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ERA UBRIACO LA RISORSA PADANA CHE HA UCCISO UNA MAMMA DI TRE BIMBI

Ottobre 30th, 2017 Riccardo Fucile

AVEVA UN TASSO ALCOLEMICO TRE VOLTE SUPERIORE A QUELLO CONSENTITO L’UOMO CHE HA TRAVOLTO UNA DONNA ALBANESE A PUEGNANO DEL GARDA E POI E’ FUGGITO SENZA PRESTARE SOCCORSO

Aveva un tasso alcolemico tre volte superiore a quello fissato dalla legge il pirata della strada che sabato sera a Puegnago del Garda nel Bresciano ha travolto e ucciso Elvira Xoxha, madre di tre figli.
L’uomo, Eugenio Vaga, 43 anni di Puegnago, dopo aver investito la donna è fuggito facendo perdere le sue tracce.
Sull’asfalto è però rimasta la targa della sua Ford Focus che ha permesso ai carabinieri di rintracciarlo tre ore dopo a casa.
Trasferito in caserma Vaga è stato sottoposto a al test alcolemico che ha subito evidenziato valori oltre il limite, decretandone così l’arresto.
Ai militari per il momento non ha fornito spiegazioni sulla sua fuga.
Attualmente si trova in carcere con accuse pesantissime: omicidio stradale e omissione di soccorso. La vittima, 38 anni di origine albanese, lascia il marito e tre figli in tenera età . Sabato sera intorno alle 19 si stava recando a piedi al supermercato in località  Castello quando è stata travolta dall’auto impazzita di Vaga che non le ha lasciato scampo.
Al momento la sua salma rimane sotto sequestro all’ospedale di Gavardo.
A incastrare l’uomo anche le immagini della videosorveglianza presente in zona.

(da “La Stampa”)

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LA SOLITUDINE DEL PIEMONTE NELL’EMERGENZA: TRA PRESUNZIONE E INDIFFERENZA DELLE ISTITUZIONI

Ottobre 30th, 2017 Riccardo Fucile

I ROGHI DEVASTANO, IL FLOP DELLO STATO   E DEL MINISTERO DEGLI INTERNI

Non c’è bisogno di essere fisicamente sui monti che bruciano. Non c’è bisogno di dover scappare di casa perchè le fiamme la lambiscono. Non c’è bisogno di abitare a Torino per scrutare con angoscia la nube rossastra e cupa che l’avvolge.
Basta guardare le foto e i filmati agghiaccianti che compaiono sui giornali, in tv o sulla rete per comprendere la situazione drammatica in cui una Regione come il Piemonte si trova ormai da molti giorni e, purtroppo, senza che le previsioni meteorologiche, per altri giorni, offrano conforto.
Eppure, sembra che uno strano «silenziatore d’allarme» sia stato applicato a una emergenza così grave un po’ da tutte le autorità  che dovrebbero intervenire con l’urgenza indispensabile, con tutti i mezzi disponibili, chiedendo l’aiuto e facendo ricorso a tutte le forze che un Paese come l’Italia dovrebbe mobilitare in un caso del genere.
Hanno cominciato gli amministratori locali a non proporzionare le loro richieste di assistenza per i rischi che correvano i loro territori e i loro abitanti, forse un po’ per l’orgoglio di far da soli e un po’ per quella consueta ritrosia piemontese che rifugge il lamento.
Stessi atteggiamenti hanno mostrato autorità  piemontesi e torinesi. Anche per costoro quel «silenziatore» può avere parecchie motivazioni.
Da una parte, la presunzione, alimentata da scarsa consapevolezza della gravità  dei pericoli e delle enormi difficoltà  di far fronte alla vastità  del territorio devastato dalle fiamme, di possedere forze sufficienti per il controllo e lo spegnimento degli incendi. Dall’altra, il timore, del tutto incomprensibile, di esagerare un allarme che, invece, aveva tutti i motivi per essere gridato con quella forza che la situazione richiedeva.
Così, davanti a questo «bon ton» piemontese e torinese, in questo caso tutt’altro che buono, il governo si è adeguato al generale tran-tran, sommesso e distratto.
Nè il presidente del Consiglio ha fatto sentire la sua voce e, soprattutto, ha assunto decisioni opportune in aiuto del Piemonte, nè lo ha fatto il ministro dell’Interno, solitamente pronto ad adottare iniziative efficaci e tempestive.
La ministra della Difesa, Pinotti, si è limitata ad accogliere la richiesta di 60 alpini per controllare che i piromani non proseguissero nelle loro folli imprese incendiarie. E ci mancava che dicesse di no.
Da parte delle organizzazioni di volontariato, infine, che da Nord a Sud del nostro Paese si sono sempre mobilitate con grande entusiasmo, con grande senso di solidarietà , ma anche con grande capacità  operativa, non sembra che, in questo caso, si sia avvertita la solita disponibilità  a intervenire.
Ecco perchè l’impressione è quella di una sostanziale solitudine della Regione di fronte a un’emergenza quale mai si è presentata in questo territorio, almeno in tempi recenti.
Sarà  colpa della proverbiale sobrietà  sabauda.
Sarà  colpa dell’abitudine che il Piemonte ha dato all’Italia di non sollecitare un aiuto nazionale, neanche quando è indispensabile.
Sarà  colpa di una disattenzione generale che corrisponde, parliamoci chiaro, a un interesse particolare di molti italiani.
Sarà  colpa dello scarso timore delle autorità  governative e dei partiti nazionali per reazioni di indignazione che gli abitanti di una Regione come il Piemonte non sono soliti manifestare.
Ma è ora che tutti, in Italia, comprendano la gravità  di quello che sta succedendo e che non continuino a volgere il capo da un’altra parte.

