Luglio 3rd, 2018 Riccardo Fucile
SALVINI SAPEVA DEI 48 MILIONI TRUFFATI E HA INCASSATO LO STESSO CONTRIBUTI ELETTORALI… LA RINUNCIA A COSTITUIRSI PARTE CIVILE E GLI SPOSTAMENTI DEI SOLDI DA UNA BANCA ALL’ALTRA… 12,9 MILIONI INCASSATI DA MARONI E QUASI 1 MILIONE DA SALVINI
Il problema è quello che Salvini non dice. 
Da anni giura infatti di non aver mai visto un solo spicciolo di quella somma. Falso. Il 2 ottobre 2017, in un’inchiesta dal titolo “Salvinidanaio”, basandoci su documenti interni al partito su L’Espresso avevamo dimostrato il contrario.
Tra la fine del 2011 e il 2014, infatti, prima Maroni e poi Salvini hanno incassato i rimborsi elettorali frutto del reato commesso dal loro predecessore. E lo hanno fatto quando ormai era nota a tutti l’indagine su Bossi e Belsito
Il primo luglio 2012 — la notizia dell’inchiesta è già di dominio pubblico — Maroni viene eletto segretario del partito. Da allora alla fine del 2013 incasserà bonifici per un totale di 12,9 milioni di euro. Tutti rimborsi relativi a elezioni comprese tra il 2008 e il 2010, quelle della truffa
Con l’arrivo di Salvini in segreteria — dicembre 2013 — cambiano solo le cifre. Un mese e mezzo dopo la richiesta di rinvio a giudizio per Bossi, l’attuale ministro incassa infatti 820mila euro di rimborsi per le elezioni regionali del 2010
Infine- solo venti giorni dopo l’annuncio di costituirsi parte civile contro Bossi e Belsito- Salvini ritira poco meno di 500 euro di rimborso.
Perchè allora sostiene che lui quei soldi non li ha visti? E come mai sotto la sua direzione il partito ha scelto di ritirare la costituzione di parte civile nel processo contro Bossi, atto che avrebbe permesso di chiedere i danni della truffa?
C’è però qualcos’altro che stride nella narrazione del vice premier.
Se la nuova Lega non aveva nulla da nascondere, perchè da quando i media hanno iniziato a parlare dell’inchiesta per truffa i denari padani hanno iniziato a spostarsi freneticamente da una banca all’altra?
Da Banca Aletti a Unicredit, da Unicredit a Sparkasse, da Sparkasse ancora a Unicredit. Il tutto nel giro di quattro anni.
Di certo oggi i conti del Carroccio sono al verde, tant’è che dei 48 milioni messi sotto sequestro i magistrati di Genova ne hanno trovati finora solo 3.
E una buona fetta è sparita proprio quando Salvini era segretario.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Giustizia | Commenta »
Luglio 3rd, 2018 Riccardo Fucile
LE MOTIVAZIONI CHE HANNO ACCOLTO IL RICORSO DEI PM DI GENOVA PER RECUPERARE I 48 MILIONI SOTTRATTI AGLI ITALIANI… IN OGNI FESTA DELLA LEGA DOVE SI RACCOLGONO FONDI OCCORRE FAR INTERVENIRE LA GUARDIA DI FINANZA PERCHE’ PROCEDA AL SEQUESTRO
“Ovunque venga rinvenuta” qualsiasi somma di denaro riferibile alla Lega Nord – in contanti o su conti bancari, libretti, depositi – deve essere sequestrata fino a raggiungere 49 milioni di euro, provento della truffa allo Stato per la quale e’ stato condannato in primo grado l’ex leader leghista Umberto Bossi.
Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni che accolgono il ricorso del pm di Genova contro Matteo Salvini contrario ai sequestri a ‘tappeto’.
Il Riesame ora deve sequire le indicazioni degli ermellini’. Finora bloccati 1,5mln di euro.
Ad avviso dei supremi giudici, la Guardia di Finanza può procedere al blocco dei conti della Lega in forza del decreto di sequestro, emesso lo scorso 4 settembre dal pm di Genova, senza necessita’ di un nuovo provvedimento per eventuali somme trovate su conti in momenti successivi al decreto.
