Novembre 17th, 2018 Riccardo Fucile
POCHE CENTINAIA IN PIAZZA E NESSUN CINQUESTELLE DI RANGO
Sulla Scala dell’Arce Capitolina, Virginia, jeans e parka verde, prova ad aprirsi un varco
tra i militanti ma più che un bagno di folla è un’onda inseguita dalle telecamere, tra operatori che si pestano i piedi e grillini che li maledicono.
“Giornalai di m…fatela passà “, s’alza un coro che paragona in modo dispregiativo i cronisti agli edicolanti.
È la scena clou di un sabato pomeriggio romano, la manifestazione di sostegno alla sindaca Raggi.
Un mezzo flop: qualche centinaio di persone, compresi consiglieri municipali, staff, attivisti, raggisti doc.
“Come due anni fa, siete di nuovo qui per stringermi in un abbraccio che sento fortissimo — lei si commuove — dal vostro sostegno partirà la rinascita di questa meravigliosa città . E sono felice di annunciare che abbiamo appena approvato la delibera e stanzieremo un miliardo di euro per la capitale, tutti soldi nostri”.
La tensione si stempera. Si placa la rabbia di un gruppo di attivisti venuti quasi alle mani con un cameran. In cima alla scalinata si alza la scritta “A testa alta”. L’unica bandiera 5 Stelle di una manifestazione volutamente no logo è quella dei grillini romeni.
Però piazza del Campidoglio, splendida come sempre, è vuota. Il Marco Aurelio è un cavaliere solitario in confronto all’altra kermesse, quella del 27 ottobre scorso contro “la grande monnezza, le buche e l’abbandono”, alla quale presero parte circa 10 mila persone.
Qui è poco più di una festa a sorpresa. Una festicciola fatta in casa, per pochi intimi. Viste le condizioni in cui versa Roma ci vuole coraggio del resto, Raggisti su Marte. Un evento lanciato sulla pagina Facebook “sempreconvirginia”, rilanciato dal tam tam degli amici.
Ma fa un certo effetto comunque constatare le assenze. Nessun rappresentante del governo, neanche lo straccio di un sottosegretario, l’unica parlamentare è Federica Daga.
“Personalmente speravo che ci fossero tutti, potevano esserci ma non ci sono, l’attenzione massima è sul governo”, li assolve Davide Barillari, consigliere regionale alla Pisana.
E quando riusciamo a raggiungere nella calca la sindaca e le facciamo osservare il lungo elenco di defezioni tra ministri e vice ministri la risposta è sfuggente “sto bene tra i miei cittadini”.
Sarà , ma l’elenco è lungo. Passi per Di Battista in Guatemala, ma tutti gli altri? Dove sono i parlamentari romani, i membri di quello che fu il direttorio imposto alla sindaca da Casaleggio? Dove sono la Taverna e la Ruocco
In compenso si notano i consiglieri comunali Calabrese, Stefà no, Zotta, c’è Marcello De Vito, presidente dell’Assemblea capitolina, l’unico in giacca e cravatta.
“Se la prendono con Virginia ma la colpa è anche di noi romani — dice Alba, 71 anni — che lasciano l’immondizia sulla strada e i cassonetti vuoti. Dipendesse da me doterei ogni condominio di una frusta”.
Ci sono soprattutto giovani ma anche qualche capello bianco. “Sono qui perchè ho visto quello che è capitato a Marino e non volevo che alla Raggi succedesse la stessa cosa — dice Claudio Mori, tessera radicale, 77 anni — per questo le ho portato una rosa”. Virginia sentitamente ringrazia.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 17th, 2018 Riccardo Fucile
TRIA NON HA VOLUTAMENTE CHIARITO QUALE SARA’ IL LIVELLO DI TASSAZIONE NEL 2019
E’ tutto sotto controllo (a parte lo spread). Così il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha risposto alla Commissione Europea che il 23 ottobre chiedeva chiarimenti in merito allo scostamento dello scenario programmatico del governo rispetto alle norme del Patto di stabilità .
Ci sono le privatizzazioni e c’è l’impegno a considerare il 2,4% come limite invalicabile per il deficit. Non solo, il ministro per tranquillizzare la Commissione, è stato prudente sul gettito fiscale previsto per il 2019.
Ma secondo l’Osservatorio sui conti pubblici guidato da Carlo Cottarelli se le previsione di crescita indicate non si dovessero realizzare, c’è il rischio di un aumento della pressione delle imposte.
Non il deficit dunque, ma le tasse. Un problema in un Paese che non solo ha interrotto la crescita, ma ha un livello di tassazione già elevato.
Tria – scrivono i tecnici dell’Osservatorio – ha costruito la sua manovra “sulla base del quadro macroeconomico tendenziale che non tiene conto della crescita programmata. Questa impostazione prudenziale introduce nella legge di bilancio un cuscinetto di salvaguardia, che previene un deterioramento dei saldi di bilancio anche nel caso in cui gli obiettivi di crescita non siano pienamente conseguiti”.
Dunque “il gettito fiscale sarebbe coerente con una crescita del Pil nominale al 2,74% – il valore tendenziale indicato nella Nadef – e sarebbe quindi inferiore a quello coerente con il Pil programmatico (+3,12 per cento, più elevato del tendenziale per via della manovra espansiva)”.
