Gennaio 2nd, 2018 Riccardo Fucile
POLITICAMENTE ERANO GIA’ DIVISI: ISABELLA CON LA MELONI, GIANNI CON SALVINI
“Mi separo, di nuovo, da Alemanno. Io con Meloni, lui con Salvini”. Isabella Rauti spiega
al quotidiano La Verità cosa sta succedendo: “Contrasti prima personali e poi politici”.
Si scioglie ancora una volta la coppia storica della destra italiana.
Il primo allontanamento avvenne nel 1996, quando la Rauti scelse di rimanere nella Fiamma Tricolore con il padre Pino Rauti.
A distanza di anni giunge la seconda rottura.
I motivi della decisione coinvolgono sia la vita privata tanto quanto le proprie carriere politiche. “La politica era una forma totalizzante, eravamo una coppia che viveva di passione e militanza. Saltammo per aria”. Poi tornarono insieme.
E oggi un’ulteriore conferma: “Non parlo più di politica con lui, è inevitabile. Se io sto con la Meloni, lui con Salvini”.
“Questa storia è così lunga e complessa che non si può riassumere in una battuta. Produce una sofferenza autentica, vera che non estingue”
La scissione tra An e Fiamma portò alla prima separazione con Alemanno
“Lui scelse la prima, io la seconda: la politica era una forma totalizzante, eravamo una coppia che viveva di passione e militanza. Saltammo per aria”.
Vi separaste per 7 anni
“Poi ci siamo rimessi insieme e siamo andati avanti”.
Lei si riscrisse ad An
“Fui riaccolta dalla comunità della Balduina. Era un tentativo di ritorno a casa”.
Rottura che si è replicata oggi:
E poi, oggi, di nuovo distanti. Due case e due partiti
“Noi siamo ancora tecnicamente sposati. Ci stiamo separando. Ma stavolta è il contrario, la rottura non è prodotta da un percorso politico. Ci siamo divisi politicamente, dopo averlo fatto sul piano personale”.
Lei sempre con la Meloni
“Ma questo non c’entra con la stima politica: ha fatto una campagna elettorale incinta e ha fatto un miracolo. Si può vincere anche perdendo”.
Perchè la Lega non le piace?
“Lo dissi in tempi non sospetti: Salvini è un interlocutore ed è un potenziale alleato, ma non può essere un approdo. Per essere di destra bisogna avere una storia di destra, dire e fare cose di destra. Lui viene dai comunisti padani!”.
(da “Huffingtonpost“)
PS Sul “dire e fare cosa di destra” rimandiamo Isabella all’esperienza paterna: la destra della Meloni non ha nulla a che vedere con quella di Pino Rauti. Senza dimenticare un apparente dettaglio: lavorare per lo staff di un politico è cosa diversa da fare politica per passione.
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Gennaio 2nd, 2018 Riccardo Fucile
SENZA FINANZIAMENTO PUBBLICO E’ UN DISASTRO, ANCHE DETRAZIONI E DONAZIONI SONO UN FLOP…RESTANO I CONTRIBUTI DEGLI ELETTI E I THINK TANK
Non solo la fine della legislatura. Il 2017 segna anche il tramonto del finanziamento pubblico ai partiti.
Con una sforbiciata progressiva introdotta per decreto dal governo guidato da Enrico Letta nel 2013.
Un taglio entrato a regime proprio lo scorso anno con l’azzeramento totale dei vecchi rimborsi elettorali, rimpiazzati dal sistema del 2 per 1000, in favore dei movimenti politici.
Che d’ora in poi potranno contare, quindi, solo sulle donazioni dei privati per finanziare la propria attività . Ma con scarsi risultati, almeno a leggere il dossier dell’associazione OpenPolis, che ha passato in rassegna 81 rendiconti presentati da 21 soggetti politici negli ultimi 4 anni.
Un periodo di tempo nell’arco del quale “le entrate dei partiti si sono ridotte del 61%”, considerando “le sole entrate della gestione caratteristica”.
Ossia quelle derivanti “da fondi pubblici, donazioni private, quote d’iscrizione e da altre attività tipiche”. Insomma, archiviato il sistema dei rimborsi automatici, le casse si sono andate progressivamente svuotando. Riducendo i partiti alla canna del gas.
CRISI TOTALE
Ma non è tutto. Perchè come rileva ancora OpenPolis, non solo il finanziamento privato non è decollato, ma si è addirittura progressivamente ridotto. Nonostante il decreto Letta abbia previsto, per incoraggiare le donazioni di cittadini, aziende e altri enti privati verso i partiti, una detrazione (Irpef e Ires) del 26% su quanto donato alle forze politiche iscritte nel registro dei partiti, per cifre comprese tra 30 e 30mila euro.
“Un mancato introito per le casse pubbliche che la stessa legge aveva quantificato in 27,4 milioni nel 2015 e in 15,65 milioni dal 2016, prevedendo quindi donazioni annue anche superiori ai 50 milioni di euro”.
