Novembre 2nd, 2018 Riccardo Fucile
RISCOPPIA LA TENSIONE ATTORNO AL REDDITO DI CITTADINANZA… STAVOLTA NON LITIGANO CON L’EUROPA MA TRA DI LORO
La notizia è che la manovra torna di nuovo ostaggio del “gioco politico” italiano. 
E della confusione (e relativa tensione) all’interno del governo.
Qualunque sia la ragione – e su questo torneremo — il dato politico è che stavolta l’Europa, intesa come fattore esterno di “destabilizzazione”, non c’entra. E non c’entrano i mercati che, invece, proprio sulla soluzione “all’italiana” trovata fino a ieri, sembravano aver trovato la ragione per rinviare l’Apocalisse.
Perchè questo è il punto.
Ricapitoliamo brevemente: all’inizio, quando è stata concepita, la manovra prevedeva un impegno finanziario non derogabile di sedici miliardi di euro da destinare alle due misure simbolo del governo gialloverde, il reddito di cittadinanza e “quota cento”. Tutto e subito.
Nell’ultima versione, quando è stata scritta, quei fondi non sono più vincolati alle due misure ma possono essere utilizzati anche per altro, come la riduzione del deficit. Mossa furba e molto all’italiana, che consentiva a Di Maio e Salvini di dire che si faranno, in tempi tutti da definire, ma al tempo stesso consentiva di disinnescare la reazione dei mercati.
Entrambe le misure, così è stato scritto nel Def, venivano rinviate a dei “collegati” ovvero in provvedimenti successivi alla manovra.
Per i non addetti ai lavori: il collegato è un disegno di legge che, considerati i tempi parlamentari, avrebbe reso assai complicato approvare le misure in un paio di mesi.
Il combinato disposto dei fondi resi non “vincolati” e dello strumento del ddl, di fatto, svuotava la manovra.
Certo, senza annunciarlo con le fanfare, ma dava non pochi margini di gioco, perchè, allungando i tempi e dunque facendo entrare in vigore le misure più in avanti nel tempo, si riduceva l’asticella del rapporto deficit-Pil.
Non sarebbe bastato a Bruxelles per evitare una procedura di infrazione, che ormai appare scontata. Però la soluzione trovata consentiva sufficienti margini di ambiguità per salvare la faccia, perchè comunque l’impegno rimaneva, ma, al tempo stesso, di ridurre la posta nel gioco d’azzardo con i mercati.
La novità odierna, e non è affatto un dettaglio, è che questo “patto silenzioso” con l’Europa, con relativo gioco delle parti, è tornato in discussione, almeno così pare, per ragioni tutte di politica interna, dopo giorni in cui, dopo i giudizi delle due agenzie di rating e i primi stress test sulle banche, sembrava essersi placato l’allarme sui .
Le ragioni sono molteplici: l’ansia politica crescente di Di Maio che, ad ogni sondaggio, vede che il Movimento continua a perdere punti; la conseguente frenesia dichiaratoria che lo spinge a precipitarsi su facebook appena letta qualche frase di Giorgetti, contenuta nel libro di Vespa, e raccolta chissà quanto tempo fa; la tensione che, ormai, investe ogni singolo dossier di governo — dalla Tav alla prescrizione — e che rende legittima la domanda, sempre più frequente in casa leghista, su “quanto si può andare così”.
Sia come sia, qualunque sia la ragione, o le tante ragioni di questa confusione, la tensione manovra, diventata una sorta di perenne “incompiuta”, disvela un evidente problema di fragilità politica della coalizione e, perchè no, di tenuta stessa del governo.
Su un provvedimento di 36 miliardi, ad oggi 16 sembrano sospesi per aria, e riguardano le due misure “bandiera” di Lega e Cinque Stelle: quota cento e il reddito di cittadinanza.
In particolare quest’ultimo, a cui i Cinque Stelle affidano le speranze di risalita nei consensi alle Europee. Giorgetti dice che è di difficile attuazione, Di Maio annuncia (lo aveva fatto anche mesi fa) un “decreto” a Natale per accorciare i tempi e ridurre i rischi, la Lega sul decreto non risponde e in manovra è scritto che sarà tutto rinviato a un disegno di legge.
