Novembre 17th, 2017 Riccardo Fucile
ORA I LOCALI SONO SOTTO SEQUESTRO… APPOSTA ALL’INTERNO UNA TARGA CON IL NOME DI RAMPELLI PER AVALLARE LA TESI CHE SIA IL SUO DOMICILIO PARLAMENTARE, MA PRIMA NON C’ERA, SIAMO ALLA FARSA
A pochi giorni dallo sgombero qualcuno avrebbe cambiato le serrature della storica sede di FdI-An di Colle Oppio, in via delle Terme di Traiano a Roma, da cui il Campidoglio a 5 Stelle ha sfrattato il partito di Giorgia Meloni lo scorso primo novembre.
Ad accorgersi dell’accaduto una pattuglia della polizia locale in transito che ha notato qualcosa di diverso. Scattato il controllo sarebbe stato appurato che le serrature sono state sostituite.
L’area è stata posta sotto sequestro e la polizia locale procederà con una denuncia contro ignoti.
Forzata la porta, una volta all’interno i vigili hanno riscontrato alcune anomalie, come la presenza di una bacheca con dei fogli che al momento dello sfratto non c’era. L’immobile è ora protetto da una porta blindata.
Cosa è accaduto e chi è entrato nella sede piazzando una bacheca con dei fogli?
A fornirci qualche indizio per comprendere appieno i fatti è il deputato del Movimento 5 Stelle Vittorio Ferraresi, membro della giunta per le autorizzazione della Camera, che racconta in una dichiarazione: “Mercoledì scorso in giunta per le autorizzazioni della Camera dei Deputati abbiamo discusso della questione delle sede di Fdi a Colle Oppio, fronte Colosseo, espropriata dal Comune di Roma una volta scoperto che nessuno pagava neanche la misera cifra di 13 euro al mese. L’onorevole Fabio Rampelli (capogruppo FdI alla Camera, ndr), infatti, sosteneva fosse un suo domicilio parlamentare ma a sostegno della sua tesi non ha portato alcuna prova. Per cui in quella sede gli è stato chiesto di produrre elementi probanti, che possano essere ad esempio le comunicazioni ufficiali alle autorità del domicilio parlamentare, la presenza di una targa col suo nome, suo materiale all’interno dell’edificio. Dopo neanche 48 ore scopriamo che con un blitz in quella sede, è ora presente un evidente cartello col nome del deputato di Fdi che non c’era mai stato prima, come testimoniano documenti ufficiali oltre alle numerose foto precedenti. Inoltre la sede è stata violata e sono state cambiate ben due serrature, tanto che ora il locale è stato posto sotto sequestro ed è stata aperta un’inchiesta. Ad ogni modo non mi meraviglierei più di tanto se, a questo punto, spuntassero fuori anche materiali, prima inesistenti, a sostegno di un domicilio parlamentare che i fatti stanno dimostrando non esserci mai stato. Verrebbe da sorridere se l’accaduto non fosse di una gravita’ inaudita: sono forse queste le prove che Rampelli porterà in giunta per le autorizzazioni?”.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 17th, 2017 Riccardo Fucile
LA PRIMA MISSIONE DEL FUORICORSO IN AMERICA NON E’ ANDATA MALE, POTEVA ANDARE PEGGIO, POTEVA PIOVERE
In questi giorni, contemporaneamente alla visita di Luigi Di Maio negli USA, ha
cominciato a circolare un articolo di Beppe Severgnini sul New York Times in cui si descriveva il candidato premier del MoVimento 5 Stelle in maniera piuttosto severa: «Anche se non ha mai completato i suoi studi e non ha mai fatto un vero lavoro, Di Maio sarà il candidato del partito a marzo alla carica di primo ministro. I sostenitori dei 5 Stelle sono chiaramente come lui, ma il resto dell’Italia è perplesso. È completamente privo di esperienza. E quando hanno avuto la possibilità di gestire le situazioni, i “grillini” si sono spesso dimostrati incompetenti. Con Virginia Raggi sindaca, per esempio, Roma sta andando alla deriva».
Ma quella è l’opinione di Severgnini, direte voi.
Oggi, però, è uscito un altro articolo firmato da Ishaan Tharoor sul Washington Post nel quale non ci fa una figura molto migliore.
