Novembre 22nd, 2018 Riccardo Fucile
INCOSCIENTE E’ CHI HA RINUNCIATO AD AVERLA UNA COSCIENZA, PER GIUSTIFICARE LA PROPRIA NULLITA’… SONO GLI STESSI CHE HANNO FINTO DI PIANGERE DESIREE SOLO DOPO MORTA, MA QUANDO ERA VIVE ERA SOLO UNA TOSSICA DA EVITARE
“Ragazzina incosciente”. Questo uno degli appellativi più gentili rivolti dal “Popolo della rete” alla giovane Silvia Romano, la volontaria italiana rapita in Kenya.
Odio, astio sterile, frustrazioni e fantasie morbose, solitudine avvelenata, riempiono il vuoto di chi è davvero incosciente perchè privo di coscienza.
Di chi si sente addirittura libero perchè ha annullato la propria coscienza, ne ha spento la curiosità e la voce accettando di scambiarle con slogan rozzi e distorsioni semplificatorie e meschine della realtà forniti a basso costo intellettivo da politici e cariche istituzionali che sull’annichilimento delle coscienze costruiscono la propria fortuna.
La disperazione è più gestibile della speranza. La speranza porta a pensare, a vivere e condividere esperienze umane, ad immaginare.
L’immaginazione è un rischio inaccettabile per chi vuole rendere assoluto ed immodificabile il presente perchè nel presente è radicato il suo potere miope.
La disperazione porta chi il potere non lo ha a chiudersi in se stesso, a credere, proprio come chi lo ha, che il presente sia immodificabile, una condanna senza appello. La disperazione è il vuoto della coscienza.
È la speranza che ha portato Silvia nel villaggio di Chakama.
È la disperazione che ha portato Desirèe in quello stabile fatiscente nel centro di Roma dove ha trovato la morte. Sola, senza più sogni se non quelli chimici delle droghe.
Per Desirèe fiumi di pietà ma soltanto dopo che è morta. Prima, come migliaia di ragazze e ragazzi, Desirèe era solo una “tossica”, marginale, invisibile.
Ed è così che il potere vorrebbe i giovani: marginali ed invisibili; perchè i giovani sono sempre stati portatori di cambiamento, quello autentico, quello delle coscienze, non quello delle promesse elettorali.
Due volti di ragazza. Due foto sulle pagine dei giornali e sugli schermi televisivi. Due sorrisi, quello di Desirèe triste, smarrito. Quello di Silvia pieno ed allegro.
Forse se anche Desirèe avesse potuto avere il sorriso di Silvia sarebbe una giovane donna viva e non un angelo morto.
E Silvia? Silvia “ragazzina incosciente” con il suo sorriso ci insegna la speranza. Ed è con tutta la forza della speranza che vogliamo rivederla libera.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 22nd, 2018 Riccardo Fucile
INVECE CHE CAMBIARE LA MANOVRA PENSANO SOLO A STARE AL GOVERNO IL PIU’ A LUNGO POSSIBILE: SEMBRA DI ESSERE A “CASA VIANELLO” MA SENZA HUMOR
Fate tardi! Il governo del cambiamento prende un celeberrimo titolo, lo ribalta e lo issa a bussola
di navigazione per i prossimi mesi.
Allora fu il Sole 24, il 10 novembre del 2011, per placare la tempesta dello spread. Oggi è l’esecutivo gialloverde, all’alba di una complicatissima trattativa sulla procedura d’infrazione per i conti sballati, per evitare la tempesta dello spread.
Lo fa per voce di Giuseppe Conte. Eloquio pacato, impeccabile cravatta malva, fazzoletto bianco al taschino, si presenta alla Camera per istituzionalizzare la risposta italiana.
Parla con tono piatto, senza pause che chiamino l’applauso. L’unico battimani arriva quando declina in maniera serafica quel che i suoi vicepremier vanno dicendo da giorni usando la spingarda. Che è quanto segue: “Non abbiamo accolto la richiesta di riduzione del saldo strutturale perchè non è in linea con il quadro congiunturale dell’economia e con la nostra politica economica”.
Gli occhi sono puntati a sabato sera. Quando Giuseppe Conte e Giovanni Tria siederanno a tavola con Jean Claude Juncker.
