Maggio 14th, 2018 Riccardo Fucile
MATTARELLA CHIUDE LA FINESTRA ELETTORALE DI LUGLIO, MA DI FATTO A IMPEDIRE LE ELEZIONI ORA SONO STATI M5S E LEGA, CHIEDENDO ALTRO TEMPO
Tempo. Ancora. In questa trattativa infinita che, talvolta, assume i contorni della sceneggiata.
Parliamoci chiaro: cosa poteva fare Sergio Mattarella, di fronte a un negoziato avviato sia pur tra equivoci e retro-pensieri, davanti alla richiesta avanzata dai negoziatori di avere qualche altro giorno per portarlo a termine?
Semplicemente: concederlo, per consentire che si consumi, positivamente o negativamente, anche questo terzo (e ultimo) tentativo tra M5s e Lega, dopo che sono franate le due esplorazioni (tra centro-destra e M5s, e tra Pd e M5s).
Anche perchè di alternative per tentare la strada di un governo politico, al momento, non ce ne sono.
E in fondo un’altra settimana di tempo almeno un problema lo risolve, perchè chiude definitivamente e formalmente la finestra elettorale di luglio, considerato che tra scioglimento e voto devono passare sessanta giorni.
Il che, tuttavia, non cancella l’irritualità del momento e dei suoi protagonisti, per i quali ogni giorno annunciato come “decisivo”, diventa interlocutorio, tale da alimentare dubbi sull’esito stesso del negoziato.
Doveva essere domenica il giorno in cui Salvini e Di Maio avrebbero dovuto comunicare che “l’accordo è fatto” su programma e nome del premier.
E invece hanno chiesto 24 ore. Al termine delle 24 ore poi si sono presentati al Colle ancora senza un accordo nè sul nome nè sul programma.
E hanno chiesto, di fatto, una settimana, facendo sapere al Quirinale, non nei colloqui ma attraverso le agenzie di stampa, che ognuno ha convocato le sue consultazioni — in piazze reali o virtuali — per il week end.
Di nomi, nel corso dei colloqui, non se ne è proprio parlato, almeno così trapela, perchè appare chiaro che quello è il nodo: la figura che andrà a palazzo Chigi.
Detta in modo un po’ tranchant: è evidente che Salvini e Di Maio sono bloccati sul nome — è quello il punto divisivo — e per giustificare questa difficoltà hanno spostato il traccheggiamento sui programmi.
O meglio: il leader della Lega ha spostato il traccheggiamento sui programmi.
Al punto da alimentare il dubbio, tra gli attenti frequentatori del Colle: “La sua è la posizione di uno che sta preparando il terreno per sfilarsi o che sta alzando la posta per ottenere di più?”.
Perchè l’irrigidimento negoziale è evidente. Nei toni e nei contenuti.
A differenza di Di Maio, il leader della Lega è andato a elencare più problemi che soluzioni, più punti divisivi che elementi di una sintesi su cui i due partiti avrebbero dovuto lavorare in questi giorni, concludendo: “Ci sono distanze sui programmi, o si inizia o ci salutiamo”.
Non proprio una rassicurazione, dopo giorni di conclave politico e programmatico. Ma, al tempo stesso, non abbastanza — e non sarebbe nello stile di Mattarella — per suonare la campanella e sancire che la ricreazione è opportuno che finisca.
Richiesta, accompagnata da un sentimento di insofferenza se non ancora di esasperazione, che inizia a serpeggiare anche in una parte dell’opinione pubblica e sulla rete, dopo 70 giorni di giri a vuoto.
Provate a leggere qualche tweet: “Ma che ci siete andati a fare da Mattarella se non siete d’accordo su niente?”, “è possibile che si continui a perdere tempo e non siete capaci di fare un governo?”.
Ecco, sarà anche poco interventista l’attuale capo dello Stato. Ma questa sua gestione non invadente della crisi, rispettosa delle forze politiche e delle dinamiche che producono, ha già prodotto un effetto non banale: far vedere all’opinione pubblica la vera natura di questi partiti e, con essa, la loro responsabilità di fronte al paese, la capacità dei loro leader di trovare una soluzione dopo mesi di stallo, di chiudere uno straccio di accordo senza perdersi in chiacchiere.
