Novembre 9th, 2017 Riccardo Fucile
“CANDIDARMI? TENETEMI FUORI DA QUESTE COSE, DEVO LAVORARE PER LA MIA GENTE”… INFATTI SI CANDIDA A FARE IL GOVERNATORE
“Mi candido”. Deve essere scattato qualcosa in Sergio Pirozzi, primo cittadino di Amatrice
e sindaco-simbolo durante i giorni più difficili, quelli del terremoto che un anno fa ha distrutto il suo comune e i paesi vicini, da indurlo ad annunciare la sua candidatura alle elezioni regionali nel Lazio a capo di una lista civica.
Deve essere scattato qualcosa perchè meno di due settimane fa Pirozzi, da tempo tirato per la giacca da chi gli chiedeva di candidarsi, ha sempre smentito una sua discesa in campo, tanto alle politiche quanto, soprattutto, alle regionali.
Il 24 ottobre, durante la presentazione del suo libro, scherzava: “Vi ho fatto venire qui tutti per farvi scoprire il libro. Figuratevi se ero talmente sprovveduto da annunciare la mia candidatura, a cui al momento non penso per niente, alla presentazione del mio libro. Siamo qui non per conoscere la storia di Sergio Pirozzi ma quella tanti sindaci di frontiera”.
“Voglio continuare a fare il mister”, aggiungeva Pirozzi, “ma una squadra vince se ha una visione comune, sa cosa fare quando ha la palla, ma le squadre possono essere anche tante, mentre quando tutti lavorano l’uno per l’altro con una grande squadra, con un linguaggio condiviso e per la propria maglia, allora si fanno i risultati”.
Un mese prima, il 27 settembre, intervenendo ad Agorà , su una sua possibile candidatura il sindaco era stato ancora più perentorio: “Tenetemi fuori da queste storie, io devo lavorare per la mia gente. Io sono un uomo libero”.
Allo stesso modo il 10 marzo, interpellato dall’Ansa, smentì chiamando in causa “la missione” che aveva da compiere: “Devo pensare ad Amatrice, ed è il mio unico obiettivo in questo momento”.
“Nella vita puoò succedere di tutto – aveva aggiunto il sindaco del comune reatino colpito dal sisma della scorsa estate – ma al momento la mia unica missione è quella di far risorgere il mio territorio”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 9th, 2017 Riccardo Fucile
LOMBARDI: “GIURAVA DI NO, E’ UNO DI PAROLA” … GIUBILO DEI SOVRANISTI, GELIDA FORZA ITALIA: “NON SUBIREMO DECISIONI ALTRUI”
Il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi si candiderà alla presidenza della Regione Lazio con una lista civica aperta a tutti “perchè l’Italia deve essere rappresentata dai sindaci“. L’ufficializzazione l’ha data per almeno la terza volta lo stesso primo cittadino durante la registrazione di un’intervista a Settegiorni, settimanale di Rai Parlamento che andrà in onda sabato mattina.
“La decisione è stata presa sulla spinta della gente comune — spiega — e della volontà dei sindaci”.
La prima a reagire, nel campo di Pirozzi, è la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni che racconta che quando Pirozzi le ha annunciato la sua decisione “non potevo certo essere contraria, visto che Sergio fa parte dell’assemblea nazionale di Fratelli d’Italia ed è un simbolo per gli abitanti delle zone colpite dal terremoto”.
Ma la linea che la Meloni ribadisce è quella dell’unità del centrodestra che in Sicilia, ma anche alle Comunali di giugno ha dato parecchi frutti. “Nelle prossime settimane incontreremo gli alleati per valutare insieme la soluzione migliore per mandare a casa la sinistra e battere l’inconcludenza del M5s”.
Alla Meloni si aggiunge anche il segretario della Lega Nord Matteo Salvini: “Sindaco capace e battagliero, difensore della sua gente, uomo onesto e in gamba” dice all’Ansa. “Per vincere nel Lazio — aggiunge Salvini — servono persone con le idee chiare e serve un centrodestra unito. Sono disponibile a confrontarmi con gli alleati su persone e programmi già settimana prossima, i cittadini del Lazio meritano di meglio rispetto a Raggi e Zingaretti“.
Non è lo specchio della felicità invece Forza Italia.
“In democrazia ognuno ha diritto ad assumere iniziative, a proporsi, a candidarsi — commenta Claudio Fazzone, il coordinatore regionale, dopo aver incontrato Silvio Berlusconi a Palazzo Grazioli — Le elezioni regionali nel Lazio chiamano un importante territorio a scelte di fondamentale rilevanza, che richiedono persone del mondo politico, della società civile o del territorio che abbiano l’esperienza adeguata per un ruolo così impegnativo come la guida della regione Lazio”.
Forza Italia “ritiene fondamentale avvicinarsi alle elezioni con un’ampia coalizione di forze politiche, civiche e del territorio e avanzerà le proprie proposte nei luoghi delegati a un confronto plurale, rispettando tutti, ma è decisa a non subire decisioni di altri”.
Comincia lo scontro a distanza con la candidata dei Cinquestelle Roberta Lombardi: “Pirozzi giurava che non si sarebbe candidato e che lui era uomo di parola — afferma a Radio Radio — Poi ha deciso di candidarsi. Già dà la misura della coerenza della persona”.