Giovanni Ponti, legale della Lega, aveva sostenuto che le uniche somme sequestrabili sono quelle trovate sui conti “al momento dell’esecuzione del sequestro” con “conseguente inammissibilità delle richieste del pm di procedere anche al sequestro delle somme ‘depositande’”. Ma la Cassazione ha obiettato che i soldi sui conti potrebbero non essere stati trovati al momento del decreto “per una impossibilita’ transitoria o reversibile”, e il pm non deve dare conto di tutte le attività di indagine svolte “altrimenti la funzione cautelare del sequestro potrebbe essere facilmente elusa durante il tempo occorrente per il loro compimento”.
In base alla sentenza della Cassazione è evidente che qualsiasi privato cittadino, in occasione di qualsiasi festa o manifestazione della Lega in cui si raccolgano anche fondi per il partito, può chiedere l’intervento della Guardia di Finanza affinchè proceda al sequestro dell’incasso e dei contributi, ivi compreso i versamenti per il tesseramento, in ottemperanza di quanto indicato in sentenza.
Va inoltre ricordato che proprio sulla presunta sparizione dei soldi leghisti è stata aperta dai primi giorni del 2018 un’inchiesta per riciclaggio.
L’ipotesi degli investigatori genovesi è che i soldi ottenuti in varie tranche dopo le richieste truffaldine di Bossi e Belsito, e incamerati materialmente sotto le gestioni di Maroni e Salvini, non siano stati spesi tutti, ma messi al scuro con una serie di artifici proprio per schermarli dalla successiva azione della magistratura.
In particolare, i finanzieri sospettano che una serie di operazioni ambigue siano avvenute attraverso la Sparkasse di Bolzano: da qui, a fine 2016, 10 milioni sono stati investiti nel fondo Pharus in Lussemburgo, e 3 sono rientrati all’inizio di quest’anno. Su quel viavai, proprio dal Granducato, è arrivata una segnalazione di operazione sospetta alle autorità antiriciclaggio italiane. E i militari ritengono che dietro quei flussi di denaro potrebbe esserci il Carroccio, che si tratti di fondi leghisti mascherati.
(da agenzie)
argomento: Giustizia | Commenta »
Luglio 3rd, 2018 Riccardo Fucile
IN LIGURIA UNA RAGAZZA INTERVIENE, VIENE COPERTA DI INSULTI E POI MINACCIATA SUI SOCIAL… QUANDO QUALCUNO COMINCERA’ A REAGIRE, TRANQUILLI CHE QUESTI RIFIUTI UMANI NON PARLERANNO PIU’ DI BUONISTI
“Ho visto un cagnolino scendere le scale di un bar che dà sulla spiaggia e rincorrere abbaiando un
ragazzo dalla pelle scura che vende libri. Naturalmente il cane era stato incitato dal suo proprietario. Nel mentre i bagnanti applaudivano compiaciuti”.
Scene di razzismo balneare su una spiaggia ligure, sabato scorso.
Ce le racconta Simona, che ci chiede però di non usare il suo vero nome.
“Sono intervenuta e ho chiesto a una signora perchè applaudiva e perchè diceva che quel cane era il “Number One”.
La signora mi ha risposto così: “Vaffanculo, puttana buonista del cazzo. Prenditeli tu i negri a casa tua, così ti scopano meglio di tuo marito”.
Un breve racconto che Simona ha consegnato al suo profilo Facebook ed è finito su centinaia di bacheche.
Una diffusione che però le ha attirato contro decine di messaggi terribili, con minacce esplicite alla sua persona. E che l’hanno costretta a rimuovere quel post dai social network, per paura della propria incolumità e di quella della sua famiglia.
“Quei messaggi che mi sono arrivati erano orribili. Minacce esplicite o velate, dicevano “non intrometterti che è meglio per te”, “la prossima volta tira dritto e non guardare”. Ma io non riesco a non guardare, non riesco a ignorare queste cose”, spiega Simona all’Espresso.
Non cerca di fare l’eroina, anzi.
