Destra di Popolo.net

ORA ABBIAMO PAURA PER L’ITALIA

Maggio 30th, 2018 Riccardo Fucile

SCHIACCIATI DA QUEI DIFETTI CHE NON RIUSCIAMO A CORREGGERE E CHE ALTRE NAZIONI CON RAGIONE CI RINFACCIANO

Sono giorni di inquietudine profonda.
Non importa che si stia dalla parte dei 5 stelle e della Lega oppure di Sergio Mattarella. Ti svegli la mattina con un malessere profondo, di quelli che stanno in fondo ai pensieri, sempre pronti a emergere. Non era forse mai successo. Non negli ultimi anni, almeno.
Siamo preoccupati per l’Italia. Soffriamo nel vederla così avvilita. Schiacciata dai difetti che non riusciamo a correggere e che altre nazioni — con arroganza e senza affetto, ma anche con ragione — ci rinfacciano.
Quest’Italia umiliata, sfottuta, senza più voce.
Che peccato! Abbiamo costruito insieme grandi cose: una democrazia, un Paese in fondo giusto, un sistema sanitario pubblico tra i migliori del mondo, una scuola aperta a tutti. Una giustizia lenta ma indipendente dai poteri politici ed economici più di quanto non accada altrove.
Abbiamo, primi al mondo, chiuso i manicomi. Abbiamo accolto i migranti, pur tra tante difficoltà .
Esiste un modo di vivere insieme che è tutto italiano. E sarebbe una terribile perdita — per tutti, non solo per noi — se l’Europa dimenticasse il contributo che possiamo darle. Se la Germania, ricordandoci giustamente i nostri difetti, pretendesse di imporre a tutti il suo modello.
Eppure non riuscendo a rinunciare ai nostri difetti (mafie, corruzione, evasione, piccole e grandi furbizie, mancanza di senso civico), rischiamo di dover rinunciare proprio alle cose belle che abbiamo saputo mettere insieme in secoli e secoli.
Quel modo di sentire la vita, di saper stare insieme che altri Paesi ci invidiano (pure se loro hanno i conti a posto). Ne abbiamo bisogno. Ne ha bisogno l’Europa.
E rischiamo di perderlo. Oggi.
Forse, tra tante amarezze, questi giorni di smarrimento ci hanno portato una scoperta: abbiamo paura per l’Italia. Per noi. Per la prima volta ci siamo accorti di quanto abbiamo costruito. Di chi siamo. Questo ci unisce.
Partiamo da qui, senza autoindulgenza, ma con orgoglio.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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INTERVISTA A TAJANI: “NIENTE IN COMUNE CON IL M5S, BERLUSCONI CORRERA'”

Maggio 30th, 2018 Riccardo Fucile

“CHIUNQUE SI ALLEI CON I GRILLINI NON RAPPRESENTA IL CENTRODESTRA, MA SOLO SE STESSO”… “HO OTTENUTO PIU IO CON L’EUROPA TRATTANDO, CHE SALVINI URLANDO”