È un approccio moderno, quello di Mattarella, consapevole del peso e del ruolo dell’opinione pubblica in questa fase così profondamente anti-istituzionale, in cui i partiti e i loro leader giocano tutto sul “fuori” più che sul “dentro”, ovvero la ritualità tradizionale propria della democrazia parlamentare: su facebook, nei gazebo, nel contatto diretto con l’opinione pubblica in ogni circostanza, anche quando parlano dalla Vetrata del Quirinale.
Se il capo dello Stato avesse proposto il governo del presidente all’inizio di questa crisi lo avrebbero accusato di golpe nelle piazze reali e virtuali.
Se sarà costretto alla sua scelta solitaria alla fine di quest’ultimo tentativo, sarà assai difficile leggere il fallimento, anzi i reiterati fallimenti degli altri, come una sua imposizione autoritaria.
E il tema del governo del presidente tornerà all’ordine del giorno.
Attenzione: nell’impossibilità oggettiva di votare a luglio, perchè sono stati Salvini e Di Maio a chiedere altro tempo chiudendo, di fatto, la finestra elettorale.
Loro, non Mattarella.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 14th, 2018 Riccardo Fucile
TROPPI RISCHI IN VISTA E RESTA IL NODO DEL PREMIER… IL TIMORE DI FINIRE IMPALLINATO DA BERLUSCONI E MELONI ALL’OPPOSIZIONE
Al Colle Matteo Salvini ci è salito senza nomi per la premiership. 
Nel suo colloquio con Sergio Mattarella, il leader della Lega non ha portato candidati per il ruolo di capo del governo con il M5s. Perchè i problemi di questa nuova avventura intrapresa con il M5s dal 5 marzo, stanno a monte.
Ci sono le differenze sul programma: “Il governo nasce per fare le cose: o si comincia o ci salutiamo”. E ci sono soprattutto quei “vincoli esterni”, cioè vincoli europei, che Salvini cita con forza parlando alle telecamere col volto scuro, dopo l’incontro con il presidente della Repubblica.
“O si ridiscutono i vincoli oppure è un libro dei sogni: il governo parte se può fare le cose — dice il leader leghista — sennò non cominciamo nemmeno…”.
La richiesta a Mattarella è di avere altro tempo per consultare la base ai gazebo nel weekend prossimo: per dividere la responsabilità di un governo che comincia a presentare troppi rischi.
Sarà un sì o no? Dipenderà dalle parole d’ordine, da cosa succederà da qui a domenica.
Di certo oggi Salvini ha piantato paletti altissimi, usando toni gravi, faccia preoccupata, espressione tesa: una modalità che ha sorpreso non poco anche gli stessi pentastellati.
“Momento critico”, segnala un dirigente della Lega dopo che tutta la delegazione è scesa dal Colle. Per la prima volta, dopo una settimana e più di colloqui con il leader pentastellato Luigi Di Maio, Salvini mette in conto il fallimento.
Ma naturalmente i fallimenti si rischia poi di doverli pagare. E allora eccolo qui a chiedere più tempo a Mattarella per chiudere un’intesa con Di Maio, cosa ancora ufficialmente rimasta in campo e nelle speranze di un leader che non vuole macchiarsi del fallimento della trattativa.
E per questo Salvini rilancia, puntando alto. Se va, va.
“Io voglio andare fino in fondo eliminando la legge Fornero”, dice nella loggia d’onore del Quirinale, subito dopo il colloquio con Mattarella. Ancora: “voglio eliminare l’aumento dell’Iva e l’aumento delle accise. Anzi, il mio impegno era ridurre le accise sulla benzina. Sull’immigrazione le posizioni di Lega e 5 Stelle partono da una notevole distanza.