Previsioni sbagliate, dal momento che “le forze politiche stanno ricevendo”, invece, “molto meno del previsto”. Insomma, il calo delle entrate “non è dovuto solo alla riduzione del finanziamento pubblico”.
Anche le donazioni da privati cittadini e persone giuridiche, infatti, “sono in forte diminuzione”. Se si esclude il 2013, anno delle ultime elezioni politiche nel quale si è contrato per ovvie ragioni il maggior volume di donazioni, “negli anni seguenti il declino è costante: le donazioni da persone fisiche ad esempio passano da 21 a 12,4 milioni”. Addirittura peggio, sottolinea ancora OpenPolis, è andata sul fronte delle entrate da aziende e altri enti. Che nell’ultimo biennio sono state “sempre inferiori al milione di euro l’anno”.
BENEDETTA TRASPARENZA
Ma chi sono i finanziatori dei partiti? Sulla carta “le donazioni superiori ai 5.000 euro devono essere dichiarate insieme al bilancio”.
Ma “la normativa sulla privacy consente comunque di ‘pecettare’ i nomi di chi non ha rilasciato il consenso alla pubblicazione di dati personali”.
Un vulnus pericoloso, visto che in linea teorica donazioni fino a 100mila euro (il massimo legale consentito) potrebbero essere riscosse senza rendere pubblico il donatore. Tornando ai bilanci dell’ultimo anno, si scopre in realtà che sono “gli eletti ai vari livelli dei partiti politici” a contribuire, “con una quota della loro indennità , a mantenere in vita quasi tutti i partiti”.
Ad eccezione di Forza Italia, Alternativa popolare (già Nuovo centrodestra) e Movimento 5 Stelle, “le donazioni degli eletti costituiscono oltre l’80% dei contributi da persone fisiche” incamerate dai partiti.
Con l’unica eccezione di Fratelli d’Italia: per il partito di Giorgia Meloni “le donazioni degli eletti sono il 100% dei contributi da persone fisiche”.
Ma se le donazioni private alla politica passano sempre meno dalle casse dei partiti, “è possibile che si spostino su altri canali, come think tank e singoli candidati alle elezioni”, rileva ancora OpenPolis.
Che in un precedente dossier aveva già registrato “come il 40,45% dei parlamentari dichiarasse spese o contributi elettorali durante la campagna delle politiche 2013, per un totale di oltre 4 milioni di euro”.
GRUPPI PARACADUTE
Mentre il finanziamento ai partiti diminuiva, quello verso i gruppi parlamentari, è rimasto, invece invariato.
“Per 100 euro di finanziamento pubblico, nel 2013 quello diretto ai partiti ammontava a 63 euro contro 37 per i gruppi — ricorda OpenPolis —. La progressiva eliminazione dei rimborsi elettorali ha ribaltato questa proporzione: nel 2016 di 100 euro di finanziamento pubblico tre quarti vanno ai gruppi parlamentari di Camera e Senato e solo il restante quarto ai partiti politici”.
Un dato che evidenzia la “progressiva marginalità del partito nel sistema politico italiano”. Al punto che oggi molte delle attività un tempo da essi svolte sono state delegate ad “una pluralità di soggetti più o meno riconducibili ad una stessa forza politica”.
Come “fondazioni d’area o legate a un leader, gruppi parlamentari, media e organi d’informazione, singoli candidati”.
In che modo? Eloquente “il caso del Pd in occasione della campagna per la riforma costituzionale”, spiega OpenPolis. Una campagna che ha visto diversi soggetti promotori in prima linea.
Dal Partito democratico (con un impegno superiore agli 11 milioni di euro)” ai “gruppi parlamentari del Pd (1,4 milioni di euro quello della Camera, 800mila euro quello del Senato)”. E che dire poi della “fondazione Open vicina a Matteo Renzi”, organizzatrice dell’evento “che ha lanciato l’ultimo mese di campagna, con la Leopolda del novembre” 2015?
DA ROUSSEAU AL CAVALIERE
Non è da meno il Movimento 5 stelle. Non essendo iscritto nel registro dei partiti “non accede al 2à—1000”. Dal punto di vista organizzativo, è articolato in una pluralità di entità giuridiche diverse.
All’apice c’è l’associazione M5S, “ma economicamente è poco significativa, avendo depositato negli ultimi anni bilanci di poche centinaia di euro”, osserva OpenPolis.
Molto più significativo, invece, “il bilancio dell’associazione Rousseau, costituita per il finanziamento della piattaforma omonima e finanziata con le donazioni private dei sostenitori” che nel 2016 ha raccolto complessivamente “circa 400mila euro di entrate dalla gestione caratteristica”.