“Al momento — aggiunge la deputata M5s — l’unico grosso sponsor e fan di Pirozzi è Storace e noi cittadini laziali ricordiamo molto bene l’eredità sanitaria che ci ha lasciato. Da cittadina laziale sarei preoccupata”.
Già che c’è la Lombardi parla anche dell’altro candidato, il presidente uscente Nicola Zingaretti che, per la parlamentare grillina, “è il candidato di Renzi che lo ha sponsorizzato in tutte le maniere e non è il rappresentante di un progetto di sinistra”.
(da agenzie)
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Novembre 9th, 2017 Riccardo Fucile
NEL CASO DI UN GOVERNO DI COALIZIONE IPOTESI PERCORRIBILE
Non è l’incertezza sull’esito del voto politico del 2018 a preoccupare i palazzi romani. 
La legge elettorale è stata approvata e si conoscono le regole del gioco, il voto regionale in Sicilia ha fissato ai blocchi di partenza il peso nelle urne dei competitori e la campagna elettorale potrebbe finalmente cominciare.
La novità è che le urne sono ancora lontane, la data dell’election day non è stata ancora stabilita, e già appare chiaro che il terreno dello scontro si sta per spostare dal piano politico a quello istituzionale, dalla polemica tra i partiti alla delegittimazione degli organi di garanzia, fino ad arrivare ai vertici repubblicani.
Primo segnale: l’attacco del Pd di Matteo Renzi contro il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, che ha preso la forma di un’irrituale mozione parlamentare del gruppo del partito di maggioranza contro l’inquilino di via Nazionale.
Alla fine Visco è stato riconfermato dal governo e dal Quirinale, i due organi cui spetta per legge il potere di nomina, ma è stato il primo strappo pubblico tra Renzi e Paolo Gentiloni (e Sergio Mattarella), nonostante riappacificazioni e abbracci a uso delle telecamere.
Secondo segnale: l’uscita del presidente del Senato Pietro Grasso dal gruppo del Pd in seguito alla raffica di voti di fiducia per approvare in pochi giorni la legge elettorale Rosatellum.
L’ex procuratore capo di Palermo, catapultato alla seconda carica dello Stato all’inizio della legislatura dopo poche ore da semplice parlamentare, fa il primo passo di un cammino che dovrebbe portarlo alla candidatura come bandiera di una lista di sinistra. Non è la prima volta che accade, cinque anni fa Gianfranco Fini da presidente della Camera fondò addirittura un nuovo partito e non andò benissimo.
Nuovo è il contesto in cui arriva il divorzio di Grasso dal Pd e la sua denuncia della «violenza» del voto di fiducia. Una scelta, dunque, più istituzionale che politica.
Terzo segnale: la lettera che il Movimento 5 Stelle ha indirizzato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella dal blog di Beppe Grillo chiedendogli di non firmare il Rosatellum «per evitare la catastrofe istituzionale di un nuovo Parlamento eletto con una legge illegittima».
Lettera rispettosa nelle forme, come si dice in questi casi, ma durissima nella sostanza, indirizzata al Capo dello Stato da quello che secondo i sondaggi potrebbe essere il più partito più votato.
Sono solo i primi indizi dello scontro istituzionale latente che potrebbe prodursi nei prossimi mesi, in campagna elettorale e subito dopo.
«Per la prima volta nella storia un partito di governo fa la sua corsa contro il suo governo, presieduto da un amico di Renzi e con i ministri del Pd nelle posizioni-chiave. Una cosa mai vista nella storia repubblicana. E spingerà i partiti dell’opposizione a fare la campagna non contro il governo ma contro il sistema», è la lucida previsione di un anziano conoscitore delle vicende repubblicane come l’ex ministro socialista Rino Formica. «Il comportamento anti-sistema è ormai penetrato nella coscienza del Paese anche in modo inconsapevole. Queste istituzioni sono screditate dall’interno, resteranno indifese».
Una profezia oscura che ricalca i timori dei più avvertiti abitanti del Palazzo. Come accaduto in altri momenti della storia nazionale, i capi-partito vanno in campagna elettorale con l’obiettivo di mantenere gli equilibri precostituiti, ma nessuno può davvero sapere come si comporterà un elettore messo di fronte a una nuova legge elettorale, dopo anni di scontri, e con un ceto politico già estenuato, con M5S entrato a pieno titolo nel gioco e con Renzi che appare come il Pier Luigi Bersani di cinque anni fa, spompo (solo che nel 2013 del segretario del Pd a dirlo era lui, l’allora sindaco di Firenze). Si prepara il salto nel vuoto, per tutti.
Da Renzi ci si aspetta la mossa del cavallo, il cambio di passo sulla scacchiera.
Nel 2016 avrebbe potuto dichiarare che si sarebbe dimesso in caso di vittoria del Sì al referendum costituzionale del 4 dicembre: avrebbe addormentato la campagna referendaria, evitato il muro contro muro con gli avversari decisi a spedirlo a casa e aiutato la causa della riforma costituzionale. Invece mantenne la posizione di partenza («in caso di sconfitta lascio la politica»), ha coalizzato tutti contro di lui, ha perso rovinosamente ed è stato costretto a lasciare Palazzo Chigi.
