parlamento. La Lega ci sta. Ma è in atto anche una caccia al voto di sinistra, tra i Parlamentari di Sel.
Ma andiamo con ordine. I tempi sono cruciali.
A margine del voto di fiducia, parlando in Transatlantico con i parlamentari, qualche neo-ministro spiegava: “Renzi ha fretta. Qua dura tre mesi massimo”.
La ragione è che vorrebbe che si sciogliessero le Camera prima del referendum sul jobs act.
Che rischia di essere un nuovo plebiscito del popolo contro l’establishment. La Cassazione ha dato già il via libera alle firme. Ora, sui tre quesiti su cui la Cgil ha raccolto tre milioni di firme, si attende il pronunciamento della Corte Costituzionale. Sempre secondo qualche informato ministro, la previsione più accreditata che si svolgerà entro primavera, tra il 15 aprile e il 15 giugno.
Perchè il governo non può tirarla tanto per le lunghe.
Per quella data, anzi prima, Renzi vuole una nuova legge elettorale.
Così da puntare al voto: “E’ ancora convinto che ha il 40 per cento e può vincere” spiegano i suoi.
Dunque, il Mattarellum. Sono giorni che è in atto un approfondimento con i suoi . Ma di qui a domenica l’ex premier sta verificando i numeri. Il partito di Salvini ci sta, anche perchè vuole andare subito al voto.
Ma è in atto un lavoro sottotraccia dentro Sinistra Italiana, con l’obiettivo di portare un po’ di parlamentari e senatori a votarlo.
E questo sarebbe il primo atto del “nuovo Ulivo”, che è lo schema che ha in mente Renzi al momento.
Una lista a Sinistra con Pisapia, Cuperlo, pezzi di Sinistra Italiana. E un centro potabile
Le fanfare sull’operazione non sono partite proprio perchè al centro le cose sono più complesse. Alfano, ormai, si è affidato a Renzi, ma chiedere ai parlamentari centristi di votare il Mattarellum è un po’ come chiedere ai famosi tacchini di votare il famoso Natale.
Si capisce però perchè Verdini non sia entrato al governo, d’intesa con l’ex premier.
È inconciliabile con la schema del nuovo Ulivo.
E serve a garantire che al Senato si balli.
È un po’ la polizza sullo scioglimento anticipato.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 13th, 2016 Riccardo Fucile
L’ART 75, II COMMA, VIETA IL REFERENDUM ABROGATIVO SULLE LEGGI DI AUTORIZZAZIONE ALLA RATIFICA DI TRATTATI INTERNAZIONALI…E NON SI PUO’ INDIRE NEANCHE UN REFERENDUM PROPOSITIVO, GRAZIE ALLA VITTORA DEL NO AL REFERENDUM DEL 4 DICEMBRE
l’articolo 75, secondo comma, della Costituzione vieta espressamente il referendum abrogativo sulle leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali”.
Dall’euro l’Italia non può uscire se non cambiando la Costituzione o attivando la procedura di recesso dall’Unione Europea.
Questa è la realtà dei fatti e delle leggi in vigore che evidentemente non conosce chi chiede — come fanno a giorni alterni alcuni rappresentanti politici del Movimento 5 Stelle — che il popolo sovrano si esprima sul rimanere o meno, da parte dell’Italia, nell’area euro.
L’ultimo è stato Alessandro Di Battista che in un’intervista a Die Welt ha detto: “Gli italiani devono poter decidere sulla moneta. L’euro ha avuto questi effetti: la perdita del potere di acquisto, della competitività industriale, la disoccupazione, la disintegrazione sociale. Se l’Europa non vuole implodere, deve accettare che così non si può andare avanti”.
Peccato che, secondo le regole costituzionali in vigore, tra l’altro difese a spada tratta proprio da Di Battista e dai suoi nel recente voto del 4 dicembre, un referendum sull’euro non possa essere ammesso.
“L’euro è stato istituito nel solco del Trattato di Maastricht — spiega Stefania Bariatti, professore di Diritto Internazionale all’Università Statale di Milano — e l’articolo 75, secondo comma, della Costituzione vieta espressamente il referendum abrogativo sulle leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali”.
Dunque un referendum sull’euro, che le cancellerie dei Paesi europei temono più di ogni altra cosa, non si può fare.
Per liberarsi della moneta unica l’unica strada sarebbe quella di modificare la Costituzione proprio all’articolo 75, ma sarebbe un passaggio molto delicato e pieno di insidie, come le proposte del governo Renzi hanno dimostrato.