L’autore comincia dicendo che Di Maio si è distinto a Washington perchè molto giovane, così come gli ultimi che hanno vinto le elezioni in Europa (gli esempi sono Macron e Kurz).
Subito dopo però si spiega che poche ascese politiche sono state rapide come la sua, che ha lasciato l’università e non ha mai lavorato a parte aver fatto il cameriere (ma qui si dimentica la formativa esperienza di steward al San Paolo e non è bello per niente) e così via.
But few stories of political ascension are quite as striking as his. Di Maio, who grew up in the corruption-blighted environs of Naples, is a university dropout and has never held a job as a professional. Numerous headlines in international newspapers describe him as a “former waiter.” He rose to attention only through his activism and blogging on behalf of the Five Star Movement, a protest organization founded less than a decade ago by irreverent comedian Beppe Grillo.
Nell’articolo del WAPO si cita anche una testata cara ai grillini e il suo giudizio piuttosto tranchant sulle Gigginarie : il MoVimento sta crescendo ma non sta maturando.
In September, with Grillo’s blessing and the support of other power brokers within the movement, Di Maio won leadership of the party in another online primary. Il Fatto Quotidiano, a daily newspaper, pointed to the online vote as “proof of the eternal immaturity, incompetence, inexperience and thrown-together nature of a movement that is getting bigger but not growing up.”
Insomma, la prima missione di Di Maio in America non è andata male. Poteva andare peggio. Poteva piovere.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 17th, 2017 Riccardo Fucile
AL VOTO SUD DECISIVO… M5S PRIMO PARTITO, MA LA SOLITUDINE LO PENALIZZA, CENTRODESTRA IN TESTA
La tendenza delle ultime settimane è chiara e così appaiono più chiare le strategie politiche dell’ultimo mese.
Il centrodestra ha messo il turbo. Il Partito democratico è sostanzialmente in picchiata, per giunta quasi isolato, ma con il centrosinistra tutto unito non cambierebbe nulla, sarebbe comunque un onorevole secondo posto.
I Cinquestelle restano il primo partito, più o meno stabile, ma senza alleanze — com’è noto — restano fuori dai giochi.
E così il centrodestra punta alla soglia del 38-40 per cento che può dargli la maggioranza in Parlamento: poichè il Nord è quasi tutto appannaggio del centrodestra e il centrosinistra resisterà al Centro, decisiva sarà la performance nei collegi del Sud. Un quadro disegnato da Youtrend che ha elaborato la supermedia dei sondaggi usciti negli ultimi 15 giorni.
I dati, in generale, confermano l’effetto Sicilia, cioè l’effetto “bandwagon”, come lo chiama Lorenzo Pregliasco di Youtrend: il Pd va male e raccoglie meno consensi nei sondaggi, il centrodestra va bene e ne prende di più.
Il crollo del Pd, Forza Italia in salute
Partendo dalle liste, dunque, il M5s secondo la media dei sondaggi è al 27,3, sostanzialmente stabile da settimane se non da mesi, come dicono vari istituti (qui c’è una flessione dello 0,3 che in analisi come queste è quasi impercettibile.
Il secondo partito resta il Pd che scende stabilmente sotto alla soglia del 25, con un crollo del 2,4 in un mese.
Ciò che è interessante è il sorpasso di Forza Italia nei confronti della Lega Nord, grazie a un aumento di un punto e mezzo rispetto a un mese fa.
Un fenomeno che può essere legato a una partecipazione più attiva di Silvio Berlusconi, ma anche all’emorragia di voti dal campo moderato delle forze di governo (la destra del Pd e i vari partiti centristi).
Questa circostanza è importante perchè sia Berlusconi sia Matteo Salvini hanno detto che il governo di centrodestra — se ci sarà — sarà guidato da chi avrà preso più voti. Nel campo del centrodestra portano acqua i Fratelli d’Italia (in aumento di mezzo punto)
L’unità è salvifica nell’area di sinistra visto che sia Mdp sia Sinistra Italiana ballano sulla soglia di sbarramento del 3 per cento (e infatti dal 2 dicembre, con Possibile, saranno una cosa sola). Sembra spacciata al momento Alternativa Popolare di Angelino Alfano, se non farà parte di una coalizione.
