Novembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
DAI DOCUMENTI UFFICIALI DEPOSITATI RISULTANO FINANZIATORI IMBARAZZANTI, ECCO I NOMI
«C’è l’Italia colpevole di Angiola Armellini, che non paga di ereditare un impero senza aver fatto nulla, nasconde due miliardi di euro al fisco».
Parola di Giorgia Meloni, che durante la campagna elettorale per diventare sindaco di Roma descriveva così la grande ereditiera da sempre in affari con il Comune capitolino (incassava più di 4 milioni all’anno per l’affitto di suoi appartamenti usati come case popolari).
I documenti analizzati da L’Espresso permettono di raccontare un inedito retroscena sul rapporto tra la Meloni e la donna accusata di evasione fiscale.
La leader di Fratelli d’Italia ha infatti ricevuto donazioni da quattro società che fanno capo alla Armellini, per un totale di 20 mila euro.
Spiccioli- ma sempre ben accetti- per “lady no tax”, che col mattone ha guadagnato miliardi.
Ai quali si aggiunge una mancetta dei costruttori romani, i Mezzaroma. Una donazione da 1.500 euro attraverso una società del gruppo.
Imprenditori che hanno sempre avuto simpatie per la destra: nel 2010 hanno versato 100 mila euro al partito di Berlusconi, nel quale la Meloni era ministro.
Tra i finanziatori della leader di destra alle elezioni comunali – 210 mila euro in totale – c’è anche la società Corallobeach.
Il titolare è Claudio Balini, ras dei lidi del litorale e parente di Mauro Balini, a cui la magistratura ha sequestrato beni per 50 milioni di euro.
Mauro Balini, per gli investigatori, ha legami con la malavita locale. Insomma, pecunia non olet.
Neppure per l’erede di Almirante.
(da “L’Espresso”)
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Novembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
IL SOLITO BLUFF MEDIATICO DI MINNITI, COME ALLA STAZIONE DI MILANO E A SCAMPIA
“Quel blitz alla stazione centrale andava fatto”, disse Marco Minniti a fine maggio
sull’operazione di polizia anti-immigrati a Milano. Un colpo a sangue freddo, che gelò anche il sindaco Beppe Sala. “A Milano c’è un equilibrio delicato e non bisogna fare strappi”, commentò il primo cittadino alquanto irritato dall’interventismo del ministro degli Interni.
Da allora in poi, Sala ha avuto rapporti sempre più diradati con Matteo Renzi, tanto da preferire la contro Leopolda milanese di Silvio Berlusconi alla Leopolda fiorentina del leader Dem lo scorso weekend.
Il Pd invece ha fatto propria la strategia di Minniti, che sabato discettava sul palco della vecchia stazione di Firenze e, a un anno dall’insediamento al Viminale, continua con i blitz e i colpi ad effetto. Un effetto anzitutto mediatico.
Stamane a Ostia c’era di tutto: circa 250 uomini tra Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, unità cinofile, elicotteri di polizia e finanza, equipaggi dei reparti anti-crimine e vigili del fuoco. Blitz nel palazzo del clan Spada, finiti nei riflettori di tutti i media dopo l’aggressione di Roberto Spada a due giornalisti Rai prima delle comunali.
Risultato: una denuncia per un balcone abusivo.
Su 350 identificati solo 4 arresti, un po’ di droga e qualche arma non denunciata.
Ostia ritorna tra le top news. E anche Minniti.
Minniti lo aveva detto alla Leopolda: “Per quanto ci riguarda il tema della liberazione di Ostia dalla mafia sarà irrinunciabile, lì ci giochiamo un pezzo della sovranità del nostro Paese”.
E, guarda caso, di “sovranità ” a rischio aveva parlato anche riguardo al dossier immigrazione. Gli sbarchi continui di disperati dall’Africa mettono a dura a prova la tenuta democratica del paese, dicevano dal Viminale a fine giugno.
