Destra di Popolo.net

“UNTO DAL SIGNORE, CHI CONTRO DI ME E’ CONTRO CRISTO”

Febbraio 22nd, 2018 Riccardo Fucile

LE OMELIE DI RIPEPI CANDIDATO DELLA MELONI, A PROCESSO PER DIFFAMAZIONE

“Durante un’omelia avevo spiegato con termini cristiani, all’interno di una comunità  cristiana, una questione cristiana”.
Si difende così, senza spiegare nulla, il consigliere comunale di Reggio Calabria Massimo Ripepi, candidato di Fratelli d’Italia nel listino proporzionale al Senato.
Nei mesi scorsi ha ricevuto un decreto penale di condanna perchè, in qualità  di pastore della chiesa cristiana “Pace”, nel corso delle sue prediche e sui social network ha diffamato un medico.
La vittima è una donna che frequentava la sua chiesa e che da lui è stata definita “capo di Satana”, “strumento nelle mani del diavolo”, “killer di anime” e “donna mandata dal diavolo per assassinare le anime”.
Il medico è stato chiamata anche ‘jazebel’ cioè spirito demoniaco della seduzione. Sempre per la stessa vicenda, nel 2016 Ripepi aveva ricevuto un ammonimento orale per stalking dal questore.
Adesso ha presentato opposizione contro il decreto penale di condanna per cui ci sarà  un processo per diffamazione che lo vedrà  imputato e la donna parte offesa.
Se la giornalista del “Quotidiano del Sud” Caterina Tripodi, colpevole di aver pubblicato la notizia, è stata definita una “scellerata che non sa neanche quello che fa”, alla donna vittima della diffamazione nella primavera del 2016 è andata peggio. Dal pulpito e tra gli applausi dei suoi seguaci, infatti, Ripepi si definisce “unto da Cristo”.
Ha, inoltre, fatto più volte riferimento alla donna spiegando che “chi si mette contro di noi si mette contro Cristo. Questo è matematico”.
E ancora: “Voi vi dovete schierare o con me o contro di me. Se siete con me, sarete dalla mia parte. Sennò ve ne andate dalla chiesa”. “Non mi sono pentito di quelle frasi. — ha commentato ieri il candidato-pastore di Fratelli d’Italia Ripepi — Se conoscessi le scritture, sapresti che quello è un linguaggio cristiano”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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COME DI BATTISTA SPIEGA I SOLDI PUBBLICI SPESI AD AGOSTO

Febbraio 22nd, 2018 Riccardo Fucile

ORIGINALE INDICARE DI AVER SPESO 1000 EURO DI TRASPORTI AD AGOSTO, CON LA CAMERA CHIUSA

In un video di lunedì scorso tratto da L’Aria che tira e pubblicato sul suo profilo facebook dal deputato del Partito Democratico Michele Anzaldi, Alessandro Di Battista, già  deputato M5S, spiega perchè ha speso 1031 euro alla voce trasporti nel mese di agosto, quando non si faceva attività  parlamentare.
Di Battista dice prima che Panorama “è Berlusconi, e il suo direttore si è candidato con Forza Italia”: gli ultimi due libri pubblicati da Alessandro Di Battista sono usciti con la casa editrice Rizzoli, di proprietà  della famiglia Berlusconi, mentre Emilio Carelli, candidato M5S, è stato a lungo al Tg5, sempre di proprietà  di Berlusconi.
Poi Di Battista spiega i 1000 euro di trasporti: «Nell’agosto scorso ho fatto campagna elettorale usando le mie ferie per fare campagna elettorale con la mia compagna incinta in Sicilia».
Vale la pena di segnalare la risposta di Panorama, uscita in questo numero:
All’onorevole chiariamo che quei soldi sono destinati, come da regolamento parlamentare, alle «spese di soggiorno a Roma». E non ai tour elettorali. Per quelli è prevista, anche sul sito del Movimento, un’altra voce: «Attività  ed eventi sul territorio». Sotto la quale, sempre lo scorso agosto, Di Battista ha annotato altri 2.210 euro. Che noi, infatti, gli abbiamo gentilmente abbuonato.

