Febbraio 25th, 2018 Riccardo Fucile
“GRAZIE PER I TUOI SIMPATIZZANTI CHE SUL BUS INSULTANO MIO FIGLIO DI 12 ANNI CHIAMANDOLO NEGRO DI MERDA”… BOOM DI CONDIVISIONI… GRAZIE GABRIELLA, GLI INFAMI NON PASSERANNO
Gabriella Nobile, mamma adottiva di due bambini africani, ha scritto una lettera aperta a Matteo
Salvini pubblicata sul suo profilo Facebook nella quale racconta che i suoi “simpatizzanti” insultano uno dei due sull’autobus, mentre la seconda ha paura di essere “rimandata in Africa”:
Caro Salvini
Sono una mamma adottiva di due splendidi bambini africani. Volevo ringraziarla perchè sta regalando ai miei figli dei momenti di terrore davvero fuori dal comune. Mia figlia di 7 anni prima di andare a letto mi chiede : “ma se vince quello che parla male di noi mi rimandano in Africa?“. E piange disperata.
Mio figlio invece , prende l’autobus per andare agli allenamenti di calcio quasi tutti i giorni e da circa un paio di mesi mi racconta di insulti che è costretto a subire da suoi gentili simpatizzanti. Dire ad un bambino di 12 anni, che oltretutto veste la divisa dell’Inter : sporco n…. , n….. di merda , torna a casa tua , venite qui rubare e ammazzare le nostre donne …….credo che sia la palese dimostrazione di come questo paese, grazie a persone come lei , stia lentamente scivolando nel baratro.
Nei suoi ipocriti slogan “ prima gli italiani “ c’è tutta l’ignoranza di colui che non ha ancora capito che l’italiano e’ colui che ama l’Italia non che ci e’ nato !
Come io sono mamma perchè amo i miei figli e non perchè li ho partoriti.
Faccia la guerra a coloro che ci hanno ridotto al collasso. Benpensanti italici che hanno impoverito di cultura e di valori questo bellissimo paese facendo guerre contro i poveri , gli immigrati , i gay , i rifugiati ….. tutto per una sola bieca motivazione. Distogliere l’attenzione dalle malefatte ( e non uso termini peggiori perchè sono una Signora) che imperterriti continuate a perpetuare a chi in questo paese ci crede davvero.
Le auguro di trovarsi un giorno in vacanza in Africa , di perdersi ….. e di essere costretto a dover chiedere aiuto ad un nero!!
Lo status a quanto pare è stato cancellato da Facebook perchè “attacca qualcuno per razza, etnia e nazionalità ”, probabilmente perchè la donna ha utilizzato la parola “negro” nel post. La donna ha allora ripubblicato il post cancellando la parola “negro”: per adesso il post resiste.
(da agenzie)
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Febbraio 25th, 2018 Riccardo Fucile
UNA DISAMINA OBIETTIVA MA IMPIETOSA SU UNA RIVOLUZIONE TRADITA
Riccardo Nuti, 36 anni, deputato noto per appartenere all’ala dura e pura del M5S è uno dei tre parlamentari siciliani coinvolti nell’indagine di Palermo sulle firme ricopiate alle elezioni comunali del 2012. Si definisce ‘parte lesa’ nella vicenda giudiziaria e ora si trova nella situazione ibrida di appartenere ancora al Movimento pur essendone stato radiato nei fatti: un limbo politico tutto nuovo generato dalle particolari regole interne del M5S, in cui Nuti è in compagnia dell’altra portavoce Giulia Di Vita.
Eppure Nuti non è un uomo di secondo piano. A lui si deve la battaglia per la richiesta di scioglimento del Comune di Palermo che portò a un dossier del Mef in cui si attestavano 46 gravi violazioni di legge, ma anche le interrogazioni che permisero di scoprire i premi di risultato a pioggia a Palazzo Chigi.
Dalla sua postazione, il deputato osserva la metamorfosi del Movimento fondato da Beppe Grillo e fissa responsabilità precise e una data d’inizio del fenomeno che porterà poi al caso ‘rimborsopoli’: febbraio 2016.
Lei è stato sospeso dai probiviri nel novembre 2016. Qual è tecnicamente la sua posizione adesso rispetto al M5S?
Non sono più sospeso: sono a tutti gli effetti un parlamentare eletto con il M5s, la seconda sospensione (avvenuta a giugno 2017) è decaduta in quanto non c’era alcun valido motivo, e da allora (dicembre 2017) ho fatto richiesta di rientrare nel gruppo parlamentare, da 3 mesi attendo una risposta che non arriverà mai. Non mi sono iscritto alla nuova associazione creata a fine 2017, sono rimasto iscritto a quella originaria del 2009.
Prima i massoni, poi la vicenda Caiata (della cui candidatura Di Maio si era detto orgoglioso), sono l’emblema di un sistema di controllo interno che non funziona o sono casi che possono capitare?