Ancora, “la legge sulla legittima difesa: ci siamo impegnati ad approvarla e lo dobbiamo fare”.
Aveva esordito parlando di “schiettezza”. “Stiamo facendo uno sforzo enorme, perchè se ragionassimo per convenienze politiche, partitiche e personali non saremmo qua da tempo”. Perchè “se dovessimo ragionare a pane, convenienza, seggi e sondaggi, visto che tutti dicono che la Lega è quella cresciuta di più, e più affidabile, saremmo i primi a dover dire chi ce lo fa fare a cercare di trovare un governo…”.
Ancora prima di salire al Colle Salvini aveva diramato la ‘chiamata ai gazebo’. Sabato e domenica in tutte le città i militanti leghisti potranno votare su questa intesa di governo. Una specie di referendum che risponde alla convocazione online dei pentastellati su Rousseau, sempre sul programma. Una sfida a colpi di consultazioni della base che sa già molto di campagna elettorale e di gioco al cerino a chi si macchia della responsabilità del fallimento eventuale di fronte agli elettori.
Ma i gazebo di Salvini sono anche un modo per giustificare la richiesta di altro tempo avanzata a Mattarella, dicono dal Carroccio.
Un modo per condividere con la base una responsabilità che il leader e i suoi non sentono più di potersi caricare da soli. Perchè le condizioni di questo governo sono difficili.
Il rischio è di portare ‘acqua al mulino pentastellato’ soffrendo poi gli attacchi dell’alleata Giorgia Meloni che già ora consiglia di lasciar perdere, pronta eventualmente a provare a raccogliere le eredità di destra che arriverebbero da un Salvini inghiottito nel cono d’ombra del governo a cinquestelle.
“Rivolgo un estremo appello a Salvini. Vuoi davvero andare avanti con quest’avventura con il governo con M5S?”, dice.
E poi l’Europa. Quei “vincoli esterni”, citati dopo il colloquio con il capo dello Stato, segnalano che il governo con Lega-M5s potrebbe non essere esattamente come sperava Salvini, con un rapporto anche duro e a dir poco dialettico con Bruxelles. Troppo rischioso, soprattutto a un anno dalle europee del 2019.
E allora Salvini alza il tiro. C’è la difficoltà sul premier. Prima che salisse al Colle, i rumors di Palazzo rimbalzavano tra un premier terzo (il professore di diritto Giuseppe Conte) o un premier politico, lo stesso Di Maio, strada ancora non dimenticata dai cinquestelle, convinti che alla fine sia questa l’unica carta possibile per un governo giallo-verde.
Ma è una carta che Salvini non può giocare. Perchè romperebbe con la coalizione di centrodestra, cosa che non vuole fare, tanto che oggi al Colle torna a citare e ringraziare “Berlusconi e Meloni”.
Meglio rimettersi alle scelte della base. Dalla quale però, mettono in conto i leghisti, difficilmente potrà venire fuori un no. Se fosse così, sarebbe un modo per abbracciare un governo con il M5s a cuore certamente più leggero.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 14th, 2018 Riccardo Fucile
GAZEBO SABATO E DOMENICA PER UN GIUDIZIO SUL CONTRATTO CON IL M5S CHE ANCORA NON C’E’… SU CHE SI VOTA SE NON ESISTE LA BOZZA DI ACCORDO?
Appena Luigi Di Maio esce dal colloquio con il presidente della Repubblica e annuncia che Lega e Movimento 5 stelle avranno bisogno di più tempo per trovare la quadra sul governo, ma soprattutto che l’accordo e il contratto di governo verranno sottoposti al voto dei militanti sulla piattaforma Rousseau, dalla segreteria federale del Carroccio parte una salva di sms e whatsapp.
I cellulari dei coordinatori regionali e dei loro più stretti collaboratori squillano all’unisono.
Il messaggio è dirompente: “+++URGENTE+++ – si legge testuale – Sabato e domenica prenotate più piazze possibili per gazebata “Consultazione popolare sì/no contratto di governo”. Seguiranno dettagli”.