Una sottostima che secondo il ministro Tria garantirebbe una maggiore solidità dei conti pubblici. C
osì che gli obiettivi di entrate e di deficit potrebbero essere raggiunti anche in caso di minore crescita.
Al contrario con un Pil al 3,12 per cento (più alto di 0,37 punti percentuali rispetto a quello sulla base del quale le entrate sarebbero state calcolate) il gettito fiscale potrebbe essere maggiore di quello previsto in bilancio e il disavanzo potrebbe essere più basso del 2,4 per cento.
Un metodo (usare un quadro diverso da quello programmatico per la previsione delle entrate dello Stato), che è stato usato anche in passato. Solo che non c’era una tale sproporzione tra crescita programmatica e tendenziale, anzi si avvicinavano. La differenza quest’anno è invece sostanziale. E da qui nasce il problema.
Così i calcoli sono stati rifatti. E la conclusione è che se il governo avesse indicato un deficit del 2,2-2,3 per cento anzichè al 2,4 per cento, avrebbe smussato un po’ gli angoli con le Commissione europea.
Ha preferito invece mantenere un cuscinetto. Ma resta da vedere se, nel caso la crescita fosse effettivamente pari a quella prevista, le maggiori entrate sarebbero effettivamente risparmiate e non spese. Si noti in proposito che la lettera di Tria non contiene un impegno in tal senso, ma solo a non eccedere il tetto del 2,4 per cento come deficit.
Nel caso di una crescita di poco inferiore a quella programmatica (caso peraltro più probabile), il cuscinetto eviterebbe di sforare il 2,4 per cento. Ma la salirebbe la pressione fiscale, che diventerebbe dunque più alta di quella indicata nei documenti di bilancio, che la indicano fra il 2018 e il 2019, al 41,8 per cento. Il governo avrebbe dovuto invece indicare una pressione in leggero rialzo, dal 41,8 del 2018 al 41,9-42,0 per cento nel 2019.
E’ questa infatti la pressione fiscale che avremmo se l’ipotesi di crescita del governo non si realizzasse (cosa molto probabile).
Dunque concludono i tecnici di Cottarelli l’unica cosa certa è che la pressione fiscale sarà più elevata di quanto indicato dal governo dello 0,1-0,2 per cento di Pil. Sarebbe il caso che il ministro Tria, è l’invito dell’Osservatorio, chiarisse alle Commissione quale sarà il livello di pressione fiscale.
(da agenzie)
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Novembre 17th, 2018 Riccardo Fucile
IL PIANO SOVRANISTA PER DISTRUGGERE L’EUROPA: “MOSCA PARTNER IMPRESCINDIBILE”
Le “giovanili” del Carroccio e di Russia Unita firmano un’alleanza programmatica. Tra i
capisaldi, la lotta all’immigrazione clandestina, la difesa dell’identità nazionale e il riconoscimento di Mosca come “partner imprescindibile”.
Primo passo di un più ampio piano sovranista: dopo quello tra i partiti dei grandi siglato nel 2017, anche le giovanili di Lega e Russia Unita hanno firmato oggi un’alleanza programmatica a Mosca
I legami tra Lega e Russia Unita, il partito del presidente Vladimir Putin, sono noti.
Ma ora si aggiunge un nuovo tassello, un memorandum siglato tra il movimento giovanile della Lega e la Giovane Guardia di Russia Unita.
In esso si esprime la volontà di “rafforzare le relazioni di buon vicinato e d’amicizia, per espandere e approfondire la cooperazione multilaterale tra la Federazione Russa e la Repubblica Italiana”.
Ma come? “Puntando alla creazione di un favorevole ambiente politico e pubblico per la realizzazione dei sopraindicati obiettivi e prevenire la divisione tra i popoli”
Secondo i due movimenti, infatti, ci sono “comuni valori spirituali, storici e culturali”, oltre all’amicizia che lega il popolo italiano a quello russo.
L’obiettivo delle due parti, così come descritto nel memorandum, è “il ripristino del dialogo politico e dei partenariati, una cooperazione paritaria tra l’Italia e la Russia in tutti i settori d’interesse comune per portarli ad un livello qualitativamente nuovo, anche a livello di giovani”.
(da agenzie)
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Novembre 17th, 2018 Riccardo Fucile
LA PROTESTA DEL PD: LA DEPUTATA DEM PINI AVEVA PRESENTATA LA PROPOSTA, MA I GRILLINI LA AVEVANO CASSATO… SALVO POI PRESENTARLA LORO
Il Partito democratico è infuriato con il Movimento Cinque Stelle: ci bocciano un emendamento alla legge di Bilancio per regalare i contraccettivi ai ragazzi sotto 26 anni in commissione Affari Sociali e lo ripresentano come fosse loro in commissione Bilancio.
Con tanto di rivendicazione dell’iniziativa con apposito comunicato stampa.
Il “furto” di emendamento avviene alla Camera e lo denuncia la deputata dem Giuditta Pini.
“Ma come? Ho passato tutta la campagna elettorale a distribuire preservativi gratis ai giovani”, ironizza la deputata. Che poi racconta la vicenda. ” A parte gli scherzi. Noi ci Abbiamo lavorato a lungo, anche confrontandoci con le associazioni e i medici”.