(da “NextQuotidiano”)

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I RIMBORSI SPESE CI RIVELANO QUANTO CI COSTANO I BIG DEL M5S

Febbraio 22nd, 2018 Riccardo Fucile

UNA VITA ALLA GRANDE SENZA ACCANTONARE UN EURO DI RIMBORSO SPESE… TRA QUESTI DI MAIO, DI BATTISTA, TAVERNA, TONINELLI, FICO E GIARRUSSO

Non ci sono solo le “mele marce” a rovinare l’immagine morigerata e francescana dei parlamentari del MoVimento 5 Stelle.
Quando sono arrivati in Parlamento i pentastellati lo hanno fatto sull’onda delle proteste anti casta e della promessa di dimezzarsi lo stipendio.
Nel 2013 durante la campagna elettorale i candidati del M5S si erano impegnati (o meglio Beppe Grillo aveva preso l’impegno per loro) a prendere 2.500 euro al mese. È stato sufficiente arrivare a Roma per cambiare idea.
Nell’aprile del 2013, prima ancora che gli eletti percepissero il primo stipendio, Grillo fece una parziale retromarcia.
Sì al taglio dello stipendio (non un vero dimezzamento a conti fatti) fissando un tetto massimo di seimila euro al mese compresi i famosi rimborsi spese.
Ed è proprio sui rimborsi spese “rendicontati al centesimo” che molti parlamentari hanno iniziato a “tradire” lo spirito francescano del MoVimento.
Naturalmente non c’è nulla di male e nemmeno alcunchè di illecito. È solo una questione di immagine. L’immagine che traspare dai rendiconti pentastellati di questi cinque anni è molto diversa da come un elettore del M5S immaginava sarebbero potute andare le cose.
Certo, Alessandro Di Battista si è sforzato di spiegare a sua mamma che non è vero che lui prende diecimila euro al mese. Roberto Fico invece ha spiegato quanto è difficile vivere a Roma con appena tremila euro al mese mentre Alfonso Bonafede insisteva qualche mese fa sul fatto che lui prende solo duemilacinquecento euro al mese.
Sia Fico, che Di Battista che Bonafede però hanno sempre omesso (o dimenticato) di far presente che oltre allo stipendio da parlamentare possono usufruire su rimborsi forfettari mensili il cui importo si aggira tra i seimila e i diecimila euro al mese.
E sono proprio quei rimborsi che consentono ai parlamentari a 5 Stelle di vivere a Roma, dal momento che vengono utilizzati per tutto.
Non solo per pagare le spese dell’ufficio, gli stipendi dei collaboratori e l’affitto ma anche per pagare i pranzi, le cene, la spesa al supermercato o la benzina per l’auto.
I dati sono tutti pubblici e si possono consultare sul sito TiRendiconto.
Si scopre così che nel corso del 2017 il deputato Danilo Toninelli ha utilizzato sempre tutti i rimborsi forfettari.
Panorama ha calcolato che nel periodo 2013-2017 Toninelli ha incassato complessivamente 433.000 euro di rimborsi.
Nel 2014 ne ha restituiti poco più di 23mila mentre nel 2017 non ha restituito nemmeno un euro.
Questo non significa che Toninelli non abbia effettuato i versamenti periodici sul conto del MEF per il Fondo per il Microcredito.
Le “restituzioni” sono finanziate per la maggior parte con il taglio dello stipendio. Non c’è alcun obbligo invece a tagliare sui rimborsi quindi i pentastellati restituiscono i rimborsi solo quando effettivamente non riescono a spenderli.
Toninelli non è certo l’unico “Big” del M5S ad usare integralmente i rimborsi spese.
Il meno francescano è risultato essere il senatore Mario Michele Giarrusso, che nel corso della legislatura ha utilizzato 489mila euro di rimborsi spese e ne ha restituiti complessivamente 14mila (circa il 3% del totale).
Nel corso del 2017 anche Giarrusso non è mai riuscito a restituire la parte eccedente dei rimborsi, avendo speso complessivamente 109mila euro. Si dirà  che è difficile vivere a Roma, è costoso.
E Roberto Fico, che sa quanto è difficile, nel 2014 ha restituito 28.424 euro di rimborsi mentre l’anno scorso solo 6.142 euro (a fronte di 382mila incassati).
Tutto regolare e senza dubbio “lo fanno anche gli altri”, ma solo il M5S è andato in Parlamento dicendo che erano diversi.
Allora non si spiega come mai alcuni parlamentari romani, come Roberta Lombardi, Paola Taverna e Alessandro Di Battista spendano quanto (e più di coloro che vengono “da fuori”).
Ad esempio la Taverna è passata dall’aver risparmiato circa 32 mila euro di rimborsi nel 2014 ad appena 4.744 euro nel 2017 (su un totale di 422mila).
La candidata alla presidenza della Regione Lazio — che ogni mese deve pagare circa seimila euro di spese per lo staff — invece nel 2017 è riuscita a risparmiare appena 1.399 euro (e dal 2014 ne ha incassati 367mila).
Non va meglio per il mitico Dibba, che è passato dai 33mila euro di rimborsi restituiti nel 2014 a 3.454 euro risparmiati nel corso del 2017 (sostanzialmente 90% in meno). Non proprio quello che ci si aspetta da un parlamentare la cui immagine è quella di uno che mangia la pizza sugli scalini del palazzo.
Anche perchè Di Battista spende quasi mille euro al mese di vitto.
Anche il Capo Politico del MoVimento, Luigi Di Maio, quest’anno ha utilizzato tutti i rimborsi spese. Nel corso della legislatura ne ha ricevuti dalla Camera per un totale di 482mila euro.
Si dirà  che è per via delle spese per la campagna elettorale. Ma per il “rally” di Di Maio il M5S raccoglie le donazioni degli attivisti.