È la risposta delle camicie verdi alla chiamata alle armi della rete da parte del capo politico 5 stelle.
Qualche minuto dopo, in carta intestata, arriva una mail che fissa il referendum “tra la cittadinanza”, e delinea le modalità organizzative.
Fonti della Lega spiegano che è un modo per giustificare l’ulteriore richiesta di tempo fatta arrivare a Sergio Mattarella.
Qualcuno però suggerisce che è anche un modo per sfilarsi, qualora la situazione nelle prossime ore dovesse collassare su se stessa.
E all’orizzonte ancora non si intravede uno straccio di accordo sul premier.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 14th, 2018 Riccardo Fucile
MANCANZA DI RISPETTO VERSO GLI ITALIANI: IERI ERA TUTTO A POSTO E FISSANO APPUNTAMENTO CON MATTARELLA, OGGI NON SONO D’ACCORDO NE’ SUL PROGRAMMA NE’ SUL NOME DEL PREMIER
Sono durati poco più di mezz’ora l’uno i colloqui con Mattarella del leader del Movimento 5 Stelle,
Luigi Di Maio e di quello della Lega, Matteo Salvini. E la richiesta è, ancora una volta, altro tempo.
Il leader pentastellato al termine del colloqui annuncia il voto online degli iscritti per dare il via al governo.
Stessa formula, ma nelle piazze italiane, sceglie la Lega che sabato e domenica prossimi organizza un referendum nei gazebo per sondare il gradimento degli italiani sul ‘contratto di governo’ e ‘sull’accordo’ tra M5S e Lega.
Dal Colle, però, non esce alcuna soluzione sulla premiership. Non ancora. E Mattarella, che “non intende impedire la nascita di un governo politico che avvii finalmente la legislatura…ha preso atto della richiesta di Lega e M5s di avere qualche giorno in più di tempo”.
La palla passa di nuovo alle forze politiche, che faranno sapere al presidente quando saranno pronte.
Salvini: “Non ad accordi un tanto al chilo, o chiudiamo o ci salutiamo”.
“Stiamo facendo uno sforzo enorme, vogliamo cancellare la Fornero, vogliamo intervenire sull’Iva e sulle accise, sulla legittima difesa. La Lega deve avere mano libera sull’immigrazion”.
Lo ha detto Matteo Salvini al termine del colloquio con il Capo dello Stato. “Sull’immigrazione le posizioni di Lega e M5S partono da una notevole distanza”.
Il leader del Carroccio ha poi aggiunto: “La nuova posizione dell’Italia in Europa, poi: su questo o c’è accordo o non c’è. Devo sbloccare la possibilità di spendere soldi fuori dai vincoli esterni. Sulla giustizia partiamo da posizioni diverse. Su qualche punto importante ci sono visioni diverse, o c’è un programma omogeneo o altrimenti gli accordi un tanto al chilo non fanno per me”, ha aggiunto Salvini.
Di Maio dopo il colloquio con il Colle: “Nomi non ne facciamo”.
“Nomi non ne facciamo, su questo io e Matteo Salvini siamo d’accordo”. Lo ha detto il leader del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio al termine dell’incontro avuto con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Il leader M5S ha quindi riferito di aver chiesto qualche altro giorno al Capo dello Stato per poter ultimare il contratto di governo. “Con Salvini siamo d’accordo che i nomi pubblicamente non li facciamo e in questo momento abbiamo chiesto al presidente della Repubblica il tempo per ultimare il contratto”.
Le reazioni.
Da Forza Italia duro il commento del deputato, Renato Brunetta: “Mi sembrano in un mare di guai. Mi spiace per Salvini, ma si è messo con una banda di buoni a nulla come i grillini. Noi non voteremo la fiducia. Io a questo punto dubito che ci sarà un governo”.
Non più morbido il giudizio del segretario reggente del Pd, Maurizio Martina: “Mi pare evidente che la notizia di oggi è che Lega e Cinque Stelle sono paralizzati tra loro in uno scontro di potere e sulle persone a danno del Paese. Altro che governo del cambiamento”.