E, anche per inaugurare questa nuova linea, Minniti aveva scelto l’effetto scenico: il 28 giugno decise di invertire la rotta dell’aereo che lo stava portando a Washington per alcuni incontri istituzionali. Scalo tecnico in Irlanda e invece di proseguire oltreoceano, ritorno in Italia per gestire gli sbarchi di giornata e ovviamente attirare l’attenzione dei media.
Senza l’inversione di rotta probabilmente nessuno se ne sarebbe accorto.
Ma anche quell’inversione di rotta è stata preceduta da un’attenta strategia ad effetto. La campagna contro le organizzazioni non governative impegnate a salvare vite nel Mediterraneo è partita dal Viminale e dalle procure, solo in un secondo momento è stata cavalcata ad arte anche da Luigi Di Maio del M5s.
Ne sono seguiti mesi di linea dura sempre sotto i riflettori, lo sgombero a 40 gradi all’ombra ad agosto in via Curtatone a Roma: città semi-deserta, poche notizie in giro, prima pagina assicurata.
“Sui migranti ho temuto per la tenuta democratica del paese”, dirà Minniti a fine agosto: estate alle spalle, momento buono per dichiarare l’emergenza finita, almeno per quest’anno.
Poi è iniziato il periodo delle accuse. Persino dall’Onu. “L’accordo Ue-Libia viola i diritti umani dei migranti”, dice l’alto commissario Onu per i diritti umani Zeid Raad al Hussein dopo che già Medici senza frontiere aveva rilasciato un report zeppo di critiche delle intese tra il governo italiano e i libici.
E su questo anche la linea del Pd traballa a metà novembre. “Bisogna aggiustare la linea”, quella del governo sui migranti, dice Matteo Orfini a Repubblica ritrovandosi d’accordo con le critiche di Emma Bonino. “Inaccettabile il patto con la Libia, il governo dice di aver fermato gli sbarchi ma ne muoiono di più”, è l’attacco della leader radicale.
E benchè Bonino chieda un cambiamento di rotta quale condizione per un dialogo con il Pd, la linea Minniti va avanti, salda in sella, Orfini non ne parla più.
Se c’è un punto fermo nella strategia (anche di campagna elettorale) del governo e del Pd è Minniti. Con i suoi blitz e le sue mosse pensate sempre in maniera tale da ‘piacere’ ai media, non ha rivali.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
SENZA QUELLA NON CI SONO PROGRAMMI A LUNGO TERMINE… COSA SONO DESTRA E SINISTRA NEL MONDO ATTUALE?
Dalla caduta del Muro di Berlino i partiti politici hanno (ri)definito la loro identità culturale? Hanno fatto i conti con la storia e aggiornato le ideologie che prima ne definivano l’identità ?
La risposta è no, e la prima vittima è la motivazione ideale, quindi ciò che anima la partecipazione democratica.
Come dice la parola, il partito è parte, e un tempo vi si aderiva muovendo da una identità culturale in base alla quale organizzare la società (liberale, socialista, democristiana, comunista, fascista etc.).
Oggi, in nome di quale identità dovrei aderire a un partito e in nome di cosa un partito oggi si definisce tale?
Le domande della società si sono moltiplicate, quindi le ideologie (non interclassiste) di un tempo hanno smesso di funzionare.
Di qui, la necessità culturale dell’aggiornamento, che però non è avvenuto. Cosa è avvenuto, invece? Che sono sorte altre identità di diversa natura, tutte centrate sui capi e i loro gruppi, quindi non sulle idee generali di società .
L’enfasi si è spostata dall’identità culturale a coloro i quali si sono trovati al comando delle varie parti, e così la vita politica è divenuta una fiction televisiva centrata su persone che navigano a vista, affermando e poi sconfessando, rincorrendo e non guidando.
I media hanno rafforzato questa situazione, e così sono emerse tifoserie per un candidato o l’altro e non per visioni ideali o elaborazioni programmatiche coerenti con esse.
È del 1959 (dico, 1959) il congresso di Bad Godesberg dove la socialdemocrazia tedesca si è chiesta chi era, rompendo alla fine i ponti col marxismo.
Questo è successo in Italia dopo il Muro, cioè trent’anni dopo? No.
