Maggio 24th, 2018 Riccardo Fucile
IN SINTESI: DI MAIO VUOLE CONSEGNARE IL M5S A MASSA DI MANOVRA DI SALVINI O ACQUISIRE CREDIBILITA’ IN EUROPA?… SUL NOME DI SAVONA PUO’ SALTARE TUTTO
Certo, al Colle, deve essere bastata la fotografia di giornata. 
Il professor Giuseppe Conte, appena incaricato, che al primo piano di Montecitorio incontra le delegazioni dei partiti, come in un rituale già stanco che si consuma.
Al palazzo accanto Salvini e Di Maio, con i loro ambasciatori e uomini di fiducia, che compongono la lista del futuro governo, per poi consegnarla a Conte, nelle vesti del fidato esecutore più che del premier incaricato.
E, nella lista, alla casella dell’Economia compare ancora il nome di Paolo Savona.
L’immagine spiega le parole un po’ irritate, sempre nei limiti, che trapelano dal Quirinale dopo l’ennesima, sgrammaticata, esternazione del leader leghista sui veti di Mattarella: il tema all’ordine del giorno “non è quello di presunti veti (del Colle, ndr) ma, al contrario, quello dell’inammissibilità di diktat nei confronti del presidente del Consiglio e del presidente della Repubblica nell’esercizio delle funzioni che la Costituzione attribuisce a tutti due”.
Parole accompagnate dall’ennesimo — davvero – l’ennesimo — memorandum della Costituzione che prevede “scelte condivise tra presidente della Repubblica e presidente del Consiglio sulla scelta dei ministri” perchè è il primo ad avere il potere di nomina su indicazione del secondo.
Tradotto: il professor Conte farebbe bene a comportarsi da premier incaricato e non da postino di una lista spedita al Quirinale dai due veri titolari dell’azione di governo. C’è, nella lezione costituzionale, il messaggio, anche abbastanza chiaro.
Per evitare imbarazzi sui nomi domani quando sarà discussa la lista dei ministri, occorre che oggi il premier incaricato si muova nella consapevolezza del suo ruolo, di responsabile dell’azione del governo, nell’ambito di un perimetro di fedeltà internazionale su cui ha dato pubbliche assicurazioni.
E dunque evitare la tensione che, inevitabilmente, si creerà se nella lista dovesse esserci il nome di Paolo Savona.
Per parafrasare il poeta, qui si parrà la sua nobilitate.
Intanto, a prescindere da come finirà la “contesa” su Savona, Conte si è premurato di annunciare per venerdì mattina l’incontro col Governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. Un segnale chiaro di rassicurazione al Colle sull’attenzione ai conti pubblici.
Immaginate la scena, nella giornata di domani: Conte e Mattarella seduti di fronte, col primo che si alza per chiamare Salvini e Di Maio al telefono, non sapendo cosa fare sul nome più delicato.
Sarebbe l’ultimo atto di una crisi sottolineata da diverse sgrammaticature.
Però, parliamoci chiaro: davvero pensa il capo dello Stato che il professor Conte possa avere la forza politica, agli occhi dei suoi due leader di riferimento, per cambiare un equilibrio che hanno raggiunto?
La verità è che questo messaggio, come si dice in gergo, parla a suocera (Conte) perchè nuora intenda (ovvero Di Maio). È, per il leader pentastellato, l’ultima chiamata.
Che cosa vuole fare Di Maio, che attorno al rapporto col Quirinale ha costruito un pezzo rilevante del suo percorso di credibilità e affidabilità agli occhi delle istituzioni internazionali?
Mantenere una sua autonomia e, al tempo stesso, una sponda istituzionale, o cedere al vitalismo anti-europeista di Salvini e consegnare i Cinque stelle al ruolo di massa di manovra di Salvini?
Cosa farà Mattarella di fronte a un eventuale muro granitico attorno al nome di Savona non è dato saperlo.
Potrebbe far valere fino in fondo le sue prerogative, anche al punto di mettere a rischio l’accordo. Oppure no.
I più critici, sull’operato del Colle, già pensano a un “ulteriore cedimento”, in questo negoziato in cui — in nome della necessità di evitare il ritorno al voto — il Quirinale sembra aver allentato il rigore sulle sue prerogative costituzionali, accettando un contratto di governo che ha risvegliato i mercati, una trattativa extra-istituzionale di due leader che ne hanno dettato modi e tempi e un nome, il Professor Conte, sotto pressione delle minacce di un ritorno al voto.
Anche l’esame su Conte, severo e scrupoloso, annunciato alla vigilia, densa di imbarazzi sul curriculum professionale e di dubbi su quello politico, si è risolto senza tanti problemi con l’incarico pieno.
Sia come sia, anche in questo caso, sono inevitabili le conseguenze, perchè sarà scontata una tensione quotidiana, nell’attività legislativa e nel rapporto con l’Europa, tra il capo dello Stato e un governo a trazione leghista.
