AL FREDDO E AL GELO, UNA NOTTE DA CLOCHARD TRA I DISPERATI SOTTO I PORTICI: “SE NON FAI QUALCOSA PER GLI ALTRI CHE UOMO SEI?”
UN CRONISTA HA VISSUTO DA SENZATETTO INCONTRANDO ANCHE LE MERAVIGLIOSE PERSONE CHE OGNI GIORNO PORTANO UN AIUTO
Strisciare per terra con vergogna. Inginocchiarsi sotto i portici della strada del passeggio con le mani sporche e tese nel gesto di chiedere la carità . Sfidare la notte che si fa gelida.
E la neve, che cade in continuazione, ma non è nè dolce nè tantomeno poetica in questa via Roma di ragazze eleganti e cavalieri galanti. Ma senza cuore.
Questa è la storia di un viaggio da disperato nella città che sfila ridendo davanti agli ultimi, per andare a cena al ristorante. Abituata o disinteressata verso chi ha soltanto un cartone su cui dormire.
Ecco, il viaggio inizia qui, quando sono da poco passate le 9. Comincia davanti al tempio della tecnologia. Non importa come sei vestito. Se sei per terra sei l’ultimo.
Se sei sporco, sei un intruso nelle vite pulite degli altri. Non basta la pancia piena per sopravvivere di notte. Servono coperte e cartoni, per costruire piccole case. Ma più di tutto un po’ di umanità . Un sorriso, magari.
O un gesto come quello di quest’uomo che è quasi vestito peggio di chi sta coricato sul marmo. Ma senza dire una parola regala 50 centesimi. E poi fila via veloce. Svolta. Sparisce.
Via Roma non è così: di solito è fredda di cuore a quest’ora.
In galleria San Federico il popolo di chi ha nulla ha già colonizzato i cantoni migliori. Davanti alla vetrina del bar che sta chiudendo c’è uno spazio meno gelido. Cartone. Berretto. Gente che passa e non ti guarda. Dieci minuti. Poi arriva la sorveglianza del bar: «Qui non puoi stare». Perchè? Non do fastidio a nessuno sono lontano dall’ingresso. «Non puoi».
Ma sulle scale del cinema ci sono quegli altri che mi cacciano. E dall’altra parte c’è il vento. «Su, dà i vai via».
I volontari ancora non ci sono alle 10. Arriveranno più tardi: quelli organizzati e tutti gli altri.
Il romano, figura storica di questa via Roma diventata dormitorio a cielo aperto, non c’è. È in ospedale, dicono. O ha trovato una sistemazione migliore. E allora si torna alla Apple.
«Mi dà i un soldo per favore?» «Non ho niente». «Mi fai almeno un sorriso». Non ha neanche quello la coppia che fila via a braccetto. Se stai in mezzo alla strada i miracoli impari in fretta a riconoscerli.
Questa notte hanno le facce di due ragazze. La prima è Nenè, commessa di supermercato. Arriva, apre un sacchetto di plastica e tira fuori un pacco di brioche: «Sono più utili a te». Perchè piangi? «Stanotte va così. L’uomo della mia vita, quello che volevo sposare, mi ha lasciata. Sono disperata». Vuoi un abbraccio? «Sì». Ma sono sporco. «Non importa».
Il secondo lo fanno gli occhi azzurrissimi e umidi di Federica. Che tira fuori una moneta da 2 euro e quasi si mette a piangere. Perchè fai così? «Perchè non ho mai visto tanta povertà tutta insieme». Di dove sei? «Treviso».
Già : se non sei abituato fa impressione la città dei disperati. Ci pensi.
Come ci pensa questa famiglia di Pianezza. Arriva alle 23: padre, madre e bambino di 11 anni. Non hanno molto nella loro vita, ma ogni venerdì che Dio manda in terra vanno a portare cibo e coperte ai barboni: «Perchè se non fai qualcosa per gli altri, che uomo sei?» Siete ricchi? «Ma no, lavoro solo io» dice il papà . E le coperte dove le prendete? «Nei negozi di seconda mano».
Chi non è attrezzato con coperte e cartoni spessi, in queste notti gelide cammina. Su e giù per i portici. Oppure va al rifugio della Pellerina, quello gestito dalla Croce Rossa. «Vuoi entrare e dormire?» No, mi basterebbe un tè caldo. «Aspetta qui te lo diamo subito» dicono i volontari in tuta rossa. «Adesso però trovati un posto caldo che stanotte sarà dura».
Già è dura camminare nella neve con le scarpe sfasciate e gonfi di maglie. È dura riattraversare la città che va a dormire dopo la festa. E infilarsi in un ospedale. Molinette. Ore 2 e 40. Le infermiere del triage non vedono o forse fanno finta e ti lasciano passare, e filare nella sala d’aspetto. Dieci persone. Un ragazzo sta male, quasi sviene. Ma si può dormire un’oretta. E al caldo. Poi arriva la sorveglianza: «E tu? Ce l’hai la prenotazione, sei passato all’ingresso?» No. «Dà i vai via». Mi dà i, dieci minuti ancora? «Non mi mettere nei guai».
Calci nel sedere qui non te li dà nessuno. E se chiedi un caffè te lo offrono: «Vuole anche una brioche?» No, grazie, va bene così. Il viaggio però non è finito e via Roma da qui è lontana.
Ma chi non ha un tetto, un dormitorio o un cartone bello spesso passa le ore così: cammina. Porta Nuova. Piazza Carlo Felice. Il caffè Talmone chiuso. Il negozio di abiti di Sir Wilson. Barboni che si sfiorano senza parlarsi. Sigarette. E via Roma che si sveglia.
Alle sette e un quarto apre la mensa delle suore di via Nizza. Si può fare colazione. Arrivano tutti. Senza tetto e disperati vari. «Mi lasci il nome?» «Piero Z…». Una scodella di tè. Un pan dolce al cioccolato. Poi via. Sono le 8 passate.
Per i veri disperati è stata soltanto una notte come le altre. Tasche vuote. Pancia vuota. Indifferenza.
(da “La Stampa”)
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