(da “NexztQuotidiano”)

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“NON HO RESTITUITO PARTE DELLO STIPENDIO PERCHE’ AVEVO UN DEBITO IMPORTANTE CON EQUITALIA”

Febbraio 22nd, 2018 Riccardo Fucile

LA GIUSTIFICAZIONE DEL CONSIGLIERE REGIONALE M5S SASSI SUI MANCATI RIMBORSI … MA SI TIENE LA POLTRONA

Sarebbe legata ad un “debito importante” con Equitalia la mancata restituzione di parte dello stipendio da parte del consigliere emiliano-romagnolo, Gianluca Sassi, tra gli espulsi M5s.
L’ha scritto lui stesso in un lungo post sul proprio sito, ribadendo di essere pronto a “affrontare le conseguenze delle mie scelte” senza però accennare a possibili dimissioni.
Sassi ha spiegato che “il problema” è nato quando il suo stipendio, “almeno quello sulla carta, è aumentato per via della mia elezione in Regione. Equitalia – ha scritto il consigliere – è intervenuta prima bloccando tutto e poi, dopo vari chiarimenti e lo sblocco dell’erogazione, esigendo però che ne venisse pignorata una parte”.
Dopo un periodo in cui “con non poche difficoltà ” ha cercato di far quadrare i conti “le cose si sono complicate sempre di più” e con “una decisione dolorosa” ha deciso di non restituire quanto dichiarato.
“Oggi – ha detto Sassi – va da sè che si è trattata di una scelta sbagliata”.

(da “Huffingtonpost”)

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“QUI IN SLOVACCHIA LA WHIRPOOL ASSUME E CI HA ALZATO GLI STIPENDI”

Febbraio 22nd, 2018 Riccardo Fucile

VIAGGIO TRA GLI OPERAI DI SPISSKA: “QUI LE IMPRESE LAVORANO BENE”… “L’EUROPA SI STA LIVELLANDO VERSO IL BASSO”