E comunque un mutamento radicale di rapporti con quei Cinque Stelle a cui, in questi mesi, il Quirinale ha dato una grande patente di presentabilità , anche agli occhi delle istituzioni europee.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 24th, 2018 Riccardo Fucile
UNA GIORNATA SURREALE A MONTECITORIO
Giuseppe Conte accoglie le delegazioni di tutti i partiti nella sala dei Busti, una stanza della Camera prospiciente alla presidenza. Un lungo tavolone di legno.
Da un lato il premier incaricato, affiancato da Tommaso Donati, capo dell’ufficio legislativo del Movimento 5 stelle a Montecitorio, e Alessio Festa, funzionario del palazzo da tempo distaccato con Luigi Di Maio. Sul tavolo fogli e appunti. E un facciario. Uno di quei fascicoli preparati dagli uffici di entrambi i rami del Parlamento che associa nomi e volti per permettere ai commessi e agli stessi onorevoli di riconoscere i novizi, e ai novizi di orientarsi in un mondo nuovo.
Totalmente nuovo, nel caso del presidente del Consiglio incaricato, che lo ha consultato soprattutto per dare identità precisa agli esponenti dei gruppi più piccoli che si sono susseguiti al suo cospetto.
Anche lo stesso calendario è stato preparato con l’ausilio del cerimoniale della Camera. Essendo da un lato Conte del tutto inesperto, dall’altro la stessa struttura 5 stelle impreparata a funzioni e meccanismi mai gestiti prima.
Il premier in pectore è arrivato di buon mattino, e si è chiuso negli uffici del governo, a una porta di distanza dal Transatlantico.
Vano il tentativo di un cronista che era riuscito ad avvicinarsi e a scambiare due parole di cortesia, respinto senza tanti complimenti dai commessi. Al contrario, ottiene il via libera senza problemi la comunicazione del Movimento, che lo raggiunge per realizzare foto e video di rito.
Conte inizia la lunghissima giornata di consultazioni. Otto ore quasi non stop, se non per il pranzo e per alzarsi una o due volte per brevi confronti con il presidente Roberto Fico.
Si alza per accogliere tutte le delegazioni, offre a tutti il caffè, ascolta più che parlare. La formula con la quale rompe il ghiaccio, con varie sfumature, suona sempre più o meno così: “Se fossimo nel vecchio sistema dei partiti farei enunciazioni di principio. Invece ora al primo posto c’è il programma, che conoscete: ditemi voi cosa ne pensate”.
Da lui e dal suo staff non trapela una parola. Sembra lo stile stesso del personaggio. Una casa in zona di via del Governo vecchio, che condivide con molti esponenti del Pd (dal capogruppo al Senato Marcucci al senatore Del Barba, fino a Lorenzo Guerini, trasferitosi da poco), l’abitudine di fermarsi a volte la sera in una pizzeria della zona, la spesa fatta spesso in prima persona in un piccolo supermercato a due passi di piazza Navona. Ma scarsi rapporti con il vicinato, che lo descrive come riservato e di poche parole.
Nel corso della giornata batte continuamente sul tasto: c’è il programma, su tutto il resto ci sono due forze politiche di maggioranza, e le risposte su altri temi saranno nella mediazione tra le rispettive istanze.
Non nasconde di essere stato scelto dal Movimento 5 stelle, e solo a chi insiste di più si spinge a dire che la vera priorità della sua azione di governo sarà il reddito di cittadinanza.
In sala stampa la giornata è interminabile. A metà pomeriggio iconica l’immagine di una cronista assorta nella lettura di Sciascia: “Qui non succede nulla”. Erano i minuti d’attesa di un Silvio Berlusconi che tardava. Quando si sparge la notizia che l’ex Cavaliere si è già allontanato da Montecitorio dopo aver disertato i microfoni e aver affrontato faccia a faccia Matteo Salvini, scoppia il caso di giornata. Presto rientrato. L’incontro, fanno sapere da ambo le parti, è stato cordiale, e il leader azzurro non si è presentato davanti ai microfoni per non stressare ulteriormente le distanze di un centrodestra sfilacciato. Ma la linea viene confermata poco dopo: niente fiducia e opposizione.
Lui ascolta, parla poco. Forse una dote mutuata dallo zio, il fratello del papà , entrato nel convento di padre Pio a San Giovanni Rotondo e oggi per tutti frate Fedele. Quando entra il Pd chiede a tutti e quattro gli esponenti del partito di esprimere la loro opinione. Gli piovono addosso critiche dure, fino all’incostituzionalità di molti passaggi del programma. Lui ringrazia per il contributo. Fine.
A Fratelli d’Italia risponde sul Tav: “Voglio studiare bene le penali di un’eventuale uscita dal progetto. Qualora fossero affrontabili la linea sarà quella di uscirne”. Ricevendo una ramanzina indiretta di Salvini, uscito dall’incontro scravattato e con un block notes A4 sottobraccio: “Dobbiamo partire con le opere da fare, non da disfare”.
Ma sono pillole, spunti strappati dietro insistenza.
Chi ci ha parlato è diviso tra coloro che lo ritengono un portavoce di interessi altrui (“Non ha alcuna autonomia”, dice il destrorso Fabio Rampelli, qualcuno è più duro: “Un pupazzo”) e chi ne è rimasto colpito almeno per il garbo e la capacità di mettere a suo agio gli interlocutori.