E che dire di Forza Italia? Se “nel 2013 il partito è stato ricostituito grazie ad una donazione del solo Silvio Berlusconi pari a 15 milioni di euro, il 99,5% delle contribuzioni di quell’anno”, stavolta l’ex Cavaliere non potrà essere altrettanto generoso. “La legge sul finanziamento ai partiti ha messo un tetto massimo di 100mila euro alle donazioni dei privati”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 2nd, 2018 Riccardo Fucile
UN LENINISMO POST-MODERNO IN SALSA PROPRIETARIO-AZIENDALISTICA ALLA BERLUSCONI
In politica, il 2018 ci porta un partito che sa di nuovo, anzi d’antico: il P5S, Partito Cinque
Stelle, già noto come “moVimento”.
Quando non erano un partito, infatti, esistevano dei principi inderogabili, fra cui ricorderete tutti il celebre motto “uno vale uno“.
E’ in realtà da tempo che quel motto è stato disatteso in favore del più leninistico “qualcuno vale tutto”.
Ora che tutto il potere è tornato nelle mani non già di un soviet supremo, ma di un politburo ristretto composto solo da tre nomi: Grillo, Casaleggio e per certi versi Di Maio, sappiamo con certezza che ciò che verrà dall’elezione diretta del “popolo del web” secondo il nuovo statuto (non a caso non più chiamato “non statuto” che faceva tanto il miglior Magritte) e il nuovo codice etico, dovrà passare per il vaglio del nuovo Capo Politico, appunto Di Maio, il quale avrà l’ultima parola sulla “presentazione delle liste, del simbolo e del programma e la definizione della squadra di governo” come recita l’ultimo enunciato del duce.
Da notare il nuovo art. 4 che assegna all’ayatollah e al duce il potere di rigettare, se non gradito, il risultato del voto online, ora diminuito a mera “consultazione“, che è valido solo “qualora abbia partecipato la maggioranza assoluta degli iscritti”, quorum mai raggiunto prima.
Niente più democrazia diretta decisoria, alla Rousseau, insomma: gli iscritti potranno sempre esprimere sempre i loro suggerimenti quando il politburo ristretto lo riterrà opportuno, ma alla fine chi decide sarà Lui, il Capo Politico, che per ora è Di Maio, ma domani potrebbe essere chiunque altro, se gli ayatollah Grillo e Casaleggio dovessero prenderlo in antipatia.
Non più candidati candidi: si accettano anche gli indagati, perchè c’è indagato e indagato. Non più nessuna alleanza con “nessun partito”, ma anzi: pronti ad allearsi con chiunque sia disponibile alla bisogna (Lega o LUE, pari sono).
Un primo assaggio di questo tipo di meccanismo lo si è già avuto alle scorse primarie di Genova, dove anzitutto si impose dal nulla il cosiddetto “metodo Genova“, che serviva a ridurre il potere democratico della base di candidare un iscritto chiunque con buona pace delle idee di Rousseau, al fine di incanalare la scelta su pochi nomi conosciuti al vertice. Poi, la vincitrice Marika Cassimatis fu disarcionata con l’editto genovese di Grillo, in favore del candidato sconfitto, Luca Pirondini.
Come ricorderete, ci fu un ricorso della Cassimatis vinto dinanzi al Tribunale Civile di Genova, ma questo non ha impedito all’Elevato di presentare il candidato che voleva lui, Pirondini, il quale alle elezioni poi è arrivato terzo senza nemmeno ottenere il ballottaggio.
Oltre al politburo Grillo-Casaleggio-Di Maio, ci saranno il Comitato di Garanzia e il Collegio dei Probiviri, proprio come accade in ogni partito politico che si rispetti.
A ben guardare, il P5S non è però un partito veramente leninista: infatti l’intera baracca risulta proprietà di due sole persone, cosa che lo avvicina più a Forza Italia: Beppe Grillo e Casaleggio Jr., il cui unico grande merito politico è di essere il figlio bio-lo-gi-co del presidente eterno Gianroberto, già fondatore della Casaleggio e “associati” che forse si dovrebbe meglio leggere “Casaleggio и партнеры“, in russo.
Tutto ciò nel “meritocratico” stile politico nordcoreano della famiglia Jong, il cui Dna governa con pungo di ferro il paese dai tempi del nonno Kim Il-sung. Anche il programma politico del P5S non è definito come negli altri partiti: su molti temi le posizioni sono talmente vaghe che a seconda di chi si intervista, si ottiene una risposta e il suo contrario. Nel P5S però sono riusciti a fare di più, e anche intervistando in giorni diversi la stessa personalità si ottengono le risposte più opposte.
Prendete la posizione sull’Euro, per esempio: Di Maio il 18 dicembre 2017 in tv su La7 si è pronunciato in favore di un referendum per uscire dalla moneta unica, referendum che lui non solo auspica, ma nel quale voterebbe proprio per l’uscita: “Se dovessimo arrivare al referendum, che per me è l’extrema ratio è chiaro che io sarei per l’uscita” (e pazienza se detto referendum è anticostituzionale secondo quanto stabilito dagli artt. 75 e 80 della Costituzione); il 28 dicembre 2017, dieci giorni dopo, intervistato da questo giornale, ha chiaramente assicurato che lui non è per uscire dall’Euro: “Non mi soffermo più su questo argomento, perchè dà adito solo a strumentalizzazioni. Io confido che il referendum non si debba fare, anche perchè l’Europa è molto cambiata”.