(da agenzie)
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Maggio 14th, 2018 Riccardo Fucile
UN INSULTO AI VALLIGIANI: AZZERATE LE AFFISSIONI, RIFATTI DI CORSA MANIFESTI E VOLANTINI
La campagna affissioni era pronta, ma poi da Roma è arrivato lo stop. «Non puntate su onestà e trasparenza, che in Val d’Aosta hanno poca presa, ma sull’autonomia, l’unica cosa che interessa ai valligiani».
E un audio esclusivo, fatto trapelare da alcuni attivisti del Movimento5stelle valdostano, svela la gestione centralizzata delle campagne elettorali anche per le regionali da parte dei grillini.
«Ho appena finito una riunione con i vertici e dobbiamo cambiare la campagna elettorale perchè qui dicono che bisogna puntare sull’autonomia e non sull’onestà » dice Luciano Mossa, il capolista del M5s in Val d’Aosta, in un messaggio vocale inviato alla chat degli attivisti.
«Dobbiamo buttare tutto e rifare manifesti e volantini perchè se non lo facciamo loro diranno che, in caso di sconfitta, è solo colpa nostra — aggiunge nel messaggio da 2 minuti e 45 secondi — Se non parliamo di autonomia dicono che non avremo consensi».
Poi una frase pesantissima sui valdostani: «A loro interessa più l’autonomia che l’onestà ».
Insomma una giravolta importante rispetto al mantra tradizionale del Movimento che non è piaciuto a tutti i grillini valdostani e che ha generato anche un rallentamento nella definizione della campagna elettorale per la Regione.
Mossa, finanziere e già candidato sconfitto alle politiche, conferma l’autenticità dell’audio: «Si tratta di una grave violazione della privacy, ma quella è la mia voce — spiega contattato da Repubblica — Non è un ordine sulle scelte politiche quello che ci è arrivato da Roma, ma un consiglio sulla strategia di marketing che abbiamo condiviso».
Sui contenuti però Mossa conferma: «Lo penso davvero che ai valdostani interessi più l’autonomia che l’onestà e il voto degli ultimi vent’anni lo conferma — aggiunge il grillino — Però noi siamo per una autonomia onesta e lo siamo sempre stati, questo non è cambiato per un diktat arrivato da Roma».
E così i manifesti già stampati dal Movimento 5 Stelle della Vallèe in vista delle elezioni regionali di domenica prossima sono finiti al macero e sostituiti, su indicazione del direttorio romano, con nuovi tabelloni su cui campeggia lo slogan «Riprendiamoci l’autonomia».
I nuovi manifesti sono stati affissi solo martedì scorso e nelle stesse ore i candidati hanno iniziato a distribuire anche la nuova versione dei volantini, con le proposte per un’autonomia migliore, a partire da un nuovo reddito di cittadinanza regionale. Il cambio di slogan non è il primo giallo della campagna elettorale dei 5 stelle valdostani.
La scorsa settimana Mossa e il responsabile dell’ufficio comunicazione Daniela Fusaro avevano denunciato un presunto attacco hacker ai danni del Movimento. «Si tratta di fatti gravissimi accaduti di recente per danneggiare la nostra immagine pubblica e la campagna elettorale. Avevamo notato — hanno spiegato alle autorità — che sulla nostra mail istituzionale i file relativi al materiale grafico venivano costantemente cambiati o sparivano. Una settimana fa — concludono — eravamo pronti a uscire con i manifesti ma ci è stato cancellato l’intero account. A quel punto abbiamo capito che eravamo sotto attacco di un hacker».