Il venerdì si preannuncia campale. Un’intera giornata chiuso negli uffici del governo della Camera, a limare il governo che con tutta probabilità verrà presentata al Quirinale sabato mattina.
“Domani la giornata sarà passata a limare il contratto… ehm, la squadra dei ministri”, ha detto a fine serata rilasciando una breve dichiarazione.
Se il buongiorno si vede dal mattino…
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 24th, 2018 Riccardo Fucile
INTRODOTTO DAL CENTRODESTRA LUSITANO E MANTENUTO DAL CENTROSINISTRA… DA NOI PENSANO AI CONDONI E A FAVORIRE GLI EVASORI
Lisbona, quartiere di Alfama, undici di sera. Fuori, il vento dell’Atlantico spazza via le ultime nuvole
della giornata.
Dentro, una donna siede al tavolo della cucina. Accende il tablet, si collega al sito dell’agenzia delle entrate portoghese e inserisce la password.
Sul video appaiono alcune scritte colorate: salute, educazione, familiari, affitto, lavori di casa, trasporti, ristoranti, supermercato, veterinario, parrucchiere, automobile, motociclo.
Sotto ogni scritta c’è una cifra. «Indicano quanto ho speso l’anno scorso per ciascuna di queste voci, e di conseguenza quanto potrò detrarre dalla mia dichiarazione dei redditi».
Catarina Pinto da Silva, 40 anni, commessa dei grandi magazzini El Corte Inglès, può contare su quattro vantaggi rispetto a una sua collega italiana alle prese in questi giorni con il 730.
Il primo è che risparmierà 3.753 euro di tasse, traduzione pratica di quelle detrazioni che appaiono sul tablet.
Il secondo è che per ottenere questo sconto non c’è stato bisogno di accumulare in qualche cassetto di casa centinaia di scontrini, come invece succede da noi a chi vuole scaricare le spese sanitarie: perchè ogni volta che è andata a comprare qualcosa, a farsi la messa in piega o a pagare l’idraulico, Catarina ha fornito il suo codice fiscale ricevendo in cambio uno scontrino identificativo caricato direttamente sul sito dell’agenzia delle entrate.
Il terzo vantaggio è che alla commessa di Lisbona per compilare la dichiarazione dei redditi basterà schiacciare il tasto invio per spedirla al Fisco.
Il quarto e ultimo beneficio dipende invece dalla fortuna. Ogni volta che la donna spende 10 euro, lo scontrino riporta un codice numerico che le permette di partecipare a una lotteria con premio massimo di 50 mila euro.
«Di tutte le persone che conosco nessuno finora hai mai vinto la lotteria», racconta la signora Pinto da Silva, «ma la speranza di farcela, e soprattutto la certezza di poter risparmiare qualche migliaio di euro all’anno, ha portato a un cambiamento radicale nell’atteggiamento di noi portoghesi: mentre prima era un’abitudine di pochissimi, oggi qui si fa a gara per farsi fare lo scontrino».
Il nome dato a questo programma è “e-fatura”.
Significa fatturazione elettronica ed è stato introdotto a partire dal 2013 per combattere l’evasione. Una piaga devastante per l’economia lusitana. O almeno così era fino a cinque anni fa, quando l’allora governo di centro destra, nel pieno della crisi finanziaria che ha portato a Lisbona i tecnici della Troika, decise di adottare questo metodo basato su una piccola rivoluzione tecnologica: collegare tutti i registratori di cassa del Paese all’agenzia delle entrate, così da tenere traccia di ogni fattura o scontrino emesso.
I dati dell’istituto di statistica portoghese dimostrano che la riforma ha prodotto risultati invidiabili.
Racconta Monica Paredes, portavoce del ministro delle Finanze Mario Centeno, da poco diventato anche presidente dell’Eurogruppo: «Da quando è partito il programma e-fatura, le entrate fiscali sono aumentate in modo significativo, molto di più rispetto a quanto è cresciuto il pil e i consumi delle famiglie. Tutto questo significa una cosa: è calata l’evasione fiscale».
Detta dal rappresentante di un governo di sinistra, che la riforma l’ha ereditata senza cambiarla di una virgola, l’affermazione assume un valore ancor più significativo. Soprattutto se osservata da casa nostra, dove l’economia nera sottrae ogni anno decine di miliardi alle casse dello Stato.
Gli studi più attendibili calcolano che in Italia vengono evasi ogni anno tra i 110 e i 140 miliardi di euro. Soldi con cui, tanto per dire, si potrebbe raddoppiare la spesa sanitaria nazionale.
O dare una netta sforbiciata alle tasse in un Paese in cui, calcola l’Ocse, la pressione fiscale è la sesta più alta al mondo.
Il problema è come recuperarli, questi soldi, cioè come far sì che tutti paghino le imposte.
Quanto è costata invece la riforma portoghese? Zero.
I commercianti si sono infatti limitati ad aggiornare i loro sistemi di fatturazione, permettendo a ogni registratore di cassa di trasmettere direttamente le ricevute al Fisco, e il nuovo sistema è partito.