E ancora oggi, a ventotto anni da Berlino, sappiamo qual è l’identità della sinistra? I gruppi oggi alla sinistra del Pd cosa sono, socialisti, socialdemocratici, post-comunisti?
Cos’è, insomma, la sinistra e cosa la destra nel mondo attuale?
Nel Pd la famosa “fusione a freddo” di quando nacque, già era gelida con Pds e Partito popolare, poi Ds e Margherita, e l’unico tentativo di elaborazione culturale era iniziare i comizi con cari amici e compagni.
I missini hanno fatto fino in fondo i conti con la loro storia e identità ? La destra-destra di oggi cos’è? A quali ideali e a quali radici si richiama?
E i liberali? Tutti liberisti? Berlusconi era centro-destra liberale? No, perchè non ha fatto ciò che il liberalismo per sua natura promette: ridurre marcatamente la pressione fiscale.
E i vari partitini democristiani hanno fatto i conti con le idee cattolico-democratica e cattolico-liberale mettendole in relazione con la fine della Dc? No.
La Lega è venuta fuori nel periodo della fine della prima repubblica, ma al di là di qualche ampolla nel Po, qual è la sua identità culturale vera? Certo Maroni e Borghezio non sono assimilabili.
Poi c’è il Movimento cinque stelle: qual è la sua identità ?
Non può continuare ad aggregare tutto contro qualcosa senza poi arrivare a una sintesi culturale, tenuto anche conto che già sta governando e che quanto promette per la politica nazionale pone non pochi interrogativi.
Insomma, la via da Berlino a oggi è stata svuotare l’identità culturale?
I nomi di alcuni movimenti e partiti politici attuali sono lì a provarlo (nei decenni passati si è ricorso anche alla botanica, alla zoologia e all’architettura).
Ma tornando al punto: non voglio resuscitare le ideologie, bensì sto proponendo la drammatica rilevanza e urgenza della cultura politica.
Senza di essa, si è soggetti a ogni interesse, pronti a servire ogni padrone, con gravissimo rischio per la rappresentanza istituzionale e per la democrazia.
Senza le identità culturali non ci sono programmi a lungo termine e si afferma un ceto di lacchè per i quali la preparazione o anche l’onestà sono zavorre, con buona pace dei moralisti di ogni schieramento.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
PD, M5S E LEGA DI BUFALE NE HANNO FATTE CIRCOLARE A IOSA, ORA SI ACCUSANO A VICENDA
Le fake news tornano al centro del dibattito politico. 
Si dirà che ci sono questioni “ben più importanti” di cui occuparsi. La risposta è sempre la stessa: ci si può occupare di fake news e al tempo stesso di altri problemi.
A patto però di farlo in modo serio.
Ovvero al contrario di come lo stanno facendo due importanti partiti italiani: il Partito Democratico e il MoVimento 5 Stelle.
Entrambi più preoccupati dallo smentire le notizie urlando “fake news” che realmente interessati ad affrontare un aspetto importante della comunicazione (politica e non).
Il risultato è che un argomento molto delicato come quello delle fake news e della misinformation diventa l’ennesimo terreno di scontro politico che non aiuta però a comprendere quale sia il punto cruciale della questione.
Un po’ a dire il vero è anche colpa del concetto di fake news, che si presta troppo facilmente a forme di manipolazione e strumentalizzazione.
Le fake news sono diventate un argomento di comodo per fare propaganda politica. Anche perchè — e questo vale per qualsiasi partito politico — incredibilmente le fake news vengono inventate e discusse solo tramite l’Internet e i social network che così diventano un comodo capro espiatorio.
L’argomento è tutt’altro che circoscritto (e circoscrivibile) ai siti di bufale o di notizie false ma riguarda tutti coloro che fanno informazione quindi anche e soprattutto i giornali.
Senza escludere quelli di carta con qualche decennio di storia alle spalle.
Per dirla con le parole di Franco Bechis da anni i giornalisti raccontano balle, e ora il problema sarebbe il Web? Esatto.