Sono la dimostrazione che tutte le promesse di ‘filtro qualità ‘ e ‘migliore gruppo possibile in parlamento’ erano slogan inutili e rivelatisi dannosi. Serve più modestia. Chi ha scelto questi nomi si deve assumere la responsabilità di queste scelte dicendo pubblicamente ‘ho sbagliato, non sono stato capace’. Questo è il risultato di cercare di mettere dentro persone che in precedenza il Movimento aveva attaccato (lo stesso Caiata era stato segnalato dagli attivisti di Siena) o che non hanno fatto un percorso di attivismo, di impegno costante e serio nel M5s, che si somma agli arrivisti avvicinatisi dopo il boom elettorale degli ultimi anni. Pensare che basta dire ‘sposo gli ideali del M5s’ o ‘sposo il programma del M5s’ per essere affidabili è, nel migliore dei casi, ingenuo.
Rimborsopoli sembra un caso ‘a orologeria’, scoppiato poco prima delle elezioni. Ne ha avuto sentore prima?
No, ma è frutto della distruzione volontaria della filosofia originaria del M5S. Basti pensare a quando tutto il direttorio, e in particolare Di Maio, a febbraio 2016 propose di non restituire più i soldi a un fondo statale nazionale (quindi controllabile) ma per iniziative locali a enti pubblici che ovviamente rischiano di essere meno controllabili e trasparenti e che, soprattutto, tradiscono la filosofia che quei soldi non avremmo neanche dovuti riceverli e, di conseguenza, non avremmo dovuto gestirli.
Pensa ci siano delle opacità interne al Movimento? Se sì, quali?
Sì, ma sono evidenti oramai. Non puoi parlare di difesa dell’ambiente e poi parlare di abusivismo di necessità . Non puoi parlare di voltagabbana come se fossero la peste, se poi candidi quelli che provengono da altri partiti. Non puoi parlare di lotta agli sprechi e poi dire che i 22.000 forestali in Sicilia non sono troppi, quando tutto il mondo ci deride per questi sprechi. Non puoi dire che Marra è uno delle decine di migliaia di dipendenti del comune di Roma quando era il braccio destro del sindaco. Non cerco la perfezione, ma neanche si possono accettare le balle clamorose. Per le regole interne il ragionamento è simile, non valgono per tutti allo stesso modo ed è tutto a discrezione del capo politico e al caos mediatico del momento.
Che parere si è fatto su Luigi Di Maio?
Riprendendo una parola usata da Grillo: ‘è di carriera’. Io mi offenderei se venissi definito così. Ma non so se il termine carrierista riesce a dare una descrizione esaustiva. È il classico e vecchio politico, non è l’età che fa un politico giovane e innovativo.
Secondo lei, dove il M5S è uguale agli altri partiti e in cosa si distingue?
È uguale nell’inseguire la notizia del momento, nell’essere schiavo del teatrino mediatico, nel cercare i voti anche a costo di dire l’opposto di quanto affermato in precedenza. Si distingue in alcune persone, poche, che nonostante tutto si impegnano veramente anche senza riflettori, che presentano interrogazioni serie e non slogan. Vi è poi un gran numero di persone, cittadini attivi, che meritano tantissimi grazie e molto rispetto. Cittadini che ancora credono nel movimento e trasmettono quelle idee nate molti anni fa, peccato che l’attuale movimento non è quello, è divenuto, non solo per statuto, un partito che nulla ha, tranne il nome, di quello costruito in questi decenni.
(da “Lapresse”)
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Febbraio 25th, 2018 Riccardo Fucile
IN ALTRI PAESI SAREBBE STATO CACCIATO A CALCI IN CULO
Si vede il segretario del Pd Matteo Renzi che giace dentro una bara con gli occhi chiusi e la bocca
spalancata. Sopra la scritta “4 Marzo 2018”, la data delle elezioni politiche di domenica prossima. E’ la foto shock che il sindaco di centrodestra Antonfrancesco Vivarelli Colonna ha postato su Instagram, nella sezione “Storie”. Una foto che sta girando in rete.
Sempre su Instagram, nello stesso profilo di Vivarelli Colonna si vede anche la foto di due uomini di colore seduti davanti ad una scacchiera: “Il bianco muove per primo: sono 3 giorni che sono così” è quello che si legge sotto.
Una settimana fa, invece, lo stesso sindaco aveva applaudito il consigliere comunale grossetano di CasaPound che davanti ai banchi dell’opposizione del Pd aveva stracciato la mozione antifascista.
Mentre tre giorni fa, a fianco del leader della Lega Matteo Salvini a Livorno, Vivarelli Colonna aveva detto che l’Italia era come una “pornostar messa a pecorina dall’Europa”. Parole sulle quali aveva ironizzato lo stesso Renzi, durante la sua tappa grossetana di sabato: “Si vede che ha studiato a Oxford”.