Spiega Diogo Ortigà£o Ramos, avvocato di Lisbona esperto in diritto tributario e partner dello studio Cuatrecasas: «L’unico aiuto pubblico messo a disposizione consiste nella possibilità offerta ai commercianti di recuperare più velocemente del passato i costi sostenuti per aggiornare i registratori di cassa. Anche per questo credo che la riforma abbia avuto un successo clamoroso a livello popolare. Ha permesso di ridurre l’economia sommersa e ha modificato la percezione della gente nei confronti delle tasse».
Il tutto senza aumentare la spesa pubblica nè la pressione fiscale.
Viene da chiedersi allora perchè l’Italia non abbia ancora seguito il modello lusitano. E per quale motivo, invece di proporre riforme che secondo molti esperti rischiano di mandare a picco i conti del Paese, i partiti che si apprestano a governarlo non prendano in considerazione una riforma magari meno allettante della flat tax, ma decisamente più praticabile.
Indagando sul tema si scopre che in realtà l’idea di prendere spunto da Lisbona era stata seriamente considerata dai governi guidati da Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Ma alla fine non se n’è fatto niente.
Lo racconta un alto funzionario del ministero dell’Economia, che in cambio dell’anonimato spiega chi finora si è opposto alla rivoluzione.
«Va detto che un piccolo passo in avanti è stato fatto con le detrazioni per le spese mediche, visto che i registratori di cassa delle farmacie sono già collegati all’agenzia delle entrate. Premesso questo, esistono evidentemente alcune categorie che guardano con preoccupazione una riforma simile a quella portoghese. Ci sono i commercianti, i quali vedrebbero diminuire sensibilmente la possibilità di fare nero, ma anche i commercialisti e tutte quelle associazioni che attraverso i Caf incassano parecchio denaro ogni anno assistendo pensionati e dipendenti alle prese con la dichiarazione dei redditi», racconta la fonte del ministero dell’Economia.
Di certo alla fine ne è venuta fuori una riforma che porta lo stesso nome di quella portoghese (e-fattura), ma ha caratteristiche piuttosto diverse.
Dal 2015 in Italia i fornitori della pubblica amministrazione devono emettere fatture elettroniche, obbligo che dal prossimo luglio dovrebbe essere esteso a tutte le cessioni di carburante e dal gennaio dell’anno prossimo sarà allargato a ogni operazione commerciale tra imprese.
La differenza fondamentale rispetto al Portogallo è che da noi gli scontrini elettronici non arriveranno ai consumatori finali.
I quali non potranno scaricare dalla dichiarazione dei redditi spese come l’idraulico, il gommista o il parrucchiere. Proprio i settori in cui, dice l’agenzia delle entrate, l’evasione fiscale è più diffusa.
Secondo Andrea Parolini, docente di diritto tributario all’università Cattolica di Milano e partner dello studio Maisto e Associati, «è un peccato non aver ancora deciso di dare queste opportunità ai contribuenti. Sebbene queste ipotesi facciano spesso sorridere i puristi della materia, l’esperienza portoghese dimostra che nella lotta all’evasione dell’Iva gli strumenti premiali possono essere efficaci quanto quelli restrittivi».
La tesi è condivisa anche da alcuni esponenti della cultura umanistica. Spiega ad esempio Gabriele Giacomini, ricercatore di Neuroscienze cognitive e Filosofia della mente all’università di Udine: «Come sosteneva Foucault, lo Stato non deve limitarsi a punire, deve anche premiare i comportamenti virtuosi perchè così li incentiva. Quella portoghese è una soluzione dove vincono tutti: lo Stato, che incassa più denaro, e il singolo cittadino che risparmia e può sperare di vincere la lotteria».
Vincenzo Visco, più volte ministro delle Finanze con il centro sinistra, uno che della lotta all’evasione ha fatto il suo tratto distintivo, condivide buona parte della strategia fiscale adottata da Lisbona, a partire dal collegamento dei registratori di cassa con l’agenzia delle entrate.
«Lo avevo suggerito a Renzi quattro anni fa», racconta l’ex ministro, «ma non se n’è fatto niente e credo che la ragione sia semplice: si è creduto che in un Paese di piccole imprese la tolleranza sull’evasione portasse consenso».
Ciò che Visco non condivide del modello lusitano è però la possibilità di detrarre le spese dichiarate: «Da una parte questo toglie gettito potenziale, perchè lo Stato rischia di restituire più di quanto incassa, dall’altra non va dimenticato che esiste sempre la possibilità di un accordo tra le parti». Come dire: pagare in nero è comunque più conveniente che farsi fare la ricevuta, sebbene detraibile. «Sarebbe meglio limitarsi alla lotteria», è la sintesi di Visco, «così da offrire un incentivo senza perdere gettito». Alla fine, comunque la si pensi resta un fatto, anzi due. La riforma ha permesso al Portogallo di migliorare i conti pubblici senza alzare le tasse per persone e imprese.
