Dicembre 22nd, 2017 Riccardo Fucile
IL RUTTO LIBERO DEI SOCIAL CRIMINALIZZA GLI AVVERSARI CON BUFALE COLOSSALI… SI VINCE CON LE IDEE NON CON IL FINTO PERBENISMO QUALUNQUISTA… E BASTA CON LE POVERE VITTIME DEI BANCHIERI CATTIVI
Sesso in cambio di favori. È l’accusa al Sindaco di Mantova spiaccicata in prima pagina. Online e nei tg. Oggi il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione per il primo cittadino Palazzi perchè non c’è concussione: contributi a un’associazione in cambio di favori sessuali.
Si è scoperto che la vice presidente dell’associazione con la quale il Sindaco intratteneva uno scambio di sms ha alterato la chat. Fin qui la cronaca.
Nel frattempo il Sindaco di Mantova è stato linciato sui giornali e si sono chieste le dimissioni.
E se Palazzi si fosse dimesso? Colpisce in questa vicenda l’approssimazione quando era evidente fin dall’inizio che c’era molto che non quadrava. Ma è prevalso il silenzio.
Silenzio anche da parte di Matteo Renzi che di Palazzi è amico stretto, soprattutto da Mantova capitale della cultura in giù, quando l’ex premier approvò milioni di euro di opere pubbliche che hanno portato la città a un rinnovamento estetico senza precedenti, stringendo con il sindaco un patto generazionale e politico.
Silenzio anche da parte del Pd. Certo tutti i santi in questi casi si affidano alla magistratura. Ma anche no, e sollevare qualche dubbio non vuol dire andare contro all’ordine costituito.
Mi ha stupito l’isolamento in cui è stato lasciato il sindaco Palazzi. Quando è chiaro, limpido come il sole che si è acceso (da parte dell’opposizione in consiglio comunale) il motore di un macchina senza guidatore lanciata contro il primo cittadino.
Amato e odiato, di certo uno che è arrivato a ricoprire quella carica solo di suo. Con la sua volontà , come Renzi scalò il Pd. Senza guardare in faccia nessuno. Tanto meno i poteri forti tradizionali della città . Tutti.
Basta parlare con i mantovani, di qualsiasi orientamento politico, e ti diranno che hanno voluto incastrare Palazzi. Partendo proprio dal versante più pruriginoso, quello sessuale.
È un caso quello di Mantova, dove riecheggiano i tuoni del rapporto magistratura e informazione. Fake news e politica.
Il polverone, l’assenza di verità e il rutto libero dei social. E delle briglie sciolte che stanno intorno. La superficialità con la quale si mette in rete, o si pubblica sui giornali, una notizia denigrando Tizio o Caio perchè sta sulle scatole.
Perchè si nutre odio personale, avversità che sorpassa ogni codice etico di rispetto della dignità e del privato.
Un offuscamento visivo e intellettuale che impedisce di valutare con obiettività quello che sta accadendo. S’insinua, si sospetta, si presume. Si scava tra le lenzuola.
Abbiamo odorato prediche del giorno dopo a Palazzi, incitandolo a dire la verità perchè le prove contro sono tante: ma come facevano avere così tante informazioni questi soloni?
E paradossalmente il caso Palazzi è affine a quello della sottosegretaria Boschi alla quale si chiede impetuosamente di dimettersi e non candidarsi alle prossime politiche.
Maledetto il giorno che… dalle parti del Pd, lo stratega in capo, ha avuto l’idea malsana di fare la commissione banche. Anche il più sprovveduto avrebbe previsto che si sarebbe parlato solo di Etruria.
E diciamolo senza peli sulla lingua: Renzi e la Boschi hanno sbagliato strategia fin dall’inizio.
Avrebbero dovuto ammettere che si sono adoperati a salvare banca Etruria come si sono adoperati a salvare le altre banche, con l’unico obiettivo di salvare i correntisti, certo, ma anche gli obbligazionisti e gli azionisti.
Paradossale vero? La soluzione era semplicissima. Cosa c’è di male in quello che avrebbero fatto. E che nega con acrobazie lessicali? Ne sarebbero usciti anche alla grande. Col plauso di quegli aretini, e zone limitrofe, risparmiatori incavolati, che girovagano di piazza in piazza appena si presenta qualcuno del Pd.
Invece oggi sono sul banco degli imputati, Renzi e la Boschi per aver fatto chissà quale maneggio. Nulla. Zero. Tentativi andati a vuoto. Peccato. Sì, proprio peccato.
Ci stava bene il carico da novanta, l’ammissione di aver smosso chissà chi per evitare sfracelli di quella banca. È insopportabile il gioco sulla difensiva. Iniettato di quel politically correct che sta impastando ogni spicchio di vita quotidiana.
Alcuni giornali, vedi il Fatto Quotidiano, hanno titolato “Abbiamo un banda”, parafrasando quel “abbiamo una banca” di Fassino, nell’affaire Bnl e Unipol. Altri ancora ci sono andati giù pesante definendo questo caso la pietra tombale della carriera di Renzi. Gli stessi toni usati nel caso Palazzi a Mantova.
Trasportiamo questo scenario durante gli anni del pentapartito, con una Dc obesa di consensi e il Psi golden share di ogni coalizione.
Se dovessimo enumerare tutti i dialoghi, gli scambi, l’occupazione militare della banche nazionali e locali, da parte di quei partiti, ci vorrebbe la Treccani.
Che deve fare un politico che occupa posizioni apicali? Starsene negli uffici e vedere che un istituto di credito fallisce?
Lo diciamo alle anime belle di coloro che comunque hanno vissuto diverse stagioni politiche e sanno che grazie alla politica il sistema bancario italiano non ha subito le crisi di altri paesi. Solo quando l’attenzione della politica è venuta meno, o si è voltata da un’altra parte, si sono acuiti i disastri e le disavventure finanziarie.
Lo dico a coloro che da mattina a sera ci fanno la lezione sui clienti delle banche, cioè anche noi, buggerati dagli sportelli manigoldi: non è una distinzione di lana caprina quella tra azionisti- obbligazionisti e i correntisti. È chiarezza.