“Con un’altra legge costituzionale si potrebbe chiedere il referendum sull’euro, ma il principio costituzionale dovrebbe essere modificato per tutte le leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, non solo per quella oggi considerata dal Movimento 5 Stelle”.
Quindi, se proprio si volesse seguire il ragionamento di Di Battista e dei pentastellati, in primo luogo occorrerebbe cambiare l’art. 75 della Costituzione e poi avviare una consultazione sul mantenimento o meno dell’euro come valuta di riferimento.
La seconda strada per uscire dall’euro che l’Italia potrebbe battere sarebbe quella di uscire del tutto dall’Unione Europea, così come stanno facendo i britannici in seguito al referendum del maggio scorso.
“Ma bisogna attivare l’articolo 50 del trattato sull’Unione Europea”, precisa Bariatti.
E l’articolo 50 prevede infatti un “meccanismo di recesso volontario di un paese dalla Ue”.
Il Paese che decide di recedere deve notificare tale intenzione al Consiglio europeo il quale presenta i suoi orientamenti per la conclusione di un accordo volto a definire le modalità di recesso di tale Paese.
“Tale accordo è concluso a nome della Ue dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo”.
Ma la strada seguita dalla Gran Bretagna, di indire in prima battuta un referendum sull’adesione o meno alla Ue e poi, in un secondo momento, eventualmente attivare l’art. 50, per l’Italia non è percorribile.
Il perchè lo spiega ancora la professoressa Bariatti: “Noi non abbiamo questo tipo di referendum, non è nella nostra Costituzione. La possibilità di proporre un referendum propositivo, che era nella proposta di riforma, è stata bocciata il 4 dicembre. Quindi per uscire dalla Ue i proponenti dovrebbero ottenere un voto politico in Parlamento di segno contrario alla permanenza nell’Unione, che travolgerebbe anche la partecipazione alla Ue”.
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 13th, 2016 Riccardo Fucile
STORIA DI UN SEMESTRE VISSUTO PERICOLOSAMENTE: COME UNA NOMINA SUICIDA HA SPACCATO IL M5S… TRA COMPLOTTI, BUGIE E AVVISI DI GARANZIA TACIUTI, IL DISASTRO POLITICO DELLA RAGGI E DELLA SUA ASSESSORA
Era il 25 ottobre scorso quando in un’intervista rilasciata al direttore di Repubblica Mario
Calabresi la sindaca Virginia Raggi adombrava il complotto dei frigoriferi: «È un po’ strano, ci sono frigoriferi che invece di essere portati all’isola ecologica vengono buttati vicino ai cassonetti e non è mica un lavoro semplice portarli lì, non so neanche come facciano. Però il frigorifero è già tutto sfondato e graffitato. Mi sembra strano».
Come si venne a sapere successivamente, a mettere strane idee in testa alla sindaca era l’assessora all’ambiente Paola Muraro, che parlava di tutto tranne che del fatto che la “sua” AMA aveva sospeso la gara per il ritiro a casa dei rifiuti ingombranti, aggravando un’emergenza che a Roma comunque c’è sempre stata.
Quella non fu l’unica occasione in cui le due dimostrarono di andare d’amore e d’accordo.
Le cronache raccontano di agguati dietro i cassonetti in quel di Torpignattara effettuati da sindaca e assessora ai danni di inermi cittadini scesi a buttare l’immondizia, tra multe minacciate e divani abbandonati: «Sembravano Totò e Peppino nelle minidiscariche», raccontavano gli astanti. E sbagliavano.
Perchè la storia di questi sei mesi vissuti pericolosamente tra complotti, bugie e videotapes dimostrano che il comico s’intreccia spesso con il tragico.
La storia di Paola Muraro assessora all’ambiente a Roma comincia con la richiesta di dimissioni tramite petizione qualche giorno dopo la nomina, ma ha un antefatto preciso: quello che coincide con la storia del patto segreto per l’immondizia a Roma.
La Muraro viene infatti suggerita a Raggi come assessora da Stefano Vignaroli, onorevole romano che preciserà poi che quella dell’ex AMA non fosse nemmeno la prima scelta ma il decimo nome sottoposto alla sindaca, che all’epoca aveva non pochi problemi a trovare nomi per la sua Giunta.
E proprio su input della Muraro in uno studio privato a fine giugno viene siglato un patto per tamponare l’emergenza rifiuti, anche se chi lo stipulo c’è chi non aveva titoli per accordarsi su nulla.
In via Aurelio Saffi 70, sede dello studio di architettura di Giacomo Giujusa, all’epoca assistente parlamentare del deputato e oggi assessore all’Ambiente ed ai Lavori pubblici del XI Municipio, si incontrano l’allora presidente di AMA Daniele Fortini, il presidente del Consorzio Laziale Rifiuti Candido Saioni, lo stesso deputato e la non ancora nominata assessora.
