Marzo 17th, 2019 Riccardo Fucile
TUTTI I MOVIMENTI AMBIENTALISTI CHE I GRILLINI HANNO BLANDITO, CAVALCATO E TRADITO: NO TAV, NO ILVA, NO TAP, NO TRIV, NO GRANDI NAVI, NO MUOS, NO TTIP
Il paradosso del No è che c’è sempre qualcuno pronto a dire un No ancora più forte. Ma
in questa storia i paradossi sono tanti.
Il 23 marzo in piazza, a Roma, ci saranno i No Tav, No Ilva, No Tap, No Triv, No Grandi Navi, No Muos, No Ttip (il Trattato di libero scambio), No Centrale del Mercure, No 106 Jonica megalotto e così via, di conflitto in conflitto, un atlante che comprende piccole grandi lotte ambientaliste che i 5 Stelle hanno corteggiato e sposato per anni. Fino a quando non sono arrivati al governo.
Ebbene, il popolo del No andrà a chiedere conto al Movimento che è arrivato al potere cavalcando quei No, a volte con una carica ancora più radicale.
La parabola è ben descritta da Tommaso Cacciari, portavoce del comitato contro le navi da crociera a Venezia: «I 5 Stelle ci accusavano addirittura di essere troppo moderati. La nostra proposta prevede un avamporto all’ingresso della città dove far attraccare le navi per evitare di farle arrivare fin dentro la Laguna. Per loro invece le navi non dovevano proprio avvicinarsi a Venezia».
E ora? «Tutti muti: dai parlamentari veneziani al ministro Danilo Toninelli. C’è un progetto fermo da 4 anni. E Toninelli si sta comportando come i suoi predecessori».
E così Luigi Di Maio si trova stretto tra chi, complice il caso Tav, dice che il M5S sa dire solo No, e chi lo accusa di non dirlo abbastanza forte, di annacquare le battaglie o di averle tradite.
Non che Di Maio non ci stia provando a cancellare l’immagine del Movimento che sabota opere e infrastrutture.
Al punto che i grillini al governo, accusati di essere i cultori della decrescita felice, sono quelli che parlano di più di pompare la crescita, in nome del dio Pil che Di Maio diceva di voler superare, forte delle teorie economiche a sostegno di altri indici più flessibili nel calcolare il benessere di una nazione. Appunto: i paradossi.
La stella dell’ambiente, una delle cinque del M5S, è rimasta appannata.
Scomparsa dal dibattito sulla Tav, a esclusivo vantaggio di analitiche disamine finanziarie.
Da Beppe Grillo a Di Maio il M5S ha perso la sua anima green, contaminata da rivendicazioni locali, che sognava una democrazia dal basso, dei cittadini.
L’ultima emblematica giravolta è sul Muos, il sistema americano di mega satelliti a Niscemi, Caltanissetta. Un tema caldo in queste ore in cui si ridiscutono i rapporti del governo con Washington.
Come confermano fonti di governo, tutto proseguirà come deve. Solo pochi mesi fa Grillo chiedeva agli Usa: «Portate università non basi militari».
I militati No Muos ancora credevano in una presa di posizione di Di Maio a favore dello smantellamento, annunciata dal consigliere M5S Giampiero Trizzino: «Dopo l’incontro di Conte con Trump abbiamo capito che sarebbe finita come su Tap, Ilva e F35», spiega il portavoce Fabio D’Alessandro: «La ministra Trenta del M5S si è comportata come il Pd».
Niente più lotta contro cementificazione e inquinamento elettromagnetico, a protezione della riserva naturale. «Come in Val Susa molti No Muos hanno votato M5S, preferendolo a partiti come Potere al Popolo perchè le chance di andare al governo erano serie». Ma sono proprio le ragioni di governo ad aver prevalso. Solo che questa volta fa più rumore, perchè nessuno era mai arrivato a Palazzi Chigi con proposte così radicali, nate sui territori, facendole evaporare in pochi mesi.
Il rosario di delusioni è stampato nel comunicato della marcia: «Il governo ha fatto un’imbarazzante retromarcia su tutte le altre grandi opere devastanti: Tav, Terzo Valico, Tap e la rete Snam, Grandi Navi e Mose a Venezia, Ilva, Muos, Pedemontana Veneta, oltre al tira e molla sul petrolio e le trivellazioni».