(da agenzie)
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Febbraio 25th, 2018 Riccardo Fucile
FIORE ERA LATITANTE A LONDRA, SAREBBE TORNATO ARRICCHITO QUANDO LA CONDANNA PER BANDA ARMATA FINI’ IN PRESCRIZIONE
Definisce la magistratura di Palermo “infiltrata“, addirittura “deviata“, “oggi come quaranta anni fa“. Il motivo? La scarcerazione dei Giovanni Codraro e Carlo Mancuso, i due attivisti dei centri sociali accusati del pestaggio del segretario provinciale di Forza Nuova, Massimiliano Ursino.
È un attacco frontale alle toghe siciliane quello di Roberto Fiore, il leader della formazione di estrema destra arrivato sabato a Palermo per un comizio elettorale che ha surriscaldato il clima in città .
Le accuse lanciate contro i giudici, però, non sembrano legate solo dalla decisione presa dal gip che ha liberato i presunti aggressori di Ursino.
Il leader di Forza Nuova, infatti, definendo la magistratura di Palermo come “deviata” fa un riferimento esplicito. Parla di “quarant’anni fa“. E lo fa nella stessa giornata in cui riemergono dal passato i rapporti che lo legano proprio alla procura di Palermo negli anni ’80.
Le domande di Falcone e la strage di Bologna
Il giudice Giovanni Falcone, come ha raccontato il giornalista Salvo Palazzolo su Repubblica, voleva interrogare Fiore. Il motivo? L’omicidio di Piersanti Mattarella, il governatore della Regione Siciliana e fratello dell’attuale capo dello Stato, ucciso da Cosa nostra il 6 gennaio del 1980, 38 anni fa esatti.
“È a conoscenza di qualche fatto o circostanza che potrebbe far luce sull’uccisione di Mattarella?”, è la domanda che il giudice ammazzato nella strage di Capaci voleva rivolgere a Fiore, all’epoca latitante a Londra. L’uomo che oggi definisce la magistratura deviata, infatti, è condannato in via definitiva a cinque anni e mezzo di reclusione per banda armata e associazione sovversiva.
Fiore, però, non ha mai trascorso neanche mezza giornata in carcere.
Nel 1980, infatti, scappa all’estero proprio alla vigilia di una retata che decapita Terza Posizione, il gruppo armato di estrema destra da lui fondato negli anni Settanta e di cui facevano parte una serie di terroristi neri poi confluiti nei Nuclei armati rivoluzionari. Sono nomi noti degli anni di piombo come Giuseppe Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Fioravanti e Mambro sono stati condannati anche per l’omicidio di Francesco Mangiameli, dirigente siciliano di Terza Posizione, ucciso il 9 settembre del 1980.
Si è spesso ipotizzato come Mangiameli fosse stato ammazzato perchè sapeva la verità sulla strage della stazione bolognese. La corte di Cassazione, nella sentenza definitiva sull’eccidio del 2 agosto del 1980, ha scritto che Fiore e altri dirigenti di Terza Posizione si sono dati alla latitanza proprio per evitare di fare la stessa fine di Mangiameli.
L’omicidio Mattarella e lo scambio neri — Cosa nostra
Giovanni Falcone, invece, la pensava in modo diverso. Il giudice palermitano collegava l’omicidio Mangiameli a quello di Mattarella. Per Falcone, infatti, poteva esserci stato uno “scambio di favori” tra i terroristi neri e Cosa nostra. I Nar di Fioravanti, processato e assolto per il delitto Mattarella, avrebbero ucciso il fratello del presidente della Repubblica. I boss di Cosa nostra, invece, avrebbero aiutato il nero Pierluigi Concutelli a evadere dal carcere Ucciardone.
Siamo alla fine del 1979 e proprio di quell’evasione si sarebbe interessato Fiore, insieme allo stesso Mangiameli, poi ucciso da Mambro e Fioravanti. È per questo che muore Mangiameli? Perchè sapeva del patto tra neri e Cosa nostra sullo sfondo dell’omidicio Mattarella? O perchè era a conoscenza dei segreti della strage di Bologna?
Ed è questo il motivo che spinge Fiore a fuggire all’estero? Domande senza risposta. O meglio domande alle quali può rispondere solo l’attuale leader di Forza Nuova. Difficile che lo faccia oggi l’uomo rimasto latitante fino al 1999, quando la sua condanna viene prescritta: pena non eseguibile per scadenza dei termini.
A quel punto Fiore torna in Italia ma ha una faccia diversa da quella dell’estremista nero: partito ventenne da latitante, rientra da Londra con un profilo più moderato e un conto in banca molto più florido. Fonda dunque il suo nuovo movimento e comincia a comportarsi da leader che non si sporca mai le mani.
Quasi due decenni nel Regno Unito, infatti, gli hanno cambiato la vita. Anche grazie a una serie di colpi di fortuna.