Esce dalla fabbrica alla fine del secondo turno, alle sei e mezza di sera, quando il termometro è sprofondato sotto lo zero. Spazza via il ghiaccio dal lunotto della Skoda, mette in moto, fa per partire, senza rispondere alle domande. Esattamente come tutti gli altri colleghi. Poi ci ripensa.
«Ho fatto l’Erasmus a Parma, parlo un po’ di italiano. Leggo su internet quello che sta succedendo a Riva di Chieri, capisco la rabbia dei dipendenti. Però fra noi e loro non ci sono guerre. Nessuno può essere contento di portare via il lavoro agli altri».
Eppure andrà  così, e lo si sa da settimane. In Italia Embraco chiude e licenzia, qui, a Spisska Nova Ves, nell’est della Slovacchia, continua ad assumere: meccanici, responsabili della manutenzione degli impianti, esperti di informatica, consulenti legali. «Stanno arrivando tutti»
La politica italiana la chiama concorrenza sleale e batte i pugni sui tavoli d’Europa. Per Zora, entrata nella multinazionale sette anni fa e impiegata nel dipartimento di sicurezza, è semplicemente un’ovvietà . «Qui le grandi imprese possono lavorare bene. Vent’anni fa c’era soltanto Embraco, adesso stanno arrivando tutti – dice-. Si parla di Land Rover, di grandi gruppi dell’automobile. Mica si spostano a Spisska soltanto per risparmiare». Scusi Zora, ma lei quanto guadagna? «Non siamo tenuti a dirlo. Ma le tasse sono alte anche da noi, praticamente il 50 per cento della busta paga. E la vita costa: per affittare un monolocale a Spisska, cinque ore di macchina dalla capitale, servono almeno trecento euro al mese».
«Come una caserma»  
Nel piazzale di Embraco Slovacchia, 2.300 addetti che si danno il cambio rapidi sulla neve fradicia, parlare di stipendi è vietato. «Sono sempre stati un po’ militarizzati, come una caserma. Anche se qualcosa sta cambiando», dice Michelangelo Romano, il primo operaio che, da Chieri, è stato mandato qui per installare la produzione. «Era l’inizio degli Anni Duemila, da noi c’era cassa. Ci hanno spediti a Spisska, messi a dormire nella foresteria. E abbiamo costruito tutto. Ma era un altro mondo».
Ieri è tornato in Slovacchia per l’ultima volta, domattina rientra in Piemonte. Ha parlato con il sindacato, gli hanno raccontato che, nelle settimane scorse, ci sono stati incontri e manifestazioni anche qui.
Che qualche dipendente ha sfilato tra le strade strette e i palazzoni, e su viale Stefanikovo, sotto il municipio con la bandiera slovacca e quella europea e di fianco all’enorme supermaket con l’insegna della Coca Cola che illumina le notti.
E infatti non può odiarli, questi colleghi che hanno strappato l’aumento e i bonus mentre lui e gli altri aprivano le lettere di licenziamento: «La verità  è che l’Europa si sta livellando verso il basso. Tutta. Ci hanno ridotti così: mors tua, vita mea».
L’aumento a 900 euro  
In realtà  a Spisska, nonostante un costo del lavoro tra i più bassi d’Europa, circa un terzo del nostro – i colletti blu stanno facendo passi avanti.
Dicono i giornali locali che l’accordo per il rinnovo del contratto firmato con Whirlpool lo scorso 22 gennaio porterà  i salari sopra quota 900 euro al mese, innalzandoli dell’11%, e innescherà  un meccanismo di bonus annuali: fino a 700 euro nel 2018, fino a 800 euro nel 2019.
Anche se certe cifre, nel grande parcheggio di fronte allo stabilimento verde e grigio, non le conferma nessuno. «Novecento euro? Meno, meno», taglia corto un ragazzo prima di sparire dietro i cancelli. A Riva di Chieri, prima della crisi e dei contratti di solidarietà , chi faceva i tre turni arrivava a 1700 euro al mese. Comunque un abisso. Ecco perchè il richiamo dell’Est, che fa di tutto per rendersi accogliente, resta così forte.
La Slovacchia corre  
E la Slovacchia è bravissima a raccoglierne i benefici: l’economia cresce del 5,4%, la disoccupazione è di appena il 5,9%, il Paese – entrato nell’Ue nel 2004- ha la più alta produzione di automobili procapite del continente.
E presto arriverà  qui anche Honeywell, che realizza compressori per motori diesel ad Atessa, in provincia di Chieti, occupando 400 dipendenti.
Mentre prima c’erano state Psa, Gaz de France, Siemens, Alluminium Cortizo, Magneti Marelli, Came, Zanini.
E Whirlpool, chiaro, anche se lo spostamento dell’attività  di Riva nel polo slovacco non è mai stato davvero confermato. Il documento depositato alla Sec americana, lo stesso che stanzia 50 milioni di euro per accompagnare verso l’uscita gli addetti italiani, non fa cenno a nuove delocalizzazioni europee e in questo parcheggio sporco di neve, quell’annuncio, non l’ha sentito nessuno.
Neppure Zora, che prima di partire sorride: «No, qui non dicono nulla».

