Destra di Popolo.net

STUDIO OXFORD ECONOMICS: CON LE PROPOSTE LEGA-M5S IL DEFICIT SALIREBBE AL 5,5% DEL PIL

Maggio 15th, 2018 Riccardo Fucile

LA PREVISIONE DI UNO DEI PIU’ IMPORTANTI ENTI AL MONDO DI PREVISIONI ECONOMICHE CHE LAVORA ANCHE PER I GOVERNI

Le misure che la Lega e il Movimento 5 Stelle stanno concordando per formare il governo, sempre che riescano ad arrivare a un accordo sul nome del premier, farebbero schizzare il deficit dei conti pubblici al 5,5 per cento del Pil nel 2019.
E’ quanto scrive in un report Oxford Economics, uno dei più importanti enti al mondo di previsioni economiche che lavora anche per i governi, aggiungendo però che le proposte saranno «annacquate per rimanere al di sotto del limite di disavanzo del 3 per cento fissato dall’Ue».
La ragione di questa riduzione starebbe – secondo il report firmato dall’economista Nicola Nobile – nelle clausole di salvaguardia dell’Iva, nell’opposizione del presidente Mattarella e nella possibile reazione dei mercati.
I tre punti principali concordati tra i due partiti (reddito di cittadinanza, taglio delle tasse e superamento della Fornero) costerebbero 100 miliardi l’anno
In base alle proposte dei due partiti, il deficit sarebbe insomma ben al di sopra del limite previsto dall’Unione europea e anche se si volesse rimanere sotto al 3 per cento, si tratterebbe di una percentuale non in linea con i vincoli europei: lo scenario di base prevede infatti un deficit all’1,3 per cento.
Proprio oggi su questo punto è arrivato un doppio avvertimento da Bruxelles, con i due vicepresidenti della Commissione, Valdis Dombrovskis e Jyrki Katainen, che invitano l’Italia a rispettare i parametri stabiliti «senza eccezioni».
Nel report di Oxford Economics si legge inoltre che i tre punti principali concordati tra i due partiti – il reddito di cittadinanza, il taglio delle tasse e il superamento della Fornero – costerebbero 100 miliardi l’anno: una situazione che condurrebbe «a un drastico deterioramento del disavanzo di bilancio con il deficit, stimato dal nostro modello economico globale, al 5,5% nel 2019».
Secondo le stime dell’ente, il reddito di cittadinanza costerebbe 30 miliardi, la flat tax circa 60 e la rivisitazione della legge sulle pensioni altri 15 miliardi.
In più servirebbero 31 miliardi nel biennio 2019-2020 per fermare l’aumento automatico dell’Iva fino al 25 per cento.
Questa spesa porterebbe a una crescita boom del Pil del 3 per cento nel 2019 e del 2 per cento nel 2020, contro l’1,4 per cento atteso per il prossimo anno: ma non si tratterebbe, secondo Oxford Economics, di una crescita duratura, in quanto andrebbe affrontato in primo luogo il problema del debito pubblico, il secondo più alto dell’eurozona.
L’aumento vertiginoso della spesa porterebbe infatti l’Italia a «far fronte a tassi d’interesse significativamente più elevati in quanto i mercati avranno dubbi sulla sostenibilità  della posizione fiscale del Paese».
L’ente descrive comunque la «poca voglia di fare riforme» ed è convinto che «non miglioreranno nè il debito pubblico, nè la bassa crescita della produttività ».

(da “La Stampa”)

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IL DEBITO PUBBLICO TORNA SOPRA 2300 MILIARDI E QUALCHE CAZZARO PENSA ANCORA DI FARE ALTRI DEBITI