Del resto anche il termine fake news non è poi così recente, il dizionario Merriam-Webster ne fa risalire l’etimologia alla fine del XIX° secolo, 125 anni fa (più o meno). Ma allora perchè le fake news sono così importanti adesso?
Prendiamo ad esempio un recente post su Facebook del Partito Democratico sull’argomento.
Il PD parte da un’inchiesta del New York Times che ha rivelato l’esistenza di un network di siti di “fake news” legato a Noi con Salvini e ad alcune pagine che fanno riferimento al MoVimento 5 Stelle.
A simili risultati sono giunti anche David Puente e da Repubblica (che riprende in parte il pezzo di Puente) in un articolo di Carlo Brunelli e Tiziano Toniutti.
Ad agosto Lorenzo Romani su Affari Italiani era stato il primo a parlare di un legame tra il tracking-code di Noiconsalvini.org e altri siti “pro M5S”.
Cosa fa il PD? Fa “tre domande” che dimostrano che non ha assolutamente compreso (o meglio, fa finta di non aver capito) il punto degli articoli.
Il PD chiede se quella rete di 19 siti dei quali fanno parte il sito ufficiale di Noi con Salvini, alcuni siti simpatizzanti del M5S (non siti ufficiali) e altri che parlano di alieni sia “coordinata da Salvini o Casaleggio”.
A parte che la domanda corretta sarebbe “da Luca Morisi o dalla Casaleggio” (visto che è Morisi a gestire la comunicazione di Salvini e non Salvini stesso) questa domanda non ha senso.
Perchè nessuno parla di responsabilità dirette di Noi con Salvini o del M5S.
Secondo Morisi la persona che ha aiutato a mettere in piedi il sito del partito salviniano era al tempo stesso webmaster di altri siti che poco o nulla hanno a che fare con il leader della Lega Nord.
L’unica traccia che lega questi siti è il codice AdSense utilizzato dal webmaster per tutti i siti.
Una “prova” che però è tutt’altro che conclusiva (il pensiero che a trovarla sia stato quello che da alcuni è considerato l’enfant prodige dell’hacking italiano fa sorridere). Cercare una regia occulta, per quanto sia un’ipotesi interessante, rischia di finire come quando Jacopo Iacoboni sulla Stampa ci spiegava della rete di bot usati dalla Casaleggio su Twitter.
Per la cronaca la vicenda si è conclusa con la scoperta delle insospettabili doti di trolling da parte di Titti Brunetta, la moglie di Renato Brunetta, che su Twitter aveva un fake — Beatrice Di Maio — che si spacciava per un’attivista pentastellata.
Quella storia è molto interessante: ci ricorda che anche i giornali diffondono fake news e che una persona può — indipendentemente dal suo “credo politico” — abbracciare posizioni diverse.
Visto che i codici AdSense sono il filo che lega i vari siti gestiti dal “webmaster di Salvini” è così assurdo pensare che il motivo sia quello del semplice guadagno?
In fondo la maggior parte dei contenuti pubblicati rientrano nella categoria del clickbaiting. L’ipotesi non è così peregrina.
Paul Horner l’uomo che con le sue bufale “ha fatto vincere Trump per sbaglio” ha dichiarato di aver diffuso notizie false solo per poter guadagnare soldi. Anche il webmaster di Senzacensura.eu, sito che diffondeva notizie razziste inventate di sana pianta, ha raccontato di aver fatto “soldi a palate” con le bufale razziste.
La battaglia sulle fake news condotta dal PD è quindi quanto di più aderente ci sia alla definizione del termine post truth che secondo l’Oxford Dictionary fa riferimento ad una situazione nella quale i fatti oggettivi hanno poca importanza per la formazione della pubblica opinione rispetto ad appelli alle emozioni o alle convinzioni personali. Gli elettori del PD sono convinti che il MoVimento 5 Stelle sia una macchina da clickbaiting e da fake news e quindi non c’è problema a credere che Salvini e Casaleggio siano dietro a quel network di siti.
