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SALVINI FRENA SULLA VIA DELLA SETA (E SMENTISCE IL SUO GERACI) PER ACCREDITARSI CON TRUMP CHE PERO’ LO CONSIDERA (GIUSTAMENTE) AL SOLDO DELLA RUSSIA

Marzo 11th, 2019 Riccardo Fucile

IL CONTORSIONISMO DI SALVINI PER NON RIMANERE ISOLATO IN EUROPA DIMOSTRA L’INAFFIDABILITA’ DI UN VOLTAGABBANA PERPETUO

“Se si tratta di aiutare imprese italiane a investire all’estero, siamo disponibili a ragionare con chiunque. Se si tratta di colonizzare l’Italia e le sue imprese da parte di potenze straniere, no”. Matteo Salvini frena sulla via della Seta ma non riesce a bloccare l’intesa commerciale tra Roma e Pechino.
La firma ci sarà  quando il presidente Xi Jinping sarà  a Roma la prossima settimana, confermano da Palazzo Chigi dopo i paletti piazzati da Salvini e dal sottosegretario Giancarlo Giorgetti in via Bellerio.
Sarà  un accordo quadro all’interno del quale si negozieranno i singoli capitoli, specificano dalla presidenza del Consiglio.
Ma perchè Salvini frena, al punto di smentire sia le posizioni iniziali del Carroccio, che quelle ancora attuali del sottosegretario di area Lega Michele Geraci, economista, docente di finanza in tre università  a Shanghai, di fatto la ‘mente’ del Memorandum con Pechino?
Dopo il sì alla Tav, battaglia che la scorsa settimana ha portato il governo sull’orlo della crisi, anche i distinguo sulla via della Seta servono al leader della Lega per accreditarsi a Washington e a Bruxelles, entrambe contrarie all’accordo tra Roma e Pechino.
E’ un posizionamento tattico in vista del voto di maggio e – soprattutto – delle alleanze che si faranno dopo al Parlamento europeo.
Salvini vuole far fruttare il 30 per cento abbondante che gli viene attribuito dai sondaggi. Come? Cercando di non finire isolato in Europa, puntando quindi ad un’alleanza tra il Ppe e i sovranisti: esattamente ciò che l’amministrazione Trump non gradisce.
Come abbiamo scritto dieci giorni fa, gli uomini di Trump lo hanno detto esplicitamente al presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani nella sua visita a Washington a fine febbraio.
Pur populista e ‘sfascia-Europa’, Trump è contrario ad un’intesa tra i Popolari e i sovranisti e populisti europei che considera al soldo della Russia o della Cina, a seconda dei casi.
Significherebbe perdere l’Ue dall’area di influenza atlantica e svenderla a Mosca e Pechino. Mai, dicono da Washington, dove pochi giorni fa anche Giorgetti ha fatto i suoi incontri nel tentativo di costruire un’immagine di affidabilità  per il governo italiano.
E’ per questo che ora la Lega deve frenare sulla Via della Seta. L’accordo, dice Giorgetti in conferenza stampa con Salvini dopo la riunione nella sede di via Bellerio a Milano, “dovrà  sicuramente contenere nobili intenti per migliorare relazioni economiche e commerciali tra Italia e Cina, ma non impegni che possano creare interferenze di ordine strategico per il consolidato posizionamento del Paese”.
Dunque, l’accordo “dovrà  servire a migliorare le relazioni economiche e commerciali ma non potrà  andare oltre questo confine che è l’interesse strategico del Paese”.