Uno sforzo che aveva portato alla presentazione di un emendamento alla legge di Bilancio in Affari sociali che prevedeva di coprire le spese per la contraccezione a tutti i giovani sotto i 26 anni, alle persone che non raggiungono i 25.000 euro annui di reddito.
Agevolazione estesa alle donne che hanno partorito da poco o che hanno avuto una interruzione volontaria di gravidanza entro sei mesi, alle persone affette da Hiv o da qualsiasi malattia sessualmente trasmissibile e ai detentori di protezione internazionale.
Ma la maggioranza in commissione ha detto no all’emendamento e lo ha bocciato. Con la deputata Maria Lapia che spiegava, ricorda la Pini, che “non bisognava aiutare i ragazzi a comprare i preservativi visto che i soldi ce li hanno,. Come dimostra il fatto che li usano per le ricariche del telefonino”.
Oggi, continua la deputata del Partito democratico, scopriamo che scopriamo che invece hanno ripresentato la proposta in un testo che è identico. Sono sbigottita. Siamo al limite del ridicolo”,
E in effetti il testo grillino apparso in commissione BIlancio prevede le stesse cose della proposta Pd.
Contraccettivi ai giovani sotto i 26 anni e a chi è esentato dalla compartecipazione delle spese sanitarie. Beneficio anche alle donne che abbiano abortito nell’ultimo anni e a chi ha un certificato che attesti una malattia sessualmente trasferibile E ai beneficiari di protezione internazionale o richiedenti asilo. Identico anche il costo preventivato: 5 milioni di euro.
Adesso la Pini però cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno. “Piuttosto che ammettere che era una buona proposta e sottoscriverla, hanno copiato e incollato l’emendamento e lo hanno firmato loro. Nemmeno una telefonata per dirti: guarda abbiamo discusso la proposta ci piace. No: un bel comunicato stampa in cui dicono che è una loro proposta. Mi dico brava da sola. Adesso speriamo che almeno la votino”.
“Peccato, – conclude la deputata dem – Ma noi non faremo come loro, noi voteremo anche il loro emendamento. La prossima volta però se una proposta li convince, non c’è bisogno di copiarla. Basta che la votino”.
(da agenzie)
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Novembre 17th, 2018 Riccardo Fucile
NESSUN ACCENNO CHE LA PROTESTA SI CHIAMASSE NO SALVINI DAY
Avevate nostalgia di Emilio Fede? Avevate nostalgia di Minzolini? Avevate nostalgia dei
Tg che a colazione, pranzo e cena infilavano Matteo Renzi tra le prime notizie che nemmeno quando c’era Fanfani?
Niente paura c’è il nuovo Tg1 grillino che si appresta a battere tutti
Nel servizio sulla protesta degli studenti la nuova direzione filo-governativa si è superata: servizio in fondo al Tg (e fin qui ci sta) e nessun riferimento sul fatto che la mobilitazione degli studenti era stata chiamata No Salvini day.
Quindi nessuna immagine delle decine e decine di striscioni e cartelli contro il ministro di Polizia.
Come non bastasse nessuna immagine delle bandiere di Lega e M5s bruciate dagli studenti, perchè il ‘popolo’ non deve vedere che il ‘popolo’ non ama troppo il governo del Popolo che ha varato la manovra del Popolo che penalizza la cultura e la scuola.
Infine – tenetevi forte – spazio per dare conto della dichiarazione di un politico. Che casualmente era la grillina Barbara Lezzi (che forse a scuola dovrebbe tornare). Una Lezzi allo zucchero che dava ragione agli studenti. Che casualmente protestavano contro il governo di cui lei fa incredibilmente parte.
Per la cronaca, solo dando una breve occhiata alle agenzie di stampa sulla protesta degli studenti hanno parlato Notarianni, Verducci, Laura Boldrini, Fassina, Zingaretti, Maurizio Martina. Ma è stata citata solo Barbara Lezzi.
Prodigio del Tg1 grillino, ma molto accomodante con Salvini, tanto che nessuno spettatore è stato informato che quella manifestazione si chiamava – appunto – No
Salvini day
Se così deve essere meglio andare direttamente dal produttore al consumatore e mettere alla guida Rocco Casalino
(da Globalist)
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Novembre 17th, 2018 Riccardo Fucile
LE SUE ANIME IN ORDINE SPARSO, CHIUSO IL PROGETTO PER STRATEGIE DIVERSE
Liberi e Uguali, da qualche giorno, non esiste più. Sulla carta non è cambiato nulla, perchè il gruppo parlamentare alla Camera è ancora lì. E soprattutto perchè, da statuto, lo scioglimento dovrebbe essere deliberato dall’assemblea.
Ma proprio qui sta il problema: nessuna delle forze che a dicembre 2017 scelsero di dar vita al progetto della lista unica a sinistra sembra più interessata a confrontarsi con le altre.
Nell’ultimo incontro nazionale, lo scorso 26 maggio a Roma, si era disegnata una road map che avrebbe dovuto portare alla trasformazione di LeU in partito entro fine anno, con il tesseramento e la discussione in estate e poi il congresso fondativo da tenersi tra ottobre e dicembre. Nulla di tutto questo si è realizzato.