Il 30 giugno all’avvocato Saioni viene esplicitamente chiesto di farsi carico di 200 tonnellate di rifiuti indifferenziati in più al giorno da trattare negli impianti di Malagrotta. L’accordo dovrebbe rimanere segreto, e infatti se ne parla sul gruppo Facebook del quartiere Massimina:
«Le 200 tonnellate in più (sempre entro i limiti previsti dalle autorizzazioni) son servite per affrontare il picco dei rifiuti e la pulizia straordinaria in previsione anche dello sciopero che per fortuna è saltato», scrive il deputato l’11 luglio. «E sappiate che la storia dei 200 in più potevamo benissimo tacerla visto che è di facile strumentalizzazione, invece ci tengo alla trasparenza e non abbiamo nulla da nascondere… Immaginate quanto mi sia costato andarlo a chiedere al Colari» (Giovanna Vitale, Repubblica Roma, 21 luglio 2016).
L’8 luglio arriva il via libera al piano straordinario di polizia dell’AMA, il Campidoglio scrive: «La partecipata capitolina, per svolgere al meglio il lavoro, si avvarrà di nuovi accordi recentemente stipulati: con la Saf di Frosinone (conferimento di 300 tonnellate di rifiuti indifferenziati al giorno) e con il Colari (200 tonnellate in più nei prossimi 10 giorni)».
Vignaroli, è giusto ricordarlo, è sempre stato un fiero avversario del sistema di Malagrotta e uno degli onorevoli (e prima attivisti) in prima linea per la chiusura della discarica.
È evidente che la fonte della notizia che circola sui giornali è proprio Fortini, ma il capo dell’AMA messo lì da Marino ha ottime ragioni per essere ostile: c’è un’indagine della magistratura su quegli impianti e più in generale su Cerroni, l’AMA ha appena vinto in tribunale contro di lui nella causa milionaria intentata alla municipalizzata romana e soprattutto nessuno vuole dare un ordine scritto all’amministratore per l’accordo, sollevandolo così dalla responsabilità .
E così la guerra sotterranea tra AMA e assessorato diventa palese con il blitz in sede trasmesso in diretta Facebook: la Muraro chiede a Fortini che venga utilizzato il tritovagliatore di proprietà del Colari che ha ceduto quel ramo di azienda in affitto. Fortini dovrebbe decidere di usare il tritovagliatore senza fare troppe storie, ovvero conferendo l’incarico senza gara.
Fortini non ritiene che sia corretto usare quell’impianto senza gara e non pensa che sia autorizzato. E soprattutto il presidente dell’AMA usa argomenti più politici che tecnici per far valere le sue ragioni: paventa una riapertura della discarica di Malagrotta che la sindaca smentisce furiosamente; Cerroni provoca, dicendosi pronto a salvare Roma e prendendosela con il suo arcinemico Fortini.
Il monnezzagate di Roma esplode definitivamente.
Paola Muraro viene accusata esplicitamente di conflitto d’interessi per i suoi precedenti incarichi in AMA, per il «milioncino» guadagnato da consulente; l’assessora si difende con argomenti risibili sul blog di Beppe Grillo e nell’occasione sbaglia anche il calcolo di quanto ha guadagnato.
Daniele Fortini, in audizione alla Commissione Ecomafie, si toglie valanghe di sassolini dalle scarpe accusando Vignaroli e la Muraro di voler aiutare Cerroni e in particolare all’assessora rinfaccia una serie di comportamenti irregolari segnalando di aver portato 14 dossier in procura (negli anni) per segnalare le irregolarità nella vecchia gestione.
Si susseguono notizie dei rapporti della Muraro con Fiscon, Panzironi, Buzzi. Fortini se ne va, al suo posto, suggerito da Minenna, arriva Alessandro Solidoro. Girano fregnacce su complotti dell’immondizia, che i grillini rilanciano.
Nel frattempo il 31 agosto Minenna lascia insieme a Carla Romana Raineri e Solidoro.
A settembre il Corriere della Sera scrive che Paola Muraro è indagata per due ipotesi di reato.
La sventurata e la sindaca smentiscono, mentendo ripetutamente all’opinione pubblica. Il 5 settembre, in audizione davanti alla Commissione Ecomafie, la Muraro ammette candidamente di sapere di un’indagine a suo carico da luglio e di avere avvertito la sindaca che l’ha riferito ai vertici nazionali e romani del MoVimento 5 Stelle.