Se si sa naturalmente cos’è e come funziona una banca in un sistema di mercato. Se tu risparmiatore punti i risparmi su azioni e obbligazioni lo fai a tuo rischio e pericolo.
E non puoi prendertela e chiedere soccorso allo Stato se cadi in malasorte.
Soprattutto nella vicenda dell’Etruria si è messo in piedi lo spettacolino degli agnelli sacrificali per salvare papà Boschi.
La figlia, stando ai racconti di questi giorni non è stata un influencer di prima classe. Anzi. Se ne stava quasi in disparte, per rispettare quel protocollo che passa sotto la siglatura del conflitto di interessi. Aveva certo il padre che ci lavorava all’Etruria, ma come deputato della Repubblica e una dei politici più importanti, sarebbe stato peggio se fosse stata a laccarsi le unghie disinteressandosene.
Ha fatto bene Renzi a ribadire che la Boschi va candidata.
Coraggiosa malgrado abbia un macigno sulle spalle e soprattutto non abbia alcuna colpa se non quella di essere stata fin troppo prudente, per le ragioni che abbiamo spiegato sopra.
La Boschi va candidata perchè siamo dentro una grande fake news. Quel dare intendere fischi per fiaschi. Confondere l’elettorato che ormai è intriso, da un lato di fanfaluche raccontate ovunque, dai social ai giornali, e dall’altro di perbenismo qualunquista che li condanna a essere, per forza maggiore, il calimero nero della situazione. Maledetta sfortuna, allora?
Sarà difficile far passare il messaggio sul perchè la Boschi vada candidata, ma ha su di sè il passo del riscatto, di quel paese che condanna senza motivi, quello che è successo a Mantova insegna. Un paese che prende volutamente fischi per fiaschi, giusto per avallare tesi e teorie che non hanno nè capo nè coda.
Come una fiction. O una telenovela.
Stupisce che gli indignati abbiano messo fuori dall’uscio il cartello “chiuso per ferie”. Manca la solidarietà attorno alla Boschi, in primis del suo partito dove ormai ha preso il sopravvento il sospetto. L’attesa di liberarsi al più presto di Maria Elena e di Matteo. Diciamolo con franchezza, andare in campagna elettorale con questo spirito non è il massimo.
Renzi candiderà la Boschi, entrambi non abbiano paura di dire che hanno incontrato anche l’Altissimo per Etruria, come per le altre banche o per le imprese in difficoltà : non c’è nulla di male.
Chi vede il danno non ha a cuore le sorti dei risparmiatori.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 22nd, 2017 Riccardo Fucile
OBIETTIVO METTERE AL RIPARO CERTE ISTITUZIONI DALLE INCERTEZZE DELLA PROSSIMA LEGISLATURA
Nomine decise da Palazzo Chigi in accordo con l’opposizione di centrodestra.
Soprattutto Forza Italia.
Naturalmente con l’avallo del Quirinale e la mano del Pd.
I nuovi vertici di Carabinieri, Consob, Esercito e Corte dei Conti spruzzano profumo di Nazareno sulla campagna elettorale appena iniziata. Indipendentemente dai numeri in campo sulle altalene sondaggistiche, le nomine sulle quali il governo ha lavorato nelle ultime settimane, decise in consiglio dei ministri, anticipano un eventuale accordo post-voto tra Pd e Forza Italia, nel caso (non remoto) in cui nessuno degli schieramenti in campo abbia la maggioranza per governare la sera del 4 marzo.
A guardare le reazioni dell’opposizione di centrodestra dopo l’annuncio del governo sulle nomine, sembra sia calato l’armistizio dopo settimane di scontri al vetriolo in commissione banche, per dirne una.
Certo, è prassi che un governo senta l’opposizione quando si tratta di decidere nomine ai vertici degli organismi dello Stato. Ma non è scontato l’accordo. In questo caso l’accordo c’è stato: miracolo?
Nelle trattative di questi giorni hanno toccato palla anche il capogruppo di Forza Italia al Senato Paolo Romani e lo stesso Gianni Letta, consigliere storico del presidente Silvio Berlusconi.
Insomma, mentre il dibattito nazionale si concentra sul voto e il governo che sarà , sulla futura maggioranza in Parlamento e chissà se ce ne sarà una di Pd e Forza Italia sufficiente per governare, i due partiti della ‘vecchia guardia’, insieme a governo e Quirinale, mettono ‘al riparo il sistema’ da possibili sconquassi futuri, magari da una vittoria del M5s, con la sinistra lasciata ai margini.
Vediamo le nomine che mettono d’accordo le forze della ‘tradizione’ politica italiana da Tangentopoli in poi fino al Pd renziano di più recente formazione.
Alcune di queste erano in scadenza, certo. Giuseppe Vegas ha finito il suo incarico in Consob una settimana fa, nel pieno delle polemiche sul comportamento tenuto nei crac bancari.
Gli succede Mario Nava, un tecnico con esperienza decennale a Bruxelles, lavora in Commissione Europea come direttore per il monitoraggio del sistema finanziario e gestione delle crisi. Un bel cambio rispetto alla caratura politica che aveva Vegas: fu nominato alla Consob quando era viceministro all’Economia del governo Berlusconi. Nominato anche Paolo Ciocca come commissario.
In scadenza il 15 gennaio anche Tullio Del Sette, peraltro coinvolto nell’inchiesta Consip: al vertice dei Carabinieri il cambio era ancor più necessario per rinfrescare l’immagine dell’Arma.
Il nuovo comandante generale dei Carabinieri è Giovanni Nistri, il più giovane tra i candidati, 61 anni, esperienza maturata anche a Firenze come comandante provinciale e comandante della Legione dei Carabinieri Toscana, più o meno negli stessi anni in cui Matteo Renzi era presidente della Provincia (prima) e sindaco (poi).
Il suo primo sponsor è stato il ministro Dario Franceschini, che lo ha scelto alla guida del ‘Grande Progetto Pompei’ già nel 2013, incarico terminato due anni fa con grande successo in termini di rilancio del sito archeologico.
Capo di Stato maggiore dell’Esercito è stato nominato Salvatore Farina, finora capo del Joint Force Command, uno dei due comandi operativi della Nato con base a Brunssum, in Olanda. Subentra al generale Claudio Graziano.