Non che Grillo in passato non abbia abusato di clickbaiting o diffuso vere e proprie bufale. Ma questo non c’entra con l’argomento di oggi: le fake news di quella particolare rete di siti che ufficialmente non hanno a che fare con il M5S.
Si arriva così alla risposta del MoVimento 5 Stelle che ha buon gioco a dire che in questo caso non ha nulla a che fare con quelle inchieste (e che ieri aveva raccontato in modo “furbo” la vicenda).
Il partito di Grillo rivendica come il M5S e i suoi portavoce abbiano milioni di follower e quindi non abbiano bisogno di siti da poche migliaia di like per la loro strategia di comunicazione.
Ma dimentica di dire che in una vecchia inchiesta di BuzzFeed sotto accusa erano finiti due siti della Casaleggio — Tze Tze e La Fucina — i cui contenuti venivano spesso rilanciati sulla pagina del Capo Politico del MoVimento.
Non si può dimenticare che Beppe Grillo ha fondato gran parte del suo consenso condividendo notizie assurde, stupide e pericolose.
E del resto i deputati e i senatori del M5S non hanno certo di una rete “segreta” di siti per diffondere fake news.
Vi ricordate di quando Luigi Di Maio diceva di aver “chiamato l’ambasciata francese” e aver “ottenuto l’invio di tre canadair”?
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
LE MANOVRE DEGLI EX VERTICI DI VENETO BANCA PER OCCULTARE I PATRIMONI AGGREDIBILI DALL’AZIONE DI RISARCIMENTO DA 2,2 MILIARDI
Case a Cortina, garage, ville di lusso, proprietà a Roma, uffici a Padoa e Treviso e terreni in Puglia.
Una lunga lista di beni che gli ex vertici di Veneto Banca, l’istituto di credito nordestino salvato dal crac grazie all’intervento del Fondo Atlante e di Banca Intesa sotto la regia del govervo e oggi in liquidazione, hanno sottratto al perimetro del futuro risarcimento per l’indennizzo di 2,2 miliardi di euro richiesto dall’ex amministratore delegato Fabrizio Viola contro gli amministratori passati che hanno portato l’istituto al dissesto. A partire dall’ex amministratore delegato Vincenzo Consoli.
Lo rivela il Corriere della Sera che spiega come dei 19 banchieri coinvolti nella gestione fallimentare di Veneto Banca, in 11 hanno reagito in modo simile a quello messo in atto dagli ex vertici dei cugini di Banca Popolare di Vicenza, cercando cioè di mettere i propri beni al riparo. Il meccanismo, spiega il quotidiano di via Solferino, è quello della creazione di fondi patrimoniali o delle compravendite-cessioni di immobili in famiglia.
Manovre che rischiano di risultare vincenti visto che in molti casi mancano pochi mesi alla scadenza dei cinque anni concessi dalla legge per rendere inattaccabile un fondo patrimoniale, di fronte a una richiesta di sequestro in sede civile legata a un’azione di responsabilità e Viola non ha ancora ancora chiesto i sequestri.
L’unico ad aver subito finora il blocco dei beni, spiega sempre il CorSera, è Consoli: i due provvedimenti notificati prevedono che si arrivi a indennizzi fino a 45,4 milioni di euro. Il provvedimento però non riguarda l’azione civile di responsabilità : è legato a un’inchiesta penale per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, partita su segnalazione della Banca d’Italia.
Alcuni casi di “occultamento”?
Il primo è quello dell’ex presidente Flavio Trinca che il 19 dicembre 2013 ha vincolato in un fondo gli immobili che possiede a Montebelluna e Jesolo, lasciandone fuori uno di Roma.
Un altro è quello del suo vice Franco Antiga che a maggio dello stesso anno ha venduto due appartamenti che aveva con la moglie e nel 2016 ha acceso un mutuo sull’abitazione a garanzia di un finanziamento da 250 mila euro.
Poi ci sono, sempre ad esempio delle confezionate ad hoc per mettere in sicurezza i patrimoni personali, altre azioni più aricolate come quella del consigliere Paolo Rossi Chauvenet che a fine 2013 ha posto “un vincolo di interesse storico e artistico” sugli appartamenti di cui era proprietario con la moglie e i figli. Due anni dopo ha effettuato una donazione alla prole degli stessi beni mantenendo la nuda proprietà .