Servizi segreti inglesi e mafiosi siciliani
Come nel 1982 quando un giudice di Sua Maestrà respinge la richiesta di estradizione inviata dall’Italia. O come il 22 dicembre del 1987, quando le autorità inglesi ammettono la richiesta di rogatoria inviata 17 mesi prima da Falcone, ma non concedono al giudice palermitano di andare a Londra per interrogare Fiore.
Sarebbe stata la corte londinese di Bow Street a porre al futuro leader di Forza Nuova le cinque domande inviate da Palermo. Per l’ex esponente di Terza Posizione, dunque, rispondere ai giudici inglesi è molto più semplice rispetto a quanto possa essere un incontro faccia a faccia con Falcone. Prima domanda: ha mai incontrato Mangiameli? Risposta: “Fra il 1978 e il 1979“. Ha mai incontrato Valerio e Cristiano Fioravanti? “Poche volte, casualmente, in strada o al bar” . È vero che presentò Mangiameli a Valerio Fioravanti? “Non ricordo“. Era a conoscenza di un piano per l’evasione di Concutelli? “Ne ho letto sui giornali”. E l’omicidio Mattarella? “Non so nulla dell’ uccisione di Mattarella”. “Le risposte sono state estremamente generiche, ma purtroppo l’assenza del giudice istruttore non ha potuto colmare le evidenti lacune“, annota Falcone nelle carte dell’inchiesta.
In cui ricorda che a Fiore avrebbe voluto contestare le parole di Mauro Ansaldi, uno dei collaboratori di giustizia di Terza Posizione. “Roberto — mette a verbale il pentito — mi confidò che dietro Fioravanti c’erano la P2 e Gelli“. È vero quello che dice Ansaldi, ex camerata di Fiore?
E che ne pensa l’attuale leader di Forza Nuova di quanto messo a verbale nel 2000 dal deputato di Alleanza Nazionale, Enzo Fragalà , davanti alla commissione d’inchiesta sulle stragi?
Il presidente chiede: “Ritiene che Fiore e Morsello (altro leader di Terza Posizione) fossero agenti del servizio inglese? “Non ritengo, c’è scritto, è un dato obiettivo, mai smentito da nessuno. D’altro canto, altrimenti come si fa a immaginare che due latitanti italiani, segnalati come pericolosi, possano costruire lì in Inghilterra un impero economico con 1.300 appartamenti?”, risponde Fragalà .
Che oggi non può più argomentare quelle accuse a Fiore: sarà ucciso da Cosa nostra a Palermo nel 2010. Per i pm fu una punizione perchè aveva convinto alcuni suoi clienti mafiosi a collaborare con la magistratura, ma non esiste ancora una sentenza definitiva che certifichi questa ricostruzione.
L’impero economico e i donatori anonimi
Anche il riferimento di Fragalà all’impero economico di Fiore, però, merita un approfondimento. Il leader di Forza Nuova, infatti, da latitante, riesce a mettere insieme una serie di proprietà che lo fanno tornare in Italia da uomo ricco. Oggi si tratta soprattutto di alcune società specializzate in viaggi studio a Londra, che possiedono centinaia di immobili.
Come racconta l’Espresso, in un’inchiesta dedicata al politico di estrema destra, si incrociano con il nome di Fiore anche tre trust, cioè società fiduciarie in cui i titolari possono rimanere anonimi.
Come anonimi rimangono i donatori che hanno letteralmente inondato i conti dei tre trust. Negli ultimi quattro anni, per esempio, alla società fiduciaria intitolata all’Arcangelo Michele sono arrivati 475mila euro di elargizioni liberali.
Gran parte di quei soldi sono stati poi girati a tre aziende controllate dalla famiglia Fiore.
Da chi arriva tanta generosità ? Chi è che devolve tanto denaro poi finito nelle dispobilità del leader di Forza Nuova? Non si sa.
Come non si conosce il motivo per cui fino al 2016 Fiore è stato azionista della Vis Ecologia. È una società che dovrebbe occuparsi di “riciclo di materiali” ma non ha dipendenti nè alcun sito internet. È stata registrata a Cipro per “scopi fiscali” ma è impossibile sapere quanto denaro abbia amministrato: non ha mai depositato un bilancio.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 25th, 2018 Riccardo Fucile
RESTARE UNA NEBULOSA INDISTINTA E SUPERFICIALE NON E’ UNA ALTERNATIVA VALIDA
Chi sei? Da dove vieni? E, soprattutto, dove vuoi portarmi? Domande semplici, non bibliche e
risposte altrettanto semplici.
Abbiamo bisogno di gente nuova, è vero. Magari un tantino più onesta. Ed è vero. E magari un tantino più competente e avveduta. Ed è ancora vero.
Allora mi son detto: qua ci vogliono i Cinquestelle! Scorro i nomi dei candidati e approdo invece all’idea che siano frutto di una selezione occasionale, provvisoria, superficiale.
L’impressione è che scarta e scarta ma non si arriva mai al fondo del senso di marcia. Per quanti sforzi abbia fatto non ho ancora capito chi sia Luigi Di Maio.