(da agenzie)
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Maggio 14th, 2018 Riccardo Fucile
AL VOTO 7 MILIONI DI ITALIANI: VICENZA, SIENA, SPOLETO I CASI PIU’ DELICATI… A RAGUSA, POMEZIA, ASSEMINI E QUARTO I GRILLINI USCENTI NON SI RIPRESENTANO… A MESSINA LA VERGOGNA DELL’ALLEANZA CON LA LEGA
“A parte qualche famoso exploit le amministrative sono sempre state il nostro punto debole –
ragiona un parlamentare del M5s – Ma stiamo affrontando il prossimo voto con una superficialità imbarazzante, i vertici non pensano ad altro che alle vicende politiche nazionali e il risultato è prevedibile”. Cioè un flop fragoroso per il Movimento. Chissà .
Il 10 giugno più di 7 milioni di cittadini sono chiamati alle urne per le elezioni in 772 comuni, di cui venti capoluoghi di provincia. In diverse città i cinquestelle non si presenteranno nemmeno: Vicenza, Siena e Spoleto sono i casi che fanno discutere di più. Ma ovunque ci sono problemi interni, tra candidatura sconfessate e vecchi meetup in guerra: da Ragusa a Pisa, da Licata a Pomezia. Anche perchè le dinamiche nazionali hanno influito e stanno influendo ancora: dalle aspirazioni personali di chi stava sul territorio e ha preso il volo verso Roma al legame che sta nascendo con la Lega.
Ci sono quattro amministrazioni a cinquestelle uscenti: Ragusa, Pomezia, Assemini e Quarto. In nessun caso gli uscenti vengono riconfermati.
Nella città siciliana Federico Piccitto sarebbe stato vittima di una specie di congiura da parte di una sua ex assessora ora deputata regionale, in rete si trovano anche degli audio in cui si teorizza il piano per far fuori la parte del Movimento legata a lui.
A Pomezia Fabio Fucci è stato cacciato, voleva ricandidarsi per un secondo mandato e mezzo, non ebbe la deroga dai vertici, lui fece polemica e allora i consiglieri gli staccarono la spina. Comunque andrà avanti da sè, “sarò il Federico Pizzarotti del Lazio”, promette
E poi c’è Quarto, dove il caso della sindaca Rosa Capuozzo due anni fa tenne banco per giorni a livello nazionale. Delle indagini per infiltrazioni della camorra lambirono un consigliere comunale del Movimento, la Casaleggio associati si mostrò molto poco garantista e le impose di dimettersi, lei prima accettò e poi cambiò idea. Ora ci riprova con Italia in Comune, il movimento lanciato dal sindaco di Parma: “Sarà difficilissimo ma non impossibile”, dice lei. Aiutata dal fatto che il M5s non si presenterà .
A Messina invece la Lega sta pensando di appoggiare direttamente il candidato cinquestelle, Gaetano Sciacca. Sarebbe il primo caso di alleanza formale e dichiarata sul piano locale. La bocciatura della lista pentastellata di Vicenza decretata mercoledì scorso dalla Casaleggio, anche quella, è considerata una cortesia al Carroccio. Francesco Di Bartolo non correrà più, non ha mai avuto spiegazioni sulle motivazione della bocciatura arrivata da Milano: “Così è stato tradito il concetto di rete e dialogo con i cittadini che da anni lavorano sul territorio”, si lamenta.
Problemi anche in una zona di caccia contesissima tra una Lega in ascesa e un M5s con il cuore a sinistra, cioè in Toscana.
A Siena, laddove Beppe Grillo anni fa promise di fare sfracelli denunciando lo scandalo del Monte dei Paschi – e quindi del sistema di potere Pd – sulla scheda elettorale non ci sarà il simbolo del M5S. La vecchia guarda movimentista era sul piede di guerra da un po’, da quando aveva scoperto che uno dei candidati per le Politiche, Leonardo Franci, aveva in tasca la tessera della Lega. Un po’ troppo insomma, dopo l’altra candidatura calata dall’altro di Salvatore Caiata, già dirigente del Pdl senese. Stavolta la direzione nazionale del Movimento non ha mai dato risposta o accettazione alla lista inviata a Roma il 21 marzo scorso.