Oggi la mossa del cavallo per Renzi sarebbe annunciare fin da ora che non corre per la presidenza del Consiglio e che per la candidatura alla guida del governo bisogna passare a una figura capace di tenere unita la coalizione di centro-sinistra allargata ai centristi di Angelino Alfano: Paolo Gentiloni, oppure Marco Minniti e Graziano Delrio, con Walter Veltroni a benedire l’operazione.
Per ora, invece, Renzi ripete che il candidato premier c’è già , è il segretario del Pd, cioè lui.
Anche se sarebbe già pronto un piano B: in caso di governo di larghe intese potrebbe accontentarsi del ministero degli Esteri, la poltrona oggi occupata da Angelino Alfano, come avveniva nella Prima Repubblica, quando era considerata una riserva di lusso per ex presidenti del Consiglio (Aldo Moro, Amintore Fanfani, Giulio Andreotti, Emilio Colombo, Mariano Rumor), per continuare a coltivare le relazioni internazionali avviate in questi anni.
Renzi non è l’unico leader sospeso. C’è Silvio Berlusconi che aspetta una sentenza della Corte europea di Strasburgo destinata ad arrivare fuori tempo massimo, sia per un’eventuale candidatura alle politiche sia per un ruolo di governo (ma non è detto che all’ex Cavaliere dispiaccia davvero, soprattutto se al suo posto dovesse entrare in pista per Palazzo Chigi Antonio Tajani, oggi presidente del Parlamento europeo, ieri suo fedelissimo portavoce).
C’è Matteo Salvini, che cancella il simbolo del Nord e si avventura per le terre finora sconosciute alla Lega con l’obiettivo di diventare il partito sovranista nazionale.
A sinistra, la sospensione è totale: Giuliano Pisapia, per mesi definito da tutti «leader naturale», è finito in dissolvenza, al suo posto sta prendendo forma la candidatura di Grasso, ma ancora non è chiaro se la nuova sigla di sinistra si alleerà con il Pd o andrà da sola, come vorrebbe Massimo D’Alema.
E sospeso è il Movimento 5 Stelle, tra l’abito istituzionale di chi si prepara a governare e la carta anti-sistema, la più facile da giocare in campagna elettorale.
Dai palazzi filtra già l’ipotesi che in caso di impasse dopo il voto il Quirinale sarebbe disposto a sciogliere subito il Parlamento appena eletto e riportare gli italiani alle urne per due volte in tre mesi.
Quasi impossibile immaginare che Mattarella dia il via libera a uno scenario del genere. Ma è l’ennesimo indizio che la sospensione politica è destinata sempre di più a coinvolgere le istituzioni. E che l’esito della campagna elettorale potrebbe essere una nuova crisi di sistema.
(da “L’Espresso”)
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Novembre 9th, 2017 Riccardo Fucile
CHIUSE LE INDAGINI A CARICO DI PATRIZIO CINQUE
Avviso di conclusione delle indagini preliminari per il sindaco di Bagheria del M5s Patrizio Cinque (che si è autosospeso dal movimento), e altre 24 persone, tra cui l’assessore comunale ai Lavori pubblici Fabio Atanasio, e il cognato del primo cittadino, Domenico Buttitta.
L’avviso prelude di regola alla richiesta di rinvio a giudizio e dunque le spiegazioni fornite da Cinque in settembre, dopo che il GIP di Termini Imerese gli aveva imposto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, non hanno convinto i pm.
Le accuse riguardano i presunti favori fatti a un’azienda che si occupa di smaltimento dei rifiuti, alla quale era stata aggiudicata una gara (poi revocata) per la gestione del servizio in città , ma anche l’occhio di riguardo per un’associazione sportiva, alla quale era stato assegnato in gestione il palazzetto dello sport.
Ci sono poi soprattutto i favoritismi nei confronti dei familiari del sindaco, preavvertiti di un’indagine su presunti abusi edilizi e identificati in ritardo — sostiene l’accusa — proprio grazie a una precisa richiesta di Cinque alla Polizia municipale.
Il sindaco Cinque Stelle e gli altri 24 indagati avranno 20 giorni di tempo per chiedere di essere sentiti o per proporre memorie o atti o l’acquisizione di nuove prove.
L’avvocato Antonio Di Lorenzo, che con Vincenza Scardina difende Cinque, all’Adn Kronos dice: “Sono stupito per la decisione della Procura di Termini Imerese, mi aspettavo l’avviso di conclusione indagini, e quindi la relativa richiesta di rinvio a giudizio, ma mi aspettavo anche una modifica dell’impianto accusatorio iniziale”.
Cinque aveva annunciato il 21 settembre scorso di essersi autosospeso dal M5S, ma questo non gli ha impedito di partecipare alle manifestazioni del MoVimento 5 Stelle a Roma contro il Rosatellum.
Stessa sorte di Claudia La Rocca, rinviata a giudizio e autosospesa ma pronta a presentare il programma del M5S in Sicilia.
La storia dell’indagine su Patrizio Cinque comincia con un esposto farlocco firmato da Domenico Buttitta, cognato di Cinque.