E il nuovo governo italiano, quello che va formandosi con Lega e Movimento 5 Stelle al potere, non sembra avere alcuna intenzione di prendere esempio da Lisbona.
(da “L’Espresso”)
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Maggio 24th, 2018 Riccardo Fucile
IN ALTRE OCCASIONI LA MAGISTRATURA HA APERTO UN FASCICOLO PER APPURARE CHI APPROFITTA COME UN OROLOGIO SVIZZERO DI QUESTE USCITE PERIODICHE PER OPERARE IN BORSA, GUADAGNANDO TANTI EURINI
A poco più di un’ora dalla fine delle contrattazioni Piazza Affari allarga le perdite: le vendite sono aumentate dopo le parole del leader della Lega, Matteo Salvini, convinto che se l’Ue chiederà all’Italia una manovra da 10 miliardi, il nuovo governo giallo-verde «farà il contrario».
Salvini ha inoltre difeso il nome di Paolo Savona come ministro dell’Economia:«Pare che qualcuno non voglia Savona ministro dell’Economia.
In mattinata, invece, l’indice era arrivato a guadagnare l’1%, sull’onda del discorso pronunciato ieri sera da Conte.
Lo spread intanto ha toccato i 192 euro.
Le parole di Salivi hanno incoraggiato le vendite sulle banche, che invece in mattinata avevano tentato il recupero.
Del resto un’incertezza politica potrebbe essere seriamente penalizzare il settore, particolarmente esposto all’andamento dei bond e dello spread.
Banca Pop Er , dopo avere più volte cambiato la direzione di marcia, ha imboccato la strada del ribasso, perdendo i punti conquistati ier
Sono inoltre vendute le azioni di Unicredit, nonostante che gli analisti di Equita abbiano raccomandato un giudizio positivo.
Ieri anche Fitch aveva lanciato l’allarme sulle banche italiane, in modo da tenere conto dell’impatto legato all’incertezza politica.
Fuori dal paniere principale, Banca Mps perde oltre il 3%, pagando dazio all’incertezza politica. La banca senese è legata a doppio filo alle vicende del Governo, dal momento che il Tesoro detiene il 68% del capitale.
(da “il Sole24Ore”)
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Maggio 24th, 2018 Riccardo Fucile
MOLTE LE CRITICHE: “SPOCCHIOSO, ARRIVA SEMPRE IN RITARDO ALLE LEZIONI O NON SI PRESENTA NEPPURE, DISORGANIZZATO”
Mentre nei palazzi della politica proseguono le consultazioni che porteranno alla nascita del
Governo del cambiamento continua a crescere la curiosità sull’avvocato del popolo Giuseppe Conte.
Parzialmente soddisfatte quelle sul curriculum e sulla singolare scelta di inserirci anche le giornate trascorse in biblioteca e in attesa di conoscere come si svilupperà la visione politica del Presidente del Consiglio ci si concentra sul gossip.
Non il «maligno gossip-check-up» inviso a Beppe Grillo.
Ed in mancanza d’altro per conoscere un po’ di più il personaggio ci si affida anche alle opinioni degli studenti dell’Università di Firenze che hanno frequentato il corso di Conte e sostenuto con lui l’esame di diritto privato.
L’ANSA ad esempio è andata ad intervistare alcuni ex studenti di Conte .
Ieri era il giorno del primo appello per l’esame e dal momento che Conte era al Quirinale gli studenti hanno sostenuto la prova con gli assistenti.
Non tutti gli ex alunni di giurisprudenza però esprimono giudizi lusinghieri.
Ha suscitato molto scalpore il post di un’ex studentessa (poi rimosso) che accusava Conte di avere un “fare spocchioso”, di arrivare in ritardo a lezione o di non presentarsi affatto.
Per arrivare infine alla presunta tendenza del docente nel “fare gli occhioni dolci alle studentesse”.
Parallelamente nei giorni scorsi sono comparsi su Facebook diversi screenshot che sembrerebbero corroborare l’ipotesi che il professor Conte non sia poi così amato da tutti.
Si tratta per lo più di post pubblicati nei gruppi Facebook degli studenti della facoltà di Giurisprudenza negli anni scorsi (2013) e che riguardano ad esempio la “disorganizzazione” nella pubblicazione delle date degli appelli o nella registrazione degli esami.
In alcuni commenti Conte viene definito “l’uomo più mal organizzato della storia universitaria italiana”.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 24th, 2018 Riccardo Fucile
QUANDO INVOCAVA PIU’ POTERI ALLA BANCA CENTRALE E UN EURO FORTE… LA CONVERSIONE SOLO NEL 2012 PER USCIRE DALLA MARGINALITA’ POLITICA CUI ERA ORMAI CONFINATO ED ECCO CHE SCOPRE CHE “SIAMO SERVI DELLA GERMANIA”
Interviste, fondi, lettere al direttore, c’è un po’ di tutto nella florida produzione pubblicistica di Paolo Savona prima che diventasse “No-Euro”, prima che svelasse il “complotto tedesco per colonizzare l’Europa con la moneta”, prima che si accorgesse che la BCE altro non è che lo strumento per la realizzazione del “piano Funk” .