“In quella spiaggia, quando mi sono sentita rispondere così, mi sono messa a piangere. A consolarmi è stato proprio quel ragazzo, che mi ha abbracciato e mi ha detto:”Sono abituato, stai tranquilla”. E ora, dopo aver letto quello che mi hanno scritto, sono spaventata”.
Simona ci racconta però di essere andata a cercare la proprietaria del cane per chiederle come le fosse venuto in mente di aizzare il suo animale domestico contro quel ragazzo che vende libri.
La risposta lascia senza parole: “Il mio cane, come me, odia i negri”.
Più che la banalità del male, siamo di fronte alla stupidità del male.
Meglio chiudere questo articolo con le parole con cui si chiudeva il post su Facebook: “Io non ce la faccio ad accettare tutto questo. Sono solo una donna profondamente sconsolata e preoccupata da questo mondo in cui a volte mi sento come un pesce fuori d’acqua. Ma non ci sto. Io non lo accetto”.
(da “L’Espresso”)
argomento: Razzismo | Commenta »
Luglio 3rd, 2018 Riccardo Fucile
IL DECRETO DEL GOVERNO NON HA REINTRODOTTO LA NORMA ABOLITA DA RENZI, A DIMOSTRAZIONE CHE E’ UNA PATACCA
Nel difficile equilibrio tra Movimento 5 Stelle e Lega, la dignità prevista dal decreto approvato lunedì sera si è fermata all’articolo 18.
Non c’è traccia infatti della reintroduzione della norma, cancellata dal Jobs act, che vietava alle aziende sopra i quindici dipendenti di licenziare i lavoratori senza giusta causa.
Il cuore dunque della riforma del lavoro voluta dal governo Renzi, e ferocemente contrastata dai grillini allora all’opposizione, continua a pulsare nonostante gli annunci della campagna elettorale.
E nonostante il ministro del Lavoro Luigi Di Maio abbia detto che con il decreto Dignità è stato dato “un colpo mortale al precariato, licenziando il Jobs Act”. Ma il Jobs Act in realtà resiste.
Tanto che a domanda precisa “l’articolo 18 sarà reintrodotto o no?”, il vicepremier grillino in conferenza stampa non risponde approfittando del fatto che questo quesito era stato accompagnato da un altro.
Quindi Di Maio replica al primo più politico sui rapporti M5s-Lega e bypassa quello sul licenziamento senza giusta causa a conferma della difficoltà nell’affrontare il punto cardine di tante battaglie M5s contro l’esecutivo Renzi.
In mattinata ospite ad Agorà si era limitato a dire: “Articolo 18? Stiamo cercando di combattere la precarietà su tutti i fronti: dobbiamo vedere gli effetti del decreto Dignità perchè già può calmierare molto”.
La giravolta per non litigare con i colleghi di governo e non andare allo scontro frontale con aziende e imprese è compiuta.
Che il via libera al decreto Dignità sia stato parecchio “sofferto” non lo nasconde nessuno. Anzi, è lo stesso sottosegretario Giancarlo Giorgetti a dirlo in conferenza stampa. Tuttavia dal Carroccio non ci sono toni trionfalistici. Si percepisce un certo distacco per un provvedimento che Confindustria, che ha senza dubbio una buona parte di elettorato leghista, ha definito un “segnale negativo”.
Più che di un colpo mortale al Jobs Act si può parlare di alcune modifiche. Come quella dei contratti a termine per due anni e non più per tre. E l’indennizzo massimo per i licenziamenti è stato portato da 24 a 36 mensilità . Tuttavia la possibilità di licenziare senza giusta causa resta scritta. A farlo presente è anche Nicola Fratoianni di Liberi e uguali: “L’idea che si possa licenziare quando ti pare, rimane tutta intatta, visto che non si interviene sulla reintroduzione dell’articolo 18, a garanzia dei lavoratori”.
L’argomento, che in un primo momento i 5Stelle hanno provato a mettere un tavolo, non è stato poi neanche affrontato. Troppo divisivo all’interno del governo e anche tra governo e aziende. Per Di Maio, per adesso, è meglio evitare.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: denuncia | Commenta »
Luglio 3rd, 2018 Riccardo Fucile
VETI INCROCIATI PER I DIRETTORI DEI TG… LA LEGA SI AFFIDA AGLI AMICI DELLA ISOARDI
La Rai ha i giorni contati. Vigilanza, Cda, direttore generale, presidente tutti scaduti o in scadenza. 