Angelo Buscema è il nuovo presidente della Corte dei Conti, attuale presidente delle sezioni riunite dello stesso organismo. Infine, decisa la nomina di Filippina Cocuzza a prefetto, collocata presso l’Agenzia nazionale sui beni sequestrati alle mafie.
Si obietterà che le nomine erano in scadenza e andavano smaltite. Ma è anche vero che questa volta non sono state accompagnate dal dibattito che in altri tempi ha condito un dossier del genere alle porte delle elezioni. E cioè se sia il caso che un governo in scadenza decida i vertici dello Stato mentre sta facendo gli scatoloni da Palazzo Chigi oppure se sia meglio prorogare e lasciar decidere ai nuovi arrivati.
È anche vero che i ‘nuovi arrivati’ non si sa chi sono e quando arriveranno, per le incertezze dettate dal quadro politico frammentato e da una legge elettorale che non garantisce vincitori.
Ma in questa nebulosa, chi può, si mette d’accordo sulle cose che contano. Del resto, anche in altri ‘dossier industriali chiave’ del paese, come il triangolo Telecom-Vivendi-Mediaset o anche la stessa Rai, Pd e Forza Italia non si fanno la guerra.
Ultimissimo esempio: il ritiro di Viale Mazzini dai diritti tv sul Mondiale 2018, finiti nelle mani di Mediaset, una competizione che non vedrà scendere in campo gli Azzurri ma in termini di ascolti sempre Mondiale di calcio è.
Profumo di intese insomma. Che non si sa se arriveranno in Parlamento, dipende dai numeri e quasi tutti i sondaggisti concordano sul fatto che con le politiche di marzo Pd e Forza Italia da sole non avranno i numeri per governare.
Ma intanto nei posti chiave lo fanno: insieme.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 22nd, 2017 Riccardo Fucile
ECCO CHI SONO, LE LORO CARRIERE
Arrivano le nomine di fine legislatura fatte dal Consiglio dei ministri. È Angelo Buscema il nome scelto, su proposta del premier Paolo Gentiloni, per la presidenza della Corte dei Conti. Buscema è l’attuale presidente delle sezioni riunite della Corte.
Alla guida della Consob, al posto di Giuseppe Vegas, arriva Mario Nava. La nomina di Nava, attuale responsabile della direzione generale Mercato interno e servizi della Commissione europea, dovrà passare al vaglio delle commissioni parlamentari per un parere non vincolante.
Il nuovo comandante generale dei Carabineri sarà Giovanni Nistri, che va a prendere il posto di Tullio Del Sette. Salvatore Farina è invece il nuovo capo di stato maggiore dell’esercito.
Chi è Nava, indicato come presidente Consob.
Milanese, classe 1966, oltre vent’anni di servizio alla Commissione europea. Mario Nava, indicato dal Governo come nuovo presidente Consob dopo Giuseppe Vegas, è un alto funzionario di lungo corso dell’esecutivo Ue, dove ha lavorato ai dossier economici più importanti sotto quattro presidenti: Jacques Santer, Romano Prodi, Josè Manuel Barroso e Jean Claude Juncker.
Appassionato di musica (la moglie è una musicista russa), di inscalfibile fede interista, vacanze in Liguria, Nava fino ad oggi è stato direttore per il Monitoraggio del sistema finanziario e di gestione delle crisi alla direzione generale per la Stabilità finanziaria e dei mercati dei capitali (Fisma) di Bruxelles, la Dg responsabile della politica europea in materia di banche e finanza.
Ha tre figlie, a Bruxelles si muove in bicicletta, dopo la laurea in Bocconi nel 1989, Nava approda in Belgio (1992) per frequentare un master all’Università di Lovanio. Successivamente a Londra consegue un Phd in Finanza alla London School of Economics.
Dal 1994 in Commissione europea, Mario Nava lavora prima alla direzione generale Fiscalità e dogane fino al 1996, poi alla dg Bilancio (1996-2000), per passare successivamente al gabinetto di Mario Monti a quei tempi commissario alla Concorrenza, dove è rimasto fino al 2001. Quello stesso anno, si sposta al piano più alto della Commissione, entrando nel novero dei consiglieri economici dell’allora presidente Romano Prodi dove resta fino al 2004, anno della conclusione del mandato dell’ex premier.
Dopo l’esperienza nella stanza dei bottoni dell’eurogoverno, Nava ricopre per quasi 5 anni l’incarico di responsabile dell’unità ‘Infrastruttura dei mercati finanziari’, mentre dal 2009 al 2013 passa al ruolo di responsabile dell’unità ‘Banche e conglomerati finanziari’. Un lungo percorso nel segno delle banche ai più alti livelli delle istituzioni Ue, il profilo ideale, nelle intenzioni del governo, per rilanciare l’immagine della Consob dopo le recenti burrasche nel settore dei credito italiano.
Chi è Farina, nuovo capo di stato maggiore.
Il Consiglio dei ministri ha designato il generale di Corpo d’Armata Salvatore Farina alla carica di nuovo capo di Stato Maggiore dell’Esercito. Nel corso della sua carriera, Salvatore Farina ha maturato una vasta esperienza sia in Forza Armata che presso Comandi ed unità Interforze e multinazionali, con particolare riferimento ai settori delle operazioni, della politica di Difesa, della pianificazione generale in ambito interforze e Forze Armate estere oltre che nelle relazioni internazionali, che ha consolidato prestando servizio nei vari Comandi e organismi multinazionali e durante le operazioni Nato ed Ue a cui ha partecipato. Farina è sposato ed ha due figlie. Ha assunto l’incarico di comandante del Joint Force Command di Brunssum (Olanda) il 4 marzo 2016.
Dopo aver frequentato l’Accademia Militare di Modena e la Scuola di Applicazione di Torino, si è laureato in scienze strategiche presso la Scuola di Applicazione – Università di Torino. Ha frequentato il 26 British Army staff College in Inghilterra. Si è laureato poi in ingegneria elettrotecnica presso l’Università di Padova e in politica internazionale e relazioni diplomatiche presso l’Università di Trieste.
Ha conseguito il master in Defence Resource Management presso l’Istituto della Difesa Usa in Monterey – California. È in possesso del brevetto di paracadutista e di istruttore militare di educazione fisica. Ha conseguito inoltre il master alta formazione per dirigenti generali del Ministero Difesa presso Link Campus di Roma.