E sempre per non isolarsi in Europa, Salvini oggi attacca anche il Ppe che vorrebbe espellere il premier ungherese Viktor Orban all’assemblea convocata per il 20 marzo a Bruxelles. Confermato l’asse con Marine Le Pen e l’interlocuzione con Orban, appunto. Ad aprile è prevista un’iniziativa con “gli alleati” sovranisti a Roma.
Ma va sventata l’espulsione di Orban dal Ppe: Salvini sa che sarebbe il primo passo per tenere anche la Lega (con Le Pen) fuori dai giochi.
Domani comunque lo Spitzenkandidat dei Popolari Manfred Weber è in missione a Budapest per cercare di portare Orban a più miti consigli, anche se nel Ppe ormai c’è la maggioranza per espellerlo, su spinta americana.
Sulla storia cinese Salvini dunque cammina sulle uova. E sulle contraddizioni.
In passato il vicepremier ha sempre avuto parole buone per Geraci, se lo immaginava anche come premier. Ora è costretto a smentirlo, sapendo comunque che anche il treno cinese – come la Tav – non si fermerà .
Geraci infatti va avanti sul memorandum con la Cina: “Gli alleati americani saranno positivamente sorpresi dopo aver letto il Memorandum of Understanding: l’obiettivo dell’accordo è quello di portare la Cina verso gli standard occidentali”.
Il sottosegretario ci sta lavorando dallo scorso autunno, quando ebbe modo di illustrare il progetto anche a Bruxelles in una riunione con i parlamentari italiani che si occupano di commercio internazionale.
In quell’occasione, apprende Huffpost che ha ascoltato un audio di quella riunione, il sottosegretario usò anche l’esempio della vendita del porto di Trieste ai cinesi per dire di tutti i possibili punti di un accordo commerciale con la Cina. Paese che, è la sua argomentazione, usa i 28 paesi dell’Ue come “28 porte di ingresso in Europa”. L’Italia insomma deve approfittarne.
Da Pechino il portavoce del ministero degli Esteri Lu Kang dà  “il benvenuto alla partecipazione dell’Italia alla Belt and Road Initiative (la Nuova via della Seta), che riteniamo creerà  maggiore spazio per una cooperazione reciproca vantaggiosa e porterà  maggiori benefici alle comunità  imprenditoriali e alle nostre popolazioni di entrambe le parti”.
Insomma, la macchina ormai è partita, anche per volontà  leghista (almeno inizialmente).
Domani il premier Conte interverrà  al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, il Copasir, per parlare della Rete 5G, il nuovo standard per la comunicazione mobile che sarà  disponibile dal 2020, e di sicurezza delle telecomunicazioni.
Perchè è questo uno dei problemi maggiori sollevati dall’amministrazione Trump, impegnata in un braccio di ferro con i colossi cinesi Huawei e Zte.
Il presidente degli Usa ha avvertito anche Angela Merkel: se aprite le porte a Huawei per la realizzazione delle reti 5G, gli Usa sono pronti a limitare la loro collaborazione con la Germania nel campo dell’intelligence.
Avvertimento contenuto in una lettera dell’8 marzo scorso e firmata dall’ambasciatore americano a Berlino Richard Grenell, racconta il Wall Street Journal.
Quali leve userà  Trump con l’Italia per ‘sventare’ la firma del Memorandum tra Roma e Pechino? Un Memorandum che tra l’altro è segreto: “Alla faccia della trasparenza sempre invocata soprattutto dalla parte pentastellata al governo”, sottolinea l’europarlamentare del Pd Isabella De Monte.

