NESSUN NOME FATTO DA DI MAIO E SALVINI DURANTE I COLLOQUI CON IL PRESIDENTE PERCHE’ IL PROBLEMA VERO E’ PROPRIO CHI FARA’ IL PREMIER
MATTARELLA CHIUDE LA FINESTRA ELETTORALE DI LUGLIO, MA DI FATTO A IMPEDIRE LE ELEZIONI ORA SONO STATI M5S E LEGA, CHIEDENDO ALTRO TEMPO
Tempo. Ancora. In questa trattativa infinita che, talvolta, assume i contorni della sceneggiata.
Parliamoci chiaro: cosa poteva fare Sergio Mattarella, di fronte a un negoziato avviato sia pur tra equivoci e retro-pensieri, davanti alla richiesta avanzata dai negoziatori di avere qualche altro giorno per portarlo a termine?
Semplicemente: concederlo, per consentire che si consumi, positivamente o negativamente, anche questo terzo (e ultimo) tentativo tra M5s e Lega, dopo che sono franate le due esplorazioni (tra centro-destra e M5s, e tra Pd e M5s).
Anche perchè di alternative per tentare la strada di un governo politico, al momento, non ce ne sono.
E in fondo un’altra settimana di tempo almeno un problema lo risolve, perchè chiude definitivamente e formalmente la finestra elettorale di luglio, considerato che tra scioglimento e voto devono passare sessanta giorni.
Il che, tuttavia, non cancella l’irritualità del momento e dei suoi protagonisti, per i quali ogni giorno annunciato come “decisivo”, diventa interlocutorio, tale da alimentare dubbi sull’esito stesso del negoziato.
Doveva essere domenica il giorno in cui Salvini e Di Maio avrebbero dovuto comunicare che “l’accordo è fatto” su programma e nome del premier.
E invece hanno chiesto 24 ore. Al termine delle 24 ore poi si sono presentati al Colle ancora senza un accordo nè sul nome nè sul programma.
E hanno chiesto, di fatto, una settimana, facendo sapere al Quirinale, non nei colloqui ma attraverso le agenzie di stampa, che ognuno ha convocato le sue consultazioni — in piazze reali o virtuali — per il week end.
Di nomi, nel corso dei colloqui, non se ne è proprio parlato, almeno così trapela, perchè appare chiaro che quello è il nodo: la figura che andrà a palazzo Chigi.
Detta in modo un po’ tranchant: è evidente che Salvini e Di Maio sono bloccati sul nome — è quello il punto divisivo — e per giustificare questa difficoltà hanno spostato il traccheggiamento sui programmi.
O meglio: il leader della Lega ha spostato il traccheggiamento sui programmi.
Al punto da alimentare il dubbio, tra gli attenti frequentatori del Colle: “La sua è la posizione di uno che sta preparando il terreno per sfilarsi o che sta alzando la posta per ottenere di più?”.
Perchè l’irrigidimento negoziale è evidente. Nei toni e nei contenuti.
A differenza di Di Maio, il leader della Lega è andato a elencare più problemi che soluzioni, più punti divisivi che elementi di una sintesi su cui i due partiti avrebbero dovuto lavorare in questi giorni, concludendo: “Ci sono distanze sui programmi, o si inizia o ci salutiamo”.
Non proprio una rassicurazione, dopo giorni di conclave politico e programmatico. Ma, al tempo stesso, non abbastanza — e non sarebbe nello stile di Mattarella — per suonare la campanella e sancire che la ricreazione è opportuno che finisca.
Richiesta, accompagnata da un sentimento di insofferenza se non ancora di esasperazione, che inizia a serpeggiare anche in una parte dell’opinione pubblica e sulla rete, dopo 70 giorni di giri a vuoto.
Provate a leggere qualche tweet: “Ma che ci siete andati a fare da Mattarella se non siete d’accordo su niente?”, “è possibile che si continui a perdere tempo e non siete capaci di fare un governo?”.
Ecco, sarà anche poco interventista l’attuale capo dello Stato. Ma questa sua gestione non invadente della crisi, rispettosa delle forze politiche e delle dinamiche che producono, ha già prodotto un effetto non banale: far vedere all’opinione pubblica la vera natura di questi partiti e, con essa, la loro responsabilità di fronte al paese, la capacità dei loro leader di trovare una soluzione dopo mesi di stallo, di chiudere uno straccio di accordo senza perdersi in chiacchiere.
È un approccio moderno, quello di Mattarella, consapevole del peso e del ruolo dell’opinione pubblica in questa fase così profondamente anti-istituzionale, in cui i partiti e i loro leader giocano tutto sul “fuori” più che sul “dentro”, ovvero la ritualità tradizionale propria della democrazia parlamentare: su facebook, nei gazebo, nel contatto diretto con l’opinione pubblica in ogni circostanza, anche quando parlano dalla Vetrata del Quirinale.
Se il capo dello Stato avesse proposto il governo del presidente all’inizio di questa crisi lo avrebbero accusato di golpe nelle piazze reali e virtuali.
Se sarà costretto alla sua scelta solitaria alla fine di quest’ultimo tentativo, sarà assai difficile leggere il fallimento, anzi i reiterati fallimenti degli altri, come una sua imposizione autoritaria.
E il tema del governo del presidente tornerà all’ordine del giorno.
Attenzione: nell’impossibilità oggettiva di votare a luglio, perchè sono stati Salvini e Di Maio a chiedere altro tempo chiudendo, di fatto, la finestra elettorale.
Loro, non Mattarella.
(da “Huffingtonpost”)
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