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
LA PAGINA FAN SI RIEMPIE DI CENTINAIA DI COMMENTI CHE URLANO VERGOGNA, L’AZIENDA IN IMBARAZZO
Ikea licenzia in tronco una lavoratrice, madre separata con due figli di cui uno
disabile, perchè non può cominciare a lavorare alle 7 del mattino.
In solidarietà con la donna, Marica Ricutti, 39 anni, i colleghi di Corsico hanno scioperato oggi per due ore e hanno deciso per il 5 dicembre un presidio davanti al luogo di lavoro.
La donna aveva accettato il cambiamento di reparto nel punto vendita alle porte di Milano, chiedendo che il gruppo svedese le andasse incontro per gli orari.
All’inizio Ikea avrebbe dato l’assenso ma poi l’atteggiamento sarebbe cambiato. A Marica è stato contestato l’orario che faceva prima (con inizio alle 9 di mattina) e che aveva adottato nel nuovo reparto.
La settimana scorsa è arrivato il licenziamento in tronco essendo venuto meno il rapporto di fiducia con la lavoratrice (che ha l’articolo 18) in due occasioni nelle quali la donna si è presentata al lavoro in orari diversi da quello previsto. “Ikea dà un segnale a tutti: se non rispetti gli orari, te ne vai” sintetizza il segretario milanese della Filcams Cgil, Marco Beretta.
“In merito alla situazione di Marica Ricutti, Ikea Italia comunica che sta svolgendo tutti gli approfondimenti utili a chiarire compiutamente gli sviluppi della vicenda”, afferma l’azienda in una nota. Ikea “vuole valutare al meglio tutti i particolari e le dinamiche relative alla lavoratrice oggetto della vicenda. Solo dopo aver completato questa analisi” l’azienda “commenterà le decisioni prese e le ragioni che ne sono alla base”, conclude il comunicato di Ikea Italia.
La vicenda ha portato all’unanime solidarietà del mondo politico: a criticare la decisione di IKEA sono state la viceministra allo Sviluppo Economico Teresa Bellanova e la segretaria della CISL Anna Maria Furlan: “E’ una vicenda che mortifica tutte le donne madri. Ikea deve tornare sui propri passi e rispettare le norme che tutelano le lavoratrici madri. Con la contrattazione si possono affrontare le questioni che riguardano la tutela della maternità , ma occorre buon senso e corrette relazioni sindacali. Il rispetto per le donne passa anche attraverso il riconoscimento del lavoro di cura e di assistenza ai propri familiari, soprattutto quando si tratta di persone deboli e non autosufficienti”.
Ma sono le centinaia di commenti negativi nei post della pagina fan di IKEA che dovrebbero preoccupare di più l’azienda: “Se non riassumete la mamma che avete licenziato a Corsico IO NON COMPRERO’ PIÙ NULLA A IKEA !! fate tanti i moralisti e gli ” impegnati ” e poi licenziate una mamma di un disabile perchè non può venire al lavoro alle 7 ????”, scrive Alessandro; “possibile che in un’azienda del genere non si possa trovare un accordo con una madre che lavora per vivere e che sicuramente ha già abbastanza problemi senza che glieli crei di nuovi il datore di lavoro?”, aggiunge Massimo; “Vergogna per la lavoratrice di Corsico che avete licenziato perchè doveva sottoporre suo figlio di 5 anni ad una terapia e non poteva rispettare i nuovi turni”, dice Enzo.
E intanto la moderazione della pagina risponde soltanto a chi chiede chiarimenti sui prodotti e sulle promozioni.
L’imbarazzo è palpabile.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
CORSICO: LA DONNA HA DUE BAMBINI DI 10 E 5 ANNI, IL PICCOLO E’ DISABILE: “PER ME ARRIVARE ALLE 7 E’ IMPOSSIBILE”… I SINDACATI PRONTI A DARE BATTAGLIA
Madre separata con due figli, di cui uno disabile, licenziata perchè non può entrare a lavorare alle 7 del mattino.