(da “Huffingtonpost”)

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SONDAGGIO SWG LA7: PD ORMAI IN SCIA DEL M5S, LI DIVIDE SOLO UN PUNTO E MEZZO

Marzo 11th, 2019 Riccardo Fucile

IL PD DOPO UN ANNO SALE AL 20,3%, M5S IN CALO AL 21,8%… LEGA 33,7%, FORZA ITALIA 8,9%, FDI 4,1%… + EUROPA 2,8%, LEU 2,6%, POTERE AL POPOLO 1,9% VERDI 1,2%

L’ultima rilevazione di Swg per La7 conferma il trend in atto più significativo: il Pd ha messo nel mirino il M5S e si sta avvicinando sempre più, ora la distanza si è ridotta dai 15 punti delle politiche di un anno fa ad appena un punto e mezzo.
A fronte dei Cinquestelle che hanno perso circa 12 punti, il Pd di Zingaretti non solo ha bloccato la discesa che si è manifestata per un anno, ma ha guadagnato quasi 2 punti rispetto alle politiche.
La sensazione è che abbia pescato solo in minima parte fra i grillini delusi (più propensi all’astensione per ora) ma piuttosto recuperando voti a sinistra.
Per il resto la Lega resta il primo partito con il 33,7%, con Forza Italia stabile all’8,9% e Fdi in leggero calo al 4,1%.
Complessivamente il centrodestra arriverebbe teoricamente al 46,7%, il centrosinistra al 28,8%, il M5S al 21,8% grazie al 2,8% di + Europa, al 2,6% di Leu, all’1,9% di PaP, all’1,2 dei Verdi.
I due partiti di governo sono calati dal 60% di consenso al 55,5%.