A poco serve un incontro ‘chiarificatore’ in serata tra Conte e lo stesso sottosegretario con le classiche dichiarazioni rasserenanti: non capiamo le polemiche, siamo uniti… C’è una manovra scritta in cui resta possibile anche risparmiare del tutto quella cifra. E una manovra orale, che quel compromesso lo rimette in discussione.
Per dare un ordine di grandezza: 16 miliardi sono circa un punto di Pil e quasi la metà della manovra. A momento il governo, nel suo insieme, non li ha collocati.
E stavolta l’Europa matrigna non c’entra.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 2nd, 2018 Riccardo Fucile
LORENZO TOSA, ADDETTO STAMPA DEI CINQUESTELLE IN REGIONE, RINUNCIA AL POSTO DI LAVORO: “QUESTIONE DI COSCIENZA”… UN ISTANTE DOPO E’ CANCELLATO DALLA CHAT SENZA NEANCHE UN SALUTO… “COME FAI A PENSARE ALLO STIPENDIO QUANDO DONNE E BAMBINI VENGONO TENUTI IN OSTAGGIO SU UNA NAVE NELL’INDIFFERENZA DELLA CLASSE POLITICA?”
Non hanno nemmeno potuto accusarlo di essersene andato per tenersi i soldi, la poltrona e tutto il resto, come da classico registro quando un 5 Stelle abbandona il Movimento.
Il giornalista Lorenzo Tosa, (ex) responsabile della comunicazione del gruppo regionale, ha lasciato il suo posto di lavoro.
Lo ha fatto motivandolo con un lungo post su Facebook: affabile nei toni, ma durissimo nel contenuto. “Mi ci sono voluti due anni per riflettere, trenta secondi per decidere. La verità è che non ero più in grado di garantire quella professionalità¡ che ho sempre messo sopra tutto. Sopra le idee e i dubbi, sopra la stanchezza e la coscienza personale. Ci vuole un po’ di coraggio, e un pizzico di follia, per lasciare il certo per l’incerto, l’ovvio per il forse. Ma siamo arrivati a un punto tale che non è piຠpossibile chiamarsi fuori”, ha scritto Tosa, in passato cronista del Fatto Quotidiano.
Il suo scritto sul social network ha avuto centinaia di condivisioni e commenti. Il giorno dopo lui, che non è mai stato un attivista del M5S “ma non nego per fare un lavoro del genere ci volesse un’adesione ideale al progetto”, dice che non vuole fare il “dissidente di professione”. Ma rivendica la scelta, ancor più difficile se si pensa che Tosa non aveva un’alternativa lavorativa.
“Il M5S è cambiato, se prima potevo tollerare certi aspetti, oggi quel travaglio è diventato insostenibile. Il Movimento sta ormai accodandosi al peggior populismo, quello alla Trump o alla Bolsonaro”.
E infatti nel messaggio scrive che “stiamo costruendo un mondo in cui, se fai figli, ti regalano un terreno da coltivare, in un’equazione prole-raccolto-forza lavoro che credevo di ripassare giusto in qualche volume di Jacques Le Goff. Come fai, di fronte a questa onda anomala, a mettere davanti lo stipendio? Come fai a continuare a ripeterti – e a ripetere a tuo figlio – che lo stai facendo per lui quando duecento uomini, donne e bambini vengono tenuti in ostaggio per giorni in mezzo al mare, nel silenzio da brividi di un’intera classe politica?”.
Chiaro il riferimento alla nave Diciotti e al sostanziale silenzio del M5S rispetto alle esibizioni muscolari sulla pelle dei migranti dell’alleato di governo, Matteo Salvini.
Dopo aver comunicato la sua decisione, Tosa non ha ricevuto nè un ringraziamento nè un saluto da parte dei consiglieri che fino al giorno prima seguiva quotidianamente (“solo un eletto in Comune mi ha scritto”). Ma è stato rimosso subito dalle varie chat interne. “In compenso però – continua – mi hanno scritto decine di persone da tutta Italia per complimentarsi. Ma non credo di aver fatto nulla di eccezionale, ho solo seguito la mia coscienza”.
In Liguria la vita interna del Movimento è tumultuosa da anni.
La vecchia guardia dei primi meetup, ambientalista e culturalmente di sinistra, se n’è andata da tempo. Prima con il gruppo di Paolo Putti – a sorpresa con i 5 Stelle sfiorò il ballottaggio nel 2012, oggi è stato rieletto consigliere comunale con una lista civica promossa da Sinistra Italiana e Rifondazione – e poi lo scorso anno con Marika Cassimatis, la cui candidatura a sindaco conquistata con un voto sul blog fu impugnata e annullata di imperio da Beppe Grillo.