(da “La Stampa”)

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VAL SUSA, L’INFERNO SCENDE DAI MONTI: “CHIUDO CASA, SPERIAMO DI RITROVARLA”

Ottobre 30th, 2017 Riccardo Fucile

GLI INCENDI AVANZANO VERSO I PAESI, EVACUATE 600 PERSONE, IN CENERE MIGLIAIA DI ETTARI… NELLA CASA DI CURA: “VENITE A PRENDERCI, QUI NON SI PUO’ PIU’ STARE”

I Canadair croati sono arrivati nel pomeriggio. Gli svizzeri, con i loro elicotteri, voleranno soltanto domani, vento permettendo.
I francesi, la colonna dei Sapeur Pompier con i loro mezzi piccoli in grado di operare tra le case delle borgate, sarebbero pronti a partire.
Sarà  anche vero, come dice qualcuno, che l’Europa si sta mobilitando per il Piemonte in fiamme. Ma, visto da qui, da questa strada che da Susa porta al centro di Venaus, sembra che l’inferno stia uscendo da sotto terra e, in un attimo, debba inghiottire tutto: la montagna che è tutta rossa, le case abbarbicate alle rocce, la strada, le auto e tutti quegli uomini che cercano di fermare il fuoco.
E la signora Antonietta si siede su un muretto in cemento armato della piazza di questa borgata che si chiama San Francesco e piange perchè il suo mondo se ne sta andando in cenere.
La sua casa è proprio lì, sotto il costone che sta bruciando: basterebbe che arrivasse un tizzone acceso sul tetto e tutto ciò che ha finirebbe in cenere.
Nilo Durbiano è un sindaco abituato alle emergenze nel suo territorio, Venaus, l’ultimo comune raggiunto dal fuoco.
Alle otto di sera, dopo una giornata di battaglie, di telefonate, è riuscito a far arrivare le autobotti anche in frazione Berno e ad allontanare tutti gli abitanti: stanotte qui non può dormire nessuno. Come a Mompantero, come a in altre borgate dove le fiamme sono praticamente alla cinta dei giardini delle case più in alto.
«Ci sono duemila ettari di montagna interessata dai roghi» annunciano in Comune a Mompantero. Ma se il vento non cala, oggi saranno molti di più.
E ci sono almeno 600 persone sfollate in tutta la valle. Come Antonietta di borgata San Francesco o come la signora Carla Vigna che alle tre del pomeriggio chiude a chiave il portoncino d’ingresso della villetta a Mompantero e se ne va: «E che il cielo me la mandi buona». Ha una borsa con dentro un cambio per la notte, le ciabatte rosse che usa in casa ancora ai piedi, e ha paura. S’infila nella sua auto, saluta con la mano la gente dall’altra parte della strada e se ne va.
Questo posto sta diventando un paese fantasma. E questo fumo che scende dalla montagna sta ammorbando tutto, rende irrespirabile l’aria, e annebbia anche il sole.
La signora Carla fila via mentre arrivano gli enormi trattori dei contadini con le botti cariche d’acqua per i volontari dell’Aib e per tutti quelli che stanno cercando di domare il fuoco. Volontari più volontari degli altri, mobilitati dalla Coldiretti, alle dirette dipendenze di nessuno.
Per fortuna che ci sono anche loro, però. Perchè su questa montagna adesso c’è bisogno di chiunque abbia voglia e competenza per fare. E mentre il prefetto Renato Saccone, al termine della riunione nel municipio del paese fantasma, annuncia che saranno inviate in Val di Susa tutte le forze «sganciate da altri parti del territorio dove l’emergenza sta rientrando» a Venaus si firma un’altra ordinanza di sgombero.
L’autostrada che collega Torino con le Valli Olimpiche, con Bardonecchia e Sestriere, e che passa proprio accanto alle montagne in fiamme, continua a restare chiusa da Chianocco a Oulx, in entrambe le direzioni. C’è troppo fumo, è come viaggiare in una giornata di nebbia densa in Pianura Padana. Ma con il fuoco che ti insegue, oppure ti accompagna per chilometri.