(da agenzie)

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QUANDO LA LEGA ERA NO TAV

Marzo 11th, 2019 Riccardo Fucile

I VOLTAFACCIA DELLA LEGA SULL’ALTA VELOCITA’ FINO AL 2005   … COTA E BORGHEZIO ALLE MANIFESTAZIONI NO TAV

C’era un volta la Lega nord contro l’Alta velocità  in Val Susa. Accadeva alla fine degli anni Novanta ed è durata, tra continue giravolte, fino alla fine del 2005.
Erano i tempi del Carroccio di Roberto Cota, all’epoca segretario regionale piemontese, e Mario Borghezio, già  europarlamentare, che partecipavano alle manifestazioni dei valsusini No Tav, parlando con gli abitanti della zona, con la speranza di cogliere quel voto dei territori che è sempre stato caro al leader Umberto Bossi.
IL VOLTAFACCIA DEL 2001
Era la Lega Nord di lotta e (poco) di governo, che pensava all’autonomia e alle comunità  locali, critica verso le imposizioni europee o di Roma ladrona.
Ancora adesso, tra i valligiani, circolano i volantini e gli adesivi con un verdissimo Alberto da Giussano e al fianco la scritta No Tav.
Ma c’è anche una documentazione molto precisa delle segreterie leghiste, che racconta di come il movimento di Pontida, nel 2001, appena salito al governo, abbia deciso di cambiare atteggiamento all’improvviso su questa vicenda, «mollando» i contestatori della Val Susa.
MARONI DIFENDE LA POLIZIA.
Tutto questo ora, infatti, non c’è più. Dopo gli scontri di Chiomonte di lunedì 27 giugno, tra attivisti contrari al Corridoio 5 e forze dell’ordine, dal Carroccio si è levato un coro univoco. «Le forze dell’ordine hanno operato in modo eccezionale in un clima ad alto rischio. Senza il loro intervento avremmo perso i finanziamenti europei», ha detto il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, martedì 28 giugno.
«L’Alta velocità  ha sempre rappresentato un progetto irrinunciabile», «a questo punto ci costerebbe di più tornare indientro che andare avanti», ha rincarato Cota, governatore del Piemonte, sottolineando che gli «antagonisti» dell’opera sembrano ormai «isolati». «Evidentemente», ha spiegato Cota, «anche i più machiavellici debbono aver compreso che appoggiare o mostrare connivenza con i violenti è, a maggior ragione, una strada senza uscita».
All’alba del nuovo millennio, Dario Catti, allora segretario leghista della sezione di Almese, inviò ripetutamente lettere al quotidiano di partito, la Padania per l’appunto.
Era il 2002 e Catti, che ora sfila insieme a leader del No Tav Alberto Perino e vota Beppe Grillo, si lamentava con il direttore Gigi Moncalvo di come la Lega nord avesse abbandonato le posizioni degli anni Novanta per appoggiare in toto il progetto dell’alta velocità .
I RIMPROVERI DI BOSSI.
La questione creò non pochi disagi dentro il partito. Bossi era appena tornato a palazzo Chigi insieme al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi tanto che, il 16 ottobre del 2002, il segretario provinciale leghista Mario Demichela fu costretto a diramare un documento dove si leggeva: «In nessun caso saranno ulteriormente condivise le posizioni contro il progetto Tav assunte da esponenti leghisti o, peggio ancora, l’appoggio alle organizzazioni di sinistra che operano esclusivamente contro l’attuale governo».
LA FINE DELLA PASSIONE.
In sostanza, l’incanto per la Tav stava scemando nella sede di via Bellerio. Del resto, c’erano da difendere le politiche del governo Berlusconi e quelle del ministro per le Infrastrutture Pietro Lunardi. Ma alla fine del 2005, quando il Carroccio si godeva gli ultimi sgoccioli di esecutivo tra le solite liti intestine al centrodestra, la situazione cambiò
Sulla Padania il 7, 8 e 9, fino all’11 dicembre del 2005, comparvero editoriali e interviste dove i leghisti facevano a pezzetti il progetto.
Certo, c’erano anche posizioni favorevoli, tra cui si segnala quella di Roberto Castelli, ma Mario Borghezio, lo stesso Roberto Cota e anche Maroni mostrarono più di un dubbio. In quel periodo stavano cominciando i primi scavi in valle e gli scontri erano all’ordine del giorno, proprio come sta accadendo adesso.
Il 7 dicembre del 2005 la Padania sparò a tutta pagina un’intervista a Maroni, all’epoca ministro del Welfare. «Non sono i no global. La protesta della Val Susa non va ignorata, bisogna comprendere le ragioni della gente»
E pensare che tra le domande di quella intervista ce n’era un’altra che ora sarebbe impensabile per il ministro dell’Interno. Giacomo Ambrosetti fece notare: «Anche la Lega, in passato, è stata oggetto di cariche da parte della polizia». E Maroni rispose. «Appunto. E io so che quando c’è una rivendicazione sensata non si può mandare la polizia e basta»
DUE PESI E DUE MISURE NEL CARROCCIO.
L’11 dicembre di quell’anno Gilberto Oneto, teorico del movimento leghista, ora un pò emarginato, in un editoriale sul quotidiano padano dal titolo ‘Più rispetto per le autonomie locali’, si domandò: «Perchè il vantaggio di molti o di pochi (e qui è di pochissimi) deve essere raggiunto a danno di altri ? Perchè non si ragiona con chi è coinvolto? In Val Susa no. Ma evidentemente nemmeno in molti altri casi»
Infine, la ciliegina sulla torta fu di Cota che, l’8 dicembre del 2005, cominciò così un suo commento (vai al pezzo originale): «Due pesi e due misure. Se a protestare è la gente del Nord, prima o dopo arriva il manganello, se invece i tumulti avvengono al Sud, i metodi per un ritorno all’ordine si fanno decisamente più leggeri e sfumati». Due pesi e due misure, proprio come la Lega di lotta e quella di governo.