Anche Marco Travaglio, scottato perchè la Muraro ha mentito anche al Fatto, chiede le dimissioni dell’assessora. Il direttorio M5S chiede alla Raggi l’addio di Marra, Muraro e dell’appena nominato De Dominicis, mentre scoppia il caso della mail “non capita” da Luigi Di Maio e la situazione sembra che stia per esplodere: si racconta che anche la sindaca cominci a pensare di lasciare.
L’indagine sfiora Vignaroli, di cui si prospetta una convocazione come testimone.
Si rincorrono voci di nuove indagini, di relazioni pericolose (smentite), di consulenze e frequentazioni originali.
Nel M5S c’è chi propone il recall per l’assessora, ma con scarsi risultati. La linea ufficiale del M5S è che finchè non arriva l’avviso di garanzia e non si sa per cosa è precisamente indagata (è scritto su tutti i giornali, ma evidentemente quando tocca ai loro i 5 Stelle scoprono il garantismo peloso).
Intanto la procura indaga per una violazione dell’articolo 256 del Testo unico sull’ambiente.
La Muraro è indagata insieme ad altri quattro dirigenti AMA per gestione non autorizzata di rifiuti, un reato contravvenzionale che prevede la condanna da uno a tre anni o un’ammenda fino a 26mila euro.
Il magistrato ha ottenuto una proroga di sei mesi per le indagini della vicenda, che ruota intorno agli impianti TMB di Rocca Cencia e del Nuovo Salario, di cui la Muraro è stata per dieci anni consulente esterna con il compito di referente IPCC: era responsabile del controllo del rifiuto in entrata e in uscita e della qualità del trattamento.
Secondo gli inquirenti gli impianti non hanno funzionato a dovere, trattando meno scarti e di qualità difforme rispetto a quanto stabilito nelle autorizzazioni. Per la procura l’incarico di consulenza della Muraro era simulato e l’ex assessora agiva da dirigente.
A fine novembre si sa che la Muraro verrà convocata in procura per l’interrogatorio di garanzia; l’invio dell’avviso è quindi questione di giorni.
La sindaca e l’assessora si fanno fotografare con le mani nella monnezza e il “nuovo corso” su AMA promesso a più riprese tra le due si rivela pericolosamente simile, se non uguale, al vecchio.
Fino alle dimissioni di oggi e all’assicurazione che il nuovo assessore all’ambiente sarà trovato in tempi brevi dalla sindaca.
Il tribunale dirà se la Muraro è colpevole o innocente. La vicenda politica si chiude però con morti e feriti: il M5S si è completamente affidato all’assessora e alla sua indiscutibile competenza non rendendosi conto dei pericoli e dei clamorosi errori che la Muraro ha commesso e anche di una sua tendenza a utilizzare il complottismo per giustificare, o meglio per non rispondere ad addebiti e critiche.
L’utilizzo spregiudicato del vittimismo e della polemica politica ha contribuito a creare e perpetuare una situazione insostenibile per una città martoriata sul dossier rifiuti.
E il nuovo che è avanzato ha puzzato di vecchio fino all’ultimo giorno.
Auguri al successore: ne ha un disperato bisogno
(da “NextQuotidiano“)
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Dicembre 13th, 2016 Riccardo Fucile
“VIOLAZIONI DELLE AUTORIZZAZIONI RELATIVE ALLA GESTIONE DEGLI IMPIANTI DI ROCCA CENCIA E SALARIO”
Sono cinque i capi di imputazione contestati alla dimissionaria assessora all’Ambiente del Comune di Roma Paola Muraro, con riferimento all’epoca in cui era consulente di Ama, nell’invito a comparire inviatole dalla procura di Roma.
Violazione dell’articolo 256 comma 4 legge 2006 (reati ambientali) in concorso, a seconda dei singoli casi, con altri quattro responsabili, all’epoca dei fatti, di singoli apparati degli impianti TMB di Rocca Cencia e di via Salaria, il reato contestato.
Per quello di abuso d’ufficio si va verso una richiesta di archiviazione.
Nell’invito a comparire per l’interrogatorio del 21 dicembre prossimo, firmato dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Paolo Ielo, nonchè dal pm Alberto Galanti, si contesta alla Muraro di aver “operato — si legge nell’avviso di garanzia — una gestione dei rifiuti in violazione delle prescrizioni delle autorizzazioni riguardanti la gestione degli impianti stessi per quanto in particolare concerne le percentuali di trasformazione dei rifiuti in ingresso in CDR, FOS e Scarti di lavorazione per gli anni 2010-2015, distintamente per l’impianto Rocca Cencia e Salario”.