La fine del tripolarism
Con questi dati lo scenario delle coalizioni vede il centrodestra al 35,7, nel quale sono compresi non solo i risultati dei partiti più grandi ma anche i partitini della stessa galassia che nel Rosatellum portano comunque voti all’alleanza (a patto che superino l’1 per cento).
“Se pochi mesi fa — spiega Pregliasco a La7, dove YouTrend ha illustrato i numeri — si parlava di tripolarismo perfetto, ora il centrodestra si trova nettamente avanti, con 6 punti di distacco sul centrosinistra a trazione Pd e 8 sul M5s”.
Il centrodestra in 6 mesi ha fatto un salto di 5 punti, mentre il centrosinistra è calato di 2 (ora è poco sopra il 29) così come il M5s.
Più o meno stabile l’area di sinistra che non si schioda dal 5.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 17th, 2017 Riccardo Fucile
LA SINISTRA CONTA SUL NO DELLA CAMUSSO AL TAVOLO DI GOVERNO
Altro che dialogo. Tra Pd e Mdp la rottura è già pronta. Scorre su un terreno con mine
ben piazzate e pronte a esplodere a partire da domani. La prima, le pensioni. La seconda, l’articolo 18. Vediamo.
Domani, mentre l’inviato di Matteo Renzi ai rapporti con la coalizione, Piero Fassino, sarà a Milano per incontrare Giuliano Pisapia e convincerlo a fare una lista alleata del Pd alle politiche, a Palazzo Chigi il governo incontrerà di nuovo i sindacati al tavolo sul posticipo dell’età pensionabile.
A meno di novità dell’ultim’ora, la Cgil di Susanna Camusso dovrebbe confermare la sua insoddisfazione per le proposte dell’esecutivo, rompere rispetto all’intesa che potrebbe invece essere firmata da Cisl e Uil e portare i pensionandi in piazza il 2 dicembre: contro la legge Fornero che stabilisce l’aumento dell’età pensionabile a 67 anni a partire da gennaio 2019, contro le proposte dell’esecutivo che vorrebbe esonerare ‘solo’ 15 categorie professionali.
Questi sono i calcoli che si fanno in casa Mdp. Tanto che, proprio per via dello sciopero, Roberto Speranza e i bersaniani, Massimo D’Alema, Nicola Fratoianni e Pippo Civati stanno pensando di posticipare dal 2 al 3 dicembre la loro assemblea unitaria che lancerà la lista unica della sinistra alle elezioni.
Assemblea alla quale dovrebbero partecipare anche i presidenti di Camera e Senato Laura Boldrini e Pietro Grasso. La prima si è sbilanciata a favore di Mdp all’assemblea di Campo Progressista domenica scorsa, tanto da lasciare di stucco lo stesso Pisapia, colto di sorpresa dal discorso della presidente. Grasso finora ha solo lasciato il Pd, ma dentro Mdp continua a essere evocato come leader di una coalizione a sinistra di Renzi.
La seconda mina su cui salterà un ‘dialogo in fondo mai partito’ arriva lunedì in aula alla Camera.
Trattasi della proposta dell’ex Pd Francesco Laforgia, ora deputato di Mdp, per il ripristino dell’articolo 18 nelle imprese dai 5 dipendenti in su. “Una proposta che parte dai 3,3 milioni di firme raccolte dalla Cgil per la richiesta di un referendum sul jobs act”, spiegano da Sinistra Italiana. Referendum che non si è mai celebrato: il quesito sull’articolo 18 non è stato ammesso dalla Corte Costituzionale, quelli sui voucher e sugli appalti sono stati evitati dall’intervento in extremis del governo.
Dal Pd però considerano la proposta La Forgia una “provocazione”: ne chiederanno il ritorno in commissione. E a quel punto anche i giochi di coalizione saranno fatti: spenti sul nascere.
L’articolo 18 da riformare in questa legislatura è il banco di prova su cui Mdp aspetta il Pd. Mentre Fassino cerca di concordare un programma elettorale con gli alleati per riforme da fare nella prossima legislatura. Questione di tempi e anche di contenuti. Nell’idea di Fassino ci sarebbe anche un documento programmatico sul Jobs Act, comunque da svolgere dopo le elezioni.