Ed è davvero difficile collezionare l’incredibile messe di articoli, ispirati alla più becera e ottusa ortodossia monetaria, partorita dall’autorevole economista prima che venisse illuminato sulla via di Savona e cominciasse ad accreditare teorie economiche efficaci come il metodo Stamina.
Ma d’altronde vi risulta esista, nel 2018, un sistema più efficace per prendere i big like e candidarsi come possibile ministro 25 anni dopo il Governo Ciampi che spararla grossa dal pulpito dell’internet?
In effetti no, nell’epoca dell’uno vale uno, della politica ridotta a chiacchiera da bar, dei ministri improvvisati e dei 31enni senza competenze che “fanno la storia”, non c’è da meravigliarsi.
E dunque non meraviglia il fatto che tutti gli illustri intellettuali del sovranismo nei quinquennio 92-97 quando si prendevano le decisioni sulla moneta unica fossero tutt’altro che rivoluzionari, fossero anzi perfettamente inseriti nel pensiero economico monetarista ortodosso e tacessero sui “danni dell’euro” che dovevano poi scoprire nell’epoca di Paolo Barnard, Claudio Borghi e Alberto Bagnai.
Un esempio su tutti: avrete senz’altro sentito parlare di Euro come “strumento per attuare la deflazione salariale”, come “macigno gettato dalle èlite sulle spalle del popolo ignaro”.
Beh per Savona nel 2000 questo non solo non era un problema, ma addirittura un’opportunità .
In una lettera al Direttore del Corriere della Sera del 13 maggio 1999, il professore si lamentava del fatto che: “la debolezza dell’euro sul dollaro” alterasse “le condizioni di una corretta concorrenza sul mercato globale riducendo la pressione sui governi e i sindacati per modificare le condizioni …. che ostacolano la crescita del reddito e dell’occupazione”
Mannaggia all’euro troppo debole
Non c’è che dire: Jens Weidmann — e con lui tutti gli ordo-liberisti — sarebbe orgoglioso di un “tecnico” senza peli sulla lingua che dice chiaramente che l’euro non funziona bene; ma non (come dice Bagnai e oggi anche Savona) perchè è sopravvalutato, ma perchè lascia questi pigri governi levantini e i noiosissimi sindacalisti italiani liberi di cazzeggiare e strapagare gli operai.
Ancora, domenica 2 gennaio 2000, sempre sul Corriere, Savona tornava con un editoriale a lagnarsi dell’Euro troppo debole, sfotteva politici e banchieri centrali rei di ripetere che l’euro “era una moneta forte” quando lui (col solito senno di poi) aveva già capito tutto e invocava, addirittura “più poteri alla Banca Centrale”.
Quella Banca Centrale che oggi, epigona nientemeno dei governi nazisti, ci vuole così male.
Ma non basta. Gli archivi di Repubblica riportano una posizione di Savona del 1996 (quando si discuteva il concambio lira/marco in base al quale sarebbe stato deciso poi il cambio lira/euro) con la quale il futuro ministro gialloverde invocava di apprezzare la Lira e cambiarla a 950 £/1dm invece che 1000 £/1dm e avere così una valuta più forte.
La Stampa dell’8 settembre 1997 riporta poi — nel contesto del dibattito avviato da Rudy Dornbush sulla data più opportuna per avviare la moneta unica — un’opinione dell’epoca di Savona per il quale l’Euro doveva essere “vicino, vicinissimo” se possibile “addirittura anticipato”
La conversione sulla via di Savona
Una costante nel pensiero savoniano però la ritroviamo anche vent’anni fa: l’amore per il komblotto. Andando a frugare sempre nell’archivio di Repubblica, troviamo una dichiarazione del settembre 1997 (4 anni e mezzo prima dell’introduzione della moneta unica) quando Savona avvertiva che “le sorti dell’euro resteranno incerte sino all’ultimo momento” poichè “una bufera monetaria voluta da gruppi di potere ostili all’integrazione monetaria” sarebbe in grado di far naufragare il progetto.
Saranno gli stessi oscuri gnomi che oggi complottano contro la Nazione Sovrana? (Speriamo che Mattarella glielo chieda).
Insomma non solo quando contava davvero qualcosa Paolo Savona si guardava bene dal rompere le scatole a politici, economisti, banchieri che lavoravano per introdurre la moneta unica, ma si diede da fare per partecipare e sostenere il processo di integrazione e, una volta introdotto il nuovo conio, si guardò bene per una decina d’anni dal criticarlo se non per il solo motivo che tendeva a svalutarsi troppo facilmente drogando la concorrenza e ingrassando le aziende europee in maniera inefficiente.
Poi nel 2012, in piena recessione, probabilmente un po’ annoiato dalla marginalità politica alla quale era stato confinato se non altro per motivi anagrafici, nasce il nuovo Savona.
Il Savona che ci spiega che siamo servi della Germania, che l’Euro è il male, che abbiamo bisogno di un piano B per uscire dall’euro.
Beh, ma forse su questo lo dovremmo ascoltare, lui il Piano B l’ha messo in pratica alla perfezione. Il suo.