Tra gli incarichi principali degli ultimi anni, Salvatore Farina è stato presidente del Comitato per l’Implementazione del Libro Bianco per la Difesa dal maggio 2015 a febbraio 2016. Dal settembre 2014 al maggio 2015 è stato Capo Dipartimento Trasformazione Terrestre dell’Esercito; dal settembre 2013 al settembre 2014 è stato Comandante dell’Operazione Nato Joint Enterprise in Kosovo; da luglio 2011 ad agosto 2013 è stato il capo del III Reparto – Politica Militare e Pianificazione – dello Stato Maggiore della Difesa.
Tra ottobre 2008 e gennaio 2010 ha svolto l’incarico di vicecapo III Reparto di Smd responsabile della pianificazione generale in ambito Interforze.
Nel 2007-2008 ha comandato la Brigata Trasmissioni nella sede di Anzio (Roma); dal 2004 al 2007 ha prestato servizio nella sede dell’ambasciata italiana a Londra, in qualità di Addetto Militare.
Nel periodo 2001-2004 è stato Capo Ufficio Pianificazione Generale dello Stato Maggiore dell’Esercito in Roma ed è stato responsabile di numerosi progetti tra cui quello della professionalizzazione e riorganizzazione dell’Esercito nell’ottica delle nuove missioni, della sospensione dell’obbligo della leva e passaggio al professionale.
Nel 2000-2001 ha comandato il 1° Reggimento Trasmissioni a Milano, curando l’ammodernamento del reparto e il passaggio dell’unità alle dipendenze delle forze di Reazione Rapida della Nato; dall’ottobre 1996 al settembre 1999 è stato il Capo del Centro Operativo Interforze presso lo Stato Maggiore della Difesa ed in tale veste ha pianificato e diretto tutte le operazioni militari delle nostre Forze Armate in Bosnia, Albania, Macedonia, Kosovo, Timor Est.
Da settembre 1995 a settembre 1996, ha comandato il Battaglione Trasmissioni ‘Leonessa’ a Civitavecchia. In tale periodo, inoltre, è stato impiegato in Bosnia nelle fasi più intense dell’operazione Joint Endeavour- Ifor a guida Nato. Il generale Farina nel corso della carriera è stato insignito di diverse decorazioni e onorificenze.
Chi è Nistri, nuovo comandante generale dei Carabineri.
Nato a Roma il 14 febbraio 1956, coniugato, 2 figli, il generale Nistri ha frequentato la Scuola Militare Nunziatella di Napoli nel quadriennio 1970-1974, l’Accademia Militare di Modena nel biennio 1974-1976 e la Scuola Ufficiali Carabinieri nel biennio 1976-1978.
Ha frequentato il 3° corso d’Istituto per Ufficiali in s.p.e. dell’Arma dei Carabinieri presso la Scuola Ufficiali Carabinieri e presso la Scuola di Guerra dell’Esercito a Civitavecchia (Roma) nell’anno accademico 1988-1989. Ha poi frequentato il 113° corso Superiore di Stato Maggiore presso la Scuola di Guerra di Civitavecchia (Roma) nell’anno accademico 1991-1992.
Si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Trieste nel 1981, in Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Siena nel 1988 nonchè in Scienze della Sicurezza (I livello) ed in Scienze della Sicurezza Interna ed Esterna (specialistica) presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, nel 2003. Ha conseguito il diploma di Master di II livello in Management pubblico e comunicazione di pubblica utilità presso la Lumsa (Libera Università Maria Santissima Assunta) di Roma nel 2002.
Ha conseguito il diploma di Master di II livello in Scienze Strategiche presso l’Università degli Studi di Torino nell’anno 2004 e l’idoneità all’esercizio della professione di avvocato presso la Corte di Appello di Catanzaro, nel 2000. È stato condirettore della rivista ‘Il Carabiniere’. Ed è iscritto all’Albo dei Giornalisti – Elenco Pubblicisti – dell’Ordine dei Giornalisti della Toscana, dal 2004.
Giovanni Nistri è stato membro dei seguenti organi ministeriali: Commissione speciale permanente per la sicurezza del patrimonio culturale nazionale; Comitato per le problematiche afferenti all’esercizio dell’azione di restituzione dei beni culturali illegittimamente sottratti al patrimonio culturale italiano; Commissione per il censimento delle collezioni numismatiche.
È stato docente di Sicurezza del patrimonio culturale presso la Lumsa di Roma, facoltà di Giurisprudenza, corso di Laurea Specialistica in Scienze delle Pubbliche Amministrazioni.
Dopo la fase formativa, nell’autunno del 1978 è destinato al 4° Battaglione Carabinieri ‘Veneto’ di Venezia – Mestre, quale comandante di Plotone e poi di Compagnia. L’anno successivo viene prescelto quale istruttore degli Allievi Ufficiali dell’Arma dei Carabinieri presso l’Accademia Militare di Modena, ove ricopre gli incarichi di comandante di Plotone e di Compagnia. Promosso Capitano, nel 1981 viene assegnato al comando della Compagnia Carabinieri di Urbino e, nel 1984, di quella di San Remo (Im). Nell’autunno del 1985 è chiamato al Comando Generale dell’Arma, ove permane sino al 1994 quale Capo Sezione, dapprima all’Ufficio Servizi Sociali e poi all’Ufficio Personale Ufficiali.
Dal 1994 al 1997, nel grado di tenente colonnello, espleta l’incarico di comandante Provinciale di Cosenza, venendo poi nuovamente destinato al Comando Generale dell’Arma quale Capo Ufficio Personale Ufficiali.
Promosso colonnello nel 2000, l’anno successivo è nominato Capo del V Reparto ‘Comunicazione e Affari Generali’ dello stesso Comando Generale, carica che ricopre sino all’aprile 2003.
Dall’aprile 2003 ad ottobre 2006, ricopre l’incarico di comandante Provinciale di Firenze. Promosso generale di Brigata, dal 10 gennaio 2007 al 27 settembre 2010 regge il Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale. Dal settembre 2010 al settembre 2012, riveste la carica di Comandante della Legione Carabinieri Toscana.