Gli ultimi a sperare nel M5S rimasti sono gli attivisti per l’acqua pubblica e della Terra dei Fuochi.
Idealmente, la grande manifestazione nazionale contro le «grandi opere inutili» è associata alla mobilitazione internazionale per il clima della giovane Greta Thunberg. «E’ stato rischioso mettere assieme lotte contro opere così diverse tra di loro — spiega D’Alessandro – Ma lo spirito che ci accomuna va al di là dei No e dell’ideologia Nimby (Not in my back yard). È a favore di un processo decisionale che coinvolga di più le popolazioni dei territori, contro la contrapposizione lavoro-ambiente, a favore di grandi opere ma utili a proteggere le fragilità dell’Italia».
Era quello che prometteva anche il M5S. «Il tradimento presuppone una storia d’amore. La delusione di chi li ha votati è tanta — dice Cacciari — L’imbroglio del M5S non è nelle singole battaglie ma è strutturale: raccontare che bastava cambiare i giocatori e non le regole, che bastava mandare tutti a casa quelli che c’erano prima».
(da “La Stampa”)
argomento: denuncia | Commenta »
Marzo 17th, 2019 Riccardo Fucile
GENTILONI ELETTO PRESIDENTE, ZANDA TESORIERE, RENZI MANDA AUGURI
“Serve un nuovo Pd, deve cambiare tutto a cominciare dallo statuto per impedire la salvinizzazione del Paese”.
È il grido di battaglia che il neosegretario Luca Zingaretti lancia dal palco dell’Assemblea del Pd riunita all’hotel Ergife di Roma, dove è stato proclamato ufficialmente segretario dopo la vittoria alle primarie del 3 marzo scorso.
Paolo Gentiloni è stato invece eletto presidente del partito con 86 astenuti e nessun contrario.
Una candidatura, quella dell’ex premier, su cui c’è stata la convergenza anche dei renziani, come annunciato prima dell’inizio dei lavori da Maria Elena Boschi (che ha salutato calorosamente il neosegretario al suo arrivo) e dall’area che fa capo a Guerini e Lotti.
“L’obiettivo è quello di tornare a vincere”, dice Gentiloni ringraziando i presenti per la sua nomina. E nomina vicepresidenti Anna Ascani e Deborah Serracchiani. Luigi Zanda viene invece eletto tesoriere con 83 astenuti.
È partita dunque oggi l’era zingarettiana del Pd, in un’Assemblea affollatissima, forse la più partecipata di sempre con oltre 2.000 persone tra delegati e ospiti, che rispecchia i valori in campo alle primarie con le truppe del neosegretario in netto vantaggio (con il 66 per cento) sull’ex maggioranza renziana.
In camicia azzurra e cravatta blu, Zingaretti viene proclamato segretario da parte del presidente della Commissione Congresso, Gianni Dal Moro, dopo la prammatica lettura dei risultati definitivi delle primarie (votanti: 1.582.083. Martina ha ottenuto 345.318 voti pari al 22%, Zingaretti 1.035.955 pari al 66%, Giachetti 188.355 voti pari al 12%.
I componenti dell’Assemblea sono così suddivisi: 119 membri dalle liste collegate a Giachetti, 228 per l’area Martina, 653 delegati per Zingaretti).
Poi il neosegretario fa un lungo intervento, circa un’ora e un quarto, in cui tocca tutti i punti principali del suo programma per un nuovo Pd.
L’intervento di Zingaretti
“Ricordiamo che oggi 17 marzo si festeggia l’Unità di Italia – esordisce Zingaretti – un augurio al Paese che amiamo e per il quale lottiamo. Ora dobbiamo muoverci. Insieme, io mi auguro, dobbiamo metterci di nuovo in cammino”.
“Non è in gioco solo il governo ma le fondamenta irrinunciabili della nostra comunità politica”, continua il segretario dem. “Il Paese è bloccato e sta decadendo. Il pil è fermo – prosegue – nel prossimo autunno ci sarà bisogno di una manovra di decine di miliardi di euro e sarà drammatica”.
“Su tutte le questioni più urgenti – osserva ancora- abbiamo un governo che pronuncia solo degli imbarazzanti ‘ni’ con un fraseologia tipica della prima Repubblica. L’Italia è un grande paese che non si governa con i ‘ni’, non si governa con l’immobilismo”.