E gli porterà un fascicolo con il dettaglio millimetrico di tutto quello che l’Italia mette in campo per stimolare la crescita e ridurre il debito. Novecento milioni di euro per sbloccare da subito cantieri dal valore totale di due miliardi. Una nuova strategia integrata di investimenti pubblici che, a cascata, attireranno quelli privati. La cantierizzazione di una legge delega sul riordino dei contratti pubblici, che porti a una riforma di sistema del rapporto tra amministrazioni pubbliche e soggetti privati. L’abbattimento del debito anche e soprattutto tramite un mastodontico piano di dismissioni pari a 18 miliardi (l’1% del Pil) nel solo 2019.
E assicurando un tagliando “infra-annuale” delle misure, per garantire che in caso di minor crescita il deficit non salga oltre il 2,4%.
Se l’opera di convincimento, come è del tutto probabile, fallirà , il premier chiederà tempo. “Chiederemo tempi di attuazione molto distesi — dice davanti al Parlamento – Questo tempo ci servirà per consentire alla manovra economica di produrre i suoi effetti sulla crescita e, grazie a questo, di ridurre il debito pubblico”.
Quella che suona un’ultima, disperata richiesta di aspettare almeno di vedere una controprova fattuale della spinta della manovra del cambiamento sulle ali della nostra economia.
Se non vi si riuscisse, le colombe della maggioranza ventilano un escamotage: ritardare, anche di un paio di mesi, l’attivazione della riforma delle pensioni e del reddito di cittadinanza, per risparmiare quel tanto che basta per far scendere il “numerino” (cit. Luigi Di Maio) di un paio di zerovirgola.
Ma anche tra di loro ogni giorno di più si diffonde la convinzione che il punto di non ritorno sia passato: “Non avrebbe senso — il ragionamento — perchè a prescindere non sarebbe una modifica strutturale dei saldi, ma un dire tranquilli, ci prendiamo i soldi ma non li spenderemo tutti”.
Oltre a Stefano Buffagni e Giancarlo Giorgetti, capofila delle mozioni della prudenza, anche Paolo Savona e Giovanni Tria spingono per l’apertura di una trattativa vera. Perchè è evidente che senza mettere mano alla sacca che contiene i denari per le due misure madri della legge di bilancio, tutto il resto sono elementi di contorno e nulla più.
Quella Casa Vianello priva di humor che è diventato il governo gialloverde ha visto oggi una giornata di calma dopo la tempesta. Il capo politico dei 5 stelle ha pubblicamente scagionato Giorgetti dai sospetti sulla fronda che ha fatto andare sotto il governo sull’anticorruzione. Il leader della Lega ne ha preso atto: “Caso chiuso”
Intercettato in Transatlantico, Tria allarga le braccia: “Novità ? Lo sapremo quando inizia la trattativa”.
Il punto è che senza toccare pensioni e reddito una vera trattativa non ci può essere. Può avvenire sì una “rimodulazione”, come la chiama il premier, di alcuni interventi e voci di spesa. Ma non basta.
E per evitare di far ripiombare l’Italia nel gorgo dello spread che la avvolse nel 2011 inviano Conti in Europa con un messaggio scritto a lettere cubitali: Fate tardi!
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 22nd, 2018 Riccardo Fucile
SI DEFINIVA “NEGRO FASCISTA AFFASCINATO DA SALVINI”… MA C’E’ CHI STORCE IL NASO: “NON E’ ITALIANO, E’ NERO”
Per chi pensa infatti che solo a sinistra ci siano troppi micropartitini anche a destra non stanno messi meglio.
E così La Destra di Francesco Storace ( di cui peraltro non si avevano più notizie da tempo) ha deciso di unirsi a Fratelli d’Italia in un “patto federativo”.
Della partita ha deciso di far parte anche Paolo Diop che è stato presentato con tutti gli onori da Giorgia Meloni su Facebook.
La leader di Fratelli d’Italia ha infatti deciso di dare il benvenuto a Diop ma curiosamente non ha fatto altrettanto con Storace.
Per lui nessuna foto pubblicata abbracciato alla mitica Meloni-Chan.
Diop, personaggio noto alle cronache ma dal passato politico sostanzialmente inconsistente ha così deciso di abbandonare la Lega a cui si è avvicinato in più occasioni, prima con Casa Pound e Sovranità (con cui si era candidato alle amministrative a Macerata) poi con il Movimento Nazionale per la Sovranità fondato da Gianni Alemanno di cui era il responsabile nazionale immigrazione e che alle elezioni politiche aveva appoggiato proprio Salvini (ma non lo aveva candidato).