(da “La Stampa”)

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NONNA VICENTINA A 93 ANNI PARTE VOLONTARIA PER IL KENYA: “SERVE UN PIZZICO DI INCOSCIENZA PER VIVERE”

Febbraio 22nd, 2018 Riccardo Fucile

UN VIAGGIO DI TRE SETTIMANE PER AIUTARE I BIMBI DI UN ORFANOTROFIO … NON TUTTI PENSANO SOLO A CONTARE I SOLDI NASCOSTI NEL MATERASSO

Irma è una giovanotta di 93 anni. Una donna che non si è mai fermata davanti a niente e che crede che per vivere davvero, a qualsiasi età , ci voglia un pizzico di incoscienza e tanto altruismo. E ora diventa una star dei social. Tutto merito di un post della nipote Elisa.
Un post e due foto, con la nonna in aeroporto: “Questa è la mia nonna Irma — scrive Elisa   –   una giovanotta di 93 anni, che stanotte è partita per il Kenya. Non in un villaggio turistico, servita e riverita, ma per andare in un villaggio di bambini, in un orfanotrofio. Ve la mostro perchè credo che tutti noi dovremmo conservare sempre un pizzico di incoscienza per vivere e non per sopravvivere. Guardatela… ma chi la ferma? Io la amo”.
“Non immaginavo che sarebbe successo tutto questo – dice al telefono a Repubblica   Elisa – Mia mamma mi ha inviato le foto dall’aeroporto e vedendo mia nonna, con la sua valigia rossa e il bastone mi sono sentita così orgogliosa che ho scritto quel post”.
Nonna Irma vive a Noventana Vicentina. E’ rimasta vedova a 26 anni, con tre figli e poi ha perso una figlia.
“Mia nonna ha sempre amato la vita e non si è mai fermata davanti a niente. Ha dedicato la sua esistenza alla famiglia e ad aiutare chi le stava vicino – racconta Elisa – Per me è sempre stata un esempio”.
Ed è vero che nonna Irma è un esempio, perchè Elisa Coltro sono due estati che, invece di andare in vacanza, usa le sue ferie per aiutare i rifugiati siriani nei campi greci: “Sono stata a Salonicco e ad Atene, nel 2016 e nel 2017, spero di poterci tornare anche quest’aqnno”.
“Dopo aver pubblicato il post non sono riuscita a sentire mia nonna, vorrei darvi i nomi precisi perchè è importante” dice Elisa, che ricostruisce l’avventura della nonna.
“C’è una coppia vicentina, sono marito e moglie- racconta Elisa -, da anni vanno in Kenya un mese all’anno. Lei si occupa dei bambini e lui fa piccoli lavoretti di manutenzione in un orfanotrofio fondato da un missionario vicentino, giovane come mia nonna. Da quando mia nonna li ha conosciuti li aiuta come può, ma quest’anno ha deciso che non bastavano delle offerte, voleva rendersi utile e ha detto a mia madre: ‘Andiamo in Kenya. Anzi, io vado, se mi accompagni sono contenta’. Alla fine sono partite tutte e due: la figlia ha accompagnato la madre. Sono incredibili. E rimarranno lì tre settimane”.
Elisa fa una pausa. “O forse mia nonna alla fine decide di rimanere in Kenya e non torna più, è tutto possibile, conoscendo il suo gran cuore e la sua energia”.