“Dobbiamo rimettere al centro la persona umana – continua Zingaretti – come hanno fatto le ragazze e i ragazzi scesi in piazza per il clima. Serve più riformismo per affrontare il futuro. Dobbiamo rimettere al centro la giustizia sociale, perchè la lotta alla povertà è la condizione per stare meglio tutti”. Altro obiettivo è “ricostruire una classe dirigente italiana. Mettiamoci alle spalle le contese sugli equilibri interni, avviamo una dialettica nuova tra le componenti. Non dobbiamo più neppure lambire una politica lontana dalla vita”.
I quattro pilastri
Quattro sono i pilastri del nuovo Pd di Zingaretti: “In primo luogo le infrastrutture materiali: serve un grande piano per un’Italia più sicura ma anche più rispettosa dell’ambiente. Perchè solo con una svolta green si può tornare a produrre ricchezza. La riconversione ecologica dell’economia è il futuro. L’Italia deve contribuire all’obiettivo di emissioni zero in Europa”.
Il secondo pilastro sono le infrastrutture immateriali, la Rete: “Serve un grande piano per rilanciare innovazione e sapere e superare il digital divide”.
Terzo è l’infrastruttura della conoscenza: “Investire sulla scuola e sull’istruzione pubblica come architrave di un’ampia operazione di crescita culturale”.
Quarto, infine, è il welfare e la sanità : “Non crediamo nella monetizzazione del welfare, ci batteremo per la sanità pubblica promuovendo quota 10, ossia un incremento di 10 miliardi per aumentare i livelli di assistenza e assumere 100mila nuovi operatori nella sanità pubblica italiana. La vera priorità di questa epoca è il lavoro, in tutto il Paese ma soprattutto nel Mezzogiorno”.
Cambiare tutt
Zingaretti poi spiega come dovrà cambiare il Pd: “Dobbiamo cambiare tutto, penso a un nuovo statuto da scrivere insieme. Credo in un partito aperto e pluralista, aperto al civismo e al volontariato, basta con il correntismo esasperato che ha lasciato fuori troppe persone. A noi serve un Pd forte ma anche una rete di corpi intermedi. Dobbiamo costruire un campo democratico largo più allargato e inclusivo, senza settarismi. Potranno farne parte anche forze diverse, forze civiche ma anche di orientamento liberale, persino nobilmente conservatrici che sono ugualmente lontane da Salvini”. Insiste sul movimento ambientalista di Greta Thunberg: “Spalanchiamo le porte del nostro partito a questa nuova generazione, ai ragazzi come Greta, non abbiamo paura di coinvolgerli”.
Più attenzione anche alle donne: “Abbiamo bisogno di un protagonismo delle donne, già da domani e nelle prossime settimane avvierò le procedure per ricostituire la Conferenza nazionale delle donne democratiche”. E critica la conferenza sulla famiglia in programma a Verona, a cui parteciperà anche Matteo Salvini, ricevendo una standing ovation dalla sala.
Quanto alle europee, Zingaretti conferma che la collocazione del Pd sarà nel gruppo dei socialisti e democratici, “grazie alla scelta di Matteo Renzi, che ha sciolto (quando era segretario, ndr) il nodo della nostra collocazione”.
E aggiunge: “Vi propongo la nostra prima iniziativa. Facciamo nostro e rilanciamo l’appello lanciato da Romano Prodi di fare del 21 marzo una giornata per la nuova Europa, esponendo la bandiera europea”.
Matteo Renzi, assente invece per motivi privati, manda un augurio al neosegretario su Facebook: “Oggi Nicola Zingaretti inizia il suo lavoro come Segretario Nazionale del Pd. Un abbraccio a lui e a tutta la squadra che lavorerà con lui. L’Italia si aspetta dal Pd una risposta allo sfascio di Salvini e Di Maio, non più polemiche interne. Avanti tutta! Buon lavoro, Nicola” §
I candidati delle altre mozioni
Forti le frecciate di Roberto Giachetti ai bersaniani che hanno lasciato il Pd. “Saremo una minoranza leale, non faremo guerra a questa dirigenza. Ma chiedo a Zingaretti di non cambiare lo Statuto nel punto del doppio incarico del segretario che è anche candidato premier”.