Lo stesso tipo di fraintesa “posizione piglia-tutto” la si può trovare parlando di uscita dalla Nato, o di quanto costerebbe il reddito di cittadinanza, o se una volta al governo il P5S toglierebbe o meno i 940€/annui che i governi del Pd hanno redistribuito a quei 11.100.000 italiani i cui redditi sono inferiori ai 26mila€ annui: qui quando erano “una mancetta elettorale” che “non hanno rilanciato l’economia” e qui quando sono diventati così utili e necessari che “non saranno toccati e anzi vogliamo proseguire con gli sgravi Irpef“.
La Costituzione della Repubblica, del resto, al P5S sta davvero stretta: l’ultima posizione assunta, quella per la reintroduzione del vincolo di mandato (come ai tempi del fascismo) e della multa da 100mila euro ai parlamentari P5S che dovessero cambiare gruppo perchè in disaccordo politico con le posizioni assunte dal loro partito, lede l’art. 67, uno dei più brevi e chiari e diffusi nella sua lineare semplicità in tutte le democrazie parlamentari, che il P5S ha in uggia: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.”
Insomma, il 2018 ci porta un po’ di leninismo postmoderno, in salsa proprietario-aziendalistica alla Berlusconi: una ricetta sicuramente prelibata per l’Italia.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 2nd, 2018 Riccardo Fucile
DALLO STREAMING ALLA FARSA DEL VOTO ON LINE, DAL DIRETTORIO AL FALLIMENTO NEI COMUNI, DALLE PRIMARIE AL CANDIDATO ETERODIRETTO, FINO AL TRADIMENTO SULLO IUS SOLI
La legislatura è finita, il Presidente della Repubblica ha sciolto le Camere e inizierà di fatto la campagna elettorale.
Una legislatura complessa, molto articolata politicamente e che ci ha offerto una delle distorsioni politiche più intense della nostra storia repubblicana: il Movimento 5 stelle. Ecco una breve carrellata del loro contributo politico in questi 5 anni:
Viva lo streaming, a morte lo streaming
Il voto del 2013 regala al paese una frammentazione politica di non poco conto, arrivano i 5 stelle e c’è grande curiosità politica. Chiedono lo streaming, loro cavallo di battaglia in campagna elettorale. Bersani lo concede, ci vanno Crimi e la Lombardi, bastano 5 minuti per capire che in Parlamento sono arrivate persone non competenti in materia istituzionale, politica e relazionale. Dopo quelle figuracce, lo streaming viene messe nel cassetto e mai più citato, le riunioni del M5s diventano sempre più segrete e a porte chiuse, anzi, sbarrate.
La farsa del voto online
Altra perla portata in politica dal M5s. In un primo momento si vota su tutto. Dal Presidente della Repubblica al reato d’immigrazione clandestina. Bastano un paio di tornate elettorali per chiarire a tutti che di “democratico” non c’è praticamente nulla. Affluenza bassa, voto non certificato, risultati manipolabili rispetto al volere della Casaleggio Associati e via discorrendo. Morale: dopo 5 anni il M5s vota in Parlamento, vota di tutto senza consultare la base online, semmai ne esista realmente una.
Il direttorio
Dall’uno vale uno alla dittatura del direttorio, che decide su tutto, vita, morte e miracoli dei “portavoce”. Avremo solo un suo opaco ricordo: visti i limiti evidenti, questo organo ha avuto meno vita di Spelacchio.
La prova dei Comuni
Qui si evidenzia tutto il disastro di questo gruppo politico sgangherato e impreparato politicamente e istituzionalmente. Vincono Parma, Pizzarotti se ne va dal M5s prima di finire il mandato. Vincono Quarto, la sindaca viene indagata e nell’imbarazzo delle 3 scimmiette che provano a nascondere la loro incompetenza, la sindaca se ne va dal M5s. Per chi volesse un breve elenco dei loro disastri sui Comuni, lo trova qui.
Vogliamo parlare di Roma?
In un meno di due anni:
– preso come Capo Gabinetto una persona a 193 mila euro poi dichiarata impropria dall’Anac di Cantone;
– nominata la Muraro, difesa dalla Raggi, poi indagata e quindi dimessa dopo un casino durato ben tre mesi;
– preso Minenna come assessore al Bilancio, poi dimessosi per “mancanza di trasparenza della Giunta capitolina”;
– nominati 4 – ripeto quattro – capi di Gabinetto in un mese;
– nominato Marra, braccio destro della Raggi, poi arrestato per corruzione;
– promosso il fratello di Marra;
– mentito sulla nomina del fratello di Marra;
– indagata per abuso d’ufficio e falso;
– nominati dirigenti Anac e Ama, tutti dimessi in una settimana;
E potrei andare avanti ancora per un bel po’. Il dato politico è che la capitale non ha mai vissuto un tale degrado.