Perchè abbia raccolto e proposto per il Parlamento un’espressione così variegata di idee, di volti e varie tipologie di onesti (con annessi furbi) che moltiplica — non riduce — il senso di causalità e aumenta — non riduce — il rischio di un fraintendimento di fondo.
Io pensavo che mi conducessi verso quel sentiero e invece mi ritrovo su quest’altra via.
Restare una nebulosa indistinta è certamente profittevole da un punto di vista elettorale perchè non produce selezioni all’ingresso, chiama alla palingenesi, e chi non la vorrebbe?, chiede una condivisione primitiva o primordiale, onestà e bene comune, e chi non li cerca?, e pretende, se proprio, un solo certificato: quello penale.
Ma è appunto un certificato.
Che non racconta la nostra storia, le nostre battaglie e, soprattutto le nostre idee.
Chi sei, da dove vieni e — soprattutto — dove vuoi portarmi?
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 25th, 2018 Riccardo Fucile
“IL PATRON DEL POTENZA NON AVEVA MAI FREQUENTATO IL M5S”
“Avevamo segnalato che la candidatura di Salvatore Caiata non era opportuna a gennaio, prima della chiusura delle liste. Abbiamo mandato mail a sei indirizzi diversi di referenti regionali e nazionali: ma non ci ha risposto nessuno”.
Michele Pinassi è uno dei due consiglieri comunali del M5S a Siena, nonchè uno degli autori di un duro comunicato in cui i 5Stelle locali avevano avvertito i vertici che la candidatura del patron del Potenza nascondeva rischi “per le sue frequentazioni politiche e imprenditoriali, lontanissime dal modo di essere del Movimento, oltre al fatto che lo stesso Caiata non lo aveva mai sostenuto o frequentato in precedenza”. Due giorni fa si è appreso dell’indagine a Siena sul candidato per reati finanziari, e Di Maio lo ha messo “fuori dal Movimento”.
E ora il M5S cittadino può rivendicare: “Avevamo ragione noi”. Mentre il deputato Alfonso Bonafede, vicino a Di Maio e uno dei referenti per la Toscana, assicura: “Avevamo tenuto in debita considerazione la segnalazione del nostro gruppo di Siena in merito alle vicende che riguardano Salvatore Caiata. Purtroppo la genericità dell’alert, fondato solo su vaghissimi chiacchiericci che circolavano in città , non ci ha permesso di seguire una pista circostanziata. Ma abbiamo operato con scrupolo tutti i controlli possibili”.
Pinassi, perchè e quando vi siete mossi?
A gennaio, quando si è saputo della possibile candidatura di Caiata. Io prima non sapevo neppure che faccia avesse, ma alcuni del gruppo lo conoscevano, perchè in città possiede diversi locali. A spingerci a scrivere ai nostri referenti sono stati molti cittadini, anche con messaggi sui social: “Se lo candidate non vi voto più”.
Perchè questa preoccupazione diffusa?
Lo percepivano come non in linea con il M5S, anche per la sua storia (era stato coordinatore del Pdl locale, ndr). E comunque noi non sapevamo nulla di inchieste a suo carico, sia chiaro.
Però vi siete mossi.
Sì, abbiamo scritto a vari indirizzi.
Nel dettaglio a chi?
Abbiamo sicuramente mandato una mail allo staff nazionale, quello che si occupava delle liste. E abbiamo scritto anche a Giacomo Giannarelli (il capogruppo in Regione, ex candidato governatore, ndr).
Non vi hanno mai risposto?
Mai. Ma non ce la siamo sentita di parlarne pubblicamente. Non volevamo e non vogliamo danneggiare il Movimento.
Però nella nota chiedete “la rinuncia al ruolo di chi ha deciso e, come in altri casi, ha sbagliato”.
Ci sembra naturale che chi ha commesso errori faccia un passo indietro. È stata danneggiata l’immagine di tutto il M5S, in modo importante.
Ma perchè hanno insistito su su Caiata? Perchè portava tanti voti?
Non so. Io sono certo che siano tutti errori in buona fede. E che Luigi Di Maio non c’entri nulla: non poteva certo conoscere bene questo candidato. E poi lui è un’ottima persona.
Però tutti i candidati negli uninominali erano vidimati direttamente da Di Maio, anche perchè non sono passati per le votazioni sul web.
E questo è stato il vero nodo, il metodo. I problemi emersi in questi giorni sono tutti sui candidati negli uninominali. E questo prova che bisognava passare dai territori, anche perchè così avremmo avuto nomi riconosciuti dalle comunità locali, quindi più forti.
Ora quanto ne risentirete nella campagna elettorale?
Non lo so. Io posso dire che alle amministrative del 2013 prendemmo il 9 per cento e che ora i sondaggi ci danno come possibile vincenti in un ballottaggio a maggio.
Si candiderà lei?