Succede all’Ikea di Corsico, dove i lavoratori da oggi stanno organizzando assemblee e scioperi (uno dalle 11 alle 12 e uno dalle 17 alle 18) per protestare contro la decisione del colosso svedese dell’arredamento.
Marica Ricutti 39 anni, laureata in scienze alimentari, lavorava da diciassette nello stabilimento di Corsico, prima al bistrot a piano terra e da qualche mese al ristorante del primo piano.
“Mi sono sempre adattata a tutte le richieste – racconta Marica – e ho detto di sì anche all’ultima, quella in cui mi hanno chiesto di cambiare reparto. Ho detto sì, ma ho chiesto che mi si venisse incontro per gli orari: io ho due bambini uno di dieci e uno di cinque anni, il più piccolo è disabile, motivo per cui ho la 104. All’inizio mi hanno detto di sì e che non ci sarebbero stati problemi. Poi le cose sono cambiate”.
Nel precedente posto, Marica lavorava con turni dalle nove del mattino fino a chiusura.
Nel nuovo capitava spesso che le venisse chiesto di lavorare dalle 7 del mattino. “Ho chiesto più volte maggiore flessibilità perchè per me spesso era molto complicato rispettare quegli orari – aggiunge Marica – Mi hanno sempre rimpallato da una persona all’altra. Allora ho deciso di fare gli orari che facevo nel vecchio posto”.
La settimana scorsa, il licenziamento in tronco. Nella lettera, Ikea sottolinea che è venuto meno il rapporto di fiducia in due occasioni in cui la dipendente si sarebbe presentata al lavoro in orari diversi da quelli previsti, una volta due ore in anticipo, l’altra due ore in ritardo.
“Alla faccia del welfare svedese – dice Marco Beretta della Filcams Cgil di Milano -. In questi anni Ikea ha cambiato pelle e questo episodio è un chiaro messaggio rivolto ai lavoratori. Vogliono far capire a tutti che decidono loro e, a prescindere dai problemi che può avere ognuno, o accettano o sono fuori. In questi giorni organizzeremo raccolte firme, presidi e volantinaggi”.
(da agenzie)
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Novembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
UN ANNO DOPO, PREVALGONO ANCORA I CONTRARI ALLA RIFORMA: 61% CONTRO 49%
È trascorso un anno dal referendum costituzionale, il cui esito ha determinato le
dimissioni del governo Renzi, il calo di popolarità dell’ex premier e il congelamento di qualsiasi tentativo di riforma.
Spesso ci si chiede se tra gli elettori prevalga il rimpianto per l’occasione perduta o, al contrario, la convinzione che la bocciatura sia stata la scelta migliore.
Il sondaggio odierno fa registrare uno scenario immutato rispetto al 4 dicembre dello scorso anno: l’affluenza alle urne sarebbe di poco inferiore (65% contro il 68% effettivo), i contrari prevarrebbero nettamente attestandosi a 61% (contro il 59,1% di 12 mesi fa).
Le motivazioni
Le motivazioni del voto di un anno fa sono molteplici. Invitati ad indicare le due principali, il 73% degli intervistati menziona la propria valutazione personale sui contenuti specifici della riforma.
Al secondo posto, tra i motivi del voto, si colloca il giudizio sul governo Renzi, citato da due italiani su tre (64%), soprattutto tra i sostenitori del No (66%); a seguire troviamo il parere dei costituzionalisti (35%), che sono apparsi più convincenti ai contrari alla riforma (39%) rispetto ai favorevoli (30%).
Infine, decisamente minore è risultata l’influenza della cerchia ristretta di familiari, amici e conoscenti (9%), come pure il parere dei leader politici più vicini (9%).
Processo di razionalizzazione §
Dalle risposte al sondaggio gli elettori sembrerebbero aver scelto in modo ponderato, sulla base del merito delle modifiche proposte.