Dalle Unioni civili allo Ius Soli, traditori politici
E come dimenticare il balletto indegno fatto sulle Unioni Civili? Una serie d’inspiegabili argomentazioni per non votare quella legge solo per nascondere il loro vero volto, quello di stare solo al consenso politico, da qualsiasi parte venga, piuttosto che alle esigenze di crescita politica e civile del paese. Sullo Ius Soli? Qui hanno svelato il loro vero volto. Mentre sulle Unioni Civili hanno giocato una partita che ha chiarito la loro ipocrisia, qui si sono nascosti per paura di perdere elettorato. Ecco cosa sono i diritti civili per il M5s, un argomento che è solo uno strumento politico per consenso.
Due pesi e due misure
Gli indagati fuori dal Movimento, ma anche no, anzi dipende. Dipende se stai simpatico a Casaleggio o a Grillo. I casi esemplari sono Pizzarotti e Nogarin, indagini “simili”, il primo messo alla porta con messaggi e email anonime, il secondo ancora in carica. Ma la più bella di tutte è Roma, dove addirittura si arrivaa cambiare il non-statuto per tenerla ancora dentro. Ma il caso dei due pesi e due misure è molto più complesso, perchè se si volesse applicare alla lettera quanto detto in campagna elettorale nel 2013 nel Movimento ci restano solo Grillo e Casaleggio, e forse nemmeno. Sono quasi tutti più o meno indagati.
Le primarie online? Decide Grillo chi vince
Qui fanno da modello il caso Genova e quello siciliano. A Genova Cassimatis vince, a Grillo non sta bene, si annullano le primarie, il M5s perde Genova. In Sicilia il tribunale annulla il voto che elegge Cancelleri candidato presidente, Grillo se ne frega, va avanti, perde lo stesso anche in Sicilia, e ci perde anche un bel po’ di faccia.
Di Maio, il candidato eterodiretto
Al di là della sua elezione farsa, Di Maio è attualmente il candidato alla Presidenza del Consiglio (formalmente tale candidatura non esiste) ed è già in giro a raccontare il suo programma. Di Maio incarna la trasformazione dei 5 stelle in questi 5 anni, dal “Vaffa” al “vogliamo parlare con tutti” pur di andare al governo. Un candidato che nei fatti non decide praticamente nulla, che campa di scelte che – a detta sua – vengono dai cittadini ma che nei fatti è tutto prodotto dalla Casaleggio Associati, un’azienda che fattura grazie anche al M5s. Un candidato che, nella pratica, è solo espressione di un piccolo gruppo di potere privato
Si potrebbe continuare per un bel po’, in questi 5 anni il M5s ne ha combinate davvero tante politicamente, e lo spazio di un blog non può contenere la mole di contraddizioni, bugie, passi falsi e tradimenti del loro elettorato.
A me piace ricordare questi punti, che sono esemplari di un’ipocrisia che si appresta nuovamente a candidarsi alle politiche.
Non so come andrà a finire, ma il punto politico è ormai chiaro rispetto a 5 anni fa, abbiamo covato una forza antipolitica che dice tutto e il contrario di tutto pur di ottenere consenso, che è in mano a un privato e che dal punto di vista amministrativo è stata – per usare un eufemismo – fallimentare.
In breve: 5 anni inutili, per la politica, per le istituzioni e per i cittadini.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 2nd, 2018 Riccardo Fucile
BOCCIATO IL SISTEMA ROUSSEAU: “ILLECITI NELLA GESTIONE DI DATI TUTELATI DALLA PRIVACY”
Il Garante per la privacy mette nel mirino Rousseau, la piattaforma online del Movimento
5 stelle e ipotizza delle sanzioni. Il 21 dicembre 2017 l’Autorità ha infatti emesso un provvedimento indirizzato ai gestori del sito del M5S, di Beppe Grillo e dell’associazione Rousseau dopo gli episodi di violazione dei dati personali dei cittadini, avvenuti a partire da agosto da parte di hacker.
Il Garante prescrive nei confronti dei titolari dei siti web riferibili al Movimento 5 stelle “le misure necessarie relative ai profili concernenti la sicurezza informatica” oltre a una serie di altre misure, tra le quali “la previsione di una informativa specifica relativa alle funzionalità della piattaforma Rousseau”. Al titolare del blog di Beppe Grillo il Garante prescrive “quale misura necessaria, l’adozione di una specifica modalità di acquisizione del consenso al trattamento dei dati per finalità di promozione commerciale e pubblicitaria”.
Non solo, il Garante dichiara, “nei confronti dei titolari del trattamento di tutti i siti riconducibili al Movimento 5 Stelle, l’illiceità del trattamento dei dati personali degli utenti in ragione della comunicazione a soggetti terzi (Wind Tre S.p.A. e ITNET s.r.l.) dei dati medesimi in mancanza di idoneo presupposto”. Il Garante inoltre si riserva di verificare “la sussistenza dei presupposti per l’eventuale contestazione delle sanzioni amministrative”.