“I dati risultanti da tale analisi — è detto nel provvedimento della procura — indicano infatti una notevole discrasia tra quanto previsto dal D.M. 25 marzo 2013 e le performance raggiunge dagli impianti di trattamento meccanico e biologico gestiti da Ama S.p.A.”.
Sempre a proposito degli impianti di Rocca Cencia e di via Salaria, viene contestato alla Muraro, in concorso o cooperazione colposa, di aver operato una “gestione degli impianti stessi per quanto in particolare concerne i flussi di rifiuti in uscita dagli impianti TMB”.
Ancora con riferimento ai due impianti, la contestazione di piazzale Clodio è quella di “una gestione non autorizzata di rifiuti speciali” e segnatamente volta al “recupero energetico di presso impianti di termovalorizzazione o incenerimento non autorizzati a smaltire i rifiuti classificati con il codice CER 191212 presso una serie di impianti di smaltimento/recupero/termovalorizzazione”.
Altre, presunte violazioni, contestate alla Muraro, vertono sulla violazione delle prescrizioni legate allo stoccaggio dei rifiuti prodotti dal processo di trattamento meccanico e biologico dei rifiuti urbani indifferenziati.
La contestazione che viene mossa all’assessore dimissionaria riguarderebbe il mancato raggiungimento dei parametri ministeriali sia nel conferimento sia nel reimpiego dei rifiuti trattati dai due impianti.
(da agenzie)
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Dicembre 13th, 2016 Riccardo Fucile
LA PROVA FINESTRA NON MENTE: BRUTTO E MALINCONICO ED E’ PURE COSTATO 15.000 EURO
Ormai è diventato un caso nazionale. L’albero di Natale di piazza Venezia non era piaciuto per
niente al popolo, che si era riversato sulla pagina facebook del Comune di Roma per lamentarsene.
E Repubblica, in un articolo a firma di Vittorio Zucconi, affonda il coltello nella piaga:
È un non albero. Un totem dell’assenza, dunque esemplare della Roma di oggi, promemoria dei giorni indimenticati e cupi della irrisa “sobrietà ” e dell’austerity.
È più un’espiazione penitenziale, uno scusarsi di esistere, che un festoso richiamo per attirare e rallegrare quel turismo nazionale e straniero del quale Roma avrebbe disperatamente bisogno per tappare le buche nelle strade e le voragini nel bilancio lasciate dalle amministrazioni che hanno preceduto la sindaca Raggi.
Nel terrore ideologico e superstizioso della collaborazione coi privati infetti, magari con quegli sponsor impuri come banche o aziende che hanno pagato per splendidi, eleganti, vistosi, a volte strakitsch alberi natalizi in città come Milano, Napoli, Salerno, Bologna e anche nella Torino della più pragmatica sindaca Appendino, l’albero a cui tendevi e a cui nessuno tende, è comunque costato ai contribuenti romani 15 mila euro, secondo il comunicato ufficiale della Giunta.
Soldi spesi per il trasporto straordinario dal Trentino, per l’installazione, le gru e gli avari addobbi.
Con il solo risparmio della bolletta elettrica, assorbita dalla partecipata Acea.
Bolletta che, vista la miseria luminosa accesa l’8 dicembre, non risulterà salatissima. Naturalmente nessuno impone mai a nessun governo e a nessuna amministrazione comunale al mondo di erigere un abete natalizio a nome e per conto dell’affranta cittadinanza e di spendere anche un solo euro di danaro pubblico per ricordare a residenti e visitatori quello che già sanno, che alla fine di dicembre ricorre il Natale dei cristiani, esponendosi agli umilianti confronti che crudelmente prima i social network in Rete e poi i media hanno mostrato.
Per soprannumero, il quotidiano apre anche alla prova-finestra con quello di altre giunte in altre città .
Insomma, a torto o a ragione l’albero di Natale in Piazza Venezia è assurto più o meno a prova del declino della città .
(da “NextQuotidiano“)
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Dicembre 13th, 2016 Riccardo Fucile
I DOCUMENTI DELLA G.D.F. SVELANO I LEGAMI DELLA FAMIGLIA TULLIANI CON CORALLO… ELISABETTA HA UN RUOLO NELLA SOCIETA’ COINVOLTA NELLA COMPRAVENDITA DELL’APPARTAMENTO NEL PRINCIPATO
La compagna di Gianfranco Fini ha avuto un ruolo nella società offshore coinvolta nella compravendita della ormai nota casa di Montecarlo . Il particolare emerge dagli atti della procura di Roma, che indaga sul re delle slot Francesco Corallo.