Le ultime cronache invece raccontano la crisi di coscienza del senatore Matteo Mantero, indeciso se votare o meno il decreto sicurezza insieme alla Lega.
Mentre a capo del nuovo corso, per molti settario e acritico rispetto ai dettami della Casaleggio, c’è sempre Alice Salvatore. Mai dubbiosa e anzi, sempre la prima ad adeguarsi ai numerosi cambi di linea decisi tra Roma e Milano.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 2nd, 2018 Riccardo Fucile
OGNI GIORNO SI APRE UN NUOVO FRONTE, DAL REDDITO ALL’ANTICORRUZIONE
Non sono dichiarazioni dell’ultima ora, ma sono lo stesso esplosive. “Il reddito di cittadinanza ha
complicazioni attuative non indifferenti. Se riuscirà a produrre posti di lavoro, bene. Altrimenti resterà un provvedimento fine a se stesso”. Le parole di Giancarlo Giorgetti contenute nel consueto libro annuale di Bruno Vespa e sapientemente diffuse come anticipazioni hanno irritato non poco Luigi Di Maio.
Il vicepremier si è rapidamente confrontato con i suoi e ha deciso subito di gettare acqua su un incendio che rischiava di divampare, organizzando in fretta e furia una diretta su Facebook.
“Dopo la legge di bilancio, magari a Natale o subito dopo, si fa un decreto con le norme per reddito e pensioni di cittadinanza e riforma della Fornero — tranquillizza i suoi elettori – Lo faremo con un decreto, non un ddl perchè ci vorrebbe troppo e c’è emergenza povertà “.
Una polemica che si è rincorsa per tutto il giorno. Al punto che, a sera, da ambienti leghisti si fa trapelare un incontro chiarificatore tra Giuesppe Conte e lo stesso Giorgetti. “Siamo al lavoro per risolvere i problemi del paese – ha gettato acqua sul fuoco il sottosegretario alla presidenza del Consiglio – Siamo sorpresi dalle polemiche inutili e pretestuose. Il governo va avanti unito con Lega e 5 stelle sulle cose da fare a cominciare dal dossier alluvioni, bilancio. Con Europa discuteremo con tranquillità e con le idee chiare senza arretramenti”.
Un piccolo teatro per tranquillizzare il clima, ma andato in scena quando ormai i buoi erano scappati dalla stalla.
Anche perchè al momento delle due madri di tutte le riforme gialloverdi non c’è nulla. O meglio, c’è lo stanziamento di due fondi comunicanti per un totale di circa 17 miliardi, con la clausola però che se non saranno spesi potranno essere rimessi in cassa per abbassare l’asticella del deficit.
È evidente che tutta la partita si gioca qui, nelle pieghe dei tempi di partenza dei provvedimenti e, per quanto riguarda lo scivolo della Fornero, nella platea che deciderà di usufruirne.
“È un casino, una norma complessissima — spiega una fonte di governo — per questo per il reddito non si faceva in tempo a inserire l’articolato in manovra”. Le parole di Giorgetti non hanno fanno altro che accendere un riflettore su un elefante che da tempo è nel salotto del governo. Perchè la Lega non è mai stata convinta del provvedimento, e dal quartier generale del Carroccio a più riprese sono filtrate perplessità negli scorsi mesi.
Il ponte dei morti diventa così un campo minato per la maggioranza.
Scossa dalle fibrillazioni sul decreto sicurezza e sul soccorso nero di Fratelli d’Italia a rimpinguare i numeri delle possibili defezioni pentastellate.
Dalle polemiche sulle grandi opere, dal Tap al Tav passando per il Muos.
Dal blitz degli uomini di Alfonso Bonafede sul blocco della prescrizione dopo il primo grado, non concordata con l’alleato leghista.
E dallo scontro che si intravede all’orizzonte sulla norma per la trasparenza dei partiti contenuta nella legge anticorruzione, con i 5 stelle a difendere la norma e la Lega a presentare emendamenti dal retrogusto anti-Movimento.
C’è un’ansia comunicativa di Di Maio, che sovente lo port vicinissimo a far deragliare il treno.
È successo con la “manina” sul decreto fiscale, e la poco sensata corsa da Bruno Vespa a minacciare denunce.