Maggio 15th, 2018 Riccardo Fucile

A MARZO E’ AUMENTATO DI 15,9 MILIARDI

Il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, non fa in tempo a lanciare il suo monito dalle colonne di Politico sulla necessità  italiana di ridurre il debito, che Bankialia dà  una cifra al problema: 2.302,3 miliardi.
A tanto, a marzo, è arrivato il debito pubblico delle amministrazioni tricolori.
Nel mese si è registrato un incremento di 15,9 miliardi, di nuovo sopra la soglia di 2.300 che era già  stata superata nel luglio del 2017, quando si arrivò per la precisione a 2.308 miliardi.
L’incremento, spiega il consueto Bollettino di via Nazionale, è dovuto al fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche (20,1 miliardi), in parte compensato dalla diminuzione delle disponibilità  liquide del Tesoro: il conto corrente centrale si è alleggerito di 3,5 miliardi, a quota 44,8: erano 54,6 miliardi a marzo 2017.
Con riferimento alla ripartizione per sottosettori, segnala ancora Palazzo Koch, il debito delle amministrazioni centrali è aumentato di 16,0 miliardi e quello delle amministrazioni locali è diminuito di 0,1 miliardi.
Il debito degli enti di previdenza è rimasto pressochè invariato.
Dal Bollettino si legge anche l’aggiornamento sull’andamento delle entrate: a marzo quelle tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato sono state pari a 28,5 miliardi, pressochè invariate al livello dello stesso mese del 2017.
Nel primo trimestre 2018, rendono ancora noto da Palazzo Koch, le entrate tributarie sono state pari a 91,7 miliardi, risultando sostanzialmente stabili rispetto allo stesso periodo dello scorso anno; al netto di alcune disomogeneità  contabili, si può stimare che le entrate tributarie siano aumentate.

(da agenzie)

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CUCCHI, IL CARABINIERE: “IL MARESCIALLO MI DISSE ‘I RAGAZZI HANNO MASSACRATO DI BOTTE UN ARRESTATO”

Maggio 15th, 2018 Riccardo Fucile

LA CORAGGIOSA TESTIMONIANZA DI RICCARDO CASAMASSIMA IN CORTE D’ASSISE RISCATTA L’ONORE DELL’ARMA

«È successo un casino, i ragazzi hanno massacrato di botte un arrestato. Me lo disse una mattina dell’ottobre del 2009, senza fare il nome degli autori, un preoccupatissimo maresciallo Roberto Mandolini (da poco alla guida della stazione Appia, ndr), portandosi la mano sulla fronte e precipitandosi a parlare con il comandante Enrico Mastronardi della stazione di Tor Vergata».
È cominciato così davanti alla prima corte d’assise di Roma il racconto di Riccardo Casamassima, il carabiniere che con le sue dichiarazioni ha consentito alla Procura di approfondire l’indagine bis sulla morte di Stefano Cucchi (il geometra romano deceduto al Pertini il 22 ottobre del 2009 sei giorni dopo essere stato arrestato per droga) e di portare poi sul banco degli imputati cinque militari dell’Arma, per reati che vanno dall’omicidio preteritenzionale al falso, alla calunnia.
In servizio, all’epoca dei fatti, alla stazione di Tor Vergata e attualmente all’ottavo reggimento, Casamassima ha ribadito quanto già  dichiarato al pm Giovanni Musarò e al Procuratore Giuseppe Pignatone nell’estate del 2015.
«Al colloquio era presente Maria Rosati, anche lei all’Arma, poi diventata la mia compagna: mi rivelò che Mandolini e Mastronardi stavano cercando di scaricare le responsabilità  dei carabinieri sulla polizia penitenziaria. Lei stava lì – ha precisato oggi Casamassima – perchè fungeva da autista del comandante. Lei capì il nome Cucchi ma poichè la vicenda non era ancora nota, deduco che quando ci fu questo colloquio il ragazzo fosse ancora vivo».
*Che il giorno dell’arresto del geometra qualcosa non fosse andato per il verso giusto, Casamassima lo apprese successivamente dal maresciallo Sabatino Mastronardi, figlio del comandante: «Venne in caserma ed ebbi con lui uno scambio confidenziale: si portò la mano sulla testa e, parlando della morte di Cucchi, disse che non aveva mai visto una persona così messa male. Lo aveva visto la notte dell’arresto quando Cucchi venne portato a Tor Sapienza».
Chiamato a chiarire le ragioni della sua collaborazione con la giustizia a distanza di quasi cinque anni dai fatti, Casamassima si è così giustificato: «All’inizio la vicenda Cucchi non mi aveva visto coinvolto in prima persona, ma troppe cose fatte dai miei superiori non mi erano piaciute, come l’abitudine di falsificare i verbali e di coprire gli autori di illeciti. E vergognandomi di ciò che sentivo e vedevo, ho deciso di rendere testimonianza, pur temendo ritorsioni e pressioni che poi si sono puntualmente verificate. Non appena il mio nome è uscito sui giornali, ho dovuto fare i conti con una serie di procedimenti disciplinari, tutti pretestuosi. Continuano a farmi lavorare nello stesso reparto dove presta servizio un collega che sui social ha insultato pubblicamente me e la mia compagna».
Casamassina ha quindi ricordato di aver incrociato Mandolini una mattina dell’ottobre del 2016: «Ci siamo guardati male, io gli dissi solo di andare a parlare con il pm e a dire quello che sapeva. Gli dissi anche che la Procura stava andando avanti e che aveva in mano una serie di elementi importanti per fare luce su quanto accaduto. Lui mi rispose dicendomi che il pm ce l’aveva a morte con lui».