No, la mia esperienza da consigliere si concluderà tra poco. Io non sono per il doppio mandato, sono per il mandato unico. Sono nel Movimento dal 2007, e favorirò il ricambio.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 25th, 2018 Riccardo Fucile
UN CRONISTA HA VISSUTO DA SENZATETTO INCONTRANDO ANCHE LE MERAVIGLIOSE PERSONE CHE OGNI GIORNO PORTANO UN AIUTO
Strisciare per terra con vergogna. Inginocchiarsi sotto i portici della strada del passeggio con le
mani sporche e tese nel gesto di chiedere la carità . Sfidare la notte che si fa gelida.
E la neve, che cade in continuazione, ma non è nè dolce nè tantomeno poetica in questa via Roma di ragazze eleganti e cavalieri galanti. Ma senza cuore.
Questa è la storia di un viaggio da disperato nella città che sfila ridendo davanti agli ultimi, per andare a cena al ristorante. Abituata o disinteressata verso chi ha soltanto un cartone su cui dormire.
Ecco, il viaggio inizia qui, quando sono da poco passate le 9. Comincia davanti al tempio della tecnologia. Non importa come sei vestito. Se sei per terra sei l’ultimo.
Se sei sporco, sei un intruso nelle vite pulite degli altri. Non basta la pancia piena per sopravvivere di notte. Servono coperte e cartoni, per costruire piccole case. Ma più di tutto un po’ di umanità . Un sorriso, magari.
O un gesto come quello di quest’uomo che è quasi vestito peggio di chi sta coricato sul marmo. Ma senza dire una parola regala 50 centesimi. E poi fila via veloce. Svolta. Sparisce.
Via Roma non è così: di solito è fredda di cuore a quest’ora.
In galleria San Federico il popolo di chi ha nulla ha già colonizzato i cantoni migliori. Davanti alla vetrina del bar che sta chiudendo c’è uno spazio meno gelido. Cartone. Berretto. Gente che passa e non ti guarda. Dieci minuti. Poi arriva la sorveglianza del bar: «Qui non puoi stare». Perchè? Non do fastidio a nessuno sono lontano dall’ingresso. «Non puoi».
Ma sulle scale del cinema ci sono quegli altri che mi cacciano. E dall’altra parte c’è il vento. «Su, dà i vai via».
I volontari ancora non ci sono alle 10. Arriveranno più tardi: quelli organizzati e tutti gli altri.
Il romano, figura storica di questa via Roma diventata dormitorio a cielo aperto, non c’è. È in ospedale, dicono. O ha trovato una sistemazione migliore. E allora si torna alla Apple.
«Mi dà i un soldo per favore?» «Non ho niente». «Mi fai almeno un sorriso». Non ha neanche quello la coppia che fila via a braccetto. Se stai in mezzo alla strada i miracoli impari in fretta a riconoscerli.
Questa notte hanno le facce di due ragazze. La prima è Nenè, commessa di supermercato. Arriva, apre un sacchetto di plastica e tira fuori un pacco di brioche: «Sono più utili a te». Perchè piangi? «Stanotte va così. L’uomo della mia vita, quello che volevo sposare, mi ha lasciata. Sono disperata». Vuoi un abbraccio? «Sì». Ma sono sporco. «Non importa».
Il secondo lo fanno gli occhi azzurrissimi e umidi di Federica. Che tira fuori una moneta da 2 euro e quasi si mette a piangere. Perchè fai così? «Perchè non ho mai visto tanta povertà tutta insieme». Di dove sei? «Treviso».
Già : se non sei abituato fa impressione la città dei disperati. Ci pensi.
Come ci pensa questa famiglia di Pianezza. Arriva alle 23: padre, madre e bambino di 11 anni. Non hanno molto nella loro vita, ma ogni venerdì che Dio manda in terra vanno a portare cibo e coperte ai barboni: «Perchè se non fai qualcosa per gli altri, che uomo sei?» Siete ricchi? «Ma no, lavoro solo io» dice il papà . E le coperte dove le prendete? «Nei negozi di seconda mano».
Chi non è attrezzato con coperte e cartoni spessi, in queste notti gelide cammina. Su e giù per i portici. Oppure va al rifugio della Pellerina, quello gestito dalla Croce Rossa. «Vuoi entrare e dormire?» No, mi basterebbe un tè caldo. «Aspetta qui te lo diamo subito» dicono i volontari in tuta rossa. «Adesso però trovati un posto caldo che stanotte sarà dura».
Già è dura camminare nella neve con le scarpe sfasciate e gonfi di maglie. È dura riattraversare la città che va a dormire dopo la festa. E infilarsi in un ospedale. Molinette. Ore 2 e 40. Le infermiere del triage non vedono o forse fanno finta e ti lasciano passare, e filare nella sala d’aspetto. Dieci persone. Un ragazzo sta male, quasi sviene. Ma si può dormire un’oretta. E al caldo. Poi arriva la sorveglianza: «E tu? Ce l’hai la prenotazione, sei passato all’ingresso?» No. «Dà i vai via». Mi dà i, dieci minuti ancora? «Non mi mettere nei guai».