Anzi, al posto di un congresso comune, Possibile, Sinistra Italiana e Mdp-Articolo 1 hanno convocato ognuno la propria assemblea: e tutti e tre, con tempi e percorsi diversi, hanno deciso che non se ne fa più nulla.
Al centro dell’intesa impossibile, ingombrante convitato di pietra, c’è il Partito democratico, ex casa di moltissimi tra i maggiorenti di LeU: dagli ex segretari Pierluigi Bersani e Guglielmo Epifani all’ex premier Massimo D’Alema, dal già capogruppo Roberto Speranza fino al ribelle Pippo Civati.
Senza dimenticare Pietro Grasso, l’ex capo dell’Antimafia che nel 2013 grazie al Pd di Bersani fu eletto alla presidenza del Senato, e poi abbandonò il partito — nel frattempo passato nelle mani di Matteo Renzi — alla vigilia del voto 2018, per assumere la guida del nuovo cartello di sinistra.
I pomi della discordia: il Pd e l’Unione Europea
Il punto è che non tutti gli ex democratici provano gli stessi sentimenti nei confronti della “vecchia ditta”. C’è chi, come Bersani, Vasco Errani e Roberto Speranza — che a febbraio 2017 fondarono il Movimento democratico e progressista/Articolo 1 — si è rassegnato a uscirne solo all’ultimo, dopo anni di opposizione interna a Renzi.
Il no dei frondisti al referendum costituzionale segnò la rottura definitiva: ma i bersaniani non hanno mai rinnegato del tutto il Pd, lasciando sempre uno spiraglio aperto alla riconciliazione.
Archiviato il renzismo — è il ragionamento — si potrà tornare a parlare.
Diversa la posizione di Sinistra Italiana, nata più o meno contemporaneamente a Mdp dall’incontro tra ex democratici (Stefano Fassina, Alfredo d’Attorre, Corradino Mineo) e reduci da Sinistra Ecologia Libertà , l’ex partito di Nichi Vendola, come Nicola Fratoianni e Claudio Fava.
Loro, con il Pd, non vogliono più aver nulla a che fare. La segreteria Renzi ha prodotto una mutazione genetica, dicono, trasformando il partito in una forza reazionaria, che va combattuta nè più nè meno della destra.
In questo Sinistra Italiana la pensa come Possibile, il terzo azionista di Liberi e Uguali, che è anche il soggetto politico più longevo dei tre: nacque nel giugno 2015 per iniziativa di Pippo Civati, appena fuoriuscito dal Pd, in cui le feroci prese di posizione contro Matteo Renzi lo avevano reso un corpo estraneo.
Dove invece Si e Possibile non vanno d’accordo, ma i civatiani sono molto più vicini a Mdp, è il tema della sovranità . Quasi tutti i seguaci di Civati e di Bersani si dichiarano europeisti.
L’Unione va riformata, certo, va strappata alle tecnocrazie, ma fedeltà e appartenenza dell’Italia non sono in discussione. In Sinistra Italiana il panorama è più variegato. Nicola Fratoianni, il segretario, non è pregiudizialmente avverso all’Ue, ma altri — Fassina e D’Attorre su tutti — hanno assunto nel tempo posizioni fortemente euroscettiche. Tanto da fondare, all’inizio di settembre, l’associazione “Patria e Costituzione”, con l’obiettivo di sponsorizzare l’ideologia sovranista a sinistra.
Il flop del 4 marzo e l’apertura del vaso di Pandora
Il caleidoscopio di posizioni e distinguo dentro Liberi e Uguali si era mimetizzato bene fino al voto delle politiche. L’esaltazione per aver trovato l’unità a sinistra, sotto una leadership autorevole come quella di Grasso, fu sufficiente a mettere a tacere i disaccordi già visibili rispetto alle scelte future.
Grasso definì il progetto “un’idea visionaria”, con un orizzonte “ben oltre quello delle elezioni”; Massimo D’Alema, da Lucia Annunziata, si spinse a pronosticare per LeU “un risultato a due cifre”. Com’è andata a finire è storia nota: la lista ottenne il 3,39% dei voti alla Camera e il 3,28% al Senato, appena sopra la soglia di sbarramento.
I 14 deputati eletti ottennero la deroga per formare un gruppo autonomo, mentre i 4 senatori furono costretti a confluire nel Misto. Il risultato, deludente oltre ogni aspettativa, fece esplodere i mal di pancia da una parte e dall’altra: “Perdiamo perchè non rappresentiamo l’alternativa”, si diceva in Sinistra Italiana; “perdiamo perchè siamo troppo settari”, rispondevano da Mdp.
Le reciproche diffidenze si inaspriscono, l’idea di fondersi in un partito diventa ogni giorno più astratta.
Così, in vista delle europee di maggio 2019 — dove lo sbarramento al 4% terrebbe un’ipotetica lista di Liberi e Uguali fuori da Bruxelles — le tre forze iniziano a ragionare ognuna per sè. I bersaniani guardano al Pde al Pse, sperando in una vittoria di Nicola Zingaretti al prossimo congresso dem; Sinistra Italiana e Possibile flirtano con Diem25, il movimento dell’ex ministro greco Varoufakis, e con il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, per costruire il “quarto polo” della sinistra radicale e anti-austerity, collocato nel Gue (il gruppo della sinistra unita a Bruxelles).