Promosso Generale di Divisione, dal 6 settembre 2012 al 19 gennaio 2014 è stato Comandante della Scuola Ufficiali Carabinieri in Roma.
Dal 20 gennaio 2014 al 14 febbraio 2016 è stato direttore generale del Grande Progetto Pompei.
Promosso generale di Corpo d’Armata a decorrere dal 1° gennaio 2016, il 15 febbraio successivo viene nominato presidente della Commissione di Valutazione e Avanzamento dell’Arma dei Carabinieri, incarico ricoperto sino al 31 dicembre 2016, in parziale contemporaneità con quello di comandante interregionale ‘Ogaden’, assunto il 6 aprile 2016 e tuttora rivestito, con funzioni di alta direzione, coordinamento e controllo delle Legioni Carabinieri Campania, Puglia, Basilicata, Abruzzo e Molise.
Dal 29 gennaio al 30 giugno 2017 ha ricoperto inoltre la carica di dirigente generale responsabile dei Sistemi Informativi Automatizzati dell’Arma dei Carabinieri di Roma.
Chi è Buscema, nuovo presidente della Corte dei conti.
Buscema è presidente di coordinamento delle sezioni della Corte dei conti. Ha varie volte segnalato il rischio dell’alto debito pubblico dell’Italia.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 22nd, 2017 Riccardo Fucile
“CONTINUERO’ IL MIO IMPEGNO CON LE MIE CONVINZIONI”
I Sei ottavi cantano “E io ci sto” di Rino Gaetano mentre Laura Boldrini entra nella sala
dello Spazio Cecere nel cuore di San Lorenzo, quartiere giovanile, progressista e di sinistra.
Dal microfono si sente: “Mi alzo al mattino con una nuova illusione, prendo il centonove per la rivoluzione…”.
La presidente della Camera ha riunito amici, associazioni e parlamentari per annunciare la sua discesa in campo al fianco del collega Pietro Grasso, presidente del Senato: “Sono convinta — dice – che la formazione Liberi e uguali, anzi nel mio caso ‘Libere e uguali’ abbia la potenzialità conseguire l’obiettivo di ricostruire un centrosinistra innovativo e in discontinuità . È una forza aperta, inclusiva e di governo”.
Di fatto ci sono la seconda e la terza carico dello Stato a capo di una forza politica in cui Laura Boldrini vuole portare avanti le sue battaglie di sempre: “Noi donne siamo il 51%, siamo stanche di essere considerate un’esigua minoranza, dobbiamo contare di più. Noi dobbiamo esigere più rispetto”.
E infatti la festa finisce in un tripudio di donne. Un brindisi con foto ricordo tutta al femminile.
In questo luogo di archeologia industriale, bianco alle pareti e cemento in terra, è stato allestito un palco rosso da cui parla la presidente Boldrini: “Il mio impegno continua con loro, una forza aperta, inclusiva e di governo, che guarda al futuro”.
Ad ascoltarla ci sono molti degli esponenti che hanno aderito alla nuova forza politica: i tre tenori Roberto Speranza, Pippo Civati e Nicola Fratoianni, poi sono presenti i parlamentari Cecilia Guerra, Arturo Scotto, Miguel Gotor , Gianluca Marcon e Francesco La Forgia.
Tra i primi ad arrivare c’è Luciana Castellina, parlamentare comunista e presidente onoraria dell’Arci. Infine Rossella Muroni che ha appena lasciato la presidenza di Legambiente per coordinare la campagna elettorale di Liberi e uguali.
Per tanti l’annuncio della discesa in campo di Laura Boldrini è un “bel regalo di Natale”. In sala sono tutti alla ricerca di “discontinuità con il passato” e di un “centrosinistra innovativo”.
Con una nota a brindisi in corso interviene anche Massimo D’Alema: “Questa scelta ha un grande valore anzitutto per il rilievo della sua personalità , per la straordinaria passione umana e civile con cui si è sempre battuta per i diritti delle donne e per la difesa dei diritti umani, prima sulla scena internazionale, nell’ambito delle Nazioni Unite e poi nelle istituzioni del nostro Paese”.
Dal palco Boldrini ripercorre rapidamente i cinque anni passati sullo scranno più alto di Montecitorio. “Essere imparziali non e’ stato facile- racconta- e io ho sempre detto quello che pensavo. Sono stata molto fuori dal palazzo, nelle periferie più complicate dove non ci sono tappeti rossi. La legislatura sta finendo e io vorrei ringraziare ancora Sel che mi ha candidata da indipendente e mi ha dato la possibilità di fare questa esperienza straordinaria”.
Poi il suo cavallo di battaglia: “Dobbiamo pretendere più diritti per le donne. Donne – incalza- dobbiamo esigere di esserci e di contare. Nessuno ci farà largo, non lo dobbiamo delegare, lo dobbiamo fare noi. Quest’anno negli Stati Uniti la parola più cercata su internet e’ stata ‘femminism’. Il femminismo dovrà essere prima o poi la parola dell’anno in Italia”.
Quindi la foto di gruppo tutta in rosa mentre in lontananza si sente Nico Stumpo urlare: “Siamo la minoranza”.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 22nd, 2017 Riccardo Fucile
IL PARROCO: “STRUMENTALIZZARE QUESTI ARGOMENTI E’ RIDICOLO E TRISTE, GESU’ ERA ULTIMO TRA GLI ULTIMI”
Botta e risposta a colpi di presepi ad Arcore, in Brianza, dove la parrocchia di Sant’Eustorgio ha allestito una Natività particolare, posizionando Maria e Giuseppe su un barcone, circondati dai migranti che sollevano le braccia al cielo per chiedere aiuto. L’iniziativa è spiegata nel testo esposto accanto al presepe, in cui si legge che Gesù è “profugo tra i profughi, ultimo tra gli ultimi” e che “possiamo anche immaginare che al di là delle finestre in queste case ci siano dei presepi certamente belli, ma pur sempre finti. Il dramma in realtà accade fuori, il presepe vero è fuori”.