Calci nel sedere qui non te li dà nessuno. E se chiedi un caffè te lo offrono: «Vuole anche una brioche?» No, grazie, va bene così. Il viaggio però non è finito e via Roma da qui è lontana.
Ma chi non ha un tetto, un dormitorio o un cartone bello spesso passa le ore così: cammina. Porta Nuova. Piazza Carlo Felice. Il caffè Talmone chiuso. Il negozio di abiti di Sir Wilson. Barboni che si sfiorano senza parlarsi. Sigarette. E via Roma che si sveglia.
Alle sette e un quarto apre la mensa delle suore di via Nizza. Si può fare colazione. Arrivano tutti. Senza tetto e disperati vari. «Mi lasci il nome?» «Piero Z…». Una scodella di tè. Un pan dolce al cioccolato. Poi via. Sono le 8 passate.
Per i veri disperati è stata soltanto una notte come le altre. Tasche vuote. Pancia vuota. Indifferenza.
(da “La Stampa”)
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Febbraio 25th, 2018 Riccardo Fucile
LA STORIA DI GIOVANNI A UN PASSO DAL LICENZIAMENTO: “SONO ENTRATO IN EMBRACO CHE ERO RAGAZZINO”
Giovanni Mancuso è uno dei 497 dipendenti dell’Embraco che rischiano il licenziamento.
È entrato in fabbrica a vent’anni, nel 1995 e tra le linee che producono compressori per i frigoriferi ha conosciuto sua moglie. Una storia simile a quella di tanti altri operai che lavorano in questa fabbrica a venti chilometri da Torino.
“Facevo parte del ceto medio — racconta Giovanni — non riuscivo a risparmiare, ma con due stipendi in famiglia riuscivamo a vivere bene con i nostri tre figli”.
L’azienda va bene e arriva ad avere oltre duemila dipendenti fino a quando decide di aprire anche in Slovacchia a metà anni Duemila:
“Ci mandavano a insegnare agli operai slovacchi come si lavorava nelle linee — ricorda con amarezza — e quelli ci dicevano ma perchè venite se poi il vostro stabilimento chiuderà ”. Una profezia che si avvera con il piano di reindustrializzazione del 2004: i volumi produttivi si dimezzano.
La moglie di Giovanni si licenzia così come tanti suoi colleghi e il numero dei dipendenti si riduce a 800. “Una scelta che a posteriori è stata lungimirante”.
Sua moglie infatti si è trovata un altro impiego, mentre oggi a rischiare il posto c’è solo Giovanni. Il 10 gennaio l’azienda ha avviato la procedura per i licenziamenti e se nulla accadrà il 25 marzo
Giovanni insieme ai suoi 496 colleghi si ritroverà a casa.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 25th, 2018 Riccardo Fucile
DALLA K FLEX ALLA MICRON TECHNOLOGIES ALLA VIDEOCON
Dalla Candy alla Zoppas, passando per la recente vicenda della K Flex. 
Sono centinaia le aziende o multinazionali con stabilimenti in Italia che, negli ultimi anni, per sfuggire a tasse e burocrazia hanno annunciato il trasferimento all’estero, anche dopo aver ricevuto finanziamenti pubblici.
Vanno in Cina, Russia, ma anche Polonia e Slovacchia. Come nel caso della Embraco, l’azienda brasiliana del gruppo Whirlpool che ha annunciato il licenziamento di 500 dipendenti del suo stabilimento di Riva di Chieri (Torino) e il trasferimento proprio in Slovacchia della produzione di compressori per frigoriferi.
Nonostante gli aiuti ottenuti dal governo italiano, ma anche da Regione e Provincia. E nonostante il caso sia arrivato sul tavolo della Commissione europea e il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda abbia promesso che “non mollerà ” sono poche le speranze di evitare il trasloco. Una storia, purtroppo, già vista
I CASI DI HONEYWELL E K FLEX
Lo scorso novembre la multinazionale americana Honeywell ha annunciato la chiusura dello stabilimento di Atessa (Chieti) dove produce turbo compressori: 420 i dipendenti. Nulla ha potuto il pressing del governo Gentiloni e dei sindacati. A inizio anno c’è stata la conferma, anche se l’azienda si è impegnata a evitare i licenziamenti fissati per il prossimo 2 aprile mantenendo parte dell’attività e utilizzando la cassa integrazione straordinaria fino al febbraio 2019.
Il motivo dell’abbandono? La Honeywell ha deciso di delocalizzare in Slovacchia, dove negli ultimi anni ha creato una fabbrica fotocopia. Honeywell ha già annunciato un investimento di 32,3 milioni di euro con 130 nuovi occupati a Presov. In questa fabbrica nel 2017 i ricavi sono cresciuti del 53 per cento, grazie a salari molto più bassi rispetto a quelli italiani e a investimenti che, in parte, sono a carico dello Stato slovacco. Insomma, un po’ quello che ha portato al caso Embraco.