L’esposto, prendendo spunto dagli “annunci del sindaco Patrizio Cinque che ha deciso di abbattere le case abusive”, vedeva il falso Buttitta autodenunciarsi per alcuni abusi edilizi nella sua casa di proprietà . I magistrati scoprono subito che l’esposto è un falso (la firma è farlocca), ma visto quanto è circostanziato decidono di indagare lo stesso.
Qui entra in scena un altro personaggio: il vigile urbano Domenico Chiappone. Il quale riceve l’ordine di avviare gli accertamenti nei confronti di casa Buttitta e, racconta Livesicilia, invece di eseguirlo come prima cosa lo va a dire proprio al sindaco.
Cinque, appresa la notizia, avvertì la sorella Maria. Non solo, Chiappone, su richiesta di Cinque, scrive il giudice per le indagini preliminari Michele Guarnotta, “istigato dal cognato Domenico Buttitta, indebitamente rifiutava di procedere alla identificazione delle persone nei cui confronti venivano svolte le indagini della Procura di Termini Imerese”. Da qui le accuse di rivelazioni di segreto istruttorio e rifiuto di atti d’ufficio contestate dalla Procura diretta da Ambrogio Cartosio (Livesicilia).
Incidentalmente, vale la pena ricordare che Cartosio è lo stesso Cartosio dell’inchiesta su Iuventa e sulle ONG che venne applaudito da Luigi Di Maio
Il vigile e Patrizio Cinque
I carabinieri avevano dunque “messo sotto” i telefoni e avevano scoperto che il sindaco era stato avvisato, dall’ispettore capo della polizia municipale Domenico Chiappone, dell’indagine sul cognato.
Cinque, a sua volta, aveva riferito tutto alla sorella e al marito di lei: «Non una rivelazione fine a se stessa, ma volta a farli preparare per i controlli dei vigili», annota chi indaga secondo le carte pubblicate da Livesicilia. Parlando poi con un’amica, Maria Giovanna Rizzo, il sindaco spiegò che era stato «tutto calcolato» per aggiustare la cosa. I vigili successivamente ritardarono anche nell’identificare i Buttitta, cosa che fece ulteriormente slittare l’accertamento dell’abuso.
E perchè ritardarono? Anche qui ci racconta cosa è successo proprio Livesicilia: «I tempi dei controlli si sarebbero allungati anche grazie all’intervento di Cinque, sollecitato dal cognato: “Siccome si sono presentati i vigili che penso lo sai”. “Ti serve più tempo?”, chiedeva Cinque al cognato. Risposta: “… mi serve più tempo certo”. Cinque: “ Si può rinviare”. Quindi il sindaco scriveva a Chiappone: “… in pratica ci chiedono di andare mercoledì prossimo così ne possono parlare in famiglia.. allora dico che andate mercoledì 8”».
Patrizio Cinque e la multa al cognato troppo alta
Quindi Patrizio Cinque telefonava al vigile dicendogli di andare la settimana successiva a fare i famosi controlli che la procura di Termini Imerese gli aveva ordinato. In altre telefonate di Cinque con gli assessori Fabio Atanasio e Maria Laura Maggiore spiegava come erano andate le cose:
“Comunque è arrivata… ti ricordi l’altra volta nella stanza che ti dicevo di un’autodenuncia che avevo in mente… abusivi immobili abusivi”. Atanasio: “Si è autodenunciato?”. Cinque: “Ne parliamo dopo dai”.
Alla Maggiore Cinque spiegava che “sono stato contattato dai vigili… ti ricordi la discussione che facemmo… sull’autodenuncia che volevo fare fare a mio cognato è arrivata l’autodenuncia… è firmata mio cognato ma non è… non l’ha fatta lui… ma non mi preoccupa tanto la denuncia o il discorso di fare emergere questa discussione dell’immobile mi preoccupa la modalità cioè l’autodenuncia perchè io mi aspettavo che denunciassero anonimamente dicendo che c’è questa situazione andateci, ma non che si inventassero un’autodenuncia, che io volevo fare fare a mio cognato, cioè una cosa incredibile”.
Non solo. Patrizio Cinque dopo questionava anche sull’entità della multa da fare al cognato, cercando di ottenere uno sconto per il marito della sorella
“… però chiaramente si aprirà tutta una situazione, una situazione dove io volevo dirti una cosa noi stiamo facendo la sanzione cioè si può fare da duemila a ventimila euro, Aiello sta facendo a ventimila euro, è una cifra troppo grande non capisco perchè… una cosa è pagare duemila euro o una cifra mediana, diecimila, cinquemila, e sono soldi che vanno per le demolizioni per carità , una cosa è ventimila euro che sono cioè una cifra enorme per tutti…”.
E diceva di fare una multa alta ad altri suoi concittadini, quelli che hanno la casa vicino al mare, e bassa al cognato: «“Quindi vediamo di fare questa, di abbassare questa sanzione, di farla bassa magari puoi mettere quelli a 150 metri dal mare gliene dai 20 mila quello è doveroso… perchè comunque sai che se la possono passare bene”. Maggiore sembrava recepire: “Vediamo com’è che hanno fatto se ci sono situazione analoghe oppure… ci sono criteri così come dicevi tu e magari li applichiamo”. “Ed in caso — concludeva Cinque — diamo un atto di indirizzo”».