(da agenzie)

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LA DENUNCIA DEGLI AVVOCATI: “LE QUESTURE NON CI FANNO ENTRARE PER ASSISTERE I CITTADINI STRANIERI NOSTRI CLIENTI, VIOLATA LA LEGGE”

Marzo 11th, 2019 Riccardo Fucile

LA DENUNCIA DEGLI ORDINI DI NAPOLI E LECCE: “AGLI SPORTELLI DELL’UFFICIO IMMIGRAZIONE ABBIAMO DIRITTO DI ACCEDERE, I FUNZIONARI PENSINO AD APPLICARE LA LEGGE NON IL PENSIERO DI SALVINI”

Porte chiuse agli avvocati. Le questure sbarrano la strada ai legali diretti all’ufficio immigrazione. Se sei un cittadino straniero e devi rinnovare il permesso di soggiorno, da oggi sbrigatela da solo: nessun professionista potrà  più assisterti con le tue difficoltà  linguistiche e i mille impacci della burocrazia.
Un comportamento senza precedenti.
“Tali condotte pongono gli immigrati in posizione di inferiorità  e risultano irrispettose verso la categoria forense”. Per l’Arci, “i funzionari più che applicare la legge, paiono interpretare la nuova aria che tira al Viminale: rendere, laddove possibile, più difficile la vita ai migranti”.
Un passo indietro. Fino a oggi un immigrato poteva pagare un avvocato per farsi assistere davanti allo sportello immigrazione, per ogni pratica: dalla richiesta del permesso di soggiorno, al nulla osta al ricongiungimento familiare.
Ora discrezionalmente alcune questure starebbero ostacolando l’accesso dei legali.
“I funzionari e il personale addetto all’Ufficio immigrazione – scrive Antonio Tafuri, presidente dell’ordine degli avvocati di Napoli – è solito negare l’ingresso agli avvocati che intendono assistere gli immigrati nel disbrigo delle relative pratiche. Tale prassi che non ci risulta sia fondata su disposizioni normative – prosegue la nota spedita il 5 marzo al questore – pone gli immigrati in posizione di inferiorità  e di difficoltà  sia per la frequente scarsa conoscenza della normativa, sia per le comprensibili deficienze linguistiche e di espressione del pensiero e della volontà . Tali condotte risultano irrispettose verso la categoria forense e contrarie alla inviolabile e costituzionale funzione dell’avvocato di difendere e assistere anche tecnicamente la persona che reclama i propri diritti”.
Insomma i legali chiedono chiarimenti.
“Finora gli avvocati facevano da tramite per i migranti in questura – spiega a Repubblica il presidente Tafuri – ora accade che non gli venga più consentito l’ingresso, senza che ci risulti un espresso divieto. Insomma adesso è a discrezione dei funzionari, invece ci vuole una regola e per noi la regola è che si deve continuare a poter assistere i clienti all’ufficio immigrazione”.
Stesso problema a Lecce. Qui il 20 dicembre scorso, 13 avvocati hanno scritto al proprio ordine denunciando “difficoltà  di accesso” alla divisione immigrazione della questura. E non solo: “Alcuni nostri assistiti – scrivono – hanno anche appreso che è sconsigliabile l’assistenza di un legale dal momento che il personale dell’Ufficio immigrazione “si arrabbia” e la pratica non va avanti”.
Ci è voluto l’intervento del presidente dell’ordine degli avvocati di Lecce, con due note ufficiali del 16 gennaio e del 15 febbraio scorso, a indurre la questura a riaprire le porte ai legali.
“Non c’è alcuna regola che possa impedire a un avvocato di assistere il suo cliente di fronte alla pubblica amministrazione – commenta Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci – i funzionari delle questure più che applicare la legge, sembrano ora interessati a interpretare il pensiero del Viminale, aggravando gli ostacoli burocratici che i migranti devono superare. Si tratta dell’ennesima discriminazione”.

(da agenzie)

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IL SOTTOSEGRETARIO CHE SCOPRE IN AULA DI NON ESSERE PIU’ SOTTOSEGRETARIO

Marzo 11th, 2019 Riccardo Fucile

LUCIANO BARRA CARACCIOLO, SOTTOSEGRETARIO AGLI AFFARI EUROPEI, PROTAGONISTA DEL TEATRO DELL’ASSURDO ALLA CAMERA… UNA VITTIMA DELL’EX MINISTRO SAVONA CHE SI E’ SQUAGLIATO

Luciano Barra Caracciolo, sottosegretario del ministero degli Affari Europei, è stato protagonista di una meravigliosa scena in Parlamento oggi.
“Chi sono io? Sono o non sono sottosegretario di questo governo?”, ha esordito amleticamente mentre si entrava nel vivo della discussione generale sulla legge europea, (ddl adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea).
All’avvio dei lavori, poco dopo le 14, il sottosegretario agli Affari europei Luciano Barra Caracciolo, arrivato con qualche minuto di ritardo, informa l’emiciclo che gli uffici gli hanno comunicato che lui non rappresenta più il ministero.
“Perdonate il mio ritardo. Mi tocca porre una questione preliminare che mi riguarda. Poco prima di venire qui gli uffici di Palazzo Chigi mi hanno comunicato che mi considerano senza delega e anche senza nomina. Io fino a che non ho un chiarimento da parte di tali uffici, non potrei essere il rappresentante del governo meno che mai sugli affari europei. Il mio ritardo è dovuto a questo ma non posso fare a meno di informarvi di questo”, dice Barra Caracciolo.
Il vicepresidente di turno, Ettore Rosato, lo informa invece che il governo lo ha delegato. “Le do una buona notizia: il governo ha delegato lei a seguire questo provvedimento. Quindi evidentemente la considerano ancora in carica”.
Ad assistere alla scena un’aula deserta: per la maggioranza un leghista e una manciata di M5s.
Barra Caracciolo è stato scelto come sottosegretario da Paolo Savona, che nel frattempo se l’è filata alla Consob lasciando con un palmo di naso tutti i noeuro che erano convinti che li avrebbe accompagnati fuori dalla moneta unica.
E allora forse il punto è politico: avendo Savona lasciato l’esecutivo, il governo non si ritiene più legato a un accordo stipulato da un predecessore nel frattempo uscito.
E proprio per questo Barra Caracciolo è diventato orfano.