A Pisa invece il sogno di fare come i cugini livornesi, conquistando un feudo rosso, sembra lontano. Lì lo scontro è stato fra un’anima “comunista” e una più moderna del Movimento. Niente voto online, ha deciso direttamente lo staff, scegliendo la seconda opzione con la candidatura di Gabriele Amore. “Hanno avuto ragione le truppe nascenti di capibastone locali che lavorano da tempo per demolire i principi di orizzontalità e trasparenza nel Movimento, umiliando e derubricando la democrazia diretta a strumento di manipolazione. È il nuovo, già vecchio, che avanza”, è l’amaro commento della consigliera grillina uscente Elisabetta Zuccaro.
(da “La Repubblica”)
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Maggio 14th, 2018 Riccardo Fucile
UN INCENDIO HA DISTRUTTO LA ROULOTTE DEL FIGLIO
Gli Spada a Ostia fanno ancora paura.
Per la terza volta, infatti, Rita De Silvestro – considerata dalla procura un testimone chiave dell’inchiesta sull’aggressione mafiosa perpetrata da Roberto Spada e Ruben Alvez Del Puerto ai danni dei giornalisti Rai, Daniele Piervincenzi e Edoardo Anselmi il 7 novembre scorso – non si è presentata in aula.
Secondo la procura, che oggi ha chiesto nei confronti della donna l’accompagnamento coattivo dei carabinieri nella prossima udienza fissata per il 13 giugno, la De Silvestro sarebbe stata intimidita in varie circostanze, tra cui spicca quella dell’8 maggio scorso: un misterioso incendio che ha distrutto la roulotte del figlio.
Proprio il camper incendiato potrebbe essere un avvertimento del clan Spada nei confronti della testimone per invitarla a non parlare con i magistrati.
La De Silvestro è considerata un testimone importante per provare il «metodo mafioso» utilizzato dagli Spada nel litorale laziale.
La testimone, infatti, sarebbe stata costretta a cedere il suo appartamento, una casa popolare, a Roberto Spada con cui il figlio aveva un debito.
Nell’udienza di oggi il legale di Spada, l’avvocato Angelo Staniscia, ha ascoltato come testimoni anche alcuni frequentatori della palestra «Femus Boxe» gestita da Roberto Spada, al cui esterno è avvenuta l’aggressione.
«I due giornalisti sono stati due ore in palestra e Piervincenzi è entrato autonomamente. Roberto non voleva fare l’intervista – ha riferito un boxeur e testimone nel processo – ma il giornalista insisteva, disturbando i nostri allenamenti».
Spada e Del Puerto, difeso dall’avvocato Luigi Tozzi, erano stati mandati a processo, con le accuse di lesioni e violenza privata aggravate dal «metodo mafioso», dal gup Maria Paola Tomaselli sulla scorta delle indagini dei carabinieri del Gruppo Ostia del colonnello Pasqualino Toscani, coordinati dalla Dda di Roma.
Piervincenzi e Anselmi furono picchiati brutalmente perchè «facevano domande sui legami tra Spada e CasaPound».
A questa domanda – era scritto nel decreto di fermo dell’aggiunto Michele Prestipino e del pm Giovanni Musarò – Spada aveva reagito «ostentando in maniera evidente e provocatoria una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella particolare coartazione e quella conseguente intimidazione propria delle organizzazioni mafiose».
Con lui era intervenuto anche Del Puerto, considerato il guardaspalle dello stesso Spada, che secondo le testimonianze dei giornalisti «fu proprio lui a colpire per primo Anselmi», Spada, infatti, arrivò in un secondo momento.
(da “La Stampa”)
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Maggio 14th, 2018 Riccardo Fucile
LE MOTIVAZIONI PER CUI IL TRIBUNALE HA CONCESSO AL LEADER DI FORZA ITALIA L’AGIBILITA’ POLITICA
A chi si chiede ancora perchè il Tribunale di sorveglianza di Milano abbia concesso la riabilitazione
a Silvio Berlusconi c’è il provvedimento del giudice a spiegare tutto. Innanzitutto ci sono le relazioni delle Questure di Milano e Roma e dei carabinieri di Monza sul “requisito della buona condotta” del leader di Forza Italia dopo l’espiazione della pena per il caso Mediaset che “attestano un comportamento totalmente privo di segnalazioni rilevanti in termini negativi”.