In realtà si tratta di un processo di razionalizzazione della scelta di allora: basti pensare che alla vigilia del referendum solo il 15% dichiarava di conoscere in dettaglio i contenuti della riforma – aspetto del tutto comprensibile in ragione della scarsa familiarità della maggioranza degli italiani con i temi costituzionali – e, analizzando i singoli punti che la caratterizzavano (trasformazione del Senato, riduzione dei senatori, eliminazione del Cnel, delle Province, ecc), si registrava un largo consenso, sebbene alla domanda sulle intenzioni di voto nei sondaggi dal mese di luglio in poi prevalesse costantemente il No.
Le cose come prima
Il voto, infatti, ebbe una forte valenza politica, fu in larga misura un referendum pro o contro Renzi, il quale promise di farsi da parte nell’ipotesi di bocciatura: per gran parte dei suoi oppositori si trattò di una promessa molto invitante, accompagnata dall’aspettativa di nuove elezioni e di un cambiamento della maggioranza di governo.
Nonostante le profezie, talora apocalittiche, da parte dei sostenitori dei due schieramenti durante la campagna referendaria, secondo il 60% degli italiani l’esito non ha avuto alcuna influenza e in Italia le cose sono rimaste esattamente come prima.
Una minoranza (17%) è del parere che la situazione sia peggiorata e il 7% che sia migliorata.
Le opinioni divergono tra coloro che votarono Sì e quelli del No: tra i primi la maggioranza relativa (48%) ha riscontrato un peggioramento della situazione, tra i secondi il 78% ritiene che non sia cambiato nulla.
Niente ripensamenti
Quanto al futuro, il 30% degli elettori ritiene che il responso delle urne renderà impossibile per lungo tempo modificare la Costituzione, a causa della difficoltà sia di trovare un ampio accordo in sede parlamentare che di ottenere il sostegno dei cittadini; al contrario la maggioranza (56%) non ritiene che la bocciatura possa rappresentare un impedimento a qualsiasi processo di riforma.
Tra i sostenitori del Sì prevalgono i pessimisti (58%), tra quelli del No i possibilisti (64%). Insomma, a distanza di un anno dalla bocciatura della «madre di tutte le riforme», tra gli elettori non affiora alcun ripensamento: il risultato oggi sarebbe la fotocopia di quello dello scorso 4 dicembre.
Al contrario affiorano molti dubbi su chi in futuro potrebbe avere il coraggio di mettere mano a una nuova riforma costituzionale, sfidando la diffusa refrattarietà ai cambiamenti e il tifo da stadio.
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
OGNI ANNO I NUOVI NATI SONO 12.000 IN MENO
Nel 2016 in Italia sono nati 473.438 bambini, oltre 12 mila in meno rispetto al 2015. Nell’arco di 8 anni (dal 2008 al 2016) le nascite sono diminuite di oltre 100 mila unità . Lo afferma l’Istat nel suo rapporto su natalità e fecondità pubblicato oggi.
Il calo, scrive l’istituto di statistica, è attribuibile principalmente alle nascite da coppie di genitori entrambi italiani.
«I nati da questa tipologia di coppia scendono a 373.075 nel 2016 (oltre 107 mila in meno in questo arco temporale) – spiegano gli esperti dell’Istat -. Ciò avviene fondamentalmente per due fattori: le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno numerose e mostrano una propensione decrescente ad avere figli».
La fase di calo della natalità avviatasi con la crisi è caratterizzata da una diminuzione soprattutto dei primi figli, passati da 922 del 2008 a 227.412 del 2016 (-20% rispetto a -16% dei figli di ordine successivo).
La diminuzione delle nascite registrata dal 2008 è da attribuire interamente al calo dei nati all’interno del matrimonio: nel 2016 sono solo 331.681 (oltre 132 mila in meno in soli 8 anni).
Questa importante diminuzione è in parte dovuta al contemporaneo forte calo dei matrimoni, che hanno toccato il minimo nel 2014, anno in cui sono state celebrate appena 189.765 nozze (57 mila in meno rispetto al 2008).
(da agenzie)
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