(da agenzie)

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IL VECCHIO COMUNISTA CHE HA VOTATO M5S “MA NON PER FARGLI FARE IL GOVERNO CON SALVINI”

Maggio 15th, 2018 Riccardo Fucile

STA ATTUANDO LO SCIOPERO DELLA FAME PER VEDERSI RICONOSCIUTA LA PENSIONE CUI HA DIRITTO

La storia di Francesco Briganti, portata all’attenzione dei media da Marco Furfaro, è stata raccontata oggi a L’Aria che tira su La7: ha i requisiti anagrafici per andare in pensione, ha versato contributi all’Inps, poi all’Enasarco, l’ente di assistenza per gli agenti di commercio. 17 anni di contributi, 41 mila euro. Ma non cumulabili con quelli Inps.
Al momento di andare in pensione, Enasarco gli comunica che quei soldi non bastano. Ne servono almeno altri 7 mila, tre anni di contributi.
Per questo Francesco ha iniziato lo sciopero della fame: “non lo faccio per me, ma contro un’ingiustizia che vivono decine di migliaia di persone. Diciamo sempre che in Italia le persone non si ribellano… ecco, io voglio ribellarmi, perchè è meglio rischiare di morire lottando che vivere arrendendosi. La mia vita è lo strumento per questa lotta”.
“Mi chiedono di morire lavorando”, come dice lui. Francesco chiede a Enasarco (che ha un attivo di 154 milioni di euro) almeno la restituzione dei 41 mila euro versati, ma gli sono stati negati.
Durante l’intervista la conduttrice Myrta Merlino gli chiede per chi abbia votato alle elezioni. E lui risponde: “Io sono un vecchio comunista, ho sempre votato in vita mia. Non ho nessuna difficoltà  a dirlo: non mi sono mai pentito di essere un vecchio comunista, però alle ultime elezioni ho votato 5 Stelle”.
E poi: “Ma per quel che mi riguarda, non perchè facessero un governo con la Lega, comunque”.

(da “NextQuotidiano”)

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ACCORDO SEMPRE PIU’ IN SALITA