(da agenzie)

argomento: radici e valori | Commenta »

MASSIMO DE ROSA (M5S) E I SOLDI ALL’EX DIPENDENTE PER TACERE

Febbraio 22nd, 2018 Riccardo Fucile

DOPO AVER LICENZIATO UN COLLABORATORE, L’EX DEPUTATO GLI VERSA 12.000 EURO IN CAMBIO DEL SILENZIO, EVVIVA LA TRASPARENZA

Thomas Mackinson sul Fatto Quotidiano racconta una storia di risarcimento nei confronti di un collaboratore licenziato: si tratta di quello dell’attuale candidato alla Regione Lombardia ed ex deputato Massimo De Rosa del MoVimento 5 Stelle.
De Rosa è il grillino che apostrofò le colleghe PD come “brave a far pompini” e il suo assistente si chiamava Enrico Vulpiani, risarcito con 12mila euro ma con clausola di riservatezza, forse in omaggio alla #trasparenzaquannocepare di cui sono alfieri quelli della Giunta Raggi.
Tra De Rosa e il collaboratore sussisteva il “classico”contratto a progetto che — a detta del lavoratore — celava un comune rapporto di lavoro subordinato, con tanto di richiami disciplinari via email.
Finchè il 31 dicembre 2015 il parlamentare licenzia in tronco l’assistente, che promuove un giudizio davanti al Tribunale del lavoro dal quale si era appreso che l’onorevole aveva approfittato dell ‘odiatissimo (e renzianissimo) JobsAct e della conseguente abrogazione del contratto a progetto non già  per convertirlo in un rapporto ordinario subordinato, ma per interromperlo unilateralmente, incarnando così perfettamente la grande accusa che i pentastellati rivolgevano alla riforma: non avrebbe creato posti di lavoro ma fatto cessare quelli in essere.
De Rosa resta della stessa linea: “Quando cambiò la legge avevo due assistenti e non avrei potuto convertire entrambi i rapporti in modo stabile, l’ho fatto con uno facendogli anche un contratto a tempo determinato con tutte le tutele senza usufruire degli incentivi del Jobs Act che stavamo contestando. L’altro si è risentito, ma la cosa ora è risolta di comune accordo. In ogni caso non è vero, come hanno scritto i giornali, che gli avevo fatto firmare dimissioni in bianco. E in generale ritengo chele assunzioni dei collaboratori vadano gestite direttamente dalla Camera e non dai singoli deputati”.
Alla prima udienza, anche su sollecitazione del giudice, le parti sono state invitate a trovare una conciliazione giudiziale racchiusa in un accordo che il Fatto è in grado di svelare con cifre e clausole.
Che di fatto ribalta i termini della questione: il datore che voleva essere risarcito dal lavoratore gli verserà  9 mila euro a fronte della pacifica conclusione della contesa, più 3.600 euro come contributo per spese di lite.
La richiesta era di oltre 21 mila euro a titolo di differenze retributive, contributive, accantonamenti per il tfr etc. Le parti convergeranno intorno a metà  della somma.
Ma non c’è solo questo. Al punto 6 l’accordo contiene una clausola del silenzio che spiega perchè non se ne era saputo più nulla: “Le Parti — si legge nel documento — si impegnano reciprocamente a mantenere strettamente riservato il presente accordo e non diffonderne nè il testo nè il contenuto a terzi”.

(da “NextQuotidiano”)

argomento: Giustizia | Commenta »