E poi c’è il paradosso della K Flex, l’azienda brianzola leader mondiale nel settore degli isolanti. Proprio dove è nata, a Roncello, la K Flex ha deciso a maggio 2017 di licenziare 187 lavoratori dei 243 impiegati nel sito ritenendo i costi dello stabilimento lombardo insostenibili.
Nel frattempo, negli anni, l’azienda ha aperto undici fabbriche in altri Paesi. Lo scorso autunno ha creato polemiche la scoperta che, dopo aver licenziato i lavoratori italiani, la K Flex ha ottenuto finanziamenti europei per i suoi investimenti in Polonia.
IL GRUPPO CANDY
Tra il 2011 e il 2015 il gruppo Candy della famiglia Fumagalli ha sempre chiuso i bilanci in rosso con perdite che hanno raggiunto i 70 milioni di euro.
Nel 2016, però, è stato superato il miliardo di euro di ricavi con un utile di 12 milioni. In Europa, nel settore, è tra i gruppi che crescono di più e il piano industriale 2017-2019 prevede 105 milioni di investimenti per rilanciare l’innovazione.
Eppure nell’azienda che Eden Fumagalli fondò nel 1945 a Monza e con sede a Brugherio, degli oltre 5mila dipendenti totali, solo 800 sono in Italia.
Negli ultimi anni circa mille dipendenti sono stati delocalizzati tra Repubblica Ceca, Russia, Turchia e Cina, mentre sono stati chiusi gli impianti produttivi italiani di Cortenuova, Erba e Santa Maria Hoè.
E l’azienda ha dichiarato altri esuberi allo stabilimento di Brugherio.
In una recente intervista a Il Giornale Beppe Fumagalli, amministratore delegato, ha detto la sua sulle delocalizzazioni, riportando l’esempio della Gran Bretagna. “Da vent’anni il problema è stato risolto — ha detto — la delocalizzazione è compiuta e in Gran Bretagna ormai praticamente non si produce più nulla. Loro l’hanno accettato come un dato di fatto, noi pensiamo che un Paese come il nostro debba porsi il problema se creare le condizioni per mantenere una base industriale”.
ZOPPAS APRE IN RUSSIA
A ottobre scorso l’azienda trevigiana Zoppas Industries heating elements technologies ha aperto a Stavrovo (Russia) un nuovo stabilimento che impiega circa 40 addetti e, secondo i piani, crescerà fino a 100 unità nell’arco di due anni. È l’ultimo investimento dell’azienda che fa parte di Zoppas Industries, gruppo che realizza un fatturato di circa 700 milioni attraverso 16 stabilimenti produttivi in tutti i continenti e che nel 2004 ha licenziato 620 lavoratori italiani per investire nei siti di Messico e Brasile.
LA MICRON INCASSA E VA VIA
Dieci anni dopo, nel 2014, è crollata invece l’illusione di un rilancio dell’occupazione al Sud grazie all’alta tecnologia. La multinazionale statunitense Micron Technologies ha dichiarato un esubero di 500 dipendenti in Italia.
Nonostante il gruppo vantasse un fatturato di 4 miliardi di dollari e nonostante 150 milioni sborsati dal ministero dello Sviluppo economico per creare 1500 posti di lavoro. La verità è che il gruppo aveva già spostato alcune attività negli Stati Uniti e a Singapore.
VIDEOCON, ABBANDONATA DAGLI INDIANI DOPO AVER INTASCATO 100 MILIONI
Un’altra storia significativa è quella Videocon di Anagni, legata a doppio filo a quella della famiglia indiana Dhoot, una delle più ricche al mondo. Nel 2005 i Dhoot e la multinazionale Videocon acquistarono la ex Videocolor dalla Thomson.
Ad Anagni si fabbricavano componenti per i televisori. Gli indiani lanciarono una sfida di modernità , quella di produrre anche condizionatori e schermi al plasma.
La francese Thomson cedette alla Videocon anche una dote da 180 milioni di euro, per evitare licenziamenti al momento della cessione, ma gli indiani chiesero (e ottennero) di più.
In un accordo con il ministero dello Sviluppo economico siglato nel 2006 la Videocon si impegnò a sostenere investimenti per 307 milioni di euro ad Anagni.
Lo Stato ci avrebbe messo circa 36 milioni, la Regione Lazio 11. L’accordo non ebbe alcun esito, perchè gli indiani decisero di non investire più in Ciociaria. In compenso si tennero i soldi. La produzione rallentò fino a fermarsi, lasciando 1.300 dipendenti in cassa integrazione.
A giugno 2012 la dichiarazione di fallimento, dopo una cig di sette anni, con un buco di 100 milioni di euro. I Dhoot, però, continuano a produrre in Asia dove la manodopera ha un costo più basso.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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