Una spiegazione che non ha però convinto i leghisti, i quali hanno replicato con un gazebo in cui è stato esposto il tradizionale presepe ambientato in una capanna: “Qualcuno sta camminando su sentieri che non sembrano essere in linea con la storia della Chiesa” (notoriamente loro sono raffinati teologi)
“Il presepe è qualcosa di grande, ridurlo a veicolo di strumentalizzazione politica è ridicolo e triste – commenta don Giandomenico Colombo, parroco della Comunità pastorale di Sant’Apollinare, in cui è inserita la parrocchia di Sant’Eustorgio – È sempre brutto quando si guardano le cose con il filtro dell’ideologia. Sarebbe come pensare che il Figlio di Dio si sia incarnato in un uomo per mancare di rispetto alle donne. Abbiamo voluto lanciare un messaggio contro il clima di indifferenza che si respira oggi nelle nostre città “.
(da agenzie)
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Dicembre 22nd, 2017 Riccardo Fucile
RICERCA MEDIA RESEARCH: IN 20 ANNI E’ AUMENTATO SOLO IL NUMERO DI COLORO CHE NON SI RICONOSCONO IN NESSUNA FEDE
Le festività natalizie fanno scattare, nel discorso mediatico, un meccanismo consolidato:
come andranno le spese delle famiglie in regali, cibo e vacanze? Come andranno i consumi?
Non solo a causa delle difficoltà di quest’ultimo decennio il Natale è annoverato fra gli indicatori dell’andamento dell’economia.
La dimensione religiosa della ricorrenza, e non sempre, si declina nell’intimità familiari, nel privato o confinato alle comunità dei credenti. Eppure, la religiosità , così come l’ideologia politica, costituiva un universo di valori per le persone.
Un insieme di norme che contribuiva a guidare l’azione dei singoli. Permetteva la costruzione di un senso comune. Offriva un obiettivo condiviso per la costruzione della società e del suo futuro.
Religiosità e ideologie erano le narrazioni delle comunità che (e di come) si sarebbero dovute costruire. L’uso dei verbi al passato non è casuale. Perchè tali pilastri hanno perso la loro valenza.
La dimensione religiosa è attraversata da tensioni profonde. Già all’inizio degli Anni 60 il sociologo Sabino Acquaviva evidenziò un’«eclissi del sacro».
All’orizzonte comune dei valori religiosi di riferimento si è sostituita una declinazione individuale che definiremmo «tailor made», dove ognuno ritaglia su di sè la morale religiosa in una sorta di «fai-da-te».
Tant’è che siamo in presenza di «un singolare pluralismo» morale e religioso, così come definito da una ricerca curata da Garelli, Guizzardi e Pace (Mulino) nel 2000.
Un limbo collettivo
A distanza di quasi 20 anni da quell’indagine sono ancora mutate la religiosità e la spiritualità degli italiani?
Community Media Research, in collaborazione con Intesa Sanpaolo per «La Stampa», ha ripercorso alcuni dei temi sugli orientamenti religiosi degli italiani. Pur con le cautele del caso, tuttavia il raffronto con quanto rilevato all’inizio del secolo evidenzia come i processi di trasformazione allora rilevati si siano approfonditi.
E, in generale, la società italiana mostri evidenti segni di una progressiva erosione della dimensione del sacro.
Le dichiarazioni di appartenenza religiosa raccontano che la maggioranza della popolazione si dichiara ancora oggi cattolica (60,1%).
Largamente minoritari sono quanti appartengono ad altre famiglie religiose (dagli islamici ai buddisti, dagli ebrei alle altre cristiane o non cristiane: complessivamente il 6,5%).
Per contro, un italiano su tre (33,4%) non sente di appartenere ad alcuna confessione religiosa.
Fin qui, dunque, l’Italia parrebbe un Paese popolato da cattolici.
Se è così, tuttavia, tale quota decresce significativamente dal 2000 di 19,1 punti percentuali, quando allora era stimata al 79,2%.
Tale travaso, però, più che andare a vantaggio di altri gruppi religiosi, va ad alimentare l’area della non-appartenenza: il 33,4%, contro il 18,8% del 2000.
Quindi, la religiosità cattolica coinvolge ancora una larga fetta della società italiana, ma è in contrazione.
Non a vantaggio di altre culture religiose, quanto di una sorta di limbo.
Un ulteriore riflesso della minore tensione all’appartenenza religiosa è riscontrabile nella frequenza ai riti e alle funzioni religiose.
Gli «assidui»” (partecipano tutte le domeniche o almeno più volte al mese) sono il 25,6%, in calo di 24 punti percentuali rispetto al 2000 (erano il 49,6%).
Crescono sia i «saltuari» (partecipano solo ad alcune occasioni o ogni 4-5 mesi: 47,0%, dal 34,9% del 2000) sia chi non frequenta mai (27,4%, era il 15,5% nel 2000).
Così, a una diminuzione del senso di appartenenza, consegue un minor grado di partecipazione ai riti delle comunità religiose.
È interessante poi osservare come anche all’interno delle famiglie religiose le due dimensioni (appartenenza e partecipazione) non siano così scontate.
Fra i cattolici solo il 39,4% è presente in modo assiduo ai rituali, quota però più cospicua rispetto a quanti appartengono ad altri gruppi religiosi (26,2%).
I cattolici, quindi, paiono più fedeli, ma è una (larga) minoranza a partecipare con costanza ai momenti comunitari.
Vita spirituale
I processi erosivi della trascendenza nella vita quotidiana si colgono analizzando quanti ritengono di avere una vita spirituale e di credere in un’entità soprannaturale. In entrambi i casi otteniamo che un’ampia minoranza si riconosce nelle due dimensioni: il 45,4% sente di avere propria una vita spirituale, il 40,4% è religioso.
Sommando queste affermazioni, identifichiamo quattro profili di religiosità .
Il gruppo prevalente è dei «materialisti» (46,3%), che dichiara di non avere nè una vita spirituale nè religiosa, particolarmente presenti fra i 40enni (64,5%), assai più che fra i giovani (44,5%).
Le caratteristiche opposte le troviamo nei «credenti» (34,5%), che sono il secondo gruppo, più diffuso fra gli adulti (oltre 55 anni: 43,4%).
Fra questi due insiemi incontriamo quanti hanno una «spiritualità soggettiva» (11,1%), ma non riconoscono alcuna entità superiore.