Si è ripetuto con la lettera anti-dissidenti, che ha drammatizzato una situazione largamente sotto controllo.
Ed è corso a rintuzzare parole che Giorgetti ha pronunciato settimane fa, sapientemente diffuse ora come anticipazioni. Che testimoniano un clima di certo non favorevole, ma non novità sostanziali tali da dover correre ai ripari. Certo, magari impattano i sondaggi, che da settimane vedono costantemente i 5 stelle inseguire con affanno le camicie verdi.
Quella che avviluppa i due alleati è una specie di sindrome masochista.
Perchè il grande scoglio della manovra era stato doppiato evitando l’apocalisse dei mercati da più parti annunciata.
E gli stress test positivi per i colossi bancari del Belpaese arrivati oggi potevano puntellare ulteriormente il fronte gialloverde nella sua battaglia campale contro l’Europa. Invece l’avvitamento.
Perchè non passa giorno e provvedimento che gli alleati non si litighino una norma o un provvedimento, ora più ora meno.
Ed è in questo clima che è risuonato il secondo “le premier c’est moi” pronunciato da Giuseppe Conte, dopo quello pronunciato per convocare il Consiglio dei ministri che ha trovato la quadra per il decreto fiscale.
Commentando le parole di Matteo Salvini, che ha convocato la Lega in piazza per l’8 dicembre con lo scopo di “mandare un bel selfie a Juncker”, il presidente del Consiglio ha risposto piccato: “Sono io che interloquisco con le istituzioni europee e mi siedo al tavolo. Incontrerò Juncker nelle prossime settimane, ci tengo a illustrare personalmente i contenuti della manovra, frutto di un lavoro serio e responsabile”.
L’avvocato del popolo italiano ha assunto poi il patrocinio gratuito del cittadino Di Maio: “La riforma del reddito di cittadinanza partirà l’anno prossimo. Siamo ben consapevoli tutti noi- continua- non solo Giorgetti che è una riforma che va fatta con molta attenzione, per questo non l’abbiamo inserita adesso nella legge di bilancio, teniamo a farla bene con tutti i dettagli applicativi di cui sarà importante tenere conto”.
Il problema però è che spesso, troppo spesso, l’impressione è quella che Lega e 5 stelle non siedano dallo stesso lato del banco nel tribunale dell’agone politico.
Conte compreso.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 2nd, 2018 Riccardo Fucile
LA FRONDA DEI DISSIDENTI GRILLINI NON ARRETRA, ARRIVANO IN SOCCORSO LE BADANTI RUSSE
“Voteremo il decreto perchè sulla sicurezza e sulla lotta all’immigrazione incontrollata la destra c’è sempre, noi ci saremo sempre. I voti di FdI non mancheranno”.
Con queste parole la leader di FdI, Giorgia Meloni, ha assicurato che i parlamentari del suo partito voteranno a favore del decreto sicurezza. ”
Ci sono state frizioni nella maggioranza, il Movimento 5 stelle è in difficoltà a votare il decreto sicurezza. Ma noi non siamo soliti trattare sulle grandi questioni”, ha affermato nel corso di un Facebook live.
Il provvedimento approderà in Senato dopo il via libera in Commissione, ma lo scontro tra Lega e M5s sul testo è già in atto.
Sulla questione una dei quattro ‘dissidenti’ del Movimento, la senatrice Elena Fattori, ha dichiarato in un’intervista a La Stampa “Salvini punta a sostituirci con Meloni”, “caro Di Malo, così diventi la stampella della destra”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 2nd, 2018 Riccardo Fucile
SABATO MANIFESTAZIONE AUTOCONVOCATA IN PIAZZA SAN CARLO CONTRO L’INCONCLUDENZA DELLA APPENDINO: “TORINO E’ UNA CITTA’ MORTA”
E il sabato dopo la protesta di Roma, anche Torino scende ora in piazza contro una sindaca
grillina accusata di inconcludenza.
Sull’esempio di #romadicebasta ma anche stimolata dalla mozione No Tav approvata dal Consiglio Comunale espellendo l’opposizione, #torinodicebasta è stata convocata a tamburo battente per sabato 3 novembre. Piazza San Carlo alle 10.
Come per #romadicebasta, per #torinodicebasta si parla di una manifestazione nata dal basso e diffusa via Social. Apolitica, anche se non antipolitica.