(da “NextQuotidiano”)

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DI BATTISTA NON E’ ANDATO ALLA RIUNIONE DI ROUSSEAU PER PROTESTA: “TUTTI, COMPRESO DI MAIO, MI HANNO LASCIATO SOLO”

Marzo 11th, 2019 Riccardo Fucile

“SI E’ SENTITO SCARICATO, NESSUNO LO HA DIFESO”

Ieri c’era un evento importante per il Movimento 5 Stelle. A Milano, il Villaggio Rousseau ha sempre rappresentato l’occasione per contarsi, per rilanciare le idee del partito, per discutere di contenuti.
Ieri, invece, l’aria era da resa dei conti, complice anche l’assenza rumorosa di Alessandro Di Battista. Che, dopo le sconfitte elettorali in Abruzzo e in Sardegna, continua a restare in silenzio.
Tra qualche giorno, il 13 marzo esattamente, si potrà  contare un mese dall’ultima apparizione pubblica dell’importante esponente del Movimento 5 Stelle, lasciato in panchina in questa tornata elettorale per avere una carta da giocare in futuro, quando dovrebbe valere (ma questo ancora è tutto da verificare) la regola del doppio mandato per gli altri big del Movimento.
Nel frattempo, Di Battista avrebbe dovuto aiutare i suoi colleghi nelle battaglie che sono state portate avanti in questi giorni, dalle elezioni regionali, passando per quelle sui provvedimenti-chiave votati dal Movimento 5 Stelle (compresa la mancata autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini).
In più, ci sarebbe la sfida delle elezioni europee 2019, alla quale — per il momento — Di Battista ha partecipato soltanto nella prima fase, nel corso della sciagurata visita ai gilet gialli di Christophe Chalencon, quello che voleva fare il colpo di Stato contro Emmanuel Macron.
Ora, stando a quanto riportato in un retroscena de La Stampa, firmato da Ilario Lombardo, Di Battista sarebbe deluso per il comportamento dei suoi colleghi di partito e denuncia di essere stato lasciato solo da tutti, anche da quel Luigi Di Maio con cui ha passato il capodanno e con cui ha fatto il video di buon anno sulle piste da sci.
Manlio Di Stefano, uno dei centurioni di questo Movimento 5 Stelle, si sarebbe lasciato sfuggire la frase: «È un fratello, aveva bisogno di staccare».
Tuttavia, sull’argomento gli altri esponenti del Movimento hanno le bocche cucite.
Sono lontani i tempi in cui Di Battista veniva annunciato come l’arma segreta per recuperare consensi nei confronti di Matteo Salvini.
«Si è sentito scaricato — dicono nella platea del Villaggio Rousseau -. Quando hanno cominciato a parlare delle ricadute negative delle sue uscite pubbliche nessuno lo ha difeso. E non hanno nemmeno smentito gli articoli che parlavano dei ripensamenti del Movimento sulla strategia di utilizzarlo in tv».

(da agenzie)

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IL REDDITO DI CITTADINANZA E QUEI LAVORI DA 858 EURO CHE SI POSSONO RIFIUTARE

Marzo 11th, 2019 Riccardo Fucile

NEL CONCETTO DI OFFERTA CONGRUA IL REQUISITO CHE DEVE SUPERARE DEL 10% IL BENEFICIO FRUIBILE (OVVERO I TEORICI 780 EURO)