Il presidente Fico aveva fissato a oggi il limite massimo per la presentazione dei candidati da parte dei partiti e sempre oggi il cda deciderà la data per l’elezione del membro interno Rai.
L’11 luglio il Mise dovrà indicare il nome del direttore generale senza parlare della partita in Parlamento. Su tutto pesano le dichiarazioni infuocate e i veti incrociati.
La tensione, sia a viale Mazzini sia a Saxa Rubra si taglia con il coltello, altro che fine dellle lottizzazioni in nome della meritocrazia.
«Frasi che contraddicono la realtà – sostiene Arturo Diaconale del cda – non esiste elezione più politica di questa».
I pentastellati chiedono il dg e propongono il direttore della prima testata giornalistica condiviso, Tg2 alla Lega e Tg3 a loro.
La Lega accoglie con freddezza e rilancia: M5S vuole il direttore generale? A noi il Tg1 e il Tg2.
È probabile comunque che nella complicata suddivisione dei direttori di rete e di testata si slitti a settembre per buona pace della guerra alle lottizzazioni
Una cosa è certa, mentre Salvini ha tanti nomi al suo arco da poter scoccare , per i pentastellati trovare fedeli di lunga data è pressochè impossibile, a meno che non ci si affidi ai grillini dell’ultima ora, tanti è vero ma poco affidabili.
Visto che Vigilanza e Copasir viaggiano appaiate e che, come consuetudine vuole la presidenza viene affidata alla minoranza, sembra che la prima vada a Forza Italia con Paolo Romani e il Comitato di controllo sui Servizi al Pd con Lorenzo Guerini.
Tornando ai piani alti di viale Mazzini, i nomi cari ai pentastellati continuano a essere quelli di Carlo Freccero, Ferruccio De Bortoli e Milena Gabanelli per la presidenza. Le new entry tra i papabili alla poltrona ben più potente di direttore generale sono Gianmarco Muzzi, socio di Lucio Presta e molto introdotto in Rai, e Fabio Vaccarono attualmente direttore italiano di Google.
Tramontate le serie di testa Sky prese in esame ma vicine all’essere scartate.
La Lega non vedrebbe male Fabrizio Del Noce in una posizione apicale. Un po’ perchè grande esperto di cose Rai per aver ricoperto negli anni vari ruoli, un po’ perchè molto legato a Elisa Isoardi, piemontesi entrambi, amici di lunga data e da direttore Del Noce l’ha molto valorizzata.
Anche per questo motivo se mai la prima rete dovesse andare alla Lega, questi sarebbe già nelle disponibilità di Ludovico Di Meo, gran lavoratore, che sempre la Isoardi aveva voluto al suo fianco nell’importante passaggio che la vede alla guida della trasmissione più amata dai telespettatori generalisti.
Ma la grande battaglia non si ferma lì.
Molto amato dalla Lega è Gennaro Sangiuliano, da anni vicedirettore del Tg1 e grande amico di Salvini. Giusto ieri il ministro ha presentato a Milano l’ultimo scritto di Sangiuliano su Trump. Sangiuliano, conscio del fatto che dovrebbe essere condiviso, già si sta avvicinando a Di Maio, tutti e due partenopei, con i genitori della stessa fede politica e pare calcistica.
In alternativa c’è sempre da spendere il nome di Mario Giordano, in rotta di collisione con l’ex Cav.
Per il Tg3 si parla di Alberto Matano, uomo d’immagine: facendo il direttore potrebbe esprimere il suo compito alla Berlinguer, vale a dire marcando il suo tg con la presenza costante in video.
Galloni da direttore in vista anche per Nicola Rao e Paolo Corsini, da sempre di area centrodestra.