Nel 2015 intervistato a Pontida dal Corriere della Sera con una ruspa giocattolo in mano Diop si definiva leghista da molto tempo e diceva che sui Rom «va ruspato tutto».
Ora le cose sono cambiate e forse per Diop, che fino a poco tempo fa si definiva un «negro, fascista affascinato da Salvini», il ministro dell’Interno persegue politiche troppo di sinistra e non abbastanza sovraniste. Oppure il suo posto nella Lega è già occupato da senatore Toni Iwobi.
Nei commenti al post della Meloni simpatizzanti ed elettori di Fratelli d’Italia fanno a gara a chi dice per primo (o usando più parole) cose come «avete visto che a destra non siamo razzisti» oppure «ora che abbiamo un nero la Boldrini ci dirà ancora che siamo razzisti?».
Caso strano, perchè così non fanno altro che alimentare il dubbio che tutta l’operazione serva unicamente a darsi una ripulita. Ma in fondo Diop è uno che dice che il razzismo non esiste. Non che non esiste in Italia, che proprio “di base” non esiste.
Il caso vuole che poco più di un mese fa Giorgia Meloni abbia postato una foto di Emmanuel Macron con due ragazzi di colore (in cui uno fa un gestaccio). Nei commenti al post i sovranisti duri e puri si sono scatenati a chi era più omofobo e suggeriva in modo più colorito come in realtà il Presidente francese sia un finocchio al quale piace il nero membro.
Nessuno però — a parte qualche provocatore dei centri sociali — si è azzardato a fare le stesse battutine per la foto con Diop. Forse perchè tutti sanno che Giorgia difende la famiglia naturale.
In compenso però molti hanno storto il naso di fronte alla decisione di imbarcare il negro fascista — sposato con un’italiana con rito ortodosso officiato da Alessandro Meluzzi e con Gianni Alemanno come testimone (Fusaro dovrà impegnarsi per fare di meglio) — nella compagine turbosovranista.
C’è infatti un problema: Diop non è italiano. O meglio: è italiano ma è nero quindi non è davvero italiano.
Il rischio — spiegano — è di diventare come la Francia. Vi sembra assurdo? Pensate che queste sono le stesse argomentazioni di chi diceva che era sbagliato approvare lo Ius Soli (tra cui Lega, CasaPound, Forza Nuova, Fratelli d’Italia e lo Stesso Diop).
Diop in Fratelli d’Italia? Secondo altri ci ci può anche stare, a patto che non gli vengano affidate cariche politiche e pubbliche perchè dovrebbero essere riservate a chi è italiano dalla nascita.
E Diop essendo nato in Senegal (è arrivato in Italia quando aveva due mesi) non può nemmeno rivendicare un diritto di nascita. Certo poi se vuole fare un po’ di attivismo ben venga, ma sarebbe sbagliato se dovesse candidarsi.
Altrove i commenti sono ancora più deliranti.
C’è chi spiega che tanto i negri continuano a votare a sinistra e che quindi non porta alcun vantaggio avere uno come Diop nel partito. Altri invece fanno notare che nei loro paesi (dei negri) non si è mai visto che un bianco si sia mai candidato nei loro partiti. Non è che per caso va di moda «mettere uno di questi»? Lo sanno tutti che non saranno mai veri italiani. MAI!!!!!!!
La cosa sorprendente è che Paolo Diop ad eccezione di Forza Nuova è transitato in tutte le formazioni politiche di destra. Eppure nonostante la sua “storia” politica per lui non c’è un minimo di comprensione, in fondo è e rimarrà sempre un negro. E questo i patridioti non riusciranno mai a perdonarglielo.
Magra consolazione: Diop sarà il responsabile immigrazione di un partito che di immigrazione non ne vuole sentire parlare.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 22nd, 2018 Riccardo Fucile
ANNUNCIO CONGIUNTO DA PARTE DI OPEN ARMS, MEDITERRANEA E SEA WACHT: “VOLEVANO ELIMINARE I TESTIMONI DI QUANTO ACCADE, MA SIAMO ANCORA QUI”
Open Arms è partita mercoledì scorso da Barcellona. La Mare Jonio, ieri mattina da Reggio
Calabria. La terza nave, Sea Watch 3, da qualche ora ha lasciato le acque territoriali francesi.