Maggio 15th, 2018 Riccardo Fucile

L’UE AVVERTE L’ITALIA: “NUOVO GOVERNO CONTINUI A RIDURRE IL DEBITO

Il presidente Sergio Mattarella ha concesso altro tempo – fino al massimo a lunedì prossimo –   a Luigi Di Maio e Matteo Salvini per dare vita a un nuovo governo.
Ma il pessimismo cresce sulla possibilità  che l’esecutivo giallo-verde si riesca a mettere insieme. L’intesa sul nome del premier non c’è e anche sul programma restano parecchie distanze.
Questa mattina, infatti, gli sherpa dei due partiti si sono incontrati nuovamente per continuare a limare la bozza del contratto. Ma su molti punti si continua a litigare.
A cominciare dalle grandi opere.
I grillini sono storicamente contrari a tutte le grandi infrastrutture progettate al Nord, dalla Tav alla Pedemontana, dal Terzo Valico al gasdotto Tap.
Nessun accordo nemmeno sul tema migranti. La Lega propone rimpatri di massa per gli stranieri irregolari, introduzione del reato di immigrazione clandestina.
Il M5s, più attento alle ragioni di tipo umanitario, spinge per siglare patti bilaterali con i paesi d’origine.
Anche le legge sulla legittima difesa proposta dal Carroccio non piace ai pentastellati.
Entrambi i partiti sono pronti a consultare le rispettive basi. Il leader M5s al termine del colloqui con il Capo dello Stato ha annunciato il voto online degli iscritti sul contratto sulla piattaforma Rousseau, che avverrà  quasi sicuramente prima del week end. Stessa formula, ma nelle piazze italiane, sceglie la Lega, che sabato e domenica prossimi organizzerà  un referendum nei gazebo.
Se Salvini in un tweet mattutino ammette che oltre alla “coerenza e alla concretezza” serve anche “fortuna”, nel centrodestra si nutrono parecchi dubbi.
“Il rischio che fallisca la trattativa Lega-M5S c’è, perchè ieri avevano promesso a Mattarella che avrebbero dato il nome del premier, punto di partenza per la formazione del governo, e poi non sono stati in grado di farlo”, afferma Guido Crosetto, coordinatore di Fratelli d’Italia, a Radio1. Che aggiunge: “Penso che Sapelli fosse la persona individuata, ma poi si è mosso troppo e si è bruciato da solo”
Per il forzista Gianfranco Rotondi “le urne sono vicinissime”.
Mentre Renato Brunetta, a Radio anch’io, suggerisce un “preincarico a Salvini” o altrimenti “voto in primavera”.
Sul fronte Pd, invece, a parlare sempre a Radio 1 è il vicepresidente della Camera Ettore Rosato: “M5S e Lega si devono arrendere. Non so chi sia più pronto in caso di elezioni ma questo Paese ha bisogno di un governo. Chi dice di aver vinto, dopo 70 giorni non è in grado di realizzarlo, questo governo. Stanno litigando su tutto”.
Chiamato in causa, l’economista e premier mancato Giulio Sapelli afferma a Circo Massimo su Radio Capital: “Penso che sia difficile trovare un punto d’incontro, Lega e cinquestelle hanno stili politici troppo diversi”.
Dall’Ue intanto arriva un avvertimento da parte di Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione Ue, intervistato da Politico.eu: “È chiaro che l’approccio alla formazione del nuovo Governo e l’approccio rispetto alla stabilità  finanziaria deve essere quello di rimanere nel corso attuale, riducendo gradualmente il deficit e riducendo gradualmente il debito pubblico”.

(da “La Repubblica”)

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SALVINI CERCA LA VIA D’USCITA: “ALTO RISCHIO, BASSA RESA”

Maggio 15th, 2018 Riccardo Fucile

LA BATTUTA DI GIORGETTI DA’ IL SENSO DELLA SITUAZIONE: “ACCORDO? SI’, PER IL VOTO”