Per i giudici le “pendenze” penali poi non sono “di per sè ostacolo”: l’ex premier è ancora imputato nei diversi procedimenti del Ruby ter e indagato per le stragi del 1993 dalla Procura di Firenze.
Nell’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza, a cui potrebbe opporsi entro 15 giorni in teoria la Procura generale, come già emerso viene dato atto che l’ex premier, tornato candidabile con la riabilitazione, ha versato il risarcimento di 10 milioni e 569mila euro all’Agenzia delle Entrate (anche 34.500 euro di spese legali della parte civile) e che la pena “è stata interamente espiata” con “superamento positivo dell’affidamento in prova” alla Sacra Famiglia di Cesano Boscone.
In più, Berlusconi ha anche pagato “le spese processuali” di circa 1,5 milioni di euro.
Il Tribunale ricorda poi che per accertare la buona condotta “non possono essere presi in considerazione i comportamenti anteriori” — neppure nel caso rivestano “chiara valenza negativa” — ai tre anni successivi all’espiazione della pena.
E scrivono che l’ex premier “non ha riportato condanne ulteriori” in questo periodo di tre anni, “neanche per fatti antecedenti rispetto al periodo in valutazione”.
E poi le “informazioni di Polizia e dei Carabinieri” redatte tra aprile e il 4 maggio scorso “danno conto di una buona condotta” e non riportano alcuna segnalazione negativa.
Solo due denunce del 2013 per diffamazione e “reati di scambio elettorale e truffa”, entrambe archiviate.
I “carichi pendenti” dei procedimenti Ruby ter, in corso a “Milano, Roma e Torino” — nell’atto dei giudici non sono, però, segnalati anche l’altro procedimento Ruby ter in corso a Siena e la vicenda escort-Tarantini a suo carico a Bari — “non escludono di per sè la sussistenza della regolarità della condotta”.
E questo anche se, come segnala lo stesso Tribunale, la presunta corruzione in atti giudiziari contestata arriva sino al “28 gennaio 2016”, ossia nel periodo dopo l’espiazione della pena che si è conclusa l’8 marzo 2015.
Sul punto, infatti, i giudici hanno seguito la linea della Cassazione secondo la quale “la mera pendenza di un procedimento penale per fatti successivi a quelli per cui è intervenuta la condanna” non è di “ostacolo” in sè all’accoglimento della riabilitazione, perchè vale la “presunzione di non colpevolezza”.
C’è poi pendente l’altro ricorso presentato dall’ex Cavaliere contro la decadenza da parlamentare: quello davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha tenuto un’unica udienza il 22 novembre scorso.
Per la difesa di Berlusconi la legge Severino ha avuto sulla sua posizione giuridica un effetto retroattivo. La decisione è prevista per il prossimo autunno, quando però il leader di FI potrebbe non averne più necessità ai fini dell’agibilità politica.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 14th, 2018 Riccardo Fucile
“SONO DEL SUD, NON VOGLIO FAR PARTE DI UN MOVIMENTO CHE SI ALLEA CON CHI DICEVA “VESUVIO, LAVALI CON IL FUOCO” (DI MAIO, 19 GIUGNO 2017)
Oggi l’editoriale di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano era costruito da una raccolta di citazioni con commento; cominciava con una interessante frase di Luigi Di Maio:
Le ultime parole fumose. “Io sono del Sud, non voglio far parte di un movimento che si allea con chi diceva ‘Vesuvio, lavali col fuoco’” (Lui gi Di Maio, allora vicepresidente M5S della Camera, Fanpage, 19.6.2017). Quindi ora si dimette da se stesso?
La buona idea della giornata è stata poi pubblicare proprio quella citazione con commento su Twitter e su Facebook:
Non uno splendido risveglio per i lettori del quotidiano.
(da “NextQuotidiano”)
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