Il “quarto polo” tra europeisti e sovranisti
Ma, anche qui, ci sono dei distinguo. “Per noi è fondamentale una precisa scelta di campo in senso europeista”, dice a ilfattoquotidiano.it Beatrice Brignone, segretaria di Possibile. A maggio Brignone ha preso il posto di Civati, dimessosi dopo il risultato del 4 marzo. E, subito dopo, ha annunciato che il partito si sfilava dal processo costituente di LeU.
“Abbiamo pagato la mancanza di credibilità , a partire dalle liste per le elezioni, piene di paracadutati: noi di Possibile non abbiamo toccato palla”, spiega. “Un dialogo con il Pd non ci interessa, non torniamo da dove siamo venuti.
Guardiamo alla costruzione di un’alternativa, ma non dev’essere in dubbio la permanenza nell’Ue: critici con Bruxelles quanto si vuole, ma sempre europeisti. In questo senso, alcune dichiarazioni di De Magistris mi hanno preoccupato”.
Timori non infondati. Basti pensare che Stefano Fassina, il più euroscettico dentro Sinistra Italiana, ha la preoccupazione esattamente opposta: quella che un eventuale lista unica a sinistra non sia abbastanza caratterizzata in senso sovranista.
“Bisogna essere molto chiari sulle idee che si portano avanti”, dice a ilfattoquotidiano.it, “i collanti non possono essere solo antifascismo e antirazzismo, altrimenti siamo indistinguibili dal Pd. È necessaria un’analisi approfondita dell’ultimo quarto di secolo, che ha visto la sinistra piegarsi all’ideologia del sovranazionalismo e del mercato unico”.
Sinistra Italiana si è riunita in assemblea il 27 ottobre e ha approvato un documento in cui denuncia “la sostanziale inerzia” del percorso di LeU, “portato su un binario morto e trascinato in un paralizzante gioco del cerino”, e spinge per la costruzione di un “soggetto alternativo alla coppia dell’austerità Ppe-Pse e alle destre nazionaliste”, insieme a De Magistris.
I bersaniani e la nuova forza “rosso-verde” — Gli ultimi ad arrendersi sono stati quelli di Mdp. Il coordinatore Roberto Speranza, parlando al fatto.it, lo rivendica con orgoglio: “A forza di insistere perchè si facesse il congresso di Liberi e Uguali, mi sono trasformato in uno stalker”, dice.
“Sarebbe stato l’unico modo per trovare una sintesi tra le diverse idee e andare avanti insieme. Qualcuno non ha voluto, e ne abbiamo preso atto”. Già , perchè sabato 10 novembre il coordinamento del Partito ha convocato un’assemblea il 16 dicembre a Roma per dar vita a “una forza autonoma della sinistra e del lavoro, ecologista e popolare, capace di costruire un’alternativa alle destre che avanzano”.
Una forza “rosso-verde”, la definisce Speranza. Che nega di aver già pronto l’accordo con i dem per le europee: “Il Pd è un progetto fallito storicamente”, dice al Fatto, “noi non ci facciamo guidare dallo sbarramento. Il nostro obiettivo è distinguerci sia da loro che dalla sinistra antagonista, quella che Si ha deciso legittimamente di voler costruire.
E in questo è del tutto indifferente chi vincerà il congresso del Pd”. Con quest’ultima bandiera bianca, il fu Liberi e Uguali è diventato un contenitore vuoto, un simbolo rinnegato dagli stessi partiti che lo hanno messo in campo. E che, con tutta probabilità , alle prossime europee faranno campagna l’uno contro l’altro. Di sicuro più liberi: uguali, questo è certo, non lo sono mai stati.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 17th, 2018 Riccardo Fucile
L’EX PRESIDENTE DELLO IOR E’ DIVENTATO IL CONSIGLIERE ECONOMICO DELLA LEGA, HA TANTO A CUORE LE SORTI DELL’ITALIA CHE LA SUA BANCA HA VENDUTO 9 MILIARDI DI TITOLI DI STATO ITALIANI
Ettore Gotti Tedeschi, rappresentante italiano del Banco Santander, uno dei più grandi e
potenti istituti di credito al mondo, è diventato uno dei consiglieri economici più ascoltati dalla Lega di Matteo Salvini, il politico che dice di battersi contro «l’Europa dei banchieri».
Lo racconta l’Espresso in edicola domani precisando che il Santander ha venduto quasi 9 miliardi di titoli di Stato italiani, azzerando la propria esposizione sul nostro Paese:
Ex presidente dello Ior, il forziere del Vaticano, da quasi un quarto di secolo Gotti Tedeschi è il plenipotenziario del Santander in Italia.
Le visure camerali certificano che è ancora oggi country manager della holding spagnola fondata da Emilio Botin. A questa carica si aggiunge quella di presidente della Santander Consumer Bank, filiale nostrana che fa credito al consumo, cioè prestiti a breve termine e alto tasso d’interesse.
Un business per cui l’istituto iberico ha ricevuto negli anni scorsi migliaia di denunce da parte di cittadini che hanno fatto ricorso all’arbitro bancario per presunte irregolarità .
Basterebbe questo, stando alle dichiarazioni infuocate di Salvini contro la finanza, per catalogare Gotti Tedeschi nella lista dei nemici politici della Lega.