«Altissimo rischio politico, bassa resa». Sono le cinque parole attribuite al leader che nelle ultime ore in Lega si diffondono come fossero uno slogan. Ma è uno slogan per la campagna elettorale.
Lo dice Giancarlo Giorgetti all’uscita dal Quirinale. Il capogruppo leghista alla Camera, di fronte alle telecamere e ai taccuini spalancati, si lascia andare. Gli chiedono se la Lega si stia avviando verso un accordo con i 5 stelle. E lui risponde: «Per le elezioni… ».
Lo staff leghista si affanna a precisare: solo una battuta. Ma è quella che dà  il segno alla giornata. E le parole molto nette di Salvini dopo l’incontro con il capo dello Stato («Gli accordi un tanto al chilo non fanno per me») sono il segno, dicono i suoi sostenitori, di una svolta: «Siamo usciti dal piano inclinato. L’accordo con i 5 stelle non è più inevitabile».
Parole simili le avrebbe pronunciate il segretario: «Abbiamo costruito una via d’uscita rispetto al destino obbligato».
Perchè il tavolo sul programma è servito soprattutto a rimarcare le divisioni con i 5 stelle.
Quanto al candidato premier, la verità  è sempre la stessa: «Non c’è».
E così, la Lega si affida al repertorio antico per risolvere il problema attuale: il prossimo weekend torneranno nelle piazze i gazebo, simbolo rustico della volontà  popolare. In cui si chiederà  il parere dei cittadini su alcuni punti del «contratto» di governo con i 5 stelle in fase di complicata gestazione.
Guarda un po’, saranno sottoposti a consultazione proprio gli aspetti che – a dispetto di estenuanti riunioni – nel rapporto con gli stellati sembrano proprio non funzionare: immigrazione, legittima difesa, riformulazione dei trattati europei. Più l’abolizione della Fornero e la Flat tax, cuore del programma leghista.
Il faccia a faccia con Mattarella per Salvini è stato una «presa di coscienza». Tanto per cominciare sull’Europa.
Il presidente della Repubblica ha ricordato alla delegazione leghista l’entità  dei vincoli europei e internazionali dell’Italia. Non che Salvini li ignorasse, ma l’esposizione di Mattarella deve essere stata efficace. Perchè poco più tardi, il leader leghista si apriva con i suoi: «La verità  è che per superare quel tipo di vincoli, occorre un piglio di un certo tipo. Un’impresa così richiede una grande convinzione».
Sottinteso: piglio e convinzione che con i 5 stelle sarebbero assai difficili da mettere in campo. Il deludere l’elettorato anti euro non è che uno degli aspetti della «bassa resa» dell’accordo con gli stellati.
Peggio ancora sarebbe se nessuno vedesse il nuovo in tema di immigrati: «Impensabile mettersi in gioco senza essere certi di avere le mani libere» dice ai suoi Salvini. Sul fronte dell’altissimo rischio politico, c’è il rapporto con il centrodestra.
Il segretario leghista in prospettiva non crede alla «benevolenza» degli atteggiamenti di Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni: «Ci marcherebbero stretto e non ce ne lascerebbero passare una. Per giunta, Meloni si muove su terreni vicini a quelli della Lega, e dunque il rischio cresce».
Il presidente Mattarella, secondo i leghisti, è stato «molto corretto». Però, loro sanno che il presidente deve solo attendere qualche giorno prima che il tentativo di governo pentaleghista si areni da solo.
Per dipingere lo spirito in cui si muove il Quirinale, a Giancarlo Giorgetti è attribuita un’immagine presa da Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway. Citata così: «Dagli corda, dagli corda… quando si stancheranno, potrai tirarli su…».

(da “Il Corriere della Sera”)

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LA VISITA A SORPRESA DI SALVINI AD ARCORE DA BERLUSCONI: “MATTEO, RISCHI GROSSO”

Maggio 15th, 2018 Riccardo Fucile

“RISCHI DI FARTI DEL MALE, LA SITUAZIONE TI STA SFUGGENDO DI MANO”