“Ferma restando la libertà di ogni associazione privata – quale appunto un movimento o partito politico – di strutturarsi con proprie regole (e a condizione che delle stesse sia fornita adeguata informazione a tutti gli associati) – sottolinea il Garante -, si evidenzia come, alla luce delle risultanze istruttorie, le misure di sicurezza connesse al controllo delle operazioni di voto destino alcune perplessità “.
“Con riferimento al database Rousseau – afferma il Garante per la privacy -, il documento trasmesso all’Autorità recante ‘Estratto delle tabelle principali di Rousseau’, ha permesso di valutare alcuni aspetti relativi alla riservatezza delle operazioni di voto elettronico svolte tramite la piattaforma; in particolare, l’esame delle predette tabelle ha mostrato come l’espressione del voto da parte degli iscritti, in occasione della scelta di candidati da includere nelle liste elettorali del Movimento o per orientare altre scelte di rilevanza politica, venga registrata in forma elettronica mantenendo uno stretto legame, per ciascun voto espresso, con i dati identificativi riferiti ai votanti”.
Il Garante spiega: “Nello schema del database risulta infatti che ciascun voto espresso sia effettivamente associato a un numero telefonico corrispondente (come del resto confermato dal dottor Casaleggio in sede ispettiva, cfr. verbale 5 ottobre 2017) al rispettivo iscritto-votante. Tale riferimento sarebbe mantenuto nel database per asserite esigenze di sicurezza, comportando, tuttavia, la concreta possibilità di associare, in ogni momento successivo alla votazione, oltre che durante le operazioni di voto, i voti espressi ai rispettivi votanti”.
“La possibilità di tracciare a ritroso il voto espresso dagli interessati – prosegue il Garante – non risulta neppure bilanciata, per esempio, da un robusto sistema di log degli accessi e delle operazioni svolte da persone dotate dei privilegi di amministratore della piattaforma che consenta, almeno, di condurre a posteriori azioni di auditing sulla liceità dei trattamenti attuati dal detentore dell’archivio elettronico”.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 2nd, 2018 Riccardo Fucile
SENATORE E DEPUTATA M5S ATTENDONO UN FIGLIO, MA LUI E’ NEL COMITATO DI GARANZIA E LEI NEL COLLEGIO DEI PROBIVIRI… CONTROLLORE E CONTROLLATA CHE SONO COMPAGNI DI VITA
Tutti quei malfidati che pensavano che Vito Crimi avesse passato la legislatura a dormire sono serviti.
Il fedelissimo di Grillo già presidente dei Senatori del MoVimento 5 Stelle ha annunciato in un post su Facebook che la sua compagna, la deputata Paola Carinelli, è incinta.
Matteo Pucciarelli su Repubblica segnala però che l’annuncio ha creato qualche frizione:
Spiega un parlamentare: «È allucinante il conflitto di interessi che abbiamo di fronte. Perchè Crimi è stato nominato componente del Comitato di garanzia, mentre Carinelli del Collegio dei probiviri».
Dopo il capo politico e il garante, sono gli organi principali del M5S disegnati dal nuovo statuto.
Ma, si legge nel documento, «i componenti del Collegio dei probiviri sono revocabili mediante consultazione in rete su proposta del Garante, previo parere conforme del Comitato di garanzia».
Insomma, ad oggi un controllore e un controllato – nominati dall’alto – sono compagni di vita, peraltro in attesa di un figlio.
E allora, felicità a parte e stante il conflitto di interesse, perchè rendere pubblica la relazione con annesso lieto evento in arrivo?
«Semplice: proprio per sortire l’effetto opposto. Una prova di limpidezza utile a fugare ogni dubbio…», scrivono in chat alcuni parlamentari.
Con annessa considerazione maligna: le candidature in Lombardia sono un affare in mano a Crimi. E Carinelli è una deputata uscente. In Lombardia.
Crimi, che aveva avuto un figlio dalla moglie Cristina e le foto del suo matrimonio erano finite su Internet, non ha fatto sapere nulla riguardo le sue intenzioni di ricandidarsi o meno nella prossima legislatura.
(da “NextQuotidiano“)
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Gennaio 2nd, 2018 Riccardo Fucile
“PARTITI E MOVIMENTI INCAPACI DI FORNIRE IDEE, SPERANZE E PROMESSE AI GIOVANI”
Uno degli appelli più importanti lanciati dal presidente della Repubblica, Sergio
Mattarella, nel discorso di fine anno è stato quello rivolto ai giovani, e in particolare ai nati nel 1999 che voteranno il 4 marzo per la prima volta.
Enrico Mentana, in un post su Facebook, punta il dito contro la politica, incapace di fornire risposte ai giovani di oggi.