Tra poco, le tre imbarcazioni si incontreranno in mezzo al mare, a poche miglia dalla “zona Sar” (Search and Rescue) libica per varare quella che, con un filo di orgoglio, gli attivisti presentano come la “prima operazione europea di monitoraggio del Mediterraneo”.
Si tratta, in effetti, di una piccola svolta nello scenario di questa zona. Piccola ma significativa.
Fino ad oggi, infatti, a operare in queste acque erano sporadiche missioni delle singole Ong. Le cui imbarcazioni, dopo mille difficoltà logistiche e politiche, riuscivano a raggiungere le acque interessate dalle rotte degli scafisti e a operare; laddove per “operare” non si deve intendere solamente il salvataggio dei migranti, ma anche il monitoraggio di una zona ormai abbandonata a se stessa e amministrata con metodi spesso discutibili dalle due guardie costiere libiche.
Una presenza sporadica, quella delle Ong, ma comunque fondamentale, che ha permesso di certificare come l’istituzione della Sar libica, pomposamente annunciata da Tripoli all’inizio della scorsa estate (e volentieri accettata come un dato di fatto dai governi europei che hanno così potuto scaricare sulla Libia tutto il “lavoro sporco”) sia soltanto una gigantesca messa in scena.
Da oggi, però, il fronte si allarga.
L’entrata in scena degli italiani di Mediterranea – all’inizio dello scorso ottobre – ha permesso alle Ong europee di rilanciare la loro sfida e di organizzarsi come mai prima d’ora avevano potuto fare.
Basti pensare che oltre alle tre navi, la missione vedrà il contributo di due aerei, il colibrì di Sea Watch e un altro biposto, anche questo italiano, messo a disposizione da un volontario milanese, un docente universitario di biologia che – a proprie spese – fornirà insieme a quattro amici assistenza tecnica e logistica dall’alto (anche se c’è ancora da risolvere qualche problema tecnico relativo al carburante e burocratico relativo alle licenze: a quanto pare dovrà tenersi lontano almeno 50 chilometri dalle coste libiche).
I velivoli svolgeranno anche attività di avvistamento, e questo sarà fondamentale dato che nelle ultime missioni svolte, le Ong sono state costantemente depistate dalla guardia costiera libica e dagli mrcc (maritime rescue coordination center) libico e maltese e tenute all’oscuro – grazie al silenzio radio imposto dalle autorità – di ogni attività in quella zona.
A bordo della Mare Jonio, c’è molta soddisfazione per questa missione, la terza da quando il progetto è stato avviato.
I risultati in termini di seguito e di popolarità sono ottimi, e il fundraising ha già superato i 300 mila euro di raccolta.
Ma il risultato più celebrato è quello politico. “Volevano desertificare il Mediterraneo, eliminare ogni testimone di quello che sta accadendo, con le motovedette e le inchieste politiche-giudiziarie”, dice Beppe Caccia uno degli armatori. “E invece, anche grazie alla nostra iniziativa, siamo ancora qui”.
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2018 Riccardo Fucile
IL TRIBUNALE GLI HA DATO RAGIONE MA DUE GIORNI PRIMA ERA STATO RIPORTATO IN TUNISIA … I LEGALI DENUNCINO IL MINISTERO DEGLI INTERNI
Rimpatriato in Tunisia due giorni prima dell’udienza che si è conclusa con un provvedimento a lui favorevole.
Ben Salem Sofiem, 30 anni, viveva in Italia da diversi anni. “Aveva un passaporto, un codice fiscale e soprattutto un contratto di lavoro a tempo determinato in un’azienda agricola di Vittoria – dice uno dei suoi legali, Giuseppe Novara – è grave quanto accaduto, bisognava attendere la pronuncia del giudice sul trattenimento al Cie”.
Nelle scorse settimane, Ben Salem era andato al commissariato di Vittoria per rinnovare il permesso di soggiorno, ma è stato fermato e successivamente trasferito all’ex Cie di Trapani con una richiesta di trattenimento avanzata dal questore di Ragusa.
Risultava che al migrante fosse scaduto il permesso di soggiorno da alcuni mesi.
“Il trattenimento è stato convalidato dal giudice di pace di Trapani il 4 ottobre – spiega l’avvocato Novara, che ha seguito il caso con il collega Salvatore Miccoli di Vittoria – Ben Salem Sofiem ha proposto istanza di riesame, che è stata accolta dal giudice di pace al termine dell’udienza del 12 novembre. Il provvedimento è stato depositato il 19”.