(da agenzie)
argomento: RAI | Commenta »
Luglio 3rd, 2018 Riccardo Fucile
LO SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE DEGLI AFRICANI DA PARTE DELL’OCCIDENTE: IL VERO DISEGNO E’ CONTINUARE A FARLI LAVORARE NELLE MINIERE A DIECI EURO AL MESE E DEPREDARLI A CASA LORO
Da che storia è storia, «il futuro è dietro di noi»: lo insegnano la Bibbia, l’evoluzione, antropologia e la sociologia, e, in modo eminente, la psicologia.
Dal XVI al XX secolo, l’economia occidentale (Usa ed Europa) si sviluppò con la tratta degli schiavi (rotta atlantica).
Dieci anni dopo l’invasione delle Americhe da parte di Colombo e suoi successori, nel 1452, fu complice papa Nicola V che con la bolla «Dum Diversas» riconosceva al re del Portogallo Alfonso V di fare schiavo qualsiasi «saraceno, pagano o senza fede».
Il documento divenne l’atto fondativo dello schiavismo legale, mentre i protestanti praticarono lo schiavismo senza bisogno di documenti papali.
L’industria tessile inglese e poi europea e statunitense fu pagata dagli schiavi d’Africa; tutto il cotone per oltre 3 secoli e mezzo viaggiò dagli Usa all’Europa, fu possibile dal lavoro degli schiavi depredati «a casa loro» da Portogallo, Spagna, Inghilterra, Olando, Belgio.
Nel secolo XVIII, si diffuse lo sport dei safari africani, organizzati in Europa, con l’Italia che era una delle prime, per razziare patrimoni faunistici e minerari africani. L’Africa negli ultimi due secoli fu la terra che tutti potevano invadere senza chiedere permesso ad alcuno: se un africano si difendeva sparando, gli si mozzava la testa «a casa sua».
Ancora oggi, importiamo, complice la corruzione politica che paghiamo, oro dal Sudan, Zambia e dal Sud Africa, diamanti dal Congo e dalla Tanzania (ne sa qualcosa la Lega) e dall’Africa centrale; petrolio e gas naturale dall’Algeria, Libia, Egitto, Ghana, Togo, Nigeria e Gabon; materie prime per cibi e bevande, caffè e te dall’Etiopia, Sudan del Sud, Kenia e Madagascar, Sierra Leone, Senegal; cotone e tessili da Marocco, Mauritania, alluminio dal Monzabico; rame dallo Zambia e platino dallo Zimbawe.
Infine, il coltan dal Togo e dal Congo che, da solo, possiede l’80% delle miniere del mondo.
Il coltan è un minerale usato nei chip dei telefonini, telecamere, computer portatili (ottimizza la corrente elettrica per la durata delle batterie). Esso però è radioattivo e contiene uranio.
Oltre a essere il primo ingrediente dei cellulari, il coltan è usato dall’industria aerospaziale nei motori jet, nei visori notturni, nelle fibre ottiche, negli airbag.
Il coltan si trova solo in nove Paesi, tra cui Cina, Brasile e, in Africa, il Togo e il Congo che detiene l’80% della produzione mondiale.
La paga «ordinaria» è di € 10,00 al mese (dicesi DIECI al mese).
Le multinazionali Nokia, Eriksson e Sony offrono fino a € 200,00 al mese, scatenando una concorrenza spietata tra i poveri congolesi e rwandesi, che lavorano nelle miniere a mani nude, compresi bambini dagli 8 anni in su, i più richiesti perchè le loro piccole mani arrivano dove gli adulti non possono.
Le conseguenze mortali segnano una contabilità da genocidio: dal 1998 al 2014 nelle miniere estrattive di coltan sono morte milioni di persone sull’altare dei cellulari, usati dall’Occidente che utilizza mediatori triangolati per non farsi scoprire.
In conseguenza dello sfruttamento in Congo sono in atto guerre tra bande assoldate a questa o quella multinazionale o Stato estero per il possesso delle miniere.
Il prezioso minerale causa la guerra che sta devastando il Paese. I proventi del coltan servono a pagare i soldati e acquistare nuove armi.
Tra il 2016, causa la carenza estrattiva di coltan, per la guerra delle miniere, l’industria hi-tech occidentale andò in tilt e in Occidente la gente impazzì con scene da panico perchè la PlayStation2 era introvabile.