ADDIO A CAPITAN, IL CANE CHE HA VEGLIATO PER OLTRE 10 ANNI LA TOMBA DEL SUO PADRONE

Febbraio 22nd, 2018 Riccardo Fucile

E’ MORTO NELLO STESSO CIMITERO IN CUI SONO CUSTODITE LE SPOGLIE DEL SUO PADRONE

Una storia di amore e fedeltà  di quelle che toccano le corde più profonde del cuore, anche di chi non ha mai provato l’affetto profondo che può legare un essere umano al suo cane.
È la storia di Capità n, un incrocio di pastore tedesco che, per oltre 10 anni è rimasto a vegliare accanto alla tomba del suo padrone, a Villa Carlos Paz, nella provincia di Còrdoba. E che proprio lì, dove sono custodite le spoglie del suo amico umano, ha fatto il suo ultimo respiro.
La straordinaria storia di questo cane aveva fatto il giro dei media locali, e non solo, negli scorsi anni tanto da guadagnarsi la fama di ‘Hachiko dell’Argentina’, con un chiaro riferimento all’Akita bianco che ha commosso tutto il Giappone, travalicando i confini nazionali, anche grazie al film (Hachiko – Il tuo migliore amico) diretto da Lasse Hallstrà¶m, con Richard Gere.
Capità n fu trovato nel 2005 da Miguel Guzmà¡n che decise di regalarlo al figlio Damià¡n prima di morire prematuramente a marzo dell’anno seguente.
Pochi giorni dopo la sua morte, secondo i racconti dei familiari, il cane non tornò più a casa.
Moglie e figlio di Guzmà¡n lo diedero per perso, forse morto, forse adottato da qualche altra famiglia.
Fino a quando, l’anno seguente, durante una visita al cimitero lo trovarono proprio lì, sulla tomba del suo amato amico umano.
“Damià n iniziò a urlare e il cane si avvicinò a noi, abbaiando come se stesse piangendo”, ha raccontato la vedova, sottolineando come sia stato inutile ogni tentativo di riportare Capità n a casa.
Ogni volta il cane tornava là , dove sono custoditi i resti del suo padrone, e dove è rimasto a vegliarlo, giorno dopo giorno per oltre dieci anni.
Secondo i frequentatori abituali, il cane era solito passeggiare per il cimitero durante il giorno per poi raggiungere la tomba del suo amato la sera.
“Dormiva sempre sulla tomba del suo padrone”, racconta una delle venditrici di fiori del cimitero, “anche se negli ultimi tempi non riusciva a salirci, aveva un equilibrio incerto, ed era molto debole”.
“Gli mancava soltanto la parola, era dolcissimo”, ricorda la donna che lo ha curato e sfamato dal suo arrivo al cimitero fino al suo ultimo giorno di vita.
La storia di Capità n continua così a emozionare la città  argentina dove si spera di riuscire a seppellirlo proprio lì, dove ha passato i suoi ultimi 11 anni, accanto all’uomo a cui è restato fedele, giorno dopo giorno, oltre la morte.
Certo, servirà  un’autorizzazione speciale delle autorità , ma sarebbe il degno modo di salutare un cane che ha dimostrato di essere in grado di provare un amore così profondo.

(da agenzie)

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GENOVA, TRE MILITANTI DI CASAPOUND INDAGATI PER TENTATO OMICIDIO, MA IL NUMERO E’ DESTINATO A SALIRE

Febbraio 22nd, 2018 Riccardo Fucile

LA SERA DEL 22 GENNAIO AGGREDIRONO AVVERSARI POLITICI   FERENDO CON UNA COLTELLATA UN GIOVANE… USCIRONO DALLA SEDE, ORA I VERTICI RISCHIANO IL REATO DI FAVOREGGIAMENTO

Sono al momento tre gli indagati per tentato omicidio in concorso per l’accoltellamento di un antifascista avvenuto la sera del 12 gennaio.
La vittima, D.M, 36 anni, stava attaccando dei manifesti insieme a un gruppo di attivisti a un centinaio di metri dalla sede di del partito di estrema destra in via Montevideo.
I tre indagati sono militanti di Casapound ma il loro numero sembra destinato a salire: la Digos sta procedendo in questi giorni a numerosi interrogatori e non è escluso che altri militanti, quasi tutti giovanissimi, siano indagati per lo stesso reato o che per loro si configuri l’ipotesi di favoreggiamento.
Il gruppo quella sera intorno alle 23 era uscito compatto dalla sede di Casapound brandendo bottiglie, cinture e almeno un coltello per aggredire gli antifascisti che si trovavano in piazza Tommaseo: un attacco fulmineo, durato una decina di minuti.
Per metà  marzo intanto sono attesi i risultati della perizia medico legale che il sostituto procuratore Marco Zocco ha affidato al professor Luca Tajana dell’università  di Pavia che dovrà  analizzare la dinamica dell’aggressione e la tipologia della ferita. A seconda dell’esito della perizia non è escluso che il reato possa essere riformulato da tentato omicidio a lesioni.
L’antifascista è stato colpito da un fendente, che ha squarciato il giubbotto e un pesante maglione, nella parte bassa della schiena ma era riuscito a fuggire e solo quando aveva raggiunto gli amici in un luogo sicuro si era accorto del sangue e della ferita.
Sentito come parte offesa il trentaseienne non era riuscito a riconoscere l’aggressore, ma gli accertamenti tecnici della sezione investigativa della Digos hanno consentito di arrivare a una svolta nelle indagini a partire dal gruppo che ha preso parte all’aggressione.

(da agenzie)

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