A quel punto, l’avvocato è andato all’ex Cie per comunicare al proprio assistito l’esito del ricorso. “Ho aspettato cinque ore per una risposta – dice Giuseppe Novara – e nessuno mi ha voluto mettere per iscritto che il giovane era stato rimpatriato. Ho provato davvero una grande amarezza per un’ingiustizia che si è consumata”.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 22nd, 2018 Riccardo Fucile
LE OPPOSIZIONI INSORGONO: “M5S LO HA SALVATO”
A Montecitorio gli emendamenti che introducevano criteri di massima trasparenza anche per la
Casaleggio Associati e la piattaforma Rousseau sono stati bocciati.
In pratica la maggioranza ha approvato norme più stringenti per le Fondazioni politiche e per le associazioni che in materia di trasparenza dovranno rispettare gli stessi obblighi dei partiti e dei movimenti politici, quindi dovranno pubblicare tutte le donazioni superiori ai 500 euro (la Lega inizialmente puntava ai 2000).
Ma queste norme non riguardano la Casaleggio associati, in quanto società privata, nonostante Davide Casaleggio sia presidente dell’Associazione Rousseau che detiene anche il simbolo degli M5s. Non solo.
A leggere bene ciò che prevede il testo licenziato dalla Camera, anche la Fondazione Casaleggio, dedicata a Gianroberto e del cui comitato direttivo fa parte sempre Davide Casaleggio, viene esclusa dalle norme sulla trasparenza.
Per capire cosa succede è necessario addentrarsi nella norma.
Se fondazioni, associazioni e comitati sono composti da partiti o movimenti politici, o negli organi direttivi ci sono membri di partiti, parlamentari o ex parlamentari, persone che sono state nel governo, allora questi enti devono rendere pubblica ogni entrata e specificare da dove siano arrivate le donazioni.
La Fondazione Casaleggio viene quindi esclusa
L’azzurro D’Ettore ha anche presentato un emendamento, bocciato dalla maggioranza, che chiedeva il rifermento anche alle persone giuridiche, quindi alle società , collegate in qualche modo a partiti politici.
In questo modo sarebbe rientrata la Casaleggio associati che ha deposito il simbolo dell’Associazione Rousseau, di cui Casaleggio è presidente, oltre ad aver creato l’intera piattaforma che gestisce ogni singola votazione del Movimento 5 Stelle. Oltre a ricevere il contributo mensile dei parlamentari.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 22nd, 2018 Riccardo Fucile
IL LISTONE CIVICO ALLE EUROPEE CHE NON DECOLLA, IL SOSTEGNO POCO CONVINTO A MINNITI, LA BELLANOVA CHE SCALCIA… VIAGGIO TRA I VORREI MA NON POSSO DI RENZI
Ecco il big bang. Del renzismo, chissà del Pd.
Adesso anche Teresa Bellanova, la pasionaria della Leopolda, sta pensando seriamente di candidarsi alla segreteria del Pd.
Decine di incontri sul territorio e anche nel Palazzo. Ci crede: “Io — ripete — non sono seconda a nessuna. In molti me lo stanno chiedendo. Valuterò”.
Poche settimane, proprio alla Leopolda, aveva parlato in chiusura, prima del Capo. Tutti l’avevano interpretato come un segnale, quasi un’investitura. Aveva urlato alla curva gasata, interpretandone la pulsione viscerale, “noi non chiederemo mai scusa”. Mai. Poi Minniti, che sprezzante dice (a lei e Renzi): “Il ticket non è all’ordine del giorno”.
Ci sta che, dopo aver pensato di essere l’erede ed essere stata rifiutata come vice, sia un po’ agitata.
Come andrà a finire, ancora non si sa. Si capisce che c’è una gran confusione, forse creata ad arte, forse spontanea, forse frutto di una dinamica mal gestita perchè, dice un parlamentare vicino a Luca Lotti “se la linea è che noi abbiamo fatto tutto bene, e sono gli italiani a non averci capito, se noi siamo puri e tutto il resto è tradimento, è logico che qualcuno, o qualcuna in questo caso, si senta il Pavolini della situazione”.
Avete sentito bene. Queste parole le dice chi, nei tavoli che contano, è seduto accanto a Luca Lotti, finora braccio destro (e sinistro) del Capo, artefice delle trattative più delicate.