Niente bandiere o simboli di partito, ma il tricolore e il cartello “Torino dice basta”. “Le persone dovranno essere vicine, fianco a fianco, in file, girotondi e solo stando insieme il nostro messaggio sarà ‘completo’, continuo e forte!”.
In più, rispetto a #romadicebasta, #torinodicebasta si propone non solo come sit in, ma anche come girotondo.
In meno, non c’è il comitato delle sei donne che a Roma aveva messo la faccia. L’iniziativa è infatti nata da una pagina Facebook che si chiama ChiaraAppendinochefacose: chiaro riferimento al personaggio di Ecce Bombo di Nanni Moretti, che giusto una quarantina di anni fa mascherava la sua inconcludenza ripetendo “vedo gente, faccio cose”.
“Cinque persone che si erano incontrate sui Social appunto commentando l’operato della sindaca, e che avevano deciso di continuare il discorso su quello spazio, Avevamo visto che per quei post sulla Appenino la gente incominciava a seguirci”. Più goliardia che vera opposizione politica, insomma.
Ma a Torino le cose si sono fatte talmente pesanti che dai cinque viene appunto una precisa richiesta di anonimato. “Ci sono rischi”, ci spiegano. Non sono peraltro solo loro a muoversi.
Pure come risposta immediata al voto No Tav è nata un’altra pagina Facebook “Sì, Torino va avanti” che in cinque giorni ha subito raccolto 28.000 iscritti.
Su Change.org l’esponente di Forza Italia Bartolomeo Giachino ha a sua volta lanciato una petizione Si Tav che ha raccolto 38.000 firme.
E un’altra manifestazione ancora starebbe venendo organizzata dalle categorie produttive. “Ci siamo mossi in due giorni”, dicono i promotori. “Dopo questa prima iniziativa vorremmo infatti farne una seconda per il 10 novembre, cercando di tirare dentro anche altre associazioni”.
Il no alla Tav dopo quello alle Olimpiadi viene percepito come il segnale di un problema più generale. “La cultura a Torino non funziona più”, denunciano i promotori della protesta. “Hanno cancellato tutti gli eventi. Torino sembra una città morta. I locali non funzionano più come prima, c’è il divieto di alcol dopo le 21. Non c’è più niente a Torino”.
“Dopo il no alle Olimpiadi il no alla Tav rappresenta per Torino un altr danni gravissimo. Torino ha bisogno di crescere, non di rimanere indietro. Su Torino c’è stato un preciso scambio di merce tra Cinque Stelle e Lega. No alle Olimpiadi e no alla Tav in cambio del via libera alle posizioni di Salvini su immigrazione e sicurezza. Ma così ne vengono danneggiati i cittadini di Torino. Ci sono almeno 430 persone che perderanno i lavoro se la Tav non andrà avanti”.
Insomma, “la Appendino le uniche cose che può rivendicare spacciandole come sue sono alcune cose fatte dalla giunta passata. Ma noi siamo stanchi di essere fermi e di rimanere indietro”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 2nd, 2018 Riccardo Fucile
ORA HA CAMBIATO IDEA MA QUALCHE ANNO FA SOSTENEVA CHE IL CANDIDATO ALLA PRESIDENZA DELLA CONBOB ERA STATO FAVORITO DALLA COMMISSIONE D’ESAME
Dopo la nomina dei vertici della Rai il governo gialloverde deve affrontare la questione di Consob.
L’autorità di vigilanza sulla Borsa è rimasta senza presidente dopo le dimissioni di Mario Nava e uno dei nomi fatti per la sua successione è quello di Marcello Minenna, ex assessore al bilancio di Virginia Raggi a Roma nonchè dirigente Consob dove dal 2007 è a capo dell’ufficio Analisi quantitative e Innovazione finanziaria.
Minenna ha quindi tutte le competenze necessarie e una conoscenza “di prima mano” del funzionamento della Consob.
Come riferisce Valerio Valentini sul Foglio di oggi Minenna riscontra il gradimento di alcuni parlamentari a 5 Stelle, ad esempio Carla Ruocco ma anche, a sorpresa del senatore Elio Lannutti.
A sorpresa perchè proprio Lannutti, quando era senatore nell’Italia dei Valori, presentò una interrogazione parlamentare proprio in merito alla carriera di Minenna all’interno di Consob.