Ma torniamo al luglio 2008, quando Alleanza nazionale vende per 300 mila euro un appartamento di Montecarlo, in Boulevard Principesse Charlotte 14, che era stato donato al partito, per testamento, dalla contessa Anna Maria Colleoni, morta il 12 giugno 1999.
A comprarlo è una offshore, chiamata Printemps, che nell’ottobre 2008 lo rivende per 330 mila euro a un’altra società anonima caraibica, Timara Limited.
L’appartamento viene subito affittato a Giancarlo Tulliani, che è fratello di Elisabetta, la moglie di Giancarlo Fini, all’epoca dei fatti da soli tre mesi presidente della Camera.
Un affare immobiliare come tanti altri?
Stando all’inchiesta dei magistrati della Capitale e dello Scico della Finanza non esattamente.
La prima anomalia, già nota, è che in realtà il titolare effettivo delle due società offshore è Giancarlo Tulliani. Ora le nuove indagini, coordinate dal pm Barbara Sargenti, aggiungono un tassello, decisivo.
Svelano che a pagare l’intero prezzo dell’appartamento fu una società offshore controllata da Francesco Corallo: il re delle slot, l’imprenditore che a 23 anni lasciò Catania per trasferirsi nel paradiso dei caraibi Saint Martin, isola delle Antille dove già il padre Gaetano aveva investito una fortuna.
Il papà del re delle slot però porta con sè un peso non da poco, oltre che una condanna: «lo stretto legame con il capo mafia Benedetto “Nitto” Santapaola-legame non taciuto neppure da quest’ultimo» ricostruito dagli inquirenti attraverso i pentiti e provvedimenti giudiziari.
I guadagni della Tulliani
Ma i documenti dell’accusa rivelano ulteriori particolari su Casa Montecarlo. Per esempio il ruolo della compagna di Fini.
«Va aggiunto, quanto alla riconducibilità delle società offshore alla famiglia Tulliani, anche il sicuro coinvolgimento di Elisabetta Tulliani», si legge nell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere Francesco Corallo e l’ex deputato Amedeo Laboccetta .
In particolare, si legge negli atti, Elisabetta Tulliani avrebbe un ruolo proprio nella Timara, la stessa che ha acquistato la casa di Montecarlo da una prima offshore.
I detective delle fiamme gialle, inoltre, hanno scovato una mail datata 7 novembre 2008, Fini era già presidente della Camera da sette mesi, in cui «venivano richieste alcune lettere di referenze per Elisabetta Tulliani, al fine di aprire conti correnti intestati alle citate società ».
Scrive, poi, il giudice per le indagini preliminari: «In data 31 ottobre 2008 venivano trasferiti 500 mila euro sul conto corrente intestato sempre alla Dawn properties, con sede ad Anguilla, società riconducibile a Francesco Corallo. Queste somme sono state bonificate a vantaggio di Giancarlo ed Elisabetta Tulliani, nonchè delle società offshore a loro riconducibili».
Ma è dall’hard disk di Corallo che i finanzieri traggono una miniera di informazioni. Dati che ricollegano ancora una volta il re delle slot alla famigia Tulliani.
«Oltre a documenti, fatture, mail che attestano i suoi rapporti con le società offshore dei Tulliani, era memorizzato copia scansita del passaporto di Elisabetta Tulliani, nonchè lettere di referenza ricevute da Elisabetta Tulliani ed utilizzate per l’apertura di conti correnti esteri di Timara rese da Unicredit Banca di Roma, filiale di Roma (25.8.2008) e dallo studio legale Giuliano (15.9.2008); nei luoghi perquisiti su delega della Procura di Milano nella disponibilità di Francesco Corallo, venivano sequestrati due fax con allegati i passaporti di Giancarlo Tulliani (13.3.2008) e di Elisabetta Tulliani (19.6.2008)».
Di questi ritrovamenti ne aveva già dato notizia l’Espresso nel 2012 , raccontando i segreti contenuti nel computer del re delle slot. Ciò che allora non si sapeva, però, lo troveranno i finanzieri nella perquisizione di due anni dopo fatta nella sede Atlantis Casinò, in Saint Martin.
Gli investigatori in missione nel paradiso fiscale pescano due procure, datate gennaio 2014, rilasciate da Elisabetta Tulliani all’avvocato Carlo Guglielmo Izzo e all’Avvocato Giancarlo Mazzocchi, «affinchè i professionisti la rappresentino in tutti gli affari concernenti Timara Ltd, conferendo loro pieni poteri».