«Spero che non si vada a votare a luglio. Ve le immaginate la ricadute sull’affluenza? Si rischia un voto falsato».
Se Cottarelli rinunciasse, circostanza al momento smentita sia dal diretto interessato che dal Colle
«Mettiamola così. Noi abbiamo fiducia nel capo dello Stato. Se Mattarella decide di sciogliere le Camere, allora la mia speranza è che si vada al voto col centrodestra unito».
Se ripartisse in extremis il gioco tra Lega e M5S per formare un governo politico?
«La nostra idea non è cambiata. Non ci opporremmo alla nascita di un governo M5S-Lega, come abbiamo spiegato nelle settimane passate. Ovviamente, non voteremmo la fiducia a quel governo ma ci limiteremmo a sostenere in Parlamento solo i provvedimenti che ci convincono, quelli che stavano nel programma del centrodestra».
Antonio Tajani segue con apprensione da Bruxelles l’evolversi della situazione italiana.   Da alto dirigente di Forza Italia, da cui era stato indicato come candidato alla presidenza del Consiglio. E anche da presidente del Parlamento europeo.
Lo spread fa paura? La politica dovrebbe ignorarlo o tenerne conto?
«Ma come si fa a ignorare lo spread che supera quota trecento? Siamo lontani per ora dalle cifre del 2011, questo sì. Ma non dimentichiamo che allora non c’era il quantitative easing».
Sta dicendo che, senza l’ombrello della Bce di Mario Draghi, la nostra condizione oggi sarebbe quella del 2011?
«Io voglio sperare e credere che non sia così. Ma rifinanziare un debito pubblico di 2300 miliardi ci costa 400 miliardi l’anno, più di un miliardo al giorno. Serve un governo che governi, che dia rassicurazioni ai mercati, che tranquillizzi gli investitori. E quel governo non può che essere un governo di centrodestra, su cui noi premevamo, guidato dal leader che tra i nostri aveva preso più voti».
Sta parlando di Salvini, che però continua a tenere sulle spine FI ventilando a più riprese la rottura del centrodestra classico?
«Sì. E sono convinto che il centrodestra esiste ancora».
Ne è convinto anche Salvini, secondo lei?
«Voglio augurarmi che sia così. Non si può prescindere dal centrodestra».
Ha mai preso in considerazione l’ipotesi che la Lega finisca per correre al voto alleata coi Cinquestelle?
«I Cinquestelle non sono il centrodestra. Noi siamo garantisti e loro no, noi siamo liberali e loro no, noi abbiamo una visione della politica e loro un’altra. Chiunque si allea coi M5S non è di centrodestra. Mi auguro che Salvini capisca che il centrodestra, con Di Maio e di Battista, non ha nulla a che vedere».
Per la Lega non si possono prendere ordini dall’Europa, dalla Germania
«Io non prendo ordini da nessuno, è chiaro? Quando è servito ho affrontato Juncker a viso aperto e in diretta tv. Mi sono espresso a favore dello sfondamento del tetto del 3 per cento da vicepresidente della Commissione, ho lavorato per ottenere la flessibilità  per pagare i debiti della pubblica Amministrazione con le imprese… Eppure, per queste scelte, nessuno mi ha espulso da niente. Anzi, sono diventato presidente del Parlamento europeo. Segno che le cose, se si vogliono, si possono fare».
Se la Lega vi chiedesse di abbandonare le vostre posizioni europeiste e il Ppe come «pegno» per una nuova alleanza elettorale?
«Forza Italia è nel Ppe da prima che la Merkel diventasse cancelliera. Noi rimaniamo fedeli ai nostri orizzonti culturali e ai nostri valori. Se devo rimangiarmi le cose in cui credo da sempre, allora preferisco cambiare lavoro. Anzi, tornare al mio lavoro, visto che ne avevo uno».
Sedersi al tavolo delle trattative con la Lega, in caso di elezioni anticipate, non sarà  facile. La distanza tra voi e loro nei sondaggi è tanta. E la farebbero pesare nella ripartizione delle candidature
«I sondaggi non contano. Li abbiamo utilizzati come metro prima delle elezioni di marzo solo perchè non si votava alle politiche da cinque anni. Ora no, per noi valgono i risultati del 4 marzo».
Si candiderà  al Parlamento italiano?
«No, corro alle Europee».
Berlusconi sarà  il vostro capo politico e candidato premier
«Senza dubbio».
E l’ipotesi di un Fronte repubblicano con voi e il Pd?
«Al momento non è all’ordine del giorno».

(da “il Corriere della Sera”)

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INTERVISTA A CARLO CALENDA: “IL PD CREI IL FRONTE REPUBBLICANO CON UNA LISTA E UN ALTRO SIMBOLO”

Maggio 30th, 2018 Riccardo Fucile

“PER GUIDARLO C’E’ PAOLO GENTILONI, IO SAREI AL SUO FIANCO”