Nell’Interrogazione presentata il 13 luglio 2010 sulla scorta di un «dettagliatissimo esposto intitolato “Brogli alla Consob per le promozioni relative all’anno 2009″» Lannutti parlava delle assunzioni e degli avanzamenti di carriera all’interno della Consob e faceva riferimento ad elenchi di dipendenti promossi che dimostrano il «grado di degrado, di lottizzazione e di favoritismo esistente all’interno della Consob».
Tra i vari dipendenti di Consob oggetto dell’interrogazione del senatore oggi con i 5 Stelle figurava proprio il nome del dottor Marcello Minenna: «il cui principale sponsor è il padre, ingegnere responsabile della direzione del settore lavori dell’ANAS».
In pratica Lannutti diceva, protetto dall’immunità parlamentare, che Minenna era un raccomandato.
Dell’ex assessore al Bilancio capitolino, e futuro presidente dell’Authority, scriveva che «la costruzione della sua carriera era stata già decisa da tempo».
Il Presidente di Adusbef non doveva nutrire molta simpatia per Minenna, che nel 2005 era appena stato promosso condirettore (funzionario di 1° livello). Lannutti rendeva noto al governo che Minenna aveva solide entrature perchè «è affiliato all’entourage del dottor Marino, ex Vice direttore generale della Consob» e fa notare che in passato, quando partecipò al concorso per funzionario di 2° livello Minenna «aveva riportato il voto più basso alle prove scritte (21.00) e il più alto a quelle orali (30.00)» classificandosi all’ultimo posto nelle prove scritte.
Lannutti aveva poi analizzato il comportamento della Commissione.
Agli orali — rilevava — Minenna era stato l’unico ad ottenere il punteggio massimo e questo secondo Lannutti dimostrava che per favorirlo la Commissione esaminatrice non ha dato nè un 29.00 nè un 28.00.
Anzi, ha letteralmente “massacrato” il candidato che, avendo ottenuto una media di 27.00 alle prove scritte, si era classificato temporaneamente al 1° posto, dandogli un misero 22.00.
E non contenta di ciò, siccome questo povero disgraziato aveva più titoli di Minenna (2.75 contro 2.00), al colloquio in lingua inglese gli ha dato punti 3.00, contro i 4.00 di Minenna.
In poche parole secondo le insinuazioni fatte da Elio Lannutti Minenna sarebbe stato favorito dalla commissione esaminatrice che avrebbe invece “massacrato” un candidato non solo più bravo ma anche più preparato.
Di questo però l’allora senatore non portò alcuna prova. Lannutti poi si chiedeva come mai successivamente Minenna venisse aggregato ad una Commissione esaminatrice nonostante fosse ancora un funzionario di secondo livello in prova.
La risposta che il senatore pentastellato si dava era che «si voleva continuare a costruire la carriera di Minenna, consentendogli di acquisire titoli». Anche il suo ruolo a guida dell’Ufficio Analisi Quantitative sarebbe stato parte della strategia volta — sempre secondo Lannutti — ad «ipotecare la successiva promozione a condirettore».
Due giorni fa improvvisamente però Lannutti in un tweet interveniva sulla vicenda della nomina spiegando che c’erano «candidati forti, specchiati, competenti ed autorevoli, come il prof. Marcello Minenna» ed era necessario procedere con urgenza alla nomina.
Tutto l’opposto di quello che sosteneva nel 2010. Abbiamo interpellato il senatore Lannutti per un commento e per sapere come mai dopo tutti questi anni la sua opinione su Minenna fosse cambiata: non abbiamo ricevuto risposta.
Chissà , forse ora che Lannutti è dello stesso partito del principale sponsor di Minenna l’onorevole Carla Ruocco l’ex IDV ha ottenuto sufficienti garanzia sulla carriera del dirigente Consob.
Magari non appena sarà eletto presidente Lannutti coglierà al balzo l’occasione di andare a fondo nella vicenda.
O a spiegare perchè abbia detto tutte quelle assurdità . Se guardiamo i precedenti però non c’è da essere fiduciosi.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 2nd, 2018 Riccardo Fucile
DIECI MINISTRI DELLE FINANZE ALZANO IL PRESSING SU ROMA
Una richiesta di riforma degli strumenti di mutuo soccorso dell’Eurozona, ma perchè sia chiaro a
Roma che nel Nord Europa non ammettono sgarri sulle finanze pubbliche che possano contribuire a generare tensione su tutto il Vecchio continente.