Così scrive il gip: «Infine, risulta che effettivamente Timara Ltd (rappresentata da Alex James), dopo circa un anno, ha venduto l’appartamento il 15 ottobre 2015 ad un prezzo di 1,4 milioni di euro, con una notevole plusvalenza rispetto al prezzo delle due precedenti compravendite».
(da “L’Espresso”)
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Dicembre 13th, 2016 Riccardo Fucile
COMPRATA DA GIANCARLO TULLIANI CON I SOLDI DEL RE DELLE SLOT CORALLO… E ORA L’ARRESTO DELL’IMPRENDITORE CATANESE E DELL’EX PDL LABOCCETTA SVELA I CONTI ESTERI DEL SUOCERO DELL’EX PRESIDENTE DELLA CAMERA
La vera storia della casa di Montecarlo che provocò grande imbarazzo a Gianfranco Fini è
scritta nelle informative della guardia di finanza, che oggi hanno arrestato Francesco Corallo , il re delle slot.
L’inchiesta dei finanzieri dello Scico – nata dalle prime indagini milanesi sui versamenti segreti di Corallo all’ex banchiere della Bpm Massimo Ponzellini – ha ricostruito, infatti, anche la storia completa della casa di Montecarlo. Tra gli indagati a Roma ora compaiono Giancarlo e Sergio Tulliani, il cognato e il suocero dell’ex leader di An.
Una storia, dunque, che parte da Francesco Corallo, l’imprenditore catanese diventato miliardario grazie alla concessione statale per gestire il gioco d’azzardo legalizzato. Arrestato dalla polizia olandese nell’isola caraibica di Saint Marteen.
Corallo è inquisito dalla Procura di Roma come capo di un’associazione per delinquere finalizzata a commettere numerosi reati tra cui spicca il ricicilaggio di denaro sottratto al fisco: decine di milioni di euro che il suo gruppo Atlantis-Bplus (di recente ribattezzato Global Starnet) avrebbe dovuto versare allo Stato italiano, come tasse sui profitti sviluppati da oltre 73 mila macchinette mangiasoldi (slot e vlt) che l’imprenditore siciliano ha potuto installare a partire dal 2004 in tutta la Penisola.
In realtà le indagini internazionali guidate dallo Scico, il reparto antimafia della Guardia di Finanza, documentano che i soldi dovuti all’erario sono stati dispersi e occultati in una rete di società offshore controllate dai più stretti collaboratori di Corallo.
Come Rudolf Baetsen, il suo braccio destro ai Caraibi, e Amedeo Laboccetta, parlamentare del Pdl fino al 2013 nonchè rappresentante per l’Italia di Bplus-Atlantis, già indagato per favoreggiamento a Milano, tuttora tra i dirigenti di Forza Italia in Campania. Baetsen è stato arrestato a Saint Marteen, mentre Laboccetta è stato ammanettato a Napoli e trasferito in carcere a Roma.
Fino a ieri della casa dei Tulliani si conosceva solo la prima parte della vicenda, in cui mancava proprio il ruolo di Corallo.
Nel luglio 2008 Alleanza nazionale vende per 300 mila euro un appartamento di Montecarlo, in Boulevard Principesse Charlotte 14, che era stato donato al partito, per testamento, dalla contessa Anna Maria Colleoni, morta il 12 giugno 1999.
A comprarlo è una offshore, chiamata Printemps, che nell’ottobre 2008 lo rivende per 330 mila euro a un’altra società anonima caraibica, Timara Limited.
L’appartamento viene subito affittato a Giancarlo Tulliani, che è fratello di Elisabetta, la moglie di Fini
Dopo la rottura tra Berlusconi e il leader di An, l’allora ministro forzista Franco Frattini trasmette alla procura di Roma una lettera, firmata dal capo del governo dell’isola di St. Lucia, che indica Giancarlo Tulliani come titolare effettivo delle due società offshore.
All’epoca il pm Pierfilippo Laviani archivia il caso, spiegando che l’appartamento era di proprietà del partito, che come associazione privata poteva rivenderlo a chiunque, mentre il prezzo pagato, benchè molto inferiore al valore di mercato, era comunque superiore alla cifra (273 mila euro) per cui era registrato nei bilanci di Alleanza nazionale.
I documenti della guardia di finanza svelano i legami della famiglia Tulliani con il re delle slot.
E i pm scoprono che la compagna di Gianfranco Fini ha un ruolo nella società coinvolta nella compravendita della appartamento nel Principato prima di proprietà del partito
Ora le nuove indagini, coordinate dal pm Barbara Sargenti, rivelano che a pagare l’intero prezzo dell’appartamento fu una società offshore controllata da Corallo. Secondo l’accusa, quindi, Tulliani ha potuto acquisire l’appartamento senza versare un soldo.