Ministro, che sta succedendo?
«Sta succedendo che siamo stati riportati, grazie alla totale incapacità  e spregiudicatezza di Salvini e Di Maio, nel pieno della tempesta finanziaria – risponde il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda –. Inevitabile, dopo i continui riferimenti all’uscita dall’euro, gli attacchi al Quirinale, le promesse di spese folli. Il risultato è che adesso i risparmi degli italiani sono a rischio».
Savona non sarà  ministro dell’Economia, l’incarico di formare il governo è stato dato all’europeista Cottarelli, ma lo spread è salito lo stesso. È la prova, dicono 5 Stelle e Lega che…
«Che si dicono un sacco di stupidaggini. Lo spread alla fine del governo Gentiloni era totalmente sotto controllo e l’economia in ripresa. Lo spread ha cominciato a risalire già  con le bozze del programma Salvini-Di Maio, pieno di proposte economicamente insostenibili e richieste assurde come quella alla Bce di cancellare 250 miliardi del nostro debito, che prefiguravano nei fatti l’uscita dall’euro. Rischio poi concretizzatosi con l’indicazione di Savona, conosciuto per aver costruito una proposta di abbandono della moneta unica. A quel punto, non è l’Europa o i poteri forti che hanno reagito, ma i mercati, cioè coloro presso i quali dobbiamo collocare i titoli del debito per mandare avanti lo Stato. Ora la gravità  della situazione è evidente».
Che cosa si aspetta?
«Il rischio vero è che se M5S e Lega non abbassano i toni e non votano la fiducia al governo Cottarelli, sia pure fissando una scadenza a breve della legislatura, il Paese non arrivi in piedi alle elezioni. Quando lo spread parte, le sue dinamiche si fermano dove si ferma la speculazione».
Gira voce che se Cottarelli rinunciasse, tornerebbe l’ipotesi di un governo politico.
«Mi sembra fantascienza. Non vedo una ragione valida per la rinuncia di Cottarelli».
Secondo i sondaggi, 5 Stelle e Lega prenderebbero ora il 90% dei collegi.
«Non credo proprio. Le prossime saranno elezioni come quelle del 1948, definiranno cioè se l’Italia vuole restare in Europa o finire in Africa. Serie A o serie C. Gli italiani non consentiranno che tutto quello che è stato costruito nel Dopoguerra venga distrutto. Noi dobbiamo dare una voce e sostanza a questo fronte di resistenza allo sfascio».
Chi, un Pd ridotto ai minimi termini?
«I cittadini che lavorano e producono. Dobbiamo costruire un fronte repubblicano molto ampio, che abbia un unico obiettivo: tenere l’Italia in Occidente e in Europa. Ci vuole una mobilitazione civica sul territorio che, abbandonando ogni interesse di parte e agenda personale, vada in soccorso della Repubblica. Il mio appello è rivolto anche alle associazioni delle imprese, dell’artigianato, del commercio e ai sindacati. Abbiamo poco tempo per bloccare questa situazione. Mobilitatevi scendete insieme in piazza, fate sentire la vostra voce».
Pensa a contromanifestazioni rispetto a quelle di 5 Stelle e Lega?
«Noi faremo già  una manifestazione venerdì in difesa delle istituzioni repubblicane. Ma dobbiamo aiutare la costituzione di comitati civici e lanciare una campagna di mobilitazione popolare tra tutti i cittadini che, pur da posizioni diverse, sono uniti nell’obiettivo di difendere la permanenza dell’Italia in Europa e le istituzioni da chi vuole sostituirle con putinismi alla amatriciana e la Casaleggio e associati».
Che ruolo deve avere il Pd?
«Essere promotore del fronte repubblicano per le prossime elezioni».
Presentandosi col proprio nome e simbolo, in alleanza con altri partiti?
«No, con un nome, quello del Fronte repubblicano, un simbolo diverso e una lista unica, coinvolgendo tutte quelle forze della società  civile e tutti quei movimenti politici che vogliono unirsi per salvare il Paese dal sovranismo anarcoide di Di Maio e Salvini. Questi non sono nazionalisti, non sanno cos’è il patriottismo. Quando Mattarella va al parlamento europeo e Salvini dichiara “scambierei due Mattarella per mezzo Putin” si capisce che il senso dello Stato e la difesa della nazione non hanno niente a che fare con il loro pensiero».
Lo guiderebbe lei il Fronte repubblicano?
«La guida c’è già , si chiama Paolo Gentiloni. Io certamente mi batterò in prima fila al suo fianco sulle scelte di fondo che gli italiano dovranno fare: vogliamo stare in Europa o scivolare in Africa? Conservare il benessere costruito in settant’anni o distruggerlo? Difendere le istituzioni repubblicane o prendere la deriva di una democrazia populista sul modello di Putin? Avere a fondamento della vita politica la democrazia rappresentativa o i blog e le srl? È una sfida che dobbiamo affrontare con fiducia. L’Italia è più forte di chi la vuole debole».

