UN PREMIER CHE USA UN “FACCIARIO” PER CAPIRE CON CHI PARLA
UNA GIORNATA SURREALE A MONTECITORIO
Giuseppe Conte accoglie le delegazioni di tutti i partiti nella sala dei Busti, una stanza della Camera prospiciente alla presidenza. Un lungo tavolone di legno.
Da un lato il premier incaricato, affiancato da Tommaso Donati, capo dell’ufficio legislativo del Movimento 5 stelle a Montecitorio, e Alessio Festa, funzionario del palazzo da tempo distaccato con Luigi Di Maio. Sul tavolo fogli e appunti. E un facciario. Uno di quei fascicoli preparati dagli uffici di entrambi i rami del Parlamento che associa nomi e volti per permettere ai commessi e agli stessi onorevoli di riconoscere i novizi, e ai novizi di orientarsi in un mondo nuovo.
Totalmente nuovo, nel caso del presidente del Consiglio incaricato, che lo ha consultato soprattutto per dare identità precisa agli esponenti dei gruppi più piccoli che si sono susseguiti al suo cospetto.
Anche lo stesso calendario è stato preparato con l’ausilio del cerimoniale della Camera. Essendo da un lato Conte del tutto inesperto, dall’altro la stessa struttura 5 stelle impreparata a funzioni e meccanismi mai gestiti prima.
Il premier in pectore è arrivato di buon mattino, e si è chiuso negli uffici del governo, a una porta di distanza dal Transatlantico.
Vano il tentativo di un cronista che era riuscito ad avvicinarsi e a scambiare due parole di cortesia, respinto senza tanti complimenti dai commessi. Al contrario, ottiene il via libera senza problemi la comunicazione del Movimento, che lo raggiunge per realizzare foto e video di rito.
Conte inizia la lunghissima giornata di consultazioni. Otto ore quasi non stop, se non per il pranzo e per alzarsi una o due volte per brevi confronti con il presidente Roberto Fico.
Si alza per accogliere tutte le delegazioni, offre a tutti il caffè, ascolta più che parlare. La formula con la quale rompe il ghiaccio, con varie sfumature, suona sempre più o meno così: “Se fossimo nel vecchio sistema dei partiti farei enunciazioni di principio. Invece ora al primo posto c’è il programma, che conoscete: ditemi voi cosa ne pensate”.
Da lui e dal suo staff non trapela una parola. Sembra lo stile stesso del personaggio. Una casa in zona di via del Governo vecchio, che condivide con molti esponenti del Pd (dal capogruppo al Senato Marcucci al senatore Del Barba, fino a Lorenzo Guerini, trasferitosi da poco), l’abitudine di fermarsi a volte la sera in una pizzeria della zona, la spesa fatta spesso in prima persona in un piccolo supermercato a due passi di piazza Navona. Ma scarsi rapporti con il vicinato, che lo descrive come riservato e di poche parole.
Nel corso della giornata batte continuamente sul tasto: c’è il programma, su tutto il resto ci sono due forze politiche di maggioranza, e le risposte su altri temi saranno nella mediazione tra le rispettive istanze.
Non nasconde di essere stato scelto dal Movimento 5 stelle, e solo a chi insiste di più si spinge a dire che la vera priorità della sua azione di governo sarà il reddito di cittadinanza.
In sala stampa la giornata è interminabile. A metà pomeriggio iconica l’immagine di una cronista assorta nella lettura di Sciascia: “Qui non succede nulla”. Erano i minuti d’attesa di un Silvio Berlusconi che tardava. Quando si sparge la notizia che l’ex Cavaliere si è già allontanato da Montecitorio dopo aver disertato i microfoni e aver affrontato faccia a faccia Matteo Salvini, scoppia il caso di giornata. Presto rientrato. L’incontro, fanno sapere da ambo le parti, è stato cordiale, e il leader azzurro non si è presentato davanti ai microfoni per non stressare ulteriormente le distanze di un centrodestra sfilacciato. Ma la linea viene confermata poco dopo: niente fiducia e opposizione.
Lui ascolta, parla poco. Forse una dote mutuata dallo zio, il fratello del papà , entrato nel convento di padre Pio a San Giovanni Rotondo e oggi per tutti frate Fedele. Quando entra il Pd chiede a tutti e quattro gli esponenti del partito di esprimere la loro opinione. Gli piovono addosso critiche dure, fino all’incostituzionalità di molti passaggi del programma. Lui ringrazia per il contributo. Fine.
A Fratelli d’Italia risponde sul Tav: “Voglio studiare bene le penali di un’eventuale uscita dal progetto. Qualora fossero affrontabili la linea sarà quella di uscirne”. Ricevendo una ramanzina indiretta di Salvini, uscito dall’incontro scravattato e con un block notes A4 sottobraccio: “Dobbiamo partire con le opere da fare, non da disfare”.
Ma sono pillole, spunti strappati dietro insistenza.
Chi ci ha parlato è diviso tra coloro che lo ritengono un portavoce di interessi altrui (“Non ha alcuna autonomia”, dice il destrorso Fabio Rampelli, qualcuno è più duro: “Un pupazzo”) e chi ne è rimasto colpito almeno per il garbo e la capacità di mettere a suo agio gli interlocutori.
Il venerdì si preannuncia campale. Un’intera giornata chiuso negli uffici del governo della Camera, a limare il governo che con tutta probabilità verrà presentata al Quirinale sabato mattina.
“Domani la giornata sarà passata a limare il contratto… ehm, la squadra dei ministri”, ha detto a fine serata rilasciando una breve dichiarazione.
Se il buongiorno si vede dal mattino…
(da “Huffingtonpost”)
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