Infine, Patrizio Cinque si sfogava con un suo assessore per l’emendamento che aggravava le sanzioni per gli abusivi, presentato da una compagna di partito, deputata nazionale, nel frattempo sospesa per la vicenda delle firme false: «Questa situazione l’ha messa quella minchiona di Claudia Mannino e siamo veramente dei geni».
Cinque aveva altre idee, racconta oggi Repubblica: «Vediamo di fare abbassare questa sanzione». Per fare uno sconto alla sorella.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 9th, 2017 Riccardo Fucile
LA DELIRANTE RISPOSTA DI BRUGNARO AI TURISTI CHE SI SONO LAMENTATI PER IL CONTO SALATO
“Pezzenti. Uno mangia e beve, poi dice che non sapeva la lingua. Ma se vieni in Italia devi
imparare l’italiano, anche un po’ di veneziano non farebbe male”.
Il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro interviene sulla vicenda dei tre turisti asiatici che pochi giorni fa hanno pagato 560 euro per un pranzo di pesce in una trattoria vicino a San Marco. Avevano poi scritto una lettere proprio a Brugnaro, per lamentarsi del trattamento subito dal ristoratore.
“Hanno mangiato pesce – ha detto Brugnaro, ai microfoni di Sky Tg24 – e non hanno lasciato niente sul piatto. Ho chiesto al cameriere se gli avessero lasciato la mancia, neanche quello”.
La lettera, quindi, “viene rimandata al mittente, è giusto che abbiano pagato”. “Anzi – aggiunge- se venite a Venezia dovete sapere che siete a Venezia, dovete spendere e lasciate la mancia alle persone che lavorano per voi. Siete i benvenuti, ma dovete spendere”.
La vicenda è nota: tre turisti orientali si sono lamentati per aver pagato in pratica 190 euro a testa per un pranzo dove le portate, non si sa se per la scarsa conoscenza della lingua, non sono state scelte da loro ma servite automaticamente al tavolo. Secondo i titolari i prezzi erano indicati, secondo la versione dei clienti no. Comunque il conto è stato regolarmente saldato, non è questo il problema.
Ma se un turista scrive due righe al sindaco lamentandosi di una cifra sopra le righe, sarebbe dovere di un sindaco chiarire e intervenire con garbo, non dare del “pezzente” a chi ha cacciato 560 euro per un pranzo.
Anche perchè la figura del “pezzente” magari la fa proprio Brugnaro quando in altri Paesi leggeranno le sue stronzate di risposta.
Quel delirante “siete a Venezia”, come se un furto a Lourdes fosse giustificabile mentre a Torvaianica no, rispecchia una mentalità diffusa nella sua città , la presunzione di dover pagare un pizzo per accedere in città .
Brugnaro non ama i turisti pezzenti?
Chieda la dichiarazione dei redditi e selezioni le entrate in base a quello, sancendo il principio che la città è monopolio dei ricchi e che gli altri non hanno diritto ad ammirare piazza San Marco se non in cartolina.
Ci auguriamo che i sindaci di tutti gli altri 8.000 comuni italiani si regolino di conseguenza, vietando l’accesso nelle loro città a un sindaco che permette che un gondoliere chieda 100 euro per un giro di pochi minuti in una laguna maleodorante.
Com’è davvero triste Venezia con un sindaco del genere.
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Novembre 9th, 2017 Riccardo Fucile
SAVONA: INVECE CHE DENUNCIARE I RESPONSABILI L’AZIENZA SPOSTA L’AUTISTA DALLA LINEA… GLI ALTRI STUDENTI ORA SONO “DISPIACIUTI”, MA NESSUNO CHE SIA INTERVENUTO QUANDO ERA IL MOMENTO
Insulti pesanti, commenti inappropriati su ciò che l’autista poteva fare del suo tempo libero, e offese gratuite rivolte ad una dipendente-autista di TPL , l’azienda di Trasporto Pubblico Locale di Savona, la cui unica colpa era quella di essere appunto una donna.
Una brutta situazione che mercoledì il presidente di TPL, Claudio Strinati, ha raccontato a margine di un incontro con gli studenti del Campus universitario , voluto dai ragazzi per discutere degli orari degli autobus e per realizzare una collaborazione con l’azienda per migliore il sito internet.
Quando gli studenti gli hanno chiesto se fra gli universitari fosse alta la percentuale di “portoghesi”, Strinati ha spiegato che generalmente il pagamento era soddisfacente, mentre i problemi che si erano manifestati erano altri.
«Si tratta di episodi spiacevoli, attuati da un paio di studenti, che TPL ha già verificato e per cui ha preso provvedimenti — ha raccontato Strinati — verificando attraverso i colleghi in incognito la segnalazione e spostando l’autista su altre linee».
Tutto è cominciato con delle lamentele presentate agli uffici interni dell’azienda, sia da autisti uomini, perchè a quanto pare i ragazzi si comportavano incivilmente anche in loro presenza, sia e soprattutto quando al volante c’era lei.
« Sulla linea 4 che passa dal Campus erano iniziate ad arrivare diverse segnalazioni — racconta Strinati — e abbiamo deciso di fare delle prove con del personale in incognito — oltre che ad aver visionato i filmati delle telecamere – gli insulti più coloriti venivano rivolti soprattutto quando al volante c’era la nostra autista».