“Ma perchè mai, presidente, un giovane di oggi dovrebbe andare a votare?”, scrive Mentana. “Il voto – aggiunge – è l’esito di una presa di coscienza, di una condivisione ideale, di una adesione di interessi. Quali idee, speranze, promesse, ricette sono state messe in campo per i giovani dai vari partiti e movimenti? Nessuna”.
Ecco il testo integrale :
“Mattarella nel discorso di fine anno ha chiamato al voto i nuovi maggiorenni, ricordando che i 18enni di cent’anni fa furono richiamati al fronte della Grande Guerra. Ma perchè mai, presidente, un giovane di oggi dovrebbe andare a votare? Il voto è l’esito di una presa di coscienza, di una condivisione ideale, di una adesione di interessi. Quali idee, speranze, promesse, ricette sono state messe in campo per i giovani dai vari partiti e movimenti? Nessuna. I giovani vedono una scuola fatta a misura del passato, dove l’inglese e il web non sono quasi mai il pane degli insegnanti, dove poco o niente li prepara al mondo del lavoro, un mondo che comunque tiene per loro le porte sbarrate, salvo ruoli gregari o precari, senza speranze di stabilizzazione, senza prospettive per costruire un futuro professionale e personale. Il voto è una conquista della democrazia consacrata dall’articolo 1 della costituzione, subito dopo le prime fondamentali parole: l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Ma per i giovani, nella realtà , quelle parole sono lettera morta”
(da agenzie)
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Gennaio 2nd, 2018 Riccardo Fucile
BEATRIX VON STORCH E’ LA VICE CAPOGRUPPO DI AFD AL PARLAMENTO.. UN PRECEDENTE QUANDO DISSE CHE BISOGNAVA SPARARE AI BAMBINI PROFUGHI… UN’ALTRA SOVRANISTA ANCORA A PIEDE LIBERO
La vice-capogruppo del partito di estrema destra tedesco Alternative fuer Deutschland (Afd) al Bundestag è stata denunciata per dei commenti razzisti postati su Twitter la notte di Capodanno.
Beatrix von Storch, il cui nonno era stato ministro delle Finanze sotto Adolf Hitler, ha risposto a un tweet della polizia del Nord Reno-Westfalia che formulava gli auguri per il nuovo anno in arabo scrivendo: “Che diavolo sta succedendo in questo Paese? Perchè un sito ufficiale di polizia posta un tweet in arabo? Credono che calmeranno in questo modo le orde di barbari musulmani stupratori di gruppo?”
Il profilo Twitter di von Storch è stato bloccato nella giornata di lunedì per diverse ore per “violazione delle norme sui contenuti di odio”, mentre la polizia ha reso noto di aver presentato denuncia penale ai pubblici ministeri per istigazione all’odio razziale.
La deputata ha poi pubblicato uno screen-shot del post su Facebook, ripetendo la sua dichiarazione con l’aggiunta: “Vediamo se si può dire su Facebook”. Anche in questo caso il commento è stato però censurato dal social.
“Questa è la fine dello Stato di diritto“, ha scritto in tedesco von Storch, criticando il fatto che Facebook abbia agito molto prima che l’indagine abbia portato una conclusione o a un verdetto.
A giugno l’esponente dell’estrema destra era già stata investita dalle polemiche per aver risposto “Sì” a una domanda su Facebook in cui si chiedeva se la polizia dovesse sparare ai migranti, inclusi bambini e donne che cercano di attraversare il confine tedesco, salvo poi dire che le era “scivolato di mano il mouse”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 2nd, 2018 Riccardo Fucile
DAL 1° GENNAIO SONO OBBLIGATORI, SONO RICICLABILI MA PER MOLTI RAPPRESENTANO UNA TASSA OCCULTA
“Gentile Cliente… ti comunichiamo che è in vigore la legge che impone che vengano
utilizzati sacchetti compostabili e biodegradabili idonei al contatto alimentare in sostituzione dei sacchetti di plastica”.
Questa la scritta che molti supermercati italiani recano all’ingresso dei loro punti vendita da oggi, giorno di riapertura della maggior parte degli store della grande distribuzione. Dal 1°gennaio è infatti scattato l’obbligo, per il cosiddetto “Decreto mezzogiorno”, di utilizzare ”bioshopper” come imballaggio primario per i prodotti di gastronomia, macelleria, pescheria, frutta verdura e panetteria.
Via dunque le buste ultraleggere in plastica (con spessore inferiore ai 15 micron) che utilizzavamo solitamente per pesare gli alimenti le quali saranno sostituite da quelle biodegradabili e compostabili, nel rispetto dello standard internazionale UNI EN 13432.
Una scelta, decisa nella lotta all’inquinamento ambientale e al problema delle microplastiche nei nostri mari, che peserà però sulle tasche degli italiani: ogni esercente venderà infatti le singole buste a un prezzo compreso fra gli 1 e i 5 centesimi.