(da “il Corriere della Sera”)

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GOVERNO, SOLUZIONE DEL REBUS ENTRO STASERA: ESECUTIVO POLITICO O ELEZIONI IN AUTUNNO PERCHE’ I RIVOLUZIONARI PADAGNI DEVONO ANDARE IN FERIE E SALVINI TEME IL FLOP

Maggio 30th, 2018 Riccardo Fucile

IL M5S HA PROPOSTO DI SOSTITUIRE SAVONA CON L’ECONOMISTA CIOCCA, LA LEGA DICE NO E SI ASSUME LA RESPONSABILITA’ DELLA ROTTURA… SALVINI TEME IL VOTO A LUGLIO PERCHE’ AL NORD I SOLDI PER LE VACANZE LI HANNO

Carlo Cottarelli aspetta, Sergio Mattarella aspetta.
Attendono una risposta da Matteo Salvini, per capire se esiste ancora la possibilità  di dare un governo politico all’Italia.
Il Movimento 5 Stelle anche questa mattina ha detto di crederci, tornerebbe volentieri sull’ipotesi Conte, togliendo Paolo Savona dalla casella del Tesoro e sostituendolo con un nome rassicurante.
Uno nome come quello di Pierluigi Ciocca, economista in passato ai vertici della Banca d’Italia. Troppe le tensioni internazionali, dunque, per tornare a giocare con il fuoco. Sulla soluzione “politica”, però, c’è ancora il freno a mano tirato della Lega, sempre più tentata dalle urne.
L’attesa del presidente della Repubblica ha comunque un termine. Il tempo scadrà  prima di cena, a quel punto il Quirinale deciderà  se ha fondamento il tentativo politico o se dovrà  sciogliere le Camere per tornare al voto.
Ma rispetto a ieri c’è una novità : la Lega — decisa al voto subito – si è resa conto che andare alle urne alla fine di luglio sarebbe una scelta controproducente per lo stesso Carroccio (va tenuto presente che le città  del Nord in quel fine settimana sono ormai deserte).
Per questo, pure Salvini inizia ad accettare l’idea di arrivare in modo ordinato ad elezioni all’inizio dell’autunno.
Perchè ciò accada c’è però bisogno che il governo Cottarelli possa partire con una fiducia piena e avere almeno un paio di mesi di lavoro davanti. Per sciogliere poi la legislatura alla fine di luglio o ai primi di agosto.
Una soluzione su cui gli ambasciatori leghisti si mostrano più disponibili. Stanno addirittura ragionando sulla possibilità  di un’astensione o sull’uscita dall’aula al momento della fiducia.
Insomma, i leghisti non voterebbero contro. I Cinque Stelle, invece, sarebbero ancora orientati per una chiara dichiarazione di sfiducia e questo renderebbe impossibile l’astensione leghista, ma impedirebbe pure il voto favorevole di Pd e Forza Italia.
Nessuno si vuole assumere la responsabilità  del governo tecnico offrendo la possibilità  a un altro partito di poter propagandare il suo no ai “tecnici”. Entrambi i nodi vanno sciolti prima di sera.
Ma uno spiraglio per il governo Cottarelli si è aperto.

(da agenzie)

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LE SPESE D’ORO DI SALVINI E LE PEN: 13.500 EURO PER LA CENA DI NATALE COI SOLDI DELL’EUROPARLAMENTO

Maggio 30th, 2018 Riccardo Fucile

L’INCHIESTA DEL SETTIMANALE FRANCESE CANARD ENCHAINE’ SULLE SPESE PAZZE DEL GRUPPO AL PARLAMENTO EUROPEO… IL POPULISTA PADAGNO CHE CENA NEL RISTORANTE ESCLUSIVO AMBROISIE AL MODICO PREZZO DI 449 EURO A TESTA E METTE IN CONTO ALL’EUROPA LADRONA

Spulciando i conti del gruppo Enl (Europa delle Nazioni e delle Libertà ), di cui fanno parte Matteo Salvini, l’olandese Geert Wilders e Marine Le Pen fino al giugno scorso, il Canard Enchainè ha scoperto che i populisti all’europarlamento si trattano piuttosto bene: per Natale hanno organizzato un cenone con 60 bottiglie di champagne e vino Gevrey-Chambertin per la modica cifra di 13.500 euro.
Le cifre sono saltate fuori attraverso il controllo delle spese 2016 presentate dal gruppo di estrema destra composto 36 eurodeputati.
A suscitare i dubbi dei revisori dell’europarlamento sono state in particolare alcune uscite parigine organizzate tra Le Pen e Salvini.
I due alleati hanno messo in conto al gruppo parlamentare serate in locali molto esclusivi della capitale.
Per una cena nel ristorante Ledoyen vicino agli Champs-Elysèes, che nella documentazione viene presentata come un incontro tra “industriali”, il conto è pari a 401 euro a testa.
Ancora più salato il conto della cena in faccia a faccia tra il leader della Lega e quella del Front National. Salvini e Le Pen hanno scelto di andare a mangiare nel pluristellato L’Ambroisie, in place des Vosges, spendendo ben 449 euro a testa.
In totale le spese contestate all’eurogruppo ammontano a 427mila euro.
L’ufficio di presidenza di Strasburgo ha chiesto ulteriori chiarimenti, prima di poter eventualmente pretendere il rimborso delle somme.