I nuovi documenti scoperti dalla Guardia di Finanza, che ha potuto per la prima volta perquisire anche il quartier generale di Corallo nell’isola di Saint Marteen, documentano inoltre che lo stesso appartamento è stato poi rivenduto a una cifra molto maggiore: 1 milione e 360 mila euro.
Soldi incassati dalle offshore di Tulliani. E poi depositati su conti esteri intestati anche a suo padre, Sergio Tulliani.
Attraverso il doppio affare di Montecarlo, quindi, il cognato e il suocero dell’ex leader di An hanno intascato oltre 300 mila euro dalle offshore Corallo e un altro milione dall’acquirente finale, senza mai sborsare un soldo.
L’inchiesta ha ricostruito altri versamenti dalle società offshore di Corallo ai conti esteri dei Tulliani, per un totale di circa due milioni e 600 mila euro.
Questa mattina all’alba i militari dello Scico hanno perquisito anche la casa di Sergio Tulliani, che abita a Roma nello stesso palazzo dove vivono sua figlia Elisabetta e Gianfranco Fini.
(da “L’Espresso”)
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Dicembre 13th, 2016 Riccardo Fucile
LA FRASE INVENTATA: “GLI ITALIANI IMPARINO A FARE SACRIFICI E LA SMETTANO DI LAMENTARSI”
Il nuovo Governo regolamente nominato si è insediato da poco, ed ecco che i viralizzatori di professione non lasciano aspettare neppure poche ore prima di esigere il loro obolo in likes, condivisioni virali e indignazione del Popolo della Rete.
Così LiberoQuotidiano mette in bocca al Presidente del Consiglio Gentiloni le seguenti affermazioni
Susciteranno sicuramente delle polemiche queste dichiarazioni del nuovo premier Gentiloni, che ci è andato giù pesante e non ha lasciato spazio a interpretazioni, subito dopo aver accettato l’incarico di governo da Sergio Mattarella:
“Non è un periodo storico facile per l’Italia, siamo in crisi da diversi anni e ormai la crescita dello zero virgola è nulla in confronto a quella di altri paesi europei”.
Ma per ritornare ad essere veramente competitivi — continua Gentiloni — gli italiani devono fare dei piccoli sacrifici quali smettere di lagnarsi sui social e poi fare la fila per comprarsi l’ultimo IPhone, o insultare i protagonisti di Riccanza per poi fare tavolo in discoteca in 40 per potersi permettere una bottiglia di DonPero. Risparmiassero 10 euro in più al mese, così potrebbero campare dignitosamente.
“Basta ipocrisie, sono tutti finti poveri e io sono già scocciato di questo piagnisteo, rimboccarsi le maniche per il futuro del paese, qualche sacrificio non ha mai ammazzato nessuno, solo così l’Italia tornerà a primeggiare in Europa”.
Il linguaggio colloquiale e rissoso, la polemica populista e rabbiosa sono volutamente creati per causare indignazion
Indignazione che, ci rivela lo staff di Adotta anche tu un Analfabeta Funzionale, prima pagina a seguire l’evoluzione di questa bufala, ha assunto forme censurabili e deprecabili, delle quali vi offriamo un florilegio:
Co****** vattene
Se ancora no. L’avete capito ,per cambiare bisogna fare una rivoluzione !!! Questo strozi in ci hanno neanche in nota nonostante il voto sua stato abbastanza chiaro.
Se non scendiamo in piazza ora contro questi malavitosi ve ne accorgerete il 2017. Poi non vi lamentate
Screenshot 2016-12-12 22.27.46Ma mo’ ti sputo in faccia …stu grande bastardo implicato anche nella vendita di armi ..
Sta’ grandissima Lota…
Prega Dio che non scendiamo Mai in piazza …perchè anche tu…faresti na brutta fine…
E tu omme e mmerda ..cosa hai votato per il taglio degli stipendi ai deputati..
Tu grande Lota che sacrifici Stai facendo…stai rubando Qualcosa in più e te lo vuoi Fottere da noi…..BASTA !! Tirate ….tirate …la corda che Sta’ per spezzarsi e allora saranno cazzi…amari ma per voi….
Non basta dunque che Libero Giornale sia un autonominatosi giornale satirico, e non basta far notare l’inesistenza delle grottesche affermazioni contenute nei commenti: è bastato pochissimo per dare la stura a commenti ed affermazioni irripetibili.
In altri Paesi questa è diffusione di notizie false atte a turbare l’ordine pubblico e istigazione a delinquere.
In Italia tutto è permesso.
(da Bufale.net)
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