Commenti come “Muoviti ……” con la più classica delle offese che si possa rivolgere ad una ragazza, ipotesi colorite su come trascorresse il suo tempo libero e molto altro.
« Con questo non voglio accusare tutti gli studenti — ha spiegato Strinati — certo avrei voluto che chi fosse presente intervenisse in difesa della autista, ma TPL ha comunque risolto, dopo aver valutato le possibili azioni da intraprendere, spostan do la nostra dipendente su di un altra corsa ”
«È ovvio che ora più che mai gli autisti non siano entusiasti di servire queste corse — ha proseguito il presidente Strinati — Io posso capire che possiate arrabbiarvi per i disservizi ma per quello ci sono i o, è ingiusto prendersela con gli autisti che fanno solo il loro lavoro. Questo però lo dico a livello generale, sono consapevole che si tratti solo di due studenti isolati e che in generale i ragazzi del Campus sono sia educati che rispettosi le regole»
Un racconto che ha lasciato gli studenti amareggiati e dispiaciuti , soprattutto perchè i protagonisti sono ragazzi della loro età , con cui magari studiano o frequentano le lezioni.
«È brutto sapere che uno studente di vent’anni faccia queste cose — ha commentato durante l’incontro una delle studentesse presenti — mi è capitato di vedere qualche ragazzino più piccolo che si comportava male, ma della nostra età è davvero triste e mi lascia senza parole».
Simili episodi si erano verificati quest’estate sulla linea che serve Alassio la sera, quando adolescenti, molto spesso ubriachi, hanno creato situazioni al limite che hanno costretto TPL ad assumere una vigilanza privata dedicata per quelle fasce orarie.
(da “il Secolo XIX”)
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Novembre 9th, 2017 Riccardo Fucile
IL PESTAGGIO POTREBBE ORA COSTAR CARO AI PADRONI DEL QUARTIERE, LO STATO COSTRETTO A REAGIRE… “STAVOLTA L’HANNO PROPRIO FATTA FUORI DAL VASO”
Ci sono municipi, a Roma, che si annunciano con un murales, una targa rionale, uno
sberleffo o semplicemente con il raggelante nulla dei falansteri in cemento armato.
E poi ce ne è uno – Ostia – su cui da tempo immemore la città e la sua pubblica amministrazione hanno perso ogni sovranità . Che parla un’altra lingua. Quella di chi di Ostia è uno dei padroni. La lingua dell’adesivo – «Kittesencula» – che addobba le chiappe delle Vespe o i posteriori di qualche Suv.
Dei roghi della Mafia dei chioschi sul lungomare. Della coca e dell’hashish a quintali che arriva dalla Spagna e che viene “spinta” in ogni angolo della città .
La lingua di Roberto Spada e del suo clan di antica e ormai sbiaditissima origine Sinti. «Nummene fotte ‘n cazzo», dice al giornalista di Nemo Daniele Piervincenzi, prima di “partirgli di capoccia” e spaccargli il setto nasale perchè «so’ du’ ore che stai a rompe co’ le domande».
Già , «Fatte li cazzi tua», a Ostia, è innanzitutto un consiglio, prima ancora che una minaccia.
Un buffetto che anticipa di un istante la capocciata o il colpo di spranga.
È saggezza mafiosa dispensata a chi fa domande sulle famiglie della zona a un cameriere in un bar (accadde nella centralissima gelateria “Sisto” nel lontano 2012, durante il lavoro di ricerca per il libro “Suburra”) e, a maggior ragione, al cronista che non abbassa lo sguardo (la nostra Federica Angeli, sotto scorta da anni, e i cui figli sono stati minacciati di morte proprio da Roberto Spada).
Perchè, a Ostia, i giornalisti sono appena un gradino sotto «le guardie» e uno sopra gli «infami».
Sempre e comunque «mmmerde», come amabilmente chiosa la claque social che, puntualmente, a ogni aggressione, a ogni intimidazione, si stringe solidale sui profili Facebook intorno all’aggressore.
A maggior ragione se porta quel cognome. Spada. A maggior ragione se abita in quel ghetto nel ghetto alle spalle del Porto turistico di Roma, che porta il nome di “Nuova Ostia”, sul lungomare di Ponente.
§Nei casermoni anni ’70, dove le assegnazioni e gli sfratti non li decide il Comune ma gli Spada, appunto.
A Ostia – trenta chilometri in linea d’aria dal Quirinale, Montecitorio, Palazzo Madama – lo Stato, la Politica, la pubblica amministrazione, sono un simulacro.
Il che ne spiega il suo scioglimento per mafia e il suo successivo commissariamento.
A Ostia, il Mondo di Sotto si è mangiato da un pezzo quello di Mezzo e quello di Sopra. Rompendo, se necessario con le armi, fragili paci e instabili equilibri raggiunti con le organizzazioni criminali tradizionali, ‘Ndrangheta e Cosa Nostra
E questo mentre la giustizia penale ha discettato per lustri – e tutt’ora discetta – se si tratti o meno di Mafia.