(da “La Repubblica”)

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SONDAGGISTI: IL VOTO A LUGLIO PREMIA L’ASTENSIONE

Maggio 30th, 2018 Riccardo Fucile

VOTO BALNEARE, NON CI GUADAGNA NESSUNO, PREVISTO UN CALO DEI VOTANTI INTORNO AL 10%

Il voto a luglio premia l’astensione e per i sondaggisti non ci guadagna nessuno. Mentre riprende vigore l’ipotesi di governo Lega-M5S, le forze politiche hanno indicato informalmente a Sergio Mattarella la data del 29 luglio come quella più giusta per portare il paese alle urne; le prime alternative sarebbero i due week end successivi, ovvero in pieno agosto.
Ce n’è abbastanza per parlare di voto balneare e di interrogarsi sugli effetti che il giorno scelto per le elezioni potrebbe avere una data così irrituale.
Secondo Enzo Risso di SWG, interpellato oggi dal Messaggero, il primo effetto visibile del voto a luglio sarebbe l’aumento dell’astensione, con numeri davvero clamorosi: +10%.
Carlo Buttaroni di Tecnè stima un aumento delle astensioni nelle classi altissime e in quelle più basse, con percentuali che vanno dal 2 all’8%.
Antonio Noto di Noto Sondaggi invece ritiene che sia troppo ampia la stima del 10% e ritiene che non saranno le vacanze estive a influenzare l’affluenza ma semmai la disaffezione della gente nei confronti della politica.
Per Risso alle elezioni il 54% confermerebbe il voto di marzo, il 10% si asterrebbe, il 22% non sa ancora e il 14% cambierebbe dopo l’ultima volta.
Il 91% degli elettori leghisti confermerebbe il suo voto, quelli di PD e M5S riconfermerebbero il voto al 75%, solo il 55% tornerebbe a scegliere Forza Italia.

(da “NextQuotidiano”)

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L’ECONOMISTA DAVERI: “SPREAD, CONSUMATORI E IMPRESE RISCHIANO DI PAGARE IL CONTO DELLA POLITICA”

Maggio 30th, 2018 Riccardo Fucile

“SE C’E’ UN AUMENTO DEI COSTI CHE NON RIESCONO A SCARICARE SUI CLIENTI, LE BANCHE SONO COSTRETTE A RESTRINGERE I CREDITI”