Se potesse parlare direbbe che «quei due» non vanno da nessuna parte, che aveva ragione lui, che tutti i nodi stanno venendo al pettine, e infine che «Salvini rischia grosso, di farsi del male, perchè la situazione può scappargli di mano».
Se potesse Silvio Berlusconi non direbbe queste cose ai suoi collaboratori, o direttamente a Matteo Salvini, che ieri mattina lo è andato a trovare ad Arcore, ma farebbe una dichiarazione.
Ma l’ex premier per ora ha scelto di tacere, di stare a guardare, di non interferire.
È stato lui a farsi di lato, non dovrà  essere lui a provocare un eventuale fallimento delle trattative fra i 5 Stelle e la Lega.
Candidabilità  ritrovata
Ovviamente sotto sotto ad Arcore ci sperano: non stanno scrivendo la sceneggiatura, ma hanno l’auspicio che il film fra Di Maio e Salvini finisca male.
E non c’è nemmeno dubbio che l’ex premier abbia ragionato in modo diretto e aperto con Salvini, che se ha sentito il bisogno di fargli visita di prima mattina, senza rendere pubblica la notizia, avrà  i suoi motivi.
A cominciare da quello esplicitato al Quirinale, subito dopo l’ennesimo colloquio con Sergio Mattarella, e ovvero l’intenzione di mantenere intatta l’alleanza del centrodestra e dunque di muoversi dentro un perimetro di programma che faccia salvi i valori che Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi e lo stesso Salvini hanno sottoscritto prima del voto.
Se sia l’inizio di un ritorno a Canossa non lo sa nessuno. Berlusconi ieri era molto soddisfatto per la riabilitazione giudiziaria, per la candidabilità  ritrovata, per le grandi difficoltà  che sono emerse al Quirinale e, non da ultimo ovviamente, per la visita dell’alleato che lo ha informato in dettaglio sullo stato dell’arte, sulle distanze che ancora restano, e forse si allargano, con la pattuglia programmatica dei 5 Stelle.
Manifesto ottimismo
Non è difficile immaginare che l’ex premier abbia parlato in modo aperto con Salvini, invitandolo alla riflessione, ai rischi che la Lega affronta sposando un governo con i 5 Stelle, agli ostacoli che può trovarsi una volta arrivato dentro il Palazzo: una cosa sono i punti di un documento, ancorchè soppesato e condiviso da due partiti, un’altra la storia di entrambi, i rispettivi elettori, la concretezza e la difficoltà  dell’azione di governo in Italia.
Del resto è stato lo stesso Salvini a citare le infrastrutture, gli immigrati, la giustizia, come punti di grande distanza con Di Maio, punti che anche un esecutivo e una maggioranza omogenea farebbe fatica a gestire e ad affrontare, come si è visto negli ultimi anni.
Non è nemmeno difficile immaginare che lo scetticismo che Salvini ha esternato all’uscita dello studio del capo dello Stato, dopo alcuni giorni di manifesto ottimismo, siano stati in qualche modo anche collegati al colloquio mattutino.
Un’avventura partita male
Alla fine Mara Carfagna, una fedelissima di Berlusconi, oggi vicepresidente della Camera, fa una dichiarazione che riassume lo stato dell’arte con distaccata preoccupazione e allo stesso tempo diplomazia, più o meno lo stato d’animo dell’ex premier, che ad Arcore attende in silenzio la fine di un film che non gli piace: «Forza Italia – riassume la Carfagna – è preoccupata da questa infinita trattativa tra Lega e Movimento 5 Stelle, ci sembra un’avventura partita male. Non c’è intesa sui punti salienti del programma, non c’è accordo sul nome del premier e questo non è un dettaglio, perchè senza il governo non esiste. Ci auguriamo che riescano a mettere in campo un progetto serio, concreto e magari anche condivisibile. Per adesso vediamo solo tanta confusione mentre l’Italia resta a guardare e aspetta».
Nel frattempo escono i dettagli della riabilitazione alle cariche pubbliche pronunciata dal tribunale di Milano, e per Berlusconi sono un’ulteriore buona notizia, da quando ha finito il periodo di prova si è comportato «benissimo», scrivono i giudici.
Sestino Giacomoni, parlamentare storico di Forza Italia, riassume così: «Salvini rifletta bene, il tempo è scaduto, in primo luogo per gli italiani».

(da “Il Corriere della Sera”)

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LEGA-M5S, UN GOVERNO SULL’ORLO DI UNA CRISI DI NERVI, I CONSIGLIERI DI MATTARELLA: “PARE DI ESSERE SU SCHERZI A PARTE”