Già , dici Spada e pensi ai Casamonica della Romanina, con cui sono imparentati. Dici Ostia e pensi ai Fasciani e al narcotraffico. Dici Spada e capisci perchè nel giorno del voto per il rinnovo del consiglio e della Presidenza del Municipio sono rimasti a casa due abitanti di Ostia su tre.
Perchè qui tutti hanno un prezzo e tutto ha un prezzo. E la politica, storicamente dal voto “nero”, non solo non ha mai conosciuto la lettera maiuscola, ma ha sempre parlato il linguaggio del baratto.
Cominciò Gianni Alemanno promettendo casinò e una pista da sci artificiale sul mare. Ostia come Atlantic City.
Poi arrivò Ignazio Marino, «er marziano», che di Ostia conosceva «le splendide dune» e immaginava oasi naturalistiche in casa dei diavoli.
E poi Virginia Raggi, che non pensava assolutamente nulla, buona per qualche comparsata, e a cui, non più tardi dell’aprile scorso, una cittadina, Carmela De Marco, proprio dalle colonne di Repubblica, scriveva: «Cara sindaca, lei è venuta ad Ostia e ha detto che va tutto bene. Ma lei è per caso il sindaco di New York? È venuta a 400 passi dal mio bar finito otto mesi fa nelle mani degli Spada e della rete dei loro complici e si permette di dire che va tutto bene?».
Appena il 4 ottobre scorso, per il racket delle case popolari di Nuova Ostia sette maschi del clan Spada si sono presi condanne in primo grado dai 5 ai 13 anni con l’aggravante del metodo mafioso.
In gennaio, Armando Spada, cugino del capo del clan (Carmine, condannato a 10 anni nel 2016 per estorsione con l’aggravante mafiosa), ne aveva avuti 6 di anni per essersi appropriato «con metodo mafioso» di uno stabilimento.
«Embè», devono aver pensato i maschi rimasti in libertà . Perchè in fondo, a Ostia, è sempre girata così. Un po’ di casino e poi buonanotte al secchio.
Almeno fino alla capocciata di Roberto.
Perchè forse – come confidava ieri sera uno sbirro che a Ostia ne ha viste tante, forse troppe – «stavolta l’hanno proprio fatta fuori dal vaso».
Un po’ come il funerale dei Casamonica sotto una pioggia dal cielo di petali di rose elitrasportate. Che, detta così, è una cosa che dovrebbero capire anche a Nuova Ostia.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 9th, 2017 Riccardo Fucile
TRA IL PICCHIATORE E ALCUNI DIRIGENTI C’E’ UN RAPPORTO PIU’ PROFONDO, ECCO LE PROVE
«Roberto Spada non è un esponente di CasaPound. Con lui non condividiamo nulla, se non una sua presenza ad una festa per bambini in piazza 18 mesi fa. Non rispondiamo certo delle sue azioni e la violenza è sempre deprecabile». Parola del capo politico del partito Simone Di Stefano, che ha commentato così l’aggressione al giornalista Daniele Piervincenzi e all’operatore Edoardo Anselmi, inviati della trasmissione Nemo.
Ciò che Di Stefano ignora, o forse tace consapevolmente, è un fatto facilmente constatabile.
L’amicizia di Spada con alcuni suoi dirigenti: Luca Marsella e Carlotta Chiaraluce.
Non due militanti qualunque, ma i registi del successo elettorale a Ostia.
Oltre a essere la portavoce del movimento fondato da Gianluca Iannone, Chiaraluce è la fidanzata di Marsella, candidato presidente per CasaPound al X Municipio.
Quello di Ostia, appunto, che con quasi 250mila abitanti è di fatto più popolosa di grandi città italiane come Brescia, Reggio Calabria, Livorno o Trieste.
C’è però un’ombra ingombrante tra le amicizie dei due neofascisti romani.
«Robè più tardi passiamo»
A Ostia lo conoscono come “Robè” o “Robertino”. Roberto Spada è il fratello di Carmine Spada, detto “Romoletto”, condannato in primo grado a 10 anni per estorsione aggravata dal metodo mafioso e ritenuto da inquirenti e investigatori al vertice dell’omonimo clan che comanda a Ostia
Il fatto che Spada sostenga CasaPound è un fatto noto.
Prima delle elezioni, sulla sua pagina Facebook il fratello del boss di Ostia scriveva infatti: «Il 5 novembre si avvicina (la data delle elezioni, ndr) e sento dai cittadini quasi tutti la stessa cantilena “qua sto periodo se vedono tutti sti politici a raccontarci barzellette, mai visti prima, …gli unici sempre esclusivamente presenti CasaPound…».
Ma non è solo la simpatia politica a legare Spada ai dirigenti del partito neofascista.
Tra la coppia Chiaraluce-Marsella e il picchiatore di Ostia c’è un rapporto di amicizia. E a dimostrarlo è ancora Facebook.
Il 9 settembre, per esempio, Spada lancia accuse pubbliche ai giornali per il trattamento riservato alla sua famiglia, dopo alcuni fatti di cronaca che hanno coinvolto un giovane parente. Seguono decine di commenti di solidarietà .