Nel 2017 l’Italia i governi Renzi e Gentiloni, «in appena tre anni, hanno sestuplicato le autorizzazioni per le esportazioni di armamenti. Giri d’affari passati da 2 miliardi a più di 14 miliardi».
Se gli Africani chiudessero i loro porti, l’Italia e la insipiente Europa che non c’è farebbero la fine che si meriterebbero.
Congolesi e rwandesi, sudanesi, ecc. che scappano dai loro Paesi verso l’Europa — ironia della sorte — sono respinti alle frontiere perchè «migranti economici» senza diritto di asilo.
L’Occidente li può depredare e ammazzare «a casa loro» per progredire in casa propria con la ricchezza africana, ma gli africani non possono entrare in Europa.
Non li fa entrare, ma li vuole a lavorare nelle miniere in cui muoiono per mantenere in vita l’economia superflua occidentale.
Nel prossimo secolo le migrazioni travolgeranno l’Europa, vecchia, insulsa e miope per una manciata di voti.
Il saggio non costruisce muri che sono armi letali per chi ci sta sotto, ma apre varchi per alleggerire la massa d’acqua di 10 milioni di persone pronti a morire pur di sperare.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »
Luglio 3rd, 2018 Riccardo Fucile
IL MINISTRO DELL’ECONOMIA E’ PER “LA CONTINUITA’ DELLA RIDUZIONE DEL RAPPORTO DEBITO-PIL”, QUINDI NESSUNA SPESA A CAPOCCHIA
Chissà se è davvero un infiltrato, come lo accusava velatamente qualche giorno fa il Fatto. Di certo
Giovanni Tria sta interpretando il suo ruolo di ministro dell’Economia esattamente nella maniera in cui ci si aspettava si muovesse.
Nel corso dell’audizione sulle linee programmatiche del suo dicastero di fronte alle commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato ha spento sul nascere molti sogni e promesse (almeno per quest’anno) fatti da Lega e MoVimento 5 Stelle di recente.
“Il primo obiettivo dell’intero governo è il perseguimento prioritario della crescita dell’economia in un quadro di coesione sociale all’interno di una politica di bilancio” che prevede la “continuazione della riduzione del rapporto debito Pil“, ha detto Tria all’esordio, ed è impossibile non notare una certa differenza con quanto dichiarato dal sottosegretario Armando Siri, “padre” della flat tax, soltanto un paio di giorni fa al Corriere: «La manovrà sarà di 70 miliardi, si tratta di quasi 4 punti di Pil. Li copriamo, per circa un punto e mezzo con la pace fiscale e col taglio degli sprechi della spesa. Il resto in deficit. L’importante è che l’Europa ci autorizzi ad arrivare anche al 2,6-2,7% di deficit, tanto poi ne facciamo meno, man mano che arriveranno i risultati della flat tax».
Sui dazi, Tria ha detto che è nel nostro interesse non arrivare a una guerra globale; l’esatto contrario di quanto sostenuto da Salvini e Di Maio, pronti a metterli.
L’obiettivo del governo, ha fatto sapere Tria, è ridurre “la spesa corrente per aumentare la spesa in conto capitale”, ovvero gli investimenti, e “attuare le riforme strutturali previste dal contratto di governo”.
Ma “La linea strategica del ministero punta a una crescita inclusiva, alla riduzione del debito-pil” e “l’aggiustamento a cui stiamo lavorando non comporterà il peggioramento del saldo strutturale“.
Che ha messo in guardia anche dalla frenata della crescita, che secondo il sottosegretario Siri faceva parte di un complotto di previsioni non meglio specificato: “Pur in un quadro positivo i dati” recenti ” suggeriscono che la crescita sia continuata fino a tutto il secondo trimestre ma a un ritmo inferiore” dello stesso periodo del 2017 e “le stime interne più recenti indicano per il secondo trimestre un ritmo di crescita analogo” al primo.
Tria ha anche fatto sapere che non sta ragionando intorno all’ipotesi di una manovra correttiva, al contrario di quello che aveva affermato la sua viceministra Laura Castelli qualche giorno fa.