La crisi politica ha innescato un meccanismo a catena che mieterà  le prime vittime nell’economia reale, fatta di imprese, banche e consumatori.
“Con l’innalzamento dello spread è aumentato il costo per finanziarsi di aziende e istituti di credito”, spiega Francesco Daveri, professore di macroeconomia alla SDA Bocconi di Milano.
“L’aumento dei tassi d’interesse che viene richiesto dagli investitori per comprare titoli pubblici italiani si riflette infatti anche sul settore privato: aziende e banche, che vogliono finanziarsi sul mercato, sono costrette ad aumentare i tassi a cui loro offrono le loro obbligazioni”, precisa Daveri.
In pratica, se l’Italia è percepita come più rischiosa, gli investitori chiedono di guadagnare di più sui prestiti per compensare la maggiore probabilità  di default.
Così accade che, come spiega Daveri, “le imprese che vogliono finanziarsi per investire pagano un aggravio di costo d’interesse” e che “lo stesso accade anche per le banche che si rivolgono al mercato interbancario”.
Questo spiega in parte il motivo per cui gli investitori hanno deciso di disfarsi a piene mani delle azioni del settore bancario italiano in Borsa.
Ma ci sono anche altre ragioni. “Innanzitutto gli istituti di credito hanno in pancia molti titoli pubblici. Quindi se per caso il mercato ritiene più probabile un default, allora questi titoli valgono di meno”, aggiunge.
L’impatto di questa situazione sui bilanci bancari non è però prevedibile perchè gli istituti di credito potrebbero “scaricare l’aggravio di costi sui clienti in vari modo magari facendo pagare di più i mutui o nascondendolo da qualche altra parte nei costi di gestione dei conti correnti”.
Infine l’effetto finale per i consumatori è tutto da verificare: “Può accadere che magari le banche decidano anche di farsi concorrenza e di non scaricare sui clienti o di farlo solo in parte. Alcune in modo più trasparente e altre meno. — continua Daveri — Ma sicuramente se c’è un aumento dei costi della raccolta dei fondi per il settore bancario, questo si tradurrà  prima o poi anche in un aumento dei costi per chi si indebita nei confronti delle banche”. Non certo una buona notizia per gli italiani e per le imprese.
Quanto ai conti pubblici, invece l’impatto dell’aumento dello spread non è immediato e si manifesterà  in due tempi: il primo nella fase di rifinanziamento del debito in scadenza con maggiori costi per le casse pubbliche; il secondo nel bilancio pubblico con l’aumento della voce della spesa per interessi alla quale il governo dovrà  trovare copertura.
“L’aumento della spesa pubblica per interessi andrà  finanziato — precisa -. Quindi o aumentiamo le tasse o aumenta il deficit o tagliamo delle altre spese. Questo è quello che può accadere”.
Ma di quali cifre stiamo parlando? “Il calcolo che si può fare è che per ogni 100 punti base, se il governo deve rinnovare 350 miliardi di debito sui prossimi dodici mesi questo vorrebbe dire 3,5 miliardi in più — stima il docente — Poi quando si rinnova tutto il debito, il che avviene in sei o sette anni, a quel punto il costo diventa 21 miliardi circa. Questa stima vale per 100 punti, se poi l’aumento è di 300, allora bisogna moltiplicare tutto per tre. Ci sono quindi degli effetti consistenti perchè al momento il pagamento degli interessi sul debito in percentuale sul pil è 3,7 punti ed è quindi qualcosa come 60 miliardi”.
Ma le conseguenze non si limitano a questo: “Il costo per lo Stato sale perchè aumenta la spesa per interessi — spiega — quindi cresce il debito e porta ad un avvitamento del deficit e del debito”.
Non resta che chiedersi se l’Italia non rischia di ritrovarsi nella stessa situazione della Grecia costretta a tagliare stipendi pubblici e pensioni per risanare il debito.
Per il professore siamo lontani da scenari apocalittici che peraltro accomunano situazioni molto differenti.
“Nel caso di Atene lo spread non è stato rilevante: il debito greco è scomparso dal mercato e i prestiti sono stati fatti a tassi, per così dire politici, da parte degli altri governi dell’Europa piuttosto che dal Fondo monetario e dalla cosiddetta Troika — ricorda — Più che altro l’effetto che c’è stato e che può esserci anche da noi è che le banche taglino il credito disponibile a fronte del fatto che gli costa di più procurarselo. Insomma se c’è un aumento di costi che riescono a scaricare sui clienti, le banche continuano a prestare. Se, invece, stabiliscono che non è un buon momento, allora ci potrebbe essere una restrizione del credito”.
Il rischio insomma è che, a medio termine, torni d’attualità  il cosiddetto credit crunch, l’assottigliamento dei prestiti concessi dalle banche. Intanto, in attesa di un nuovo governo, il primo dato di fatto è che la fiducia dei consumatori si sta logorando: “Sarà  inevitabile che nel secondo semestre ci sia un rallentamento dell’economia. Ci stiamo già  avvitando”, conclude auspicando un segnale chiaro della politica romana ai tanti dubbi degli investitori e dei cittadini.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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LA CRISI DELLO SPREAD CI E’ GIA COSTATA 147 MILIONI DI EURO