Due portano la firma di Chiaraluce: «Eh Robè, la cosa che più fa rabbia. E a noi spiace, che ci strumentalizzano così…sei incensurato, hai la fedina penale pulita e non sei un politico. Sei un cittadino privato che ha il suo lavoro e la sua famiglia. Non hanno nessun rispetto per i tuoi figli e per i danni e le sofferenze che possono creargli».
Non saranno gli unici messaggi: tra i due c’è confidenza.
Scorrendo la pagina di Spada troviamo anche qualche like di Luca Ostia, al secolo Luca Marsella, il candidato presidente.
C’è un post in cui il picchiatore di Ostia posta una foto mussoliana: «Credere, obbedire, combattere. È l’aratro che traccia il solco ma è la spada che lo difende». Piace a Luca Ostia.
E anche Chiaraluce dice la sua: «Inutile dire che l’unica valida alternativa».
Facebook immortala anche scene di vita conviviale del fratello di Romoletto, il capo clan. Fine luglio, in diretta dalla spiaggia di Ostia, “Robè” mostra la famiglia impegnata in un barbecue e invita amici e parenti. Tra i messaggi ce n’è uno firmato da Chiaraluce: «Ro, più tardi passiamo!», si legge.
Militanza e affari
La portavoce di CasaPound Ostia non è solo la compagna di Marsella, il candidato che ha ottenuto un discreto successo elettorale la scorsa settimana.
Chiaraluce è soprattutto una donna d’impresa. C’è un filo, infatti, che la lega al potere economico locale.
Un filo fatto di partecipazioni azionarie, posti in consigli d’amministrazione e amicizie con famiglie importanti.
Tra cortei, volantinaggio e passione per la politica, la dirigente neofascista naviga da esperta marinaia nel mondo economico.
Del resto viene da una famiglia di imprenditori. Balneari e nautica, due settori che a Ostia contano parecchio.
La famiglia di Chiaraluce ha uno storico rimessaggio di barche, in zona Tor Boacciana, una torre di epoca medioevale sul Tevere. Limitrofa, da un lato, alle rovine di Ostia antica e dall’altro alle case popolari di Nuova Ostia.
Per arrivarci si percorre una strada che porta lo stesso cognome di Carlotta: via Tancredi Chiaraluce. Sia lei che il padre fanno parte di alcuni consorzi nautici.
La candidata di CasaPound è per esempio da sette anni consigliere nel “Cnl”, il Consorzio nautico del Lazio. Gruppo che riunisce alcuni grossi imprenditori del settore un tempo assai remunerativo e che oggi sta affrontando un flessione di fatturati.
Al fianco di Chiaraluce, siede nel Cnl un pezzo da novanta della barche di lusso. Si chiama Massimo Guardigli della Comar Yacht. Brand noto, ultimamente finito al centro delle cronache per un’indagine della guardia di Finanza.
Guardigli è infatti imputato per evasione fiscale da un milione di euro, commessa per sei anni consecutivi, secondo l’accusa, usando società basate nell’arcipelago offshore di Madeira. Il processo è in corso, prossima udienza i primi di dicembre.
Il padre di Chiaraluce risulta invece titolare di Iniziative nautiche srl. Società che vanta un fatturato di quasi 300 mila euro (ultimo bilancio disponibile del 2014) e che a sua volta ha avuto un ruolo nel consorzio del porto di Fiumara Grande, oggi cancellato.
Il babbo della leader del movimento di estrema destra ha fatto parte anche del Consorzio nautico del Tevere. Con ruoli diversi, in quest’ultima realtà , incontriamo Sergio Papagni, un importante imprenditore di Ostia.
Insomma, Chiaraluce sembra avere le caratteristiche giuste per garantire a CasaPound consensi e relazioni con il mondo delle imprese.
Senza dimenticare il rapporto con gli Spada, oggi presentati come semplici simpatizzanti del partito. Ma con i quali, come dimostrano Facebook e alcune iniziative pubbliche del passato, il rapporto è molto più solido di quanto voglia far credere il capo del partito Simone Di Stefano.
(da “L’Espresso”)
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Novembre 9th, 2017 Riccardo Fucile
LA PROCURA DI ROMA HA EMESSO IL PROVVEDIMENTO… ORA SI PROCEDA ALLA BONIFICA E ALLA DISINFESTAZIONE, MAFIOSI E COMPLICI DEVONO MARCIRE IN GALERA
Roberto Spada, protagonista due giorni fa dell’aggressione a una troupe della Rai ‘Nemo –
Nessuno Escluso’, è stato portato via in manette dai carabinieri della compagnia investigativa di Ostia.
Roberto Spada è indagato per aggressione in contesto mafioso dopo aver aggredito, rompendo con una testata il naso, un inviato della trasmissione Nemo, di Rai 2. Momenti di tensione al momento del fermo di Spada: i carabinieri sono stati insultati da un gruppo di ragazzi che hanno inveito contro i militari.
Lesioni aggravate dal metodo mafioso.
È la Dda a lavorare all’indagine nei confronti di Roberto Spada, titolare di una palestra ad Ostia che ieri ha brutalmente aggredito l’inviato della trasmissione di Rai 2 Nemo. I pm Giovanni Musarò e Ilaria Calò hanno deciso di iscrivere il suo nome per lesioni aggravate dal l’articolo 7, quello che si usa appunto nelle indagini per mafia.
(da agenzie)
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