Maggio 15th, 2018 Riccardo Fucile

DI MAIO HA PAURA DELLE ELEZIONI E RIMANERE TAGLIATO FUORI, SALVINI HA PAURA DI TUTTO, CAPACE SOLO DI FARE IL CASINANTE

C’è Giulio Sapelli che è ancora lì ad attendere di sapere se gli faranno scegliere il ministro dell’Economia e vorrebbe Domenico Siniscalco, a via XX Settembre con Berlusconi.
C’è Giuseppe Conte che avrebbe anche il curriculum giusto ma la Lega fa sapere che le sue frequentazioni a Firenze (leggi: Maria Elena Boschi) non sono gradite.
C’è Enrico Giovannini, il cui nome è durato lo spazio d’un mattino prima che si tirasse fuori dal gioco perchè è un uomo di sinistra.
E Giampiero Massolo, nome fatto per essere bruciato già  la settimana scorsa.
E poi c’è Gianluca Vago, medico specializzato in Anatomia patologica e rettore della Statale di Milano, c’è Michele Geraci, professore di economia a capo del Global Policy Institute di Londra che ha detto che flat tax e reddito di cittadinanza sono incompatibili.
O Guido Tabellini, ex rettore della Bocconi che non piace per niente alla Lega.
O ancora Giulio Tremonti, che sarebbe il punto di contatto perfetto del M5S con Berlusconi.
Con in più il bonus di Sapelli che dice che “Nulla mi leva dalla testa che il Movimento Cinque Stelle sia stata un’invenzione americana ed israeliana per condizionare la nostra politica” e che qualche tempo sosteneva che “Esiste un arco istituzionale in Germania, in cui si muovono molti partiti che sapranno arginare questi neonazisti. Mi sembra, da questo punto di vista, che la situazione sia molto più preoccupante in Italia con il M5S. La Germania è vaccinata e ha gli anticorpi. Noi no. E non mi riferisco alle presunte istanze populiste del Movimento di Beppe Grillo, ma al suo evidente dna di matrice neonazista…“.
MoVimento 5 Stelle e Lega sono sull’orlo di una crisi di nervi perchè non trovano un nome spendibile per Palazzo Chigi, mentre Matteo Salvini denuncia in tv che non c’è accordo nemmeno sul programma: sull’immigrazione lui vuole le mani libere, sulla giustizia vorrebbe la legittima difesa potenziata e processi più svelti e dall’altra parte non c’è accordo.
Ce n’è abbastanza per dire che il governo Lega-M5S è già  in crisi prima di cominciare e, soprattutto, per segnalare che oggi le urne sembrano più vicine rispetto a una settimana fa, quando di accordi tra grillini e Carroccio nemmeno si parlava.
Tanto che c’è chi spiega che Lega e M5S potrebbero star preparando a un piano B in caso di rottura, cioè un ritorno alle urne l’un contro l’altro armati.
Mentre si è ancora “in alto mare” sui nomi di molti ministri, compreso quello per l’Economia, che dovrebbe andare al Movimento, il Fatto scrive che il M5S dice di voler insistere su Conte. Ma le voci di dentro dicono che il docente è quasi “bruciato” e che Di Maio è un’opzione ancora possibile.
E riemerge la suggestione della staffetta, con Salvini. Mentre la Lega annuncia per il fine settimana una consultazione pubblica nei gazebo sul contratto che non c’e’.
Una situazione disperata ma non seria, nella quale Lega e M5S sono andati a impelagarsi senza preoccuparsi troppo delle possibili conseguenze sul Quirinale, che ieri è tornato a concedere più tempo ai due partiti per trovare un accordo sul contratto di governo pur avendo ben chiaro che i problemi ci sono su Palazzo Chigi e su tutti gli altri posti da occupare.
La mossa di Sapelli, che ha una logica soltanto se la provenienza è quella del Carroccio, serviva a sciogliere l’impasse ma evidentemente non è piaciuta ai grillini.
Proprio per questo, mentre i sondaggi post-voto continuano a incoronare il centrodestra, c’è chi teme che la crisi possa sbloccarsi nel modo più improbabile ad oggi: con il ritorno al voto.
E ad averne paura oggi è proprio il M5S di Di Maio, spiega Annalisa Cuzzocrea su Repubblica:
Il ritorno alle urne, una soluzione che per qualche giorno il leader del Movimento aveva sposato riunendo i parlamentari e ottenendo un plebiscitario via libera, non sembra più praticabile.
«Ci siamo spinti troppo in là , se non la chiudiamo rischiamo di pagarla cara», è l’analisi di uno dei pochi ammessi nella war room in queste ore infuocate
Un rischio gigantesco non solo per i consensi del Movimento 5 stelle — che tanto sta concendendo sul tavolo della trattativa — ma anche per la leadership di Luigi Di Maio, nel momento in cui continua a chiedere tempo, al Colle e al Paese, sapendo che è proprio il tempo a giocare contro di lui.
Il leader M5S aveva pensato potesse essere un’opportunità  una trattativa lunga da sbloccare solo con il ritorno del suo nome sul tavolo.
Aveva trovato il Colle disponibile a sondare le reali possibilità  di un’intesa. Ma l’atteggiamento della Lega ha cambiato le carte in tavola. «Salvini ha paura di tutto. Di governare, del Quirinale, di Berlusconi. A lui conviene continuare a fare Salvini».
La sentenza dell’inner circle nasconde il timore di queste ore: i gazebo leghisti che bocciano l’accordo cui gli sherpa stanno lavorando giorno e notte.
Gli alibi dell’Europa o dell’immigrazione usati per far saltere l’intesa lanciando una campagna elettorale che descriva il Movimento come piegato al sistema e Salvini come l’unico in grado di sovvertirlo.
Al Quirinale, mentre il gossip descrive i consiglieri di Mattarella come pronti a ridere (“Siamo su Scherzi a parte!“), il presidente della Repubblica per ora sta al gioco. Dopo 71 giorni, è l’unica scelta che rimane perchè il governo tecnico è stato accolto male dal centrodestra, che è partito lancia in resta con la sua guerra alla tecnocrazia secondo un copione che gira indisturbato dal 2011.
Spiega Marzio Breda, re dei quirinalisti, sul Corriere:
Se ieri avesse bocciato il loro tentativo, avrebbe rischiato una valanga di polemiche e recriminazioni, spesso strumentali. Come quelle su cui insiste Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, che contesta il mancato incarico al centrodestra in minoranza, senza ricordare che allora fu proprio Salvini, leader della coalizione, ad andare oltre, proponendo elezioni anticipate.
Ecco dunque spiegata l’ennesima proroga. Il presidente ci si è rassegnato. E, fanno sapere dal Colle, siccome «non intende impedire la nascita di un governo politico che avvii finalmente la legislatura, ha preso atto della richiesta di Lega e 5 Stelle di avere qualche giorno in più… Le forze politiche faranno sapere loro quando saranno pronte».
Ben sapendo che potrebbero non esserlo mai. E potrebbe finire com’era iniziata: con il governo Gentiloni in carica per gli affari correnti e un paese al voto a settembre o a dicembre.
Proprio come aveva auspicato lui.