Un vecchio cronista capisce che lì dentro sta succedendo qualcosa. La chiave di lettura la dà Deborah Serracchiani, ai bei tempi anche lei renziana di ferro e ora sostenitrice di Maurizio Martina: “Vuoi la bussola? È questa. C’è chi vuole stare dentro il Pd, e cambiarlo, trasformarlo, anche radicalmente, ma comunque stare dentro. E chi pensa che vada fatta un’altra cosa, fuori dal Pd”.
Dentro o fuori, è il dilemma irrisolto (e il dramma) del Capo. Cioè di Renzi, tentato dal fare altro, costretto a misurarsi con un congresso mai voluto.
Ovvero costretto a misurarsi con un partito diventato contendibile e con un potere non più assoluto.
Col “dopo di sè”, prospettiva indigeribile per chi crede che, senza di sè, non c’è niente che abbia senso. Perchè, diciamoci le cose come stanno, tutta questa storia parte da un vorrei ma non posso, che è altresì una tentazione mai sopita e una amara presa d’atto mai elaborata fino in fondo: se si fosse candidato — e ci ha pensato, eccome — avrebbe rischiato l’effetto referendum, quello di essere travolto da un plebiscito contrario. Nasce da questa paura, di una risposta definitiva e inesorabile il cambio di schema.
Si è visto al congresso in Lombardia, dove Renzi ha benedetto il suo candidato e ha vinto l’altro, Vinicio Peluffo, come reazione ha un marchio che di questi tempi funziona come un boomerang.
E ora è il primo a sapere che, alla fine, sia pur disastrato tenuto assieme con la colla, il partito che uscirà da questa pugna non è più il suo.
C’è molta verità nell’analisi consegnata a qualche amico da quella vecchia volpe di Dario Franceschini: “Chiunque vinca il congresso non vince Renzi”. Perchè uno, Zingaretti, lo archivia brutalmente, l’altro lo porta a una evoluzione. È comunque un’altra cosa.
Le avvisaglie di questo travaglio sono già evidenti negli spazi di autonomia che Marco Minniti, sia pur a fatica, si sta ritagliando per non apparire, e non essere, “il candidato di”.
E infatti non è scontato che Luca Lotti sia il coordinatore della sua lista, anzi su questo c’è una certa tensione. Amplificata dai casini che qualcuno ha già combinato sulle liste dei sindaci che lo sostengono. In Calabria e Campania alcuni hanno dichiarato che non ne sapevano nulla, altri hanno dichiarato di essere di Forza Italia. In parecchi gli hanno ricordato che Lotti è indagato sul caso Consip e rischia un rinvio a giudizio.
Non proprio uno spot per un ex ministro dell’Interno che vuole interpretare il nuovo corso.
A questo punto del discorso, tenetevi forte e immaginate di essere Renzi, con i tanti vorrei ma non posso e una irrefrenabile pulsione al protagonismo, non importa come, anche come presentatore di un programma (a proposito, neanche quello va in onda per ora).
La Bellanova accarezza l’istinto, per la serie “non può finire così, tu sei tu, contiamoci, nel caso ce ne andiamo e facciamo un’altra cosa”, Lotti la ragione, la gestione dell’esistente, il compromesso possibile nelle condizioni date, perchè comunque vincere con Minniti è pur sempre una vittoria, una bella fetta di potere se non proprio tutta la torta. Sembra che a cena l’altra sera, gli abbia chiesto una “quota” del 70 per cento delle liste. Voi capite che non è poco.
Lui, Renzi, asseconda l’uno e l’altro, creando tensioni che poi sfuggono di mano, perchè chi si sogna Macron non può essere un capocorrente, col rischio di rimanere nel limbo di non essere il primo e di perdere il congresso.
Perchè poi, va raccontato anche questa cosa del partito di Renzi. Se ne parla, sono stati fatti incontri, circolano anche sondaggi — quello di Agorà lo darebbe al 12 per cento – ma di concreto, al momento, c’è assai poco, come la famosa rete dei comitati civici, entità metafisica e intangibile, l’abracadabra del mago Scafarotto: compaiono nelle dichiarazioni, non hanno indirizzo nella realtà .
L’idea è quella di un listone civico nazionale, con la mitica società civile — imprenditori, intellettuali, sportivi — che rappresenti l’infrastruttura su cui atterrare, dopo il congresso, per un nuovo inizio.