(da “NexQuotidiano”)
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Maggio 24th, 2018 Riccardo Fucile
LA MALAFINANZA SI COMBATTE FORSE CON CHI HA FATTO PARTE INTEGRANTE DI QUEL SISTEMA?
L’analisi del curriculum vitae è diventato l’argomento della settimana. Sono circa trenta anni che,
per motivi professionali, valuto curricula e, da sempre, i criteri di scelta dei candidati sono tarati sui profili richiesti dal committente.
Esiste, in questa attività , una regola imprescindibile: indipendentemente dai requisiti oggettivi e, spesso, anche brillanti del candidato (voti, skill, esperienze, pubblicazioni, ecc), è necessario che nel processo di selezione ci sia coerenza tra ciò che vuole il datore di lavoro e ciò che il selezionando può esprimere nel ruolo da affidargli.
Ecco il punto.
Negli ultimi anni e soprattutto durante tutta la campagna elettorale il M5S ha focalizzato tanta attenzione sui temi della malafinanza proponendo anche un ricambio generazionale del management che aveva provocato quei disastri.
Facce nuove, pulite e senza alcun legame con l’establishment consolidato
Non solo. Nella successiva proposta di contratto di governo sono stati evidenziati punti determinanti per la lotta al sacco bancario come la creazione di una banca pubblica, la revisione del bail in, l’inasprimento delle pene per i fallimenti dolosi responsabilizzando management e autorità di controllo e la separazione tra banche di investimento e credito al pubblico.
Una vera e propria rivoluzione, se si facesse.
E soprattutto se si realizzasse con un ministro dell’Economia dal profilo appunto coerente con le dichiarazioni elettorali dei rappresentanti dei datori di lavoro (elettori). Il professor Paolo Savona, dall’eccellente e ricco curriculum, indicato da Matteo Salvini, sembra infatti una scelta poco coerente con i propositi di Di Maio.
Qui non si discutono le skill e la caratura dell’esimio professore.
Qui non stiamo ragionando sui rischi derivanti dall’approccio anti-euro dell’illustre economista.
Qui ci si meraviglia di fronte alla incoerenza tra ciò che si è “venduto” durante la campagna elettorale e quello che invece si sta proponendo una volta ricevuta la fiducia dagli italiani.
Forse Luigi Di Maio non ha letto (nel relativo cv) che il professor Savona è stato dapprima Direttore Generale e poi Amministratore delegato della Banca Nazionale del Lavoro, allora banca pubblica, nel periodo in cui (1989-1990) scoppiò lo scandalo della filiale di Atlanta per i prestiti erogati all’Iraq.
Forse il capo politico 5 stelle non ha letto che il professor Savona è stato il Vice Presidente di Capitalia del plenipotenziario Geronzi nel periodo in cui i conti della banca erano talmente disastrati che probabilmente, se non fosse intervenuto il governo Prodi e soprattutto l’allora governatore di Bankitalia, Antonio Fazio, che obbligò Unicredit nel 2007 alla fusione per incorporazione, si sarebbero dovuti portare i libri contabili in tribunale.
Forse Di Maio non ha letto che il professor Savona, dopo la fusione tra Unicredit e Capitalia, è stato anche il Presidente di Unicredit-Banca di Roma, una di quelle banche di cui ho narrato le poco ortodosse vicende nei miei libri di inchiesta senza mai ricevere neppure una querela per diffamazione.
Indagato per usura nel 2014 dal Tribunale di Trani, il professore durante il suo mandato in Unicredit aveva al suo fianco, come direttore generale, Alessandro Cataldo, il quale fu successivamente inquisito, unitamente al suo mentore Fabrizio Palenzona dal tribunale di Firenze per concorso in truffa e appropriazione indebita (il riciclaggio è stato recentemente escluso dalle accuse).
Siamo proprio certi che il curriculum vitae sia stato letto con attenzione?
Siamo proprio sicuri che si voglia combattere la malafinanza con chi faceva parte di quel sistema ?
Siamo proprio certi che si tratti di “Terza Repubblica”?
Siamo proprio sicuri che si tratti di una “rivoluzione”?
A volte la coerenza ha un prezzo.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 24th, 2018 Riccardo Fucile
IL RECLAMO CHIEDEVA DI TOGLIERE NOME E SIMBOLO: IL GIUDICE ORDINA A GRILLO DI CONSEGNARE AL CURATORE I DATI DEGLI ISCRITTI ALLA PRIMA ASSOCIAZIONE
Il 29 marzo scorso il tribunale di Genova aveva respinto il ricorso dei 33 attivisti del MoVimento 5 Stelle che assistiti dall’avvocato Lorenzo Borrè volevano togliere nome e simbolo alla creatura nata da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.
Contro quella decisione i 33 hanno proposto un reclamo. Il reclamo è stato parzialmente accolto dal tribunale.
Nella nuova decisione il Tribunale ordina a Grillo la consegna al Curatore dei dati degli iscritti alla prima associazione, stabilendo una sanzione di 3mila euro per ogni giorno di ritardo.