Domani a Milano l’incontro tra Fassino e Pisapia. Anche lui e i suoi chiedono segnali concreti. Dal Pd sperano gli basti l’apertura su ius soli e biotestamento (tutta da verificare sul banco dei numeri della maggioranza in aula al Senato).
Il leader di Campo Progressista è disponibile a siglare un accordo per non rinunciare ad una prospettiva unitaria di centrosinistra. Ma, alla vigilia, il rischio che gran parte dei suoi non lo segua è reale.
Tanto che nemmeno Romano Prodi, padre nobile dell’Ulivo che ieri ha benedetto lo sforzo unitario del Pd e di Fassino, è disposto a scommettere sui risultati di questo giro di tentativi che pure, è convinto il professore, vanno fatti.
Sia da Mdp che da Sinistra Italiana fanno sapere che potranno anche incontrare Fassino: il punto non è quello. “Questione di cortesia, ma i presupposti per un accordo non ci sono”, dice Fratoianni.
“La prossima settimana troveremo il modo di incrociarci, con me o altri delegati — dice Speranza al Mattino — Ma il nostro giudizio riguarda una stagione di politiche sbagliate che hanno distrutto il centrosinistra provocando rotture anche nel Pd”.
Non c’è dialogo, ma ricerca di giustificazioni politiche per confermare le posizioni di partenza: distanti.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 17th, 2017 Riccardo Fucile
IL MURO CHE SCHERMA IL POTERE DEL M5S
All’ufficio stampa di Roma Capitale ci sono una cinquantina di persone, 49 per l’esattezza. Alle quali vanno aggiunti i portavoce politici, ovvero 15 giornalisti distribuiti negli staff degli assessori e della sindaca, oltre a quelli nei Municipi.
Un piccolo esercito, che può vantare avamposti anche in Atac (8), Ama (5), Roma Mobilità (10), Zètema (5) e Acea (4, senza contare le Relazioni esterne).
Insomma, paghiamo – sì, paghiamo, perchè i colleghi lavorano per una pubblica amministrazione, anche se non tutti con contratti giornalistici – più di un centinaio di persone. Da ieri è partito un bando per assumerne altri tre, richiesta esperienza nel foto-ritocco.
Allora si potrebbe pensare: “Chissà nelle redazioni quante notizie arriveranno da quelle stanze, quanti comunicati e dati sull’attività della macchina comunale”. Purtroppo la realtà è diversa, perchè dagli uffici della sindaca e dei suoi collaboratori non esce neppure una velina.
I contatti dei cronisti con gli addetti stampa sono quasi nulli, a volte segreti («Non dire che abbiamo parlato»), o basati su rapporti personali («Per favore, siamo amici, mi confermi questa notizia?»), addirittura ricattatori («Ti prego dimmi qualcosa, altrimenti mi licenziano»).
La maggior parte dei tentativi però vanno a vuoto, spesso non rispondono alle telefonate neppure i portavoce degli assessori, e i redattori più fortunati, e bravi, riescono a raggiungerli se hanno il numero di cellulare, quando l’assessore di turno non è di cattivo umore per qualcosa di sgradito che è uscito comunque sui giornali.
Eppure avevano promesso che con i 5Stelle al potere si inaugurava una nuova stagione, quella definita della trasparenza. Ora anche i predecessori di Virginia Raggi avevano uno stuolo di comunicatori: che infatti erano quasi degli stalker, dai quali le redazioni dovevano difendersi.
Ancora oggi gli uffici stampa di enti e aziende assediano i giornali. E fanno bene. Perchè questa è la regola: chi è pagato per fornire informazioni ai giornali si dedica a questo scopo. A maggior ragione se lo stipendio è onorato con i soldi dei contribuenti.
Nell’era grillina no. Tanto che l’ufficio stampa del Campidoglio, fra gli addetti ai lavori, ormai viene affettuosamente soprannominato l’ufficio smentite.
E sì, perchè ogni giorno, dopo aver centellinato o negato qualunque riscontro, arriva puntuale la rettifica. L’assessora Meleo, ancora ieri, si affannava a precisare la notizia relativa ai parcheggi contenuti nel piano appena approvato. Dando la colpa ai giornali, naturalmente. E non al muro che hanno eretto fra chi amministra e i cittadini. I giornali sono (sarebbero) lo strumento che consente ai cittadini di controllare l’operato degli amministratori. Così come chi lavora negli uffici stampa degli enti pubblici è (dovrebbe essere) al servizio dei mass media, che svolgono un servizio pubblico.