Per avere appeal serve la società civile, ma al momento assomiglierebbe a una corrente che esce dalla casa madre. Se ne parla, in Transatlantico: “Sai — dice l’acuto Raciti, siciliano raffinato — dal big bang nasce l’universo. Non mi pare questo il caso”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 22nd, 2018 Riccardo Fucile
COLPO DI MANO PER FAVORIRE HOTEL E STABILIMENTI: CESSIONI DI AREE A PREZZI DI SALDO
I Verdi con Angelo Bonelli, lanciano l’allarme: è in atto un “colpo di mano per privatizzare le
spiagge, togliendole dal perimetro del Demanio”.
In prospettiva, se dovessero passare gli emendamenti a raffica, due dei quali identici nel testo e partoriti dal Movimento 5 Stelle e da Forza Italia nel decreto fiscale, sarà inevitabile la privatizzazione delle strutture turistiche e ricettive del Demanio e la successiva vendita.
Un modo rapido e economico per i titolari delle concessioni – almeno secondo l’accusa di Verdi – di poter acquistare a prezzi davvero stracciati gli spazi commerciali nel mirino.
«Si tratta ormai di concessioni a prezzi irrisori con una evasione del 50 per cento, a fronte di 103 milioni di euro circa di introiti annui, per le Casse dello Stato».
Gli emendamenti, come accade praticamente ogni anno, piovono sul decreto e ripropongono lo stesso scenario.
Stavolta però oltre a 5Stelle e Forza Italia ci sono “manine” che provano a imporre modifica del codice della Navigazione per poter procedere alla sdemanializzazione delle spiagge che potrebbero successivamente anche “essere cartolarizzate e cedute deducendo le spese effettuate dai concessionari.
Inoltre – spiega ancora Bonelli – un altro emendamento cancella in un solo colpo eventuali contenziosi sui canoni di concessione demaniale che comportino revoca: secondo questo testo – conclude l’esponente dei Verdi – vengono sospese le procedure amministrative di revoca e decadenza” che valgono anche per i mancati pagamenti dei canoni.
Il gettito che potrebbe essere prodotto da iniziative di questo tipo andrebbe, secondo i primi calcoli dai 5 ai 10 miliardi di euro.
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2018 Riccardo Fucile
OLTRE LA META’ DEI RISPARMIATORI RITIENE L’ITALIA POCO AFFIDABILE
Il Corriere della Sera illustra i risultati di un sondaggio IPSOS per conto di ACRI (l’associazione delle casse di risparmio italiane) sul risparmio degli italiani.
Che è tornato a crescere dopo la crisi ma si sente a rischio dopo gli ultimi sviluppi dello scontro tra il governo italiano e l’Unione Europea.
In particolare secondo la ricerca oggi si è ripreso ad accumulare: il 48,5% dichiara di fare risparmi senza troppe rinunce.
A loro va aggiunto un 38% abitudinario «che non vive tranquillo se non mette da parte qualcosa».
Ma all’interno di questo insieme c’è anche chi è molto preoccupato e vuole portare i suoi soldi fuori dall’Italia.
Spiega Dario Di Vico:
In cima alla piramide dei risparmiatori troviamo infine coloro che si pongono come tema prioritario «portare i soldi fuori dall’Italia».
È evidente che si tratta di risparmiatori che hanno maturato un giudizio estremamente negativo sull’operato del governo e più generale sulla prospettiva Paese e agiscono di conseguenza.
Secondo gli addetti ai lavori si tratta di uno strato estremamente sottile, culturalmente cosmopolita e in grado di affrontare le procedure necessarie per implementare la propria scelta.
Dal punto di vista quantitativo i numeri dei deflussi di capitale da parte di investitori esteri cominciano ad essere significativi (44 miliardi dall’inizio dell’anno).
Da un’indagine Censis i clienti del private banking italiani, risparmiatori che hanno qualche centinaio di migliaia di euro di patrimonio mobiliare, per il 53,6% considerano l’Italia «un Paese sempre meno ospitale per chi ha risorse da investire».
C’è poi una novità che riguarda le banche: se qualche tempo fa gli istituti di credito erano considerati l’emblema stesso delle politiche di austerity ed erano accusate di aver truffato il risparmio, oggi l’orientamento è mutato.
Quantomeno si tende molto a distinguere tra il sistema bancario senza volto e «la mia banca», infatti la fiducia nel mondo creditizio è quotata da Ipsos 32 mentre quella nei confronti della propria banca 61.
(da “NextQuotidiano”)
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