(da “NextQuotidiano”)

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M5S, L’ALLEANZA CON IL PD ERA SOLO UN DIVERSIVO

Maggio 15th, 2018 Riccardo Fucile

LA RICHIESTA DI RENZI CHE HA MESSO IN IMBARAZZO I GRILLINI

Stefano Feltri, vicedirettore del Fatto Quotidiano, scrive oggi che il MoVimento 5 Stelle non ha mai creduto all’intesa con il Partito Democratico e ha sempre puntato di più a quella con la Lega, i cui effetti possiamo ammirare già  oggi.
Questa è la ricostruzione della trattativa:
Si muove in avanscoperta il consigliere di Mattarella, Francesco Saverio Garofani. Nessuno dei 5 Stelle vuole interloquire direttamente con Renzi.
L’ex premier, come rivelato dal Fatto,si dichiara disponibile addirittura a sostenere un governo con Di Maio a Palazzo Chigi, ma vuole fuori dalla squadra tutti i ministri in carica nel governo Gentiloni per indicarne degli altri nuovi (e di sicura fedeltà ).
I negoziatori Cinque Stelle sono spiazzati: “Già  faticavamo a far digerire alla base il dialogo con il Pd, nemico di un’intera legislatura, ma un conto è dialogare con un Pd rinnovato, un altro lasciare tutte le decisioni a Renzi”.
I pentastellati erano disponibili a inserire nell’esecutivo guidato da Di Maio Paolo Gentiloni, Marco Minniti, Graziano Delrio, Dario Franceschini.
Ma non ad avere Renzi come interlocutore unico.
La lettera al Corriere è stata una mossa di Di Maio ma è stata anche concordata con il PD.
In ogni caso, “quando Renzi ha rotto noi abbiamo fatto un brindisi, il dialogo sarebbe saltato comunque una volta al tavolo a discutere di programmi”, dicono i pentastellati. Che sono sollevati, perchè finisce un’ipotesi di alleanza a cui non hanno mai creduto, ma anche un po’indignati: con la sua dichiarazione così pubblica, personale e aggressiva che delegittima la discussione interna al Pd, Renzi mette in imbarazzo anche Sergio Mattarella che stava aspettando il responso dalla direzione del partito.
In tutte le sue mosse, Di Maio (e il M5S compatto) ha sempre cercato di essere in piena sintonia con il Quirinale, senza mai mancare di rispetto alle prerogative del capo dello Stato che, da parte sua, non ha mai davvero esplorato maggioranze che escludessero il primo partito emerso dalle elezioni, cioè i Cinque Stelle.

(da “NextQuotidiano”)

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