Viene da citare Humphrey Bogart in Quarto Potere: “Questa è la stampa, bellezza. E tu non ci puoi fare niente”.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 17th, 2017 Riccardo Fucile
DUECENTO IN FUGA PER 30 KM DALL’EX CASERMA “DEPOSITO DI ESSERE UMANI”, L’ENNESIMA VERGOGNA DI MINNITI… E LE PARROCCHIE LI OSPITANO
Indietro non si torna, promette Lamin, 27 anni dalla Costa d’Avorio, felpa blu e
improbabili infradito, mentre saltella per il freddo sull’argine del Brenta a Campolongo Maggiore: «Ho attraversato il mare e il deserto per arrivare fino a qui. Sono stato rinchiuso nei lager libici. Non torno in un lager italiano».
Con lui sono in 200. Vengono dal Pakistan, dalla Libia, dalla Nigeria. Aspettano da anni un permesso di soggiorno, il riconoscimento dello status di profugo. E intanto sono spiaggiati nell’ex caserma della Nato di Conetta vicino a Venezia, tensostrutture e container che ospitano 1100 richiedenti asilo.
Con poche stufette e i sacchi a pelo per combattere il gelo. Con un insegnante di italiano ogni 500 profughi. Con 3 euro al giorno che non bastano nemmeno per le sigarette.
In duecento sono partiti lunedì. Hanno attraversato campi, costeggiato argini del Brenta, attraversato provinciali.
Nella notte hanno avuto pure un morto. Salif Traorè, 35 anni della Costa d’Avorio, travolto da un’auto mentre pedalava accanto al corteo. Un nome che domani non ricorderà nessuno.
Quando sarà solo un numero, uno dei tanti che non ce l’hanno fatta in mare o per strada. A Codevigo, vicino a Padova, hanno trovato ospitalità in una parrocchia.
Ieri sera altre parrocchie aperte nel Veneziano dal patriarca di Venezia Francesco Moraglia sono state rifugio temporaneo.
A guardarli mentre saltavano, si abbracciavano e piangevano gridando «Viva l’Africa, viva l’Italia» per quella sistemazione caritatevole c’erano altrettanti poliziotti e carabinieri.
Come a Selma lungo la strada per Montgomery, o sulla via del sale di Gandhi, quando la politica non riesce a trovare risposte adeguate si ripiega sulla forza.
Il prefetto di Venezia Carlo Boffi non li avrebbe mai fatti passare. Volevano arrivare fino a Mira dove c’era il miraggio di chissà quali accoglienti strutture. Alla fine va bene anche una parrocchia. E vanno bene pure le promesse del Prefetto: «Cercheremo altre strutture. Nessuno tornerà più a Conetta».
Il sindaco di Conetta Alberto Panfilio, che guida una lista civica di centrodestra, misura bene le parole: «Queste persone protestano perchè vogliono essere trattate come esseri umani mentre dallo Stato ricevono solo violenze. In Italia vengono trattati come rifiuti. Si portano lontano dalle città per non vederli. Li si nasconde nelle discariche umane. Toccherebbe alla politica trovare soluzioni. Ma la politica non c’è».
A Cona abitano 3000 persone che si spaccano la schiena nei campi e nelle fabbrichette poco più che artigianali. Alla frazione Conetta dove sorge la discarica di migranti abitano in 190. La scorsa estate c’erano 1500 profughi. In un rapporto 1 a 2 con i residenti. Lontanissimo dai 3 ogni 1000 come da sempre promette il ministro dell’Interno Marco Minniti.
Il sindaco di Cona tuona. Gli abitanti protestano. E storcono il naso anche qui sul ponte di Campolongo Maggiore quando inizia a girare la voce che possano essere sistemati in un palazzetto dello sport da queste parti. Una signora anziana in bicicletta è compassionevole ma irremovibile: «Si vede che è povera gente. Ma noi non siamo ricchi. Lo Stato non può sempre scaricare su noi cittadini quando non riesce a risolvere un problema».
Nella sera i primi pullman, sotto le luci delle camionette della polizia, smistano i profughi nelle parrocchie. Già così è una vittoria. Conquistata marciando per 30 chilometri.