Maggio 30th, 2018 Riccardo Fucile

QUELLO CHE SI TEME E’ L’EFFETTO DOMINO

Quanto ci sono costati i giochini dello spread inaugurati dalla bozza di contratto Lega-M5S che il 16 maggio si impegnava a chiedere un referendum sull’euro, seguita dalla querelle su Paolo Savona?
Il Sole 24 Ore fa i conti degli aumenti dei rendimenti sui nuovi collocamenti dei titoli di Stato:
Così, in attesa della vendita sul mercato da parte del Tesoro dei BTp di oggi, ieri gli investitori hanno toccato con mano il costo della crisi politica sui BoT. In asta sono stati collocati 5,5 miliardi di titoli a sei mesi. Il rialzo del rendimento medio, rispetto al 26/4/2018 quando non era ancora “prezzata” la variabile politica, è dell’1,634%. Ciò significa che il costo aggiuntivo per lo Stato, vale a dire noi cittadini, è intorno a 44 milioni.
Denari che, sommando i i maggiori tassi per l’asta sui CTz di due giorni fa, diventano 55 milioni. Si dirà : non una grande cifra. E poi «riguardo ai soldi in oggetto, questi verranno pagati alla scadenza. Quindi l’esborso, ad esempio dei circa 10 milioni sui CTz — spiega l’esperto Angelo Drusiani di Albertini Syz -, avverrà  tra due anni».
Di là  da simili considerazioni, tuttavia, non si tratta dei primi costi aggiuntivi legati agli interessi sull’emissione di nuovo debito.
Il Tesoro, come già  è stato indicato dal Sole24ore, ha dovuto aumentare, a causa della crisi politica, il tasso minimo reale garantito del nuovo BTp Italia.
Un ritocco che, se proiettato nell’arco degli 8 anni di durata del titolo e per i 7,7 miliardi di euro collocati, vale circa 92 milioni di euro da versare in più.
Nel complesso, quindi, i maggiori oneri finora sono arrivati intorno a 147 milioni.
Un numero destinato ad aumentare? Gli esperti rispondono positivamente.
È molto probabile che, con il proseguire dell’incertezza sul fronte politico, i rendimenti medi in asta crescano.
A ben vedere, però, non si tratta solamente del rischio-Italia. Quello che gli investitori temono, oppure su cui volutamente speculano, è il cosiddetto effetto domino.
Vale a dire: il bersaglio grosso è la tenuta dell’euro.

(da agenzie)

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CHI HA IN MANO IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO: IL 32% E’ DI INVESTITORI STRANIERI

Maggio 30th, 2018 Riccardo Fucile

DATI BANCA D’ITALIA: NEL 1988 IL 57% DEI TITOLI DI STATO ERA IN MANO A RISPARMIATORI ITALIANI, OGGI E’ SOLO IL 6%

Chi è maggiormente colpito dalle turbolenze dello spread di questi giorni?
Oggi una quota esigua del nostro debito pubblico è in mano, direttamente, ai piccoli investitori italiani, famiglie e imprese soprattutto, mentre circa un terzo è in quelle straniere.
Banche, fondi e assicurazioni italiane italiane detengono invece circa il 50% del debito. Ma non è sempre stato così.
Dai dati disponibili sul database della Banca d’Italia è possibile ricostruire come è cambiata la composizione dei possessori del debito, dal 1988 ad oggi
Il primo dato a saltare all’occhio è proprio la progressiva riduzione della quota di debito, sia in termini assoluti sia in termini percentuali, in mano ai risparmiatori italiani.
Contemporaneamente, e in particolare con l’adesione dell’Italia alla moneta unica, cresce la fiducia nel nostro Paese e con essa la porzione detenuta dagli investitori stranieri.
Il dato cresce dal 4% del 1988 al 32% attuale. Quella degli investitori nostrani cala dal 57 al 6%. Molto evidente anche l’impatto del programma di Quantitiative Easing della Bce operativo da marzo 2015.
Nel dettaglio la quota di titoli di Stato in mano alla Banca d’Italia, direttamente o attraverso la Banca Centrale Europea, passa dal 5% del 2014 al 16% attuale.
Diverso il caso delle banche.
La quota di debito in mano agli istituti di credito italiani nel 2018 è di circa il 27% del totale, pari a 612 miliardi di euro.
Il che spiega perchè siano soprattutto gli istituti di credito a soffrire dei rialzi del differenziale. Di questi però soltanto 342 sono titoli di Stato, mentre il resto è rappresentato prevalentemente da altri prestiti.
Se si considera un aggregato di banche e assicurazioni, italiane e straniere, l’ammontare è di poco inferiore ai 400 miliardi di euro.
A primeggiare in questo caso è il Gruppo Poste Italiane, che tra investimenti e riserve ha in pancia oltre 121 miliardi di titoli, seguita da Generali, che al 30 settembre 2017 ne aveva oltre 63 miliardi , e Unicredit, che a fine marzo vantava 47,2 miliardi di titoli.

(da “La Repubblica“)

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