Un’offerta che è possibile rifiutare. Ovvero quella di poter lavorare per 858 euro al mese invece di percepire il reddito di cittadinanza.
Lo prevede oggi la stessa legge che parla delle “offerte congrue”, che lo devono essere anche dal punto di vista economico.
E ne parla oggi Il Sole 24 Ore che riepiloga anche quali sono i lavori che è possibile rifiutare per   i percettori del reddito di cittadinanza.
Tutto ruota intorno al concetto di “offerta congrua”: i requisiti sono tre e devono essere presenti tutti insieme (come prevede il Dm 10 aprile 2018 del ministero del Lavoro): tempo indeterminato (o a termine o di somministrazione di almeno tre mesi); a tempo pieno o con un orario non inferiore all’80% dell’ultimo contratto di lavoro; retribuzione non inferiore ai minimi previsti dal contratti collettivi nazionali di lavoro.
E qui sta il punto. Perchè   un emendamento al Dl 4/2019 approvato al Senato ha aggiunto che l’offerta di lavoro congrua debba prevedere una retribuzione «superiore di almeno il 10 per cento del beneficio massimo fruibile da un solo individuo, inclusivo della componente ad integrazione del reddito dei nuclei residenti in abitazione in locazione».
Significa almeno 858 euro (780 euro +78) al mese.
E proprio quella cifra esclude dal computo dei lavori “congrui” come quelli stagionali in agricoltura, i part-time al 50% per il comparto alimentari-industria e   gli apprendistati, dove il tempo indeterminato non basta a rendere congrue alcune proposte di lavoro: si pensi a un parrucchiere, al suo primo anno, che ha una retribuzione pari a circa 828 euro al mese per 40 ore settimanali.
Spiega Alessandro Rota Porta che il quadro si complica ulteriormente, allargando l’analisi alle differenti definizioni di offerta congrua oggi vigenti nei confronti dei disoccupati che siano percettori di misure di sostegno al reddito oppure di altri sussidi diversi dal reddito di cittadinanza: “Si pensi alla Naspi, l’indennità  di disoccupazione, la cui condizionalità  resta regolata da principi differenti rispetto a quelli introdotti per il nuovo sussidio. Insomma, il rischio è quello di creare una babele di regole e di allontanare la meta di un sistema di politiche attive efficace ed efficiente”.

(da “NextQuotidiano”)

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CULTURA E TURISMO VALGONO IL 6% DEL PIL ITALIANO E 1,5 MILIONI DI POSTI DI LAVORO