Niente per chi ha attraversato un deserto. Aboubakar Soumamoro è italo-ivoriano, uno dei pochi a parlare la nostra lingua, fa il mediatore culturale a Conetta: «Lo sanno tutti da anni come funziona quel centro. È un deposito di esseri umani fuori da ogni regola europea. L’unica soluzione è trovare delle microstrutture dove accogliere i profughi senza ammassarli in centri che non garantiscono i più elementari diritti».
Saranno la Curia e il terzo settore a farsene carico. I 200 di Conetta hanno vinto.
Lamin sul pullman fa ciao ciao con la mano. È solo un arrivederci.
(da “La Stampa”)
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Novembre 17th, 2017 Riccardo Fucile
SUI SOCIAL E’ UN TRIPUDIO DI CONDOGLIANZE E A CORLEONE DICONO: “ERA UNA BRAVA PERSONA”
Messaggi di rispetto, commemorazione e vicinanza umana alla famiglia di Totò Riina continuano a susseguirsi sui social network e nella vita reale. Un inquietante omaggio per quello che per anni è stato il boss di Cosa Nostra.
A mettere in moto la macchina del cordoglio virtuale è stato Salvo Riina, figlio terzogenito di Totò, che qualche ora prima della morte del padre aveva scatenato le prime reazioni con un post sul suo blog personale e con alcuni messaggi sui social network.
I commenti ai post spaziano dal semplice tributo all’apologia della figura del boss e travalicano addirittura i confini nazionali
Anche gli altri membri della famiglia Riina non perdono tempo e poco dopo la morte di Totò Riina listano a lutto i propri profili. Maria Concetta, la primogenita, sceglie una rosa nera come immagine del profilo e chiede silenzio utilizzando una fotografia inequivocabile, che guadagna poco più di 60 like:
Suo marito, Tony Ciavarello, ricorda il suocero con un fiocco nero e denuncia come Facebook avrebbe rimosso la precedente manifestazione di cordoglio su segnalazione degli utenti:
Il tributo arriva anche da tanti semplici iscritti a Facebook, che sulle pagine Facebook dedicate al padrino mafioso, piangono la scomparsa di quello che per molti era un vero e proprio esempio. “Li potrai ammazzare una seconda volta sti sbirri di merda”, scrive qualcuno. “Grande uomo! Tanta ammirazione, l’unico in grado di gestire veramente l’Italia per anni”, gli fa eco un altro utente.
Ma l’ultimo baciamano a Riina non passa solo per il web.
A Corleone questa mattina non erano in tanti a voler parlare, ma tra le strade della città il clima non era dei più festosi “Il paese è a lutto. Lo capisce questo? Lasciatelo riposare in pace. Basta”.
A parlare è un anziano, ma il suo è tutt’altro che un parere isolato. “Non abbiamo nulla da dire – taglia corto un barista – basta con questo clamore ogni volta”.
Altri anziani seduti sulle panchine non gradiscono domande: “Venite qui a rompere i coglioni. Andatevene via”. Un uomo dice. “Se ci fosse lavoro nessuno andrebbe a delinquere. È questo Stato che ci fa diventare grillini e fascisti. Se solo pensasse alla povera gente la mafia non ci sarebbe. Anche Totò Riina non sarebbe diventato mafioso”.
Il comune di Corleone è stato sciolto per infiltrazioni mafiose nel 2016 e molti parenti di Riina vivono ancora tra queste strade, anche se in via Scorsone 24, indirizzo della casa di famiglia, sembra non ci sia nessuno.
Ma esiste anche l’altra Corleone e a dargli voce è Pippo Cipriani, sindaco dal 1993 al 2001 e figura di primo piano nella lotta alla mafia. “La morte di Totò Riina non rappresenta la fine di Cosa nostra, vorrei che fosse chiaro. Nessuno esulta per la morte di una persona ma tutti siamo consapevoli che oggi si chiude una pagina di storia pesante, quella delle stragi mafiose. Ricordo che Riina non si è mai pentito”.
Cipriani fa la differenza tra oggi e il giorno dell’arresto, il 15 gennaio 1993. “Quella fu una data significativa – spiega – era diverso. Oggi parliamo della morte di un boss mafioso”.