Invece no: il 73 enne piacentino è diventato uno dei consiglieri più fidati del nuovo pote re sovranista, tanto da aver firmato di recente un libro-manifesto insieme al ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana.
(da agenzie)
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Novembre 17th, 2018 Riccardo Fucile
NEL 2016 LA LEGA SI BATTEVA CONTRO IL TERMOVALORIZZATORE IN UMBRIA (E L’ANNO DOPO LA LEGA VINSE LE ELEZIONI A TERNI)
Si combatte sui rifiuti una delle più accese battaglie tra Lega e 5Stelle.
Per il secondo giorno consecutivo i due riottosi alleati si scambiano fendenti sugli inceneritori. “Ci vuole un termovalorizzatore per ogni provincia”, dice in queste ore Matteo Salvini.
Ma tornando indietro di qualche mese si scopre che la conversione del Carroccio e del suo leader alla scelta dei termovalorizzatori è recente.
Lo si capisce da questo manifesto della Lega apparso in Umbria nel 2016, con cui si attaccava Renzi per la scelta dell’inceneritore e si rispondeva, a caratteri cubitali: “Diciamogli no. Ambiente e salute, non mandiamoli in fumo”.
Il tutto invitando la cittadinanza a un incontro a Palazzo Cesaroni, a Perugia, organizzato dal gruppo consiliare regionale del Carroccio.
“Nel corso dell’incontro – facevano sapere i due esponenti regionali della Lega Nord Emanuele Fiorini e Valerio Mancini – sarà esaminata la situazione del sistema dei rifiuti in Umbria, con particolare attenzione alla fallimentare gestione della raccolta differenziata, sia in termini economici che di effettiva percentuale di rifiuti riciclati, anche in considerazione della decisione del governo Renzi di prevedere la realizzazione di un nuovo inceneritore in Umbria”.
Solo un’iniziativa dei leghisti locali? No, perchè Salvini è direttamente impegnato nella battaglia contro l’inceneritore a Terni.
Qualche mese dopo, il 10 marzo del 2017, interviene a sostegno degli stessi consiglieri regionali, Fiorini e Mancini, che hanno occupato l’aula del consiglio regionale impegnati nel progetto contro il termovalorizzatore (a quel tempo insieme a due consiglieri Cinquestelle).
“Grazie per quello che state facendo dentro il palazzo – diceva – da fuori mi arrivano anche via Facebook e Twitter tante testimonianze di fiducia e solidarietà . Grazie Lega perche’ sulla salute non si scherza, ci sono in ballo posti di lavoro, c’e’ in ballo la salute di tanti figli. Che il Governo, che il Pd dell’Umbria se ha tempo e la Governatrice dell’Umbria, tra le primarie, le secondarie, le scissioni, le controscissioni, i renziani, i bersaniani, i dalemiani, si occupi un po’ anche di Terni e di Umbria. Tenete duro finchè potete: spero di arrivare anche io personalmente concludeva per dare una risposta a tanti cittadini che meritano una risposta”.
Un anno dopo Salvini avrebbe vinto a mani basse le elezioni comunali a Terni.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 17th, 2018 Riccardo Fucile
SENZA LA DENUNCIA DI SALVINI, PROCESSO BOSSI A RISCHIO ESTINZIONE
Se il Carroccio non presenta una denuncia contro il senatur, il processo milanese va in
fumo dopo le condanne in primo grado.
Una vicenda che non è solo giudiziaria ma soprattutto politica: ha attraversato e continua ad attraversare le lotte di potere intestine a via Bellerio, cominciate con la caduta dell’ex ministro di Berlusconi, e continuate con la scalata di Maroni e la scalata del vicepremier.
Sullo sfondo la vicenda dei 49 milioni di soldi pubblici svaniti, una scrittura privata che sancisce la pace tra passato e presente del partito, il processo all’ex legale.
E le intercettazioni segrete di tesorieri e avvocati
Dovrebbe denunciare il fondatore, l’uomo — che come dice lui — gli ha dato la voglia, il coraggio e le idee. E dovrebbe farlo per dare sostanza a quello che sostiene da tempo: lui è il suo partito con quella brutta storia dei 49 milioni di euro di fondi pubblici scomparsi non hanno niente a che fare.
A suo tempo, però, ha assicurato che non l’avrebbe fatto, mettendoci pure la firma: da parte della sua Lega “non ci sarebbe stata alcuna interferenza” nei procedimenti aperti “nei confronti di alcuno dei membri della famiglia Bossi“.
C’è scritto proprio così: famiglia Bossi, the family, come il nome dell’inchiesta che ha fatto nascere tutta questa storia. Una vicenda che non è solo giudiziaria: è anche e soprattutto politica.
Un parricidio in due settimane
Quello che adesso Matteo Salvini è chiamato a commettere è una sorta di parricidio. E in meno di due settimane, tredici giorni per l’esattezza. Tanto rimane alla Lega per presentare una querela nei confronti di Umberto Bossi e Francesco Belsito.
In caso contrario, il processo d’appello in corso a Milano per appropriazione indebita si estinguerà . Nonostante le condanne emesse in primo grado, tutta la vicenda andrà in fumo. Abbiamo scherzato. Lo prevede la riforma del processo penale ideata dal governo di Matteo Renzi e introdotta da quello di Paolo Gentiloni il 21 marzo, due giorni prima dell’insediamento del nuovo Parlamento.