Marzo 11th, 2019 Riccardo Fucile

UN ADDETTO SU QUATTRO E’ UNDER 35, UN FATTURATO DI 240 MILIARDI

Con la cultura ci si mangia, eccome. Anzi, ci si nutre: perchè non si tratta solo di Pil ma anche di ricadute sociali.
I numeri lo confermano: nel 2017 il settore ha fatturato 92 miliardi di euro. Che sommati ai 153 miliardi generati dall’indotto più stretto fanno lievitare la cifra a 255 miliardi di euro in un anno.
È il 6,1% della ricchezza totale prodotta in Italia, percentuale che salirebbe ancora di più se si sfruttassero a pieno tutte le risorse disponibili.
A tracciare il quadro della situazione è il rapporto “Io sono cultura” di Fondazione Symbola e Unioncamere, presentato al Touring Club di Milano.
Obiettivo: quantificare il peso della bellezza nell’economia nazionale. Bellezza che non si limita al patrimonio artistico, e cioè a musei, monumenti e siti archeologici, ma che comprende anche le industrie creative, dall’architettura al design, e quelle più classicamente culturali: cinema, editoria, musica, stampa, videogiochi e software.
A queste si aggiungono poi realtà  diverse che però in qualche modo vivono di creatività , dalla manifattura all’artigianato. Un ramo in crescita, a dispetto della recessione generalizzata.
Il comparto cultura in Italia dà  lavoro a un milione e mezzo di persone, cifra cresciuta dell’1,6% tra 2016 e 2017 (più della media nazionale ferma all’1%).
Una buona fetta è rappresentata dai giovani: un impiegato su quattro è under 35, e in totale più della metà  degli occupati del settore ha meno di 44 anni.
Dati che si scontrano con l’ultima media nazionale diffusa dall’Istat: a gennaio 2019 la disoccupazione giovanile è arrivata al 33%, +0,3% rispetto a dicembre, mentre il dato generale è rimasto stabile al 10,5%.
Come certifica il rapporto, poi, i “creativi” trovano spazio anche in altri tipi di imprese industriali: a sapersi spendere meglio altrove sono soprattutto i designer, gli architetti e i grafici, ma anche i fotografi e i comunicatori.
Il settore cultura, si diceva, nel 2017 è arrivato a muovere 255 miliardi di euro: questo grazie a un effetto moltiplicatore sul resto dell’economia pari all’1,8, per cui per ogni euro speso nel sistema ne vengono prodotti 1,8 in altri comparti connessi.
Ma la cultura si traduce spesso anche in un modo specifico di organizzare l’impresa, che è quello della cooperazione. Una realtà  che sta crescendo, soprattutto per quanto riguarda il mondo dell’arte e del turistico: in questi settori le persone occupate in cooperative sono cresciute del 10% nel 2017 sull’anno precedente (e del 7% in generale), come spiega la presidente di CoopCulture, Giovanna Barni.
“La forma della cooperativa mette al centro la persona, trasforma i clienti in una comunità  e garantisce un legame con il territorio”. Due gli esempi su tutti: Agrigento e il ghetto di Venezia. Recuperati grazie a una rete di associazioni e coop locali, oggi fanno da volano per una riattivazione anche sociale ed economica di quelle zone.
Ma si potrebbe fare ancora meglio.
A spiegarlo è Ermete Realacci, fondatore di Symbola, presidente onorario di Legambiente ed ex deputato del Partito democratico.
“Perchè il nostro Paese non sfrutta appieno le sue potenzialità ? Innanzitutto c’è un problema di percezione sbagliata da parte degli italiani, siamo gli unici nell’Unione europea a considerarci peggio di come ci considerano gli altri, vediamo solo i nostri difetti — spiega a ilfattoquotidiano.it -. E poi c’è un problema di mancata valorizzazione“. Una volta fatte le regole e garantita la salvaguardia del patrimonio, spiega il politico e ambientalista, bisogna riconsegnare quei beni al territorio a cui appartengono.
“Bisogna coinvolgere i Comuni e gli enti locali ma anche aprire ai privati — continua Realacci -. Per tenere in vita questa ricchezza serve partecipazione, bisogna allargare il più possibile”. E cita il caso del Fondo Ambiente Italiano, che oggi gestisce con successo sessanta luoghi di interesse di cui trenta aperti al pubblico.
“In Italia a livello di cultura abbiamo molto, troppo — conclude il presidente di Symbola -. L’unica soluzione è giocare all’olandese, usare tutti i player che ci sono a disposizione per sfruttare al massimo il patrimonio“.

(da agenzie)

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PROTESTE IN RUSSIA CONTRO IL GOVERNO: “PUTIN, GIU’ LE MANI DA INTERNET”

Marzo 11th, 2019 Riccardo Fucile

15.000 PERSONE IN PIAZZA CONTRO IL CONTROLLO CRESCENTE DEI CONTENUTI DEL WEB DA PARTE DEL REGIME

Il crescente controllo sul web da parte delle autorità  russe ha provocato una marcia di protesta di circa 15.300, secondo la Ong Contatore bianco.
La folla urlava “Giu’ le mani da internet”. “Putin net” si leggeva invece su un cartello: un gioco di parole che puo’ essere interpretato sia come “il web di Putin” sia come “No Putin”.
Alcuni dimostranti mostravano grandi mani di gomma di colore azzurro con l’indice alzato verso l’alto e sopra la scritta: “Resisti”. Imponente la presenza della polizia.
Per accedere al luogo della protesta, in viale Sakharov, bisognava passare attraverso i controlli con i metal detector.
Oltre che a Mosca, si sono svolte proteste autorizzate a Voronezh (in Russia meridionale) e a Khabarovsk (nell’estremo oriente russo). Alcune persone hanno manifestato anche a San Pietroburgo, per lo più con picchetti individuali per non violare la legge che vieta le manifestazioni di massa se non sono preventivamente autorizzate.
Le manifestazioni sono state organizzate dal Partito Libertario.

(da agenzie)

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