A tre giorni dalla riunione dei ministri delle Finanze nella quale l’italiano Giovanni Tria sarà ancora sotto la lente, riformare l’Eurozona con una stretta sul fondo Salva Stati ed una maggiore responsabilità dei singoli Stati sulle perdite è quanto hanno messo nero su bianco in un ‘paper’ i ministri delle Finanze di 10 Paesi nordici europei.
Si tratta di Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lituania, Lettonia, Svezia, Olanda, Slovacchia e Repubblica Ceca, della ‘neo-lega anseatica’.
Secondo il quotidiano olandese De Volkskrant si tratterebbe di un “duro avvertimento all’Italia”, per come lo ha qualificato una fonte Ue a conoscenza del progetto. Hoekstra, ministro olandese, ha spiegato che la lettera congiunta è intesa a “proteggere i contribuenti olandesi” contro la cattiva gestione finanziaria di altri paesi dell’euro, per la ricostruzione di stampa.
In pratica, a quanto si ricostruisce si chiede che prima dell’attivazione di un prestito dal fondo di emergenza europeo si facciano partecipare alle perdite sulle obbligazioni i risparmiatori che le hanno sottoscritte, ristrutturando di fatto il debito. Secondo un diplomatico il messaggio è che “gli investitori in titoli di Stato italiani potrebbero perdere i loro soldi”.
I dieci ministri chiedono che un eventuale prestito dal fondo di emergenza europeo di emergenza sia garantito prima che un Paese dell’euro abbia grandi problemi finanziari ed economici, in primo luogo se il debito nazionale è in fase di ristrutturazione.
Ciò significa che i possessori privati di titoli di Stato dovrebbero subire le perdite prima del fondo. Gli attuali criteri per un prestito di emergenza rendono comunque già possibile uno sforzo da parte di investitori privati.
Dovrebbe essere un doppio avvertimento, dunque: sia verso chi volesse sottoscrivere il debito italiano, perchè saprebbe che andrebbe incontro a un possibile haircut in vista di tensioni finanziarie.
Sia per chi deve decidere la politica economica, perchè saprebbe che a pagare le conseguenze di scelte fuori dal seminato sarebbero in primis i sottoscrittori dei Btp, in prima battuta i cittadini e le banche locali.
I dieci Paesi chiedono politiche fiscali prudenti a livello europeo, convinti che il “fondo SalvaStati debba essere adeguatamente attrezzato” e avere per questo “pieno accesso” alle informazioni dei bilanci pubblici degli Stati. Tali Paesi sostengono “il ruolo rafforzato dell’Esm, come istituzione intergovernativa responsabile dei suoi azionisti. Il suo ruolo principale dovrebbe rimanere il finanziatore di ultima istanza per gli Stati”. Ma “la prima linea di difesa nelle difficoltà finanziarie dovrà essere a livello nazionale”.
(da agenzie)
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Novembre 2nd, 2018 Riccardo Fucile
“INVECE CHE LAVORARE A UNA AGENDA CHE RISPONDA ALLA DEBOLEZZA STRUTTURALE DELL’ITALIA, LEGA E M5S PENSANO ALLE ELEZIONI EUROPEE PER CERCARE DI TRARNE UN VANTAGGIO”
L’agenzia di rating canadese Dbrs “non è eccessivamente preoccupata per il previsto deterioramento del deficit fiscale dell’Italia a condizione che i fondamentali economici del Paese non si deteriorino”.
Lo scrive la stessa agenzia in una nota precisando che “i rischi per la stabilità finanziaria causati dall’ampliamento dei rendimenti dei titoli sovrani italiani appaiono per il momento contenuti”.
Il sistema bancario, ricorda Dbrs, ha compiuto “progressi nella riduzione dello stock di crediti deteriorati e nel rafforzamento delle riserve di capitale. Inoltre, l’occupazione totale è ora al di sopra dei livelli pre-crisi e la l’esposizione verso l’estero è migliorata negli ultimi anni”.
Nello stesso tempo l’agenzia di rating, la quarta al mondo dopo Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch, non prevede un miglioramento sostanziale della performance di crescita dell’Italia.