E, viceversa, chi ha un’appartenenza religiosa ispirata dalle consuetudini: la «religiosità culturale» (8,1%).
Va sottolineato come la metà fra i cattolici (51,1%) rientri nel gruppo dei «credenti» e il 29,0% alberghi fra i «materialisti».
I processi di secolarizzazione proseguono la loro marcia. La perdita di intensità della dimensione del sacro lascia spazio a una materialità individuale e nelle relazioni, come denunciato dallo stesso Papa Francesco.
Eppure il fenomeno dell’eclissi (del sacro) adombra come il lato oscuro nasconda un’altra realtà , che fatichiamo a vedere. Il pluralismo religioso e spirituale emerso dalla rilevazione è anche indice di una ricerca a fronte della perdita del tradizionale orizzonte di valori. È una nuova domanda di senso per l’epoca di trasformazioni che stiamo attraversando.
Che richiede una grande opera di discernimento.
(da “La Stampa”)
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Dicembre 22nd, 2017 Riccardo Fucile
ALL’EPOCA IL M5S NON VOLEVA E IL MANAGER FU CACCIATO
L’ATAC vuole dismettere il suo patrimonio immobiliare, cominciando da palazzi e rimesse che avrebbero un valore di un centinaio di milioni di euro.
Per mettere sul piatto un po’ di liquidità per il concordato preventivo, che tra un mese dovrebbe essere consegnato al tribunale.
Ma c’è un problema: la vendita del patrimonio immobiliare era stata messa in moto un anno e mezzo fa, quando a guidare l’azienda c’era Marco Rettighieri. E lo stesso piano di oggi venne fermato all’epoca dal MoVimento 5 Stelle.
Spiega oggi il Corriere Roma che ATAC vuole vendere palazzi e rimesse per 100 milioni di euro, quasi un terzo del valore del suo patrimonio immobiliare. E, per farlo, nomina un advisor che — con un importo pari a 21.249,600 euro più Iva — ha il compito di fare la valutazione propedeutica all’operazione cessione.
«Considerata l’urgenza di formalizzare l’incarico oggetto della procedura di gara, stante anche l’importanza dello stesso nell’ambito del Piano Concordatario», Atac determina di «aggiudicare alla società Reag — Real Estate Advisory Group srl- il servizio di valutazione di immobili e/ o compendi immobiliari di proprietà della società ».
Il dado è tratto, come si legge nella determina di affidamento: la disastrata municipalizzata del Campidoglio, finita in tribunale con l ‘acqua alla gola a causa del maxi debito (1,4miliardi), comincia a mollare le zavorre.
L’obiettivo è la cessione di 18 strutture battezzate a beni da sacrificare come contributo anti-default.
Le ex rimesse Vittoria a piazza Bainsizza, San Paolo a via Alessandro Severo e Tuscolana a piazza Ragusa, più la rimessa Trastevere; le aree Garbatella, Centro Carni, Cardinal De Luca più quella della rimessa Acilia; le sottostazioni elettriche Nomentana, San Paolo, Etiopia, Lucio Sestio e San Giovanni; un grande fabbricato in via dei Rogazionisti, un mega edificio a Piramide, la ex centrale operativa della metropolitana a Garbatella e pure un appartamento e un ufficio sulla via Tuscolana.
Il piano ATAC per la dismissione degli immobili, che tra l’altro era stato anticipato nell’agosto scorso (ma all’epoca serviva a scongiurare il concordato preventivo: o tempora! O mores!), all’epoca autorizzava l’azienda di via Prenestina «ad alienare i beni immobili mediante trasferimento a un Fondo comune di investimento immobiliare».
Gran parte di questi immobili andrebbero bonificati prima di essere messi in vendita, per altri, affinchè siano appetibili sul mercato, invece occorrerebbe destinazioni d’uso diverse dal punto di vista urbanistico. Inoltre, su alcune di queste sedi ci sono le ipoteche delle banche.
Ma la parte più curiosa è che l’ex direttore generale di Atac, Marco Rettighieri, nella sua conferenza stampa d’addio, aveva detto proprio questo: «Per avere liquidità , bastava sbloccare il piano di dismissione degli immobili non strumentali».
Un’operazione che avrebbe potuto portare nelle casse dell’azienda fino a «160 milioni di euro», come si leggeva nella relazione del 24 giugno:
Solo attraverso l’alienazione di cinque immobili dismessi, prevista dal piano industriale 2015-2019, sarebbero arrivati 98,2 milioni, secondo gli ex manager.
Ma la giunta M5S all’epoca bloccò tutto. Oggi il management ripropone però la stessa soluzione.
Con il dettaglio che nel frattempo è passato un anno e mezzo. Perso.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 22nd, 2017 Riccardo Fucile
VICINA A MARCO PANNELLA, RAPPRESENTA L’ALTRA ANIMA DEI RADICALI, DIVISI DA TEMPO SUL MODO DI FARE POLITICA
“Il fatto che mi proponiate una candidatura nella vostra lista mi porta a pensare che il
mio comportamento politico non sia stato chiaro ai vostri occhi e cio’ mi dispiace perchè ero convinta di essermi manifestata in modo limpido. E non mi riferisco a tempi recentissimi ma almeno da quando le vostre strade sono confluite in un’unica strada contraria a quella percorsa da Marco Pannella, strada — quella di Marco — che io ho condiviso e che cerco di portare avanti oggi con le compagne e i compagni del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito”.
E’ il ‘gran rifiuto’ che Rita Bernardini — membro della presidenza del Partito Radicale — oppone all’offerta di candidatura per le elezioni politiche di primavera da parte di +Europa la lista guidata da Emma Bonino che si muove nel campo del centrosinistra. Un’offerta che le era stata avanzata da una email del segretario dei Radicali Italiani Riccardo Magi.
“Non è ‘per caso’ che i soggetti politici che rappresentate con le vostre firme — sottolinea la Bernardini nel suo rifiuto scritto ieri ma diffuso oggi — siano stati i più acerrimi boicottatori, con atti, comportamenti e omissioni, del raggiungimento nel 2017 dei 3.000 iscritti”.