In precedenza, infatti, per quel tipo di reato si procedeva d’ufficio. Oggi non è più così: ci vuole una querela della parte offesa.
L’hanno ribattezzata “legge ad cognatum“, perchè potrebbe salvare il cognato di Matteo Renzi, Andrea Conticini (sposato con sua sorella Matilde) e i suoi fratelli Alessandro e Luca, che a Firenze sono accusati di aver usato per fini personali 6,6 milioni di dollari raccolti per finanziare attività benefiche in Africa.
Legge ad Carroccium?
La “legge ad cognatum”, però, potrebbe trasformarsi presto in “legge ad Carroccium“. Sarà Salvini a deciderlo. Dopo la notifica dello scorso 31 agosto, il ministro dell’Interno ha tempo fino al 30 novembre per presentare o meno denuncia contro Bossi e Belsito, come ha fatto a Genova nel processo sulla truffa allo Stato che ha portato alla decisione sulla confisca degli ormai famosi 49 milioni di euro e la cui sentenza d’appello è prevista martedì 20 novembre.
Il processo genovese è gemello di quello in corso a Milano, dove il 27 luglio del 2017 il tribunale ha condannato i tre imputati: 2 anni e 3 mesi per Bossi, 1 anno e 6 mesi per suo figlio Renzo detto “il Trota“, 2 anni e 6 mesi per Belsito.
L’inchiesta da cui è nato si chiamava the Family, come il nome della cartella in cui l’ex tesoriere custodiva le spese della famiglia del fondatore del Carroccio.
Adesso, però, se dalla Lega non dovesse arrivare alcuna denuncia, il sostituto procuratore generale Maria Pia Gualtieri sarà costretta a chiedere l’estinzione del reato.
La prossima udienza è prevista il 14 gennaio del 2019, ma al palazzo di Giustizia di Milano fino a venerdì 16 novembre non era arrivato nulla.
Tra i corridoi di via Freguglia c’è molto scetticismo sulla possibilità che da via Bellerio possa essere inviato un atto del genere. Il bello è che anche se la Lega volesse presentare denuncia solo nei confronti di Belsito, “salvando” i Bossi, il giudizio andrebbe avanti per tutti gli imputati, concorrenti nello stesso reato per attrazione
La giudiziaria incrocia la politica
Questa, però, come detto non è solo una questione giudiziaria. È soprattutto una vicenda politica: ha attraversato e continua ad attraversare le lotte di potere intestine del Carroccio, prima destabilizzato dall’estromissione di Bossi, poi dilaniato dalla scalata di Roberto Maroni, quindi ricostruito dall’avvento di Salvini.
È per questo motivo che in piena estate il responsabile del Viminale si era presentato al tribunale di Genova per querelare Berlsito.
Nel capoluogo ligure, però, a essere accusato di appropriazione indebita è solo l’ex segretario amministrativo, condannato in primo grado a 4 anni e 10 mesi perchè ritenuto colpevole di aver preso dai conti del partito 5,7 milioni di euro che sarebbero stati spostati tra Cipro e la Tanzania.
In Liguria, invece, Bossi è imputato solo per truffa aggravata: il destino del senatur, in pratica, era segnato mentre quello di Belsito dipendeva da una denuncia di Salvini. Che è arrivata a luglio. Un modo per dare seguito alle parole che il ministro ripete da mesi: lui con la Lega dei 49 milioni non c’entra nulla.
La scrittura privata e la pace
Quella, però, non era solo la Lega di Belsito: era soprattutto la Lega di Bossi. Per i giudici di Milano il senatur era “consapevole concorrente, se non addirittura istigatore, delle condotte di appropriazione del denaro” del Carroccio , ma proveniente “dalle casse dello Stato”, “per coprire spese di esclusivo interesse personale” suo e della sua “famiglia”. Insomma una querela di Salvini, questa volta, non metterebbe nei guai il solo Belsito ma direttamente l’uomo che ha inventato il partito di Alberto da Giussano.
Con il quale il vicepremier aveva regolato i rapporti il 26 febbraio del 2014. Era la famosa scrittura privata siglata da Salvini, dall’allora segretario amministrativo Stefano Stefani, da Bossi e dallo storico avvocato del senatur, Matteo Brigandì.
In quattro pagine firmate il 26 febbraio del 2014, si firmava la pace tra vecchia e nuova Lega: Brigandì rinunciava a rivendicare una parcella milionaria per aver difeso il partito dal 2000 al 2013 e in cambio l’attuale segretario assicurava a Bossi una “quota” pari al 20% delle candidature in posizione di probabile elezione, più uno stipendio da presidente di partito pari a 450mila euro l’anno come “agibilità politica“. Ma di particolare attualità è soprattutto il punto 7 di quella scrittura privata: “Il procedimento penale pendente avanti il tribunale di Milano ove Bossi è difeso da Brigandì, non avrà , da questo momento, alcuna interferenza da parte della Lega che non intende proporre azione risarcitoria nei confronti di alcuno dei membri della famiglia Bossi”. Con una querela di parte, Salvini interferirebbe senza dubbio nel procedimento milanese.
Il processo a Brigandì
Quell’accordo, però, negli anni è stato in gran parte disatteso. Di recente a ricordare la sua esistenza è stato lo stesso Brigandì, a processo a Milano per patrocinio infedele e autoriciclaggio.