Come stabilito per legge, inoltre, per questioni igieniche non si potrà portare il proprio sacchetto da casa e dunque, di fatto, sarà obbligatorio spendere qualche centesimo nel caso si voglia acquistare frutta, verdura o altri prodotti. In caso di inadempienze per i venditori – l’obbligo si estende dalla grande distribuzione ai piccoli negozi – sono previste multe salate che vanno da 2.500 a un massimo di 25mila euro.
La novità ha già diviso gli italiani fra coloro che sono favorevoli all’iniziativa e chi invece punta il dito contro la “tassa occulta” che dovremo pagare: ad ottobre un sondaggio Ispos Public Affairs indicava che 6 italiani su 10 si dicono favorevoli al nuovo sistema.
LA POLEMICA SUI COSTI
La legge, che vieta soluzioni diverse da quelle biodegradabili e compostabili con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 40%, è stata accolta con entusiasmo dalle associazioni ambientaliste mentre da quelle dei consumatori arrivano forti critiche.
Per Legambiente non è corretto parlare di caro-spesa: perchè “l’innovazione – dichiara Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente – ha un prezzo ed è giusto che i bioshopper siano a pagamento, purchè sia garantito un costo equo che si dovrebbe aggirare intorno ai 2/3 centesimi a busta”.
Il Codacons parla invece di stangata sulle famiglie. “Significa che ogni volta che si va a fare la spesa al supermercato occorrerà pagare dai 2 ai 10 centesimi di euro per ogni sacchetto, e sarà obbligatorio utilizzare un sacchetto per ogni genere alimentare, non potendo mischiare prodotti che vanno pesati e che hanno prezzi differenti. Tutto ciò comporterà un evidente aggravio di spesa a carico dei consumatori, con una stangata su base annua che varia dai 20 ai 50 euro a famiglia a seconda della frequenza degli acquisti nel corso dell’anno” dice il presidente Carlo Rienzi definendola una “tassa occulta”. Differente invece la stima di Adoc che prevede un aggravio fra i “18 e i 24 euro l’anno per circa 600 sacchetti consumati a famiglia”.
In questa operazione di contrasto al “marine litter” ogni supermercato della Gdo (la grande distribuzione) indicherà il proprio prezzo per busta.
Per ora sono in pochi ad essersi sbilanciati, fra cui la Coop che ha fissato a 2 centesimi a busta il suo prezzo. Altri, come Esselunga o Carrefour, stanno procedendo con la sostituzione dei sacchetti ma devono ancora indicare con precisione la propria cifra.
RIUTILIZZO DEI SACCHETTI
Fra gli aspetti da considerare nella “rivoluzione dei sacchetti” c’è quello del riutilizzo delle buste biodegradabili per la raccolta dell’umido. In alcuni Comuni dove è in vigore la differenziata le famiglie acquistano i sacchetti biodegradabili in confezione con costi che oscillano fra i 10 e i 15 centesimi e dunque, se si riutilizzassero quelli dei supermercati comprati a 1-2 centesimi, ci sarebbe un risparmio. Ambientalisti e attenti osservatori ricordano però che sulle nuove buste con cui trasporteremo ad esempio verdura o pane ci sarà incollato l’etichetta con il prezzo termico che non è compostabile e dunque andrà accuratamente tolta. Catene come Lidl pesano i prodotti direttamente in cassa aggirando il problema dell’etichetta con prezzo e battendo direttamente sullo scontrino.
SISTEMI ALTERNATIVI
Ogni novità , chiaramente, scatena l’inventiva dei più creativi per trovare soluzione gratuite. Se come detto non è possibile portarsi i propri sacchetti da casa c’è chi propone il ritorno delle vecchie buste a rete o dei sacchetti di carta, questione però ancora tutta da dibattere (per i distributori).
Fra le soluzioni già in atto, per esempio per frutta o ortaggi acquistati singolarmente, come un limone, un avocado e via dicendo, c’è quella di attaccare l’etichetta direttamente sul singolo prodotto (di solito sulla buccia che poi viene tolta). Altri esempi di possibili soluzioni future arrivano poi da Coop Svizzera che da novembre ha messo a disposizione buste riutilizzabili per frutta e verdura, chiamate Multi-Bag, in alternativa ai sacchetti.
IN EUROPA
In Europa, secondo gli ultimi dati diffusi dall’EPA, si stima un consumo annuo di 100 miliardi di sacchetti, molti dei quali finiscono in mare e sulle coste. Legambiente ricorda che la messa al bando degli shopper non compostabili è attiva in Italia, Francia e Marocco e altri Paesi hanno introdotto delle tasse fisse (Croazia, Malta, Israele e alcune zone della Spagna, della Grecia e della Turchia).
Diverse iniziative sono in atto in tutto il Vecchio continente per cercare di ridurre il numero delle buste.
Secondo un report della Marine Conservation Society in Gran Bretagna la lotta ai sacchetti non biodegradabili ha portato a un drastico calo della presenza di buste sulle coste, circa il 40% in meno.
(da “La Repubblica”)
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