Alle quattro del pomeriggio di questa domenica di delirio, il responsabile della Croce Rossa di Susa allerta tutti i suoi ragazzi: «C’è un problema grosso». Si chiama casa di riposo Cora, a Susa, una struttura con 190 ospiti, molti non autosufficienti. Il fumo dei roghi è sceso fino a lì, c’è già  qualcuno che sta male.
Gli ospiti vanno portati in salvo perchè sono anziani, e perchè molti hanno seri problemi respiratori. Ma, per farlo, servono pulmini attrezzati, servono persone, serve tempo. Radio che gracchiano, telefonate, consulti tra volontari. Alla fine si trova una mediazione: «Andranno via soltanto gli ospiti più gravi». Ma da villa Cora qualcuno chiama i parenti a casa: «Venite a prendermi, qui non si può più stare». È così a sera fatta le persone che lasciano la struttura sono una quarantina in tutto.
Sandro Plano, battagliero sindaco No Tav, si fa sentire anche al vertice. La soluzione è una mediazione che accontenta tutti: «Se non peggiora, 150 ospitati restano lì».
Se va male si va via in massa, sui pulmini che quelli della Croce Rossa lasciano posteggiati davanti alla struttura tutta la notte. È un buon compromesso. E se il vento che spazza queste montagne ormai da giorni cambia direzione, o se cessa del tutto, il problema è risolto.
Ma è una pia illusione che tutto finisca così. Piove cenere adesso su Mompantero, e arrivano file di volontari a far una mano.
«E’ la nostra resistenza» dice una ragazza bionda che con un ragazzo suo coetaneo spinge una pompa su ruote, destinata a pescare acqua dalle rogge con cui spegnere i roghi. «E noi abbiamo quasi perso una nostra casa lassù tra gli alberi, abbiamo lavorato da soli e adesso ce ne andiamo sfiniti» si sfogano i ragazzi con il pick up bianco.
Sono le cinque del pomeriggio ma qui sembra già  notte, tanto fumo c’è nell’aria. Arrivano due Canadair, sganciano l’acqua e se ne vanno.
Servirebbero passaggi continui, ma con ‘sto vento gli aerei fanno fatica a volare e con ‘sto fumo quasi non riescono a vedere dove lanciare. Ma ci provano.
Alle 10 di sera la battaglia va ancora avanti. Berno è sgomberata. A Mompantero non c’è quasi più nessuno. I carabinieri bloccano le strade. I pompieri coordinano aiuti in arrivo da altre regioni. E il fuoco avanza.
Con il naso all’insù e un bicchiere in mano, una decina di persone se ne sta davanti al bar sulla strada che da Venaus porta verso Novalesa.
Il fuoco sembra quasi di poterlo toccare allungando una mano verso la montagna. Cala a picco verso il paese. Non è più compatto, si è diviso in mille piccolo incendi. «Corre attraverso i boschi velocissimo» dice Renato Bruno che coordina come ispettore i volontari dell’Aib. Corre così veloce che ti immagini che da un momento all’altro arrivi su anche a Novalesa. O che scenda a Venaus paese. E c’è già  chi tira in ballo la storia del rogo del 1983, quando il fuoco distrusse una grossa parte del centro abitato, lasciando indenne la chiesa di San Biagio.
«Dobbiamo pregare perchè non accada più» dice la pensionata davanti alla chiesa. «No, devono a mandar più uomini a darci una mano» ribattono al bar. «No, deve passare il vento» spiega chi lavora. Per intanto il fuoco ha conquistato un altro spicchio di montagna, con castagneti e rovi. E i pompieri fanno il cambio turno. Qualche ora di riposo e poi via.
Sperando nella pioggia. O in un miracolo di San Biagio.

(da “La Stampa”)

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