Sono state invece rinviate all’approfondimento del giudizio di merito le questioni inerenti al diritto di uso esclusivo del nome, del simbolo e del sito.
Il presupposto che ha dato vita al ricorso è che Grillo, avallando la costituzione della terza associazione nel dicembre scorso e concedendogli il simbolo, è entrato in conflitto di interessi nella difesa della prima associazione, quella del 2009 che diede vita al MoVimento.
A marzo il tribunale aveva ritenuto che la domanda formulata da Curatore non fosse accoglibile in quanto da un lato, si leggeva nella sentenza, non risultava “provato il presupposto identificativo, ovvero essere la ricorrente titolare, anche solo di fatto od anche solo del diritto di utilizzo, del nome e del simbolo descritto in atti” essendo per contro pacifico che “all’art. 3 del NON Statuto gli associati hanno convenuto — e comunque accettato — che il nome fosse abbinato ad un contrassegno registrato a nome di Beppe Grillo ed hanno riconosciuto Grillo quale unico titolare dei diritti di utilizzo dello stesso”.
Dall’altro lato, il Tribunale aveva asserito che “con la registrazione del nome e del simbolo presso il Viminale e la successiva campagna elettorale ‘garantita’ anche dal leader storico dell’Associazione del 2009, fino alle consultazioni politiche di marzo, si può ragionevolmente ritenere che, per la comunità degli elettori, il nome ed il simbolo sono attributi individualizzanti stabilizzati dell’associazione-partito del 2017”.
Oggi il tribunale di Genova riforma in parte quella decisione, in parziale accoglimento dell’ordinanza reclamata e:
Ordina a Giuseppe Piero Grillo di consegnare alla reclamante Associazione MoVimento 5 Stelle, costituita nel 2009 (denominata “non Associazione” nel “non Statuto” in atti), in persona del Curatore speciale Avv. Luigi Cocchi, entro 30 giorni dalla notifica del presente provvedimento, dell’elenco dei dati essenziali degli iscritti, costituiti da nome, cognome, indirizzo email, eventuale numero di telefono ed indirizzo cartaceo se forniti; fatta salva la facoltà per il titolare dei dati di consegnare — anche per comodità di esecuzione, qualora l’estrazione dei dati sopra indicati comporti una ulteriore attività — eventuali altri dati in suo possesso.
Tale consegna dovrà avvenire mediante estrazione dei predetti dati dalla banca dati dell’associazione in formato elettronico aperto, leggibile con i principali programmi open source disponibili su internet. Qualora i dati siano organizzati in una banca dati realizzata con software proprietario e non siano facilmente estraibili in formato aperto, dovrà essere messo a disposizione l’accesso alla banca dati per l’estrazione e la consultazione dei dati a cura del richiedente.
Per il resto, il tribunale fissa l’importo di 3000 euro di sanzione per ogni giorno di ritardo e conferma l’ordinanza reclamata, rinviando per le spese al giudizio di merito. “Il tribunale lascia aperta la questione del merito e quella della titolarità del dominio”, dice l’avvocato Borrè a neXt Quotidiano. “Il provvedimento consentirà la riorganizzazione della prima associazione e la nomina di un nuovo capo politico in sostituzione di Grillo. Siamo soddisfatti perchè consente la ripresa dell’attività associativa; confidiamo che nel merito venga accertato il diritto di esclusiva dell’associazione 2009”.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 24th, 2018 Riccardo Fucile
LA VERSIONE CHE GIRA E’ CHE FOSSE FURIOSO E QUINDI PREFERIBILE NON PARLARE A BOTTA CALDA
Salito a Montecitorio per guidare la delegazione di Forza Italia da Giuseppe Conte, premier
incaricato, il Cav se n’è andato restando muto.
Nessuna dichiarazione ai giornalisti.
Soprattutto, anche gli altri esponenti azzurri si sono visti imporre la consegna del silenzio, dopo che prima del faccia a faccia si erano invece sbottonati ribadendo la linea della contrarietà al governo di Lega e M5s.
Fuori dai palazzi gira una voce: il confronto con Conte forse è andato peggio del previsto, sicuramente non è servito a mitigare l’arrabbiatura di Berlusconi per la sterzata grillina di Matteo Salvini.
E parlare a botta calda avrebbe forse peggiorato ulteriormente i già difficili rapporti con quello che resta un alleato strategico nel presente (governi locali ed elezioni amministrative imminenti) e nel futuro (quando si tornerà al voto politico).
Da qui la strategia “contenitiva”: silenzio, per non fare show controproducenti.
Subito dopo aver visto Conte, Berlusconi ha avuto un breve faccia a faccia con il segretario della Lega Matteo Salvini alla Camera.
Il Cavaliere non ha voluto parlare con i giornalisti neanche al suo ritorno a Palazzo Grazioli, dove ha immediatamente convocato un vertice di Forza Italia.
La posizione ufficiale del partito arriva poco dopo, con una nota: “Forza Italia ribadisce la linea politica tracciata nella nota diffusa questa mattina con la scelta di votare no alla fiducia e di stare all’opposizione”.
(da agenzie)
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