Il legale — ed ex parlamentare del Sole delle Alpi — ha ricordato che in quella scrittura privata Salvini aveva messo la sua firma, tra le altre cose, anche sotto a questa frase: “La Lega si impegna ad affermare, a mera richiesta, in ogni sede la correttezza del comportamento di Brigandì dal punto di vista morale e deontologico”.
Così non è stato visto che il Carroccio è parte civile nel processo allo storico difensore di Bossi. “Quella sottoscrizione è ben antecedente alle accuse emerse dall’inchiesta”, ha detto l’avvocato Lorenzo Bertacco, che rappresenta la Lega e fa parte dello studio legale di Domenico Aiello, da sempre legale di Maroni. Anche Aiello è citato nell’accordo sottoscritto da Salvini e Bossi. “La Lega non darà ulteriori mandati all’avvocato Aiello”, si legge al punto 6 del documento: all’epoca, infatti, i rapporti tra l’avvocato di origine calabrese e via Bellerio erano addirittura regolati da un contratto.
Che evidentemente non piaceva nè a Bossi e neanche a Brigandì: erano disposti a negoziare la pace con Salvini a patto di ottenere — tra le altre cose — il “licenziamento” del legale e consigliere di Maroni.
L’intercettazione: “Non firmare. Avrai guai”
È lo stesso Aiello che il 24 febbraio del 2014, cioè due giorni prima che quella scrittura privata venisse firmata, telefona all’allora tesoriere Stefani e lo mette in guardia. Il legale è intercettato e le sue conversazioni sono state pubblicate da Marco Lillo nel volume Il potere dei segreti.
“Tu — dice — gli stai firmando che la Lega non si costituisce parte civile contro Belsito”. “Sì e ti spiego perchè, perchè lui (Brigandì ndr) questa vuol trattarla come merce di scambio affinchè Belsito non dica che ha dato i soldi a…su ordine di Bossi perchè se no dovevamo costituirci anche contro Bossi e allora”, risponde Stefani. “Non è vero questo, non è vero … guarda che ti assumi una responsabilità personale molto importante se fai una cosa del genere. Riflettici, eh”, replica l’avvocato di Maroni. “Non sono solo io!”, dice il tesoriere. “Ma questa clausola qui — continua Aiello — io ti do un consiglio da fratello, non la firmare perchè questa clausola ti porterà solo dei guai a te e a chiunque la firma”. “Chiamo anche Giorgetti e glielo dico. Perchè è una cosa troppo delicata”.
Non si sa se Stefani abbia davvero chiamato l’attuale sottosegretario Giancarlo Giorgetti. Aiello di sicuro chiama Maroni.
“Ma chi la stava firmando: anche Salvini?”, chiede l’ex governatore della Lombardia. “Si — risponde l’avvocato — anche Salvini e poi Stefani me l’ha mandata e mi ha detto: io se tu non mi dai l’ok non firmo”. “Ok — spiega Maroni — ma Salvini non vuole rotture di coglioni, dice chiudiamo in fretta, però non esiste al mondo, tolgano il mio nome e facciano quello che vogliono”.
Quella scrittura privata sarà firmata 48 ore dopo. Nella versione in possesso del fattoquotidiano.it il nome di Maroni non c’è.
Posti in lista, legali, processi e querele
Nel frattempo, però, tutto è cambiato. Lo stesso Brigandì non difende più Bossi: ha smesso di farlo all’inizio del 2018 dopo quasi vent’anni. Erano i mesi in cui sui giornali filtrava la concreta possibilità di una mancata ricandidatura di Bossi da parte di Carroccio. “Se ricandido Bossi? Chi è d’accordo con la battaglia del movimento, ovviamente, avrà spazio nel movimento. Quindi, chiedetelo a lui. Se continua a dire che la Lega sbaglia, che Salvini è un cretino, che bisogna fare la secessione, che bisogna fregarsene di quello che succede a Roma, a Napoli, a Taranto, a Palermo o ai terremotati di Abruzzo, io non sono d’accordo”, minacciava Salvini nel dicembre del 2017.
Il senatur — raccontavano i retroscena — sarebbe stato candidato nelle liste di Forza Italia dall’amico Silvio Berlusconi , che a Salvini lo aveva indicato come una risorsa. Alla fine, invece, il nuovo numero uno del Carroccio ha deciso di “salvare” il suo fondatore. “Perchè nella vita come in politica il rispetto e la riconoscenza valgono più della convenienza elettorale”, annunciava a fine gennaio. Quindici giorni dopo ecco che via Bellerio si costituiva parte civile contro Brigandì, nel frattempo rinviato a giudizio sempre a Milano ed estromesso da pochissimo dal collegio difensivo di Bossi. Quindi — alla prima Pontida da vicepresidente del consiglio — Salvini aveva addirittura ringraziato pubblicamente il senatur: “Non finirò mai di ringraziare chi mi ha dato la voglia, il coraggio, le idee per cominciare che non ha altro nome che Umberto Bossi“.
Contro quell’uomo, chi gli ha dato la voglia, il coraggio, le idee, adesso Salvini dovrà presentare una denuncia. Ha tredici giorni di tempo.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Giustizia | Commenta »