Intanto la Cei ha annunciato che a Riina non saranno concessi funerali cattolici, ma prima della sepoltura un sacerdote potrà al massimo dire una preghiera e una pronunciare la benedizione.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 17th, 2017 Riccardo Fucile
“L’ITALIA SOLO L 7,1% DEL PIL NELL’ISTRUZIONE, LA MEDIA OCSE E’ DELL’11,3%, SIAMO IL FANALINO DI CODA DELL’EUROPA”
Dopo lo sciopero contro l’alternanza scuola-lavoro del 13 ottobre, gli studenti sono
tornati in piazza in quaranta città con gli «Stati generali dello sfruttamento» rilanciando la protesta contro le forme anomale di ASL e i continui tagli dei finanziamenti per scuola e università .
In mattinata si sono svolti i cortei studenteschi, promossi da Rete della conoscenza, Unione degli studenti e Link coordinamento universitario, e nel pomeriggio assemblee di piazza con i lavoratori in tutto il Paese.
L’iniziativa è stata anticipata da un blitz stanotte davanti al Ministero dell’Istruzione dove alcuni giovani hanno sostato con uno striscione davanti al Ministero dell’istruzione.
La ricorrenza
La ricorrenza, 17 novembre, è quella dello studente cecoslovacco di Medicina, Jan Oppetal, ucciso nel 1939 dai nazisti durante l’occupazione, atto a cui seguì una violenta repressione con nove studenti e professori giustiziati senza processo. Prendendo lo spunto storico, in tutta Europa i ragazzi manifestano. In Italia gli
Al grido «ci hanno lasciati in mutande» gli studenti si sono spogliati oggi a Roma, in piazzale Ostiense, prima dell’inizio del corteo organizzato dall’Unione degli universitari e rete degli Studenti Medi.
Alle undici e trenta, giunti sotto il ministero, ci hanno riprovato, questa volta sotto le finestre della ministra Valeria Fedeli ma la polizia glielo ha impedito. “Atti osceni in luogo pubblico”, era la minaccia.
Milano
Il corteo degli studenti partito questa mattina a Milano contro il progetto alternanza scuola-lavoro ha registrato un solo momento di tensione in piazza Duca d’Aosta quando i manifestanti hanno tentato di entrare in stazione Centrale.
L’obiettivo era protestare «contro i controlli continui a clochard e migranti che vivono nell’area», hanno spiegato alcuni giovani contestatori.
Le forze dell’ordine, in tenuta antisommossa, si sono schierate per evitare l’ingresso e in quel momento c’è stato un breve contatto che però non avrebbe avuto conseguenze particolari. Non si registrano per ora, infatti, feriti o contusi. Lungo il percorso, passando davanti alla prefettura, gli studenti hanno lanciato carta igienica e pezzi di sanitari.
La motivazione della protesta
«Lo Stato in questi anni di crisi economica – dichiara Elisa Marchetti, coordinatrice nazionale dell’Udu – ha tagliato l’istruzione più che qualsiasi altro settore pubblico. L’Italia investe il 7,1% del Pil in istruzione, ultimi tra i paesi più sviluppati: la media Ocse è infatti al 11,3%. I costi per sostenere i percorsi di studio sono elevatissimi, l’abbandono scolastico è ancora troppo alto e crescono i numeri chiusi che impediscono agli studenti di accedere all’università . Siamo stanchi di manovre spot e bonus una tantum, serve invertire la rotta sui finanziamenti in modo drastico, se vogliamo un’istruzione realmente accessibile».
«Dalla scuola e dall’università ci aspettiamo – aggiunge Giammarco Manfreda, coordinatore nazionale della Rete degli Studenti Medi – formazione di qualità e non sfruttamento. Ancora una volta, il governo continua nel reiterare errori sul tema dell’alternanza scuola-lavoro, resa obbligatoria tre anni fa senza garantire a tutti percorsi di qualità e diritti. Ci aspettiamo un paese che dia prospettive al nostro futuro. I più alti titoli di studio non vengono valorizzati nel mondo del lavoro, la disoccupazione giovanile cresce e la politica ancora una volta corre al riparo con manovre caotiche e isteriche per creare occupazione. Se continuiamo così saremo ancora condannati ad anni di impieghi precari».