“Davanti ad uno scenario – avverte in una nota l’agezia canadese – dove c’è già un rallentamento della crescita, un calo della fiducia delle imprese e tassi di interesse più alti, Dbrs non si aspetta un miglioramento sostanziale della crescita italiana e nel breve termine, ad esempio nei prossimi trimestri, l’economia potrebbe risentirne negativamente”
Il problema principale riguarda la capacità o meno del Governo di “formulare e realizzare un’agenda pro-occupazione che sostenga, piuttosto che invertire, la performance di crescita dell’Italia”.
“Un prolungato periodo di volatilità del mercato e alti spread – afferma Dbrs – potrebbe anche rappresentare una sfida per le banche italiane, minando la fiducia delle imprese, influenzando la crescita del credito e contribuendo alla rideterminazione dei prezzi delle attività “.
Il timore, è che i due partiti di governo, Lega e M5s, continuino a “guardare alle elezioni europee di maggio 2019 come un’opportunità per ottenere qualche vantaggio, invece che lavorare su un’agenda che davvero risponda alla debolezza strutturale del Paese”.
(da agenzie)
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Novembre 2nd, 2018 Riccardo Fucile
L’INDICATORE PMI SCENDE SOTTO LA SOGLIA CRITICA DI 50 PUNTI, NON SUCCEDEVA DA DUE ANNI
L’Istat ci ha appena detto che per la prima volta dopo oltre tre anni l’economia italiana si è
fermata, con i dati provvisori del terzo trimestre 2018 che indicano un Pil stagnante, e oggi altri indicatori aggiungono che le prospettive non sono certo rosee, in particolare per il nostro manifatturiero.
Pmi sotto la “soglia critica”
Nel mezzo di un rallentamento generalizzato all’Eurozona, per la prima volta in due anni le industrie italiane mostrano un netto peggioramento operativo.
I segnali di tensione arrivano da tutti i fronti: i nuovi ordini alle fabbriche registrano la contrazione maggiore dal maggio del 2013, che si riverbera sulla produzione. Inoltre le esportazioni registrano la prima diminuzione in quasi sei anni, pagando le tensioni internazionali.
Il risultato è che nel complesso l’indice Pmi del settore manifatturiero italiano, un indicatore a numero singolo degli sviluppi delle condizioni generali del settore, ad ottobre ha registrato 49,2 punti.
Scendendo sotto i 50 che segnava a settembre, l’indice è risultato al di sotto della soglia critica di “non cambiamento” (posta proprio a 50 punti), quella che separa la contrazione dall’espansione economica, per la prima volta da agosto 2016 sino a raggiungere il livello generale più basso in 46 mesi.
L’indice Pmi (Purchasing Managers Index) non è noto al grande pubblico come altri numeri più familiari, ma la rilevazione degli istituti IHS Markit è assai ascoltata presso i mercati e ritenuta un affidabile termometro di come si muoverà la produzione industriale.
Il dettaglio italiano è costruito attraverso l’intervista ai direttori degli acquisti di 400 aziende manifatturiere e per questo riesce a tastare molto da vicino il polso ai diretti protagonisti dell’economia.
Amritpal Virdee, economista di IHS Markit che si occupa dell’indicatore tricolore, ha commentato il dato di ottobre sottolineando che “il settore manifatturiero italiano ha mostrato segnali di deterioramento”.
Oltre all’indice sotto 50 punti, l’esperto ha annotato come “i nuovi ordini” siano “diminuiti al tasso più veloce in 65 mesi a causa della combinazione della debole domanda domestica ed esportazioni.
Il peggioramento delle condizioni generali è evidente in altri indicatori dell’indagine. I tempi medi di consegna sono migliorati in quanto la domanda di beni è diminuita e il livello del lavoro inevaso è crollato notevolmente per il settimo mese consecutivo conseguentemente alla contrazione dei nuovi ordini ricevuti.
Di contro, il livello occupazionale è aumentato in quanto le aziende manifatturiere hanno aggiunto ulteriore personale in previsione della ripresa della domanda durante i prossimi 12 mesi”.
A questo punto, resta un ottimismo di base tra le imprese italiane ma rispetto a settembre nell’ultima rilevazione “è stato smorzato dalle preoccupazioni di rallentamento in aree di esportazione chiave (in particolare Asia), e da incertezze politiche. Fattore questo che potrebbe far diventare il settore manifatturiero italiano un freno per la crescita dell’intera economia durante l’ultimo trimestre del 2018”.
(da agenzie)
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