Per la Bernardini “Non sono secondarie, come scrive Riccardo Magi con l’espressione “è inutile qui e ora ricordare”, le ragioni che mi hanno portato a “scelte politiche e organizzative diverse” anche perche’ “giustizia giusta” e “carceri” non sono un brand, semplici titoli di iniziative da poter vantare in campagna elettorale, ma elementi essenziali di un regime a-democratico e anti-popolare che ha ridotto il Paese sul lastrico non solo e non tanto economico (quella semmai e’ una conseguenza), ma istituzionale e civile. Avete il “vostro” partito, la “vostra” lista, il nome di Emma Bonino ceduto a Radicali Italiani come patrimonio da far fruttare nelle competizioni elettorali. Avete spazi televisivi a go’-go’, quelli per conquistare i quali (e non certo per se stesso) Pannella doveva giungere in punto di morte: che ve ne fate di una scostumata Bernardini?”.
E la Bernardini conclude citando le parole del rimpianto Marco Pannella del 1978: “non possiamo non prevedere fin d’ora — pena la morte politica di tutti noi — che si tenterà di separare, di annettere, di integrare qualsiasi radicale che proponga in modo non scostumato, cioè secondo il costume di classe del potere, e quindi con costumi omogenei a quelli del potere, quello che insieme abbiamo imparato e a cui stiamo dando corpo “.
(da “NextQuotidiano“)
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Dicembre 22nd, 2017 Riccardo Fucile
CLAUDIA FERRAZZI, 40 ANNI, NATA A BERGAMO, LAUREATA IN SCIENZE POLITICHE, E’ UNO DEI CERVELLI DELLO STAFF CULTURALE DEL PRESIDENTE
«Se non si vede, sarà un successo». Questo lo spirito con cui è partita, in Francia, la grande offensiva del governo Macron sulla cultura, che sarà annunciata ufficialmente dal presidente a gennaio.
Non si punta a iniziative ad effetto ma, nello spirito del discorso della Sorbona, a rivoluzionare il tessuto sociale francese dal basso e ad esportare il modello in tutta l’Unione europea.
A parlarne, in una delle stanze dell’Eliseo, è Claudia Ferrazzi, 40 anni, nata a Bergamo, laureata in Scienze Politiche a Milano, e oggi tra le poche donne appartenenti alla squadra ristretta dei consiglieri di Macron.
«Abbiamo messo a punto un programma in cinque anni per raggiungere l’obiettivo del 100 per cento di ogni generazione messa nelle condizioni di accedere alla cultura del Paese», spiega questa giovane dirigente, che ha conosciuto Macron all’Inspection de Finance tra il 2007 e il 2011 e alle sue spalle ha già la frequentazione dell’Ena, la direzione generale del Louvre e quella di Villa Medici.
Come fare?
«Innanzitutto ci siamo interrogati su che cosa non ha funzionato nel passato — dice — e ci siamo resi conto che a fronte di un’offerta di grandissima qualità e anche molto estesa su tutto il territorio, la domanda di cultura restava spaventosamente bassa». Non serve a molto ospitare esposizioni da capogiro, piattaforme multimediali, artisti provenienti da ogni parte del globo, se poi il 60 per cento degli abitanti dichiara di non averli mai visti, e in qualche caso neanche di averne sentito parlare. In particolare sono i ragazzi a essere tagliati fuori: «Abbiamo molta offerta per le famiglie, moltissima per gli adulti, ma per i giovani c’è troppo poco».
Di qui l’offensiva: «Il primo pilastro su cui abbiamo deciso di intervenire è la scuola — dice Ferrazzi — dove già da questo anno scolastico sono state inserite delle ore di “pratica artistica”, ed è stata aggiunta una seconda ora di coro, che per il sistema francese è un’autentica rivoluzione».
Aria ai programmi, dunque, che dovranno puntare sulla conoscenza diretta delle opere e sul contatto con gli artisti.
Finita la scuola, tutti a casa. «E questo è un altro problema con cui la Francia deve fare i conti: dopo le quattro del pomeriggio per bambini e ragazzi si aprono sterminati pomeriggi davanti alla televisione o ai videogiochi, spesso in solitudine perchè i genitori lavorano, beh, ci siamo detti che non è possibile andare avanti così».
Eccolo, dunque, il secondo pilastro: riforma del sistema audiovisivo per dare una programmazione che assomigli quasi a un doposcuola; apertura di biblioteche e mediateche comunali fino alla sera tardi e durante il week end (in tutta la Francia ce ne sono circa 17 mila) in modo tale che coinvolgano i più giovani (wi-fi per tutti, tanto per cominciare).
«Di qui anche l’ideazione di un “pass-culture”, una sorta di evoluzione dell’App18, che crei il desiderio, la voglia di emancipazione — dice la consigliera di Macron. — È un impegno, quello di uscire dall’elitismo culturale, che la nostra generazione deve assumersi per la generazione che seguirà ».
*Il terzo pilastro prevede invece massicci investimenti sulla cultura europea, e dunque sulla mobilità : «Vogliamo mettere in movimento le persone e le opere, far ritrovare loro la fisicità del contatto diretto», spiega ancora Ferrazzi con quell’entusiasmo che sembra contagiare chiunque abbia avuto che fare con Emmanuel Macron.
«È troppo difficile oggi organizzare e far girare un concerto o uno spettacolo teatrale, così come è assurdo che non ci sia circolazione tra i direttori delle grandi istituzioni europee». E poi la mobilità delle lingue.
Il governo Macron immagina una gigantesca operazione di sottotitoli e traduzioni, che siano disponibili per chiunque, su qualsiasi supporto: «Un amico una volta mi mandò una registrazione degli Anni 50 con il Flauto Magico cantato in italiano – ricorda Ferrazzi — quello è l’obiettivo: moltiplicare le possibilità di accesso linguistico a tutti, in ogni lingua».
Un esperanto a 27? Forse no, «anzi sulla cultura bisogna avere il coraggio di rinunciare al multilateralismo, noi per esempio vogliamo intrecciare mille bilateralismi».
L’Italia è un partner naturale, per coproduzioni, scambi di funzionari culturali, nuovi progetti: «Adesso stiamo mettendo in cantiere un progetto di mobilità sui patrimoni — ci dice raccogliendo le sue carte — dobbiamo solo essere più vicini, sì — aggiunge con un sorriso — più amici».
(da “La Stampa”)
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