“Scuola e Università in rosso” è lo slogan dell’Unione degli studenti e la Rete della Conoscenza. Per loro oggi inizia un percorso definito “Gli stati generali dello sfruttamento” – in evidente contrapposizione con gli Stati generali messi in agenda dalla ministra Valeria Fedeli – che proseguirà venerdì prossimo con la serrata, promossa da docenti e studenti, degli atenei italiani.
«Con le mobilitazioni di oggi apriamo una settimana di mobilitazione in tutta Italia contro lo sfruttamento degli studenti in alternanza scuola-lavoro», ha dichiarato Francesca Picci, Coordinatrice nazionale dell’Unione degli Studenti. «Anche gli universitari sono in piazza in tutta Italia contro una legge di stabilità priva dei necessari investimenti in università e ricerca», fa sapere Andrea Torti, Coordinatore nazionale di Link Coordinamento universitario.
(da agenzie)
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Novembre 17th, 2017 Riccardo Fucile
COSI’ BERLUSCONI TORNEREBBE CENTRALE ANCHE NEL CALCIO
Con sorriso sornione, Silvio Berlusconi, nel corso della trasmissione Porta a Porta ha difeso il presidente della Fgci, Carlo Tavecchio, vissuto da mezza Italia come il responsabile della disfatta della nazionale con la Svezia, al pari dell’allenatore: “Lasciamo decidere a lui cosa fare. È una persona eletta democraticamente alla guida della federazione. Ha operato in bene in tanti settori”.
Dietro il sorriso, di chi la sa lunga, c’è una “mossa” per puntellarlo. Anzi, la “mossa”. Perchè l’unico modo per chiudere discorso e polemiche è che arrivi Carlo Ancelotti, l’allenatore che verrebbe vissuto da tutti come un salvatore della patria.
Nei giorni scorsi il Cavaliere ha chiesto al fedelissimo Adriano Galliani di parlare con “Carletto” per convincerlo, portando in tal modo il dossier nella grande famiglia rossonera.
Tra i due il rapporto è solido, personale, fatto di una consuetudine sin dai tempi di Ancelotti giocatore, e poi allenatore. Una fonte vicina al dossier dice: “Berlusconi si è giocata la carta grossa, segno che la partita gli sta a cuore”.
C’entra il calcio, ma non solo.
C’entra la politica, e più in generale psicologia e carattere del vecchio leader alla sua ennesima discesa in campo.
Il desiderio cioè, di contare ancora e di dimostrarlo. Prosegue la fonte: “Quando ha visto i tv Malagò che ne chiedeva le dimissioni, con Lotti praticamente a fianco, ha detto: è meglio se resta Tavecchio”.
In verità il governo si è esposto con prudenza su questa storia, invocando sì una rifondazione del calcio Italiano ma in modo morbido, mostrandosi rispettoso dell’autonomia della Fgci.
Anche perchè non ha il potere di cacciarlo, nè una grande influenza su consiglio federale di lunedì, indicato dalla stampa sportiva come il consiglio del redde rationem. È però evidente che una sua cacciata verrebbe vissuta dall’opinione pubblica come una vittoria di chi ha invocato una “rifondazione”.
È qui che si inserisce Berlusconi: “Adriano, parlaci tu con Carlo”. L’obiettivo è ottenere una disponibilità già al consiglio federale di lunedì. Complicato.
Più probabile che l’operazione possa andare in porto entro fine mese. Ma è sbagliato ritenere che Ancelotti subordini la sua discesa in campo alla sostituzione dell’attuale presidente della Fgci. Quel che gli sta a cuore è un progetto di rinnovamento del calcio. Al momento di questo progetto non c’è traccia, però prosegue la fonte: “Il progetto di rinnovamento è lui. Per carisma e vista la situazione, può far quel che vuole”.
Negli ultimi giorni si sono intensificati i contatti tra l’ex allenatore del Bayern. Dietro il sorriso sornione di Berlusconi c’è la ragionevole previsione che l’operazione vada in porto. E che, quando ci sarà la campagna elettorale, il Cavaliere avrà , nell’immaginario collettivo, non un Milan vincente sul campo, ma un simbolo di quel Milan come allenatore della nazionale.
Non male, per uno che si propone come “l’allenatore” del centrodestra.
(da “Huffingtonpost”)
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