E le tante promesse del governo? “Il governo si adopererà per ottenere dall’Europa e da questo Parlamento gli spazi necessari per attuare le misure previste dal programma”, garantendo allo stesso tempo che “non si abbia nessuna inversione di tendenza nel percorso strutturale” necessaria per “rafforzare la fiducia degli investitori internazionali“.
Ovvero, quei mercati che secondo altri invece non bisognerebbe assecondare.
Anche se, ha concluso Tria, “la previsione del Def a legislazione vigente per gli anni successivi, in particolare per il 2019, implica “un aggiustamento troppo drastico e non riteniamo utile adottare politiche che si possono rivelare pesantemente pro cicliche con un effettivo rallentamento della crescita per effetto di variabili essenzialmente esogene, ciò fermo restando l’obiettivo di assicurare un calo del rapporto debito Pil e il non peggioramento del deficit strutturale”.
Per l’anno in corso, ha spiegato Tria, “riteniamo di poter mantenere l’indebitamento intorno a livello programmato e confermato nel Def. Siamo fiduciosi sui dati a consuntivo 2018, mostreranno un percorso di finanza pubblica in linea con questo obiettivo”.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: economia | Commenta »
Luglio 3rd, 2018 Riccardo Fucile
IL SINDACO TRASMETTA LA REGISTRAZIONE ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA PER I PROVVEDIMENTI DEL CASO, BASTA SUBIRE IN SILENZIO DELIRI RAZZISTI
“Non vogliamo vedere cose colorate in giro in città “, così si è espresso il neo eletto consigliere comunale di Fratelli d’Italia a Brescia, Giovanni Francesco Acri, inaugurando la sua attività consiliare.
Le sue parole sono state infatti pronunciate in occasione della prima seduta del Consiglio e sono state stigmatizzate dai colleghi consiglieri che hanno subito preso le distanze da Acri.
Nel suo intervento, Acri ha anche ribadito come per Fdi a Brescia verranno “prima i bresciani” e “prima gli italiani”. Quindi l’affondo sulle “cose colorate” che girano per Brescia e che non vorrebbe vedere.
Sempre questa mattina, Roberto Cammarata del Pd è stato eletto presidente del Consiglio comunale durante la prima seduta a palazzo Loggia dopo le elezioni amministrative che lo scorso 10 giugno hanno visto la conferma del sindaco Emilio Del Bono.
(da agenzie)
argomento: Razzismo | Commenta »
Luglio 3rd, 2018 Riccardo Fucile
IL GIORNALISTA RIFA’ LA STESSA STRADA DEL COMICO E NE TROVA A DECINE
Il video di Beppe Grillo che non vede buche a Roma continua a far ridere discutere. 
Il simpatico filmato in cui il moralizzatore del traffico in megafono notava la fantastica situazione delle strade romane viene oggi debunkato metro per metro dal Messaggero, che mostra tutto il percorso fatto dal Garante M5S fino al tratto in gestione alle Autostrade contando una buca ogni sessanta metri in media:
Già alla fine di via degli Annibaldi, quando il Colosseo è a portata di mano, si incontra il primo cedimento evidente nel fondo stradale.
Ma proprio nel cortile di casa dell’Anfiteatro Flavio, in via Nicola Salvi, la situazione si presenta particolarmente deteriorata: ben sette buche in trecento metri, a cui si aggiungono i sampietrini che emergono dall’asfalto scrostato davanti all’ingresso del parco di Colle Oppio abitualmente utilizzato da turisti diretti alla Domus Aurea.
Un po’ meglio la situazione in via Labicana: almeno nella corsia laterale rifatta pochi anni fa, all’epoca della pedonalizzazione di via dei Fori Imperiali.
Soltanto tre le buche evidenti su quest’arteria — diventata fondamentale nella circolazione del centro storico — e tutte nei pressi dell’incrocio con via Merulana.
Ben diversa invece la situazione della corsia riservata a tram e bus: fortemente deteriorata, tanto che i taxi preferiscono non utilizzarla.
Insomma, la situazione è tale che forse per le sue gag sarebbe meglio che Grillo prendesse spunto da una città meglio amministrata.
O meglio: amministrata.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Roma | Commenta »