“Questo è un partito, non una ‘baracca’ – sottolinea invece Maurizio Martina – Siamo pronti a dare una mano, saremo una minoranza, non un’opposizione. Vogliamo dare il senso del riformismo radicale che abbiamo messo nella nostra mozione”. E aggiunge: “Non lascerei mai la battaglia del salario minimo a questa maggioranza di governo”, ha poi detto Martina rivolto a Zingaretti, ribadendo che “il mio avversario è questa destra, non è dentro questa sala. Il Pd se vuole essere grande deve essere plurale”.
(da agenzie)
argomento: Partito Democratico | Commenta »
Marzo 17th, 2019 Riccardo Fucile
IL GRADIMENTO DEI MINISTRI: CROLLANO TONINELLI E GRILLO, MA ANCHE STEFANI, BONISOLI E CENTINAIO
Gli ultimi mesi sono stati particolarmente travagliati per la compagine governativa. I
punti di divisione sono stati numerosissimi, occupando le aperture dei tg e le prime pagine dei giornali.
Dalle grandi opere (in particolare la Tav) all’autonomia regionale, dalla politica internazionale (Venezuela prima, Via della Seta oggi) alle famiglie, con un convegno sponsorizzato dal ministro Fontana cui parteciperà Salvini, fortemente criticato dai 5 Stelle per bocca di Di Maio e del sottosegretario Spadafora.
Per citare solo i principali. L’avvicinarsi della scadenza del voto europeo e la campagna elettorale permanente determinata dal susseguirsi delle consultazioni regionali (Abruzzo, Sardegna, Basilicata), rendono il clima arroventato.
Abbiamo quindi ritenuto utile fare un check delle percezioni dei cittadini rispetto alla coesione del governo, all’efficacia della sua azione per la crescita del Paese, alle aspettative rispetto alla sua durata e infine alla valutazione dei ministri.
La situazione economica del nostro Paese peggiora, certo in compagnia di molti partner europei, ma l’Italia come spesso accade è il fanalino di coda del continente, in recessione tecnica e con una previsione di decremento del Pil nel 2019.
In questo contesto difficile, si ritiene che il governo non stia facendo il necessario per favorire la ripresa: lo pensa infatti quasi il 60% degli italiani, mentre meno del 30% ritiene che invece si stia favorendo la crescita.
Il disagio alberga anche tra gli elettori della compagine governativa: 26% degli elettori pentastellati e addirittura 45% dei leghisti ritengono che si potrebbe fare meglio.
Per la Lega è la conferma di una potenziale difficoltà , di una critica (più rilevante al Nord e tra i ceti produttivi come ci dicono altre ricerche) che per ora non è ancora diventata un allontanamento.
Posto che la maggioranza pensa che la manovra non abbia spinte espansive, la caratterizzazione principale è sul welfare (24%) più che non sulla ripresa (4%).
D’altronde i due provvedimenti simbolo, quota 100 e reddito di cittadinanza, sono attribuiti prevalentemente all’area del sostegno sociale, più che non della reazione alla crisi.
Anche in questo caso sono principalmente gli elettori leghisti a dare questo taglio alle scelte governative, presumibilmente in relazione al disagio espresso in quest’area rispetto al reddito di cittadinanza.
Nel complesso la percezione di coesione della compagine governativa si riduce, passando dal 51% di poco più di due mesi fa, all’attuale 41%.
Oggi quindi prevale chi pensa che le divisioni siano preponderanti (49%). Naturalmente gli elettorati di riferimento fanno nettamente prevalere la percezione di coesione (lo pensa il 76% degli elettori pentastellati e il 66% degli elettori leghisti), ma anche qui con qualche mal di pancia (tra il 22% e il 29% vede prevalere infatti le divisioni).
Ma in definitiva, c’è una lieve prevalenza per l’opzione che il governo continui la sua opera.
Il 40% infatti si augura che arrivi alla scadenza naturale, del 2023, mentre il 23% preferirebbe un voto al più presto (opzione maggioritaria tra gli elettori del centrosinistra) e il 15% opta per le elezioni dopo l’avvio definitivo dei principali provvedimenti e l’approvazione della prossima finanziaria.
Da sottolineare anche in questo caso le differenze fra gli elettori delle due formazioni governative: mentre tra gli elettori 5 Stelle il 72% auspica che il governo continui per tutta la legislatura, questa percentuale scende al 57% tra gli elettori leghisti tra i quali un terzo circa vorrebbe un voto anticipato.
La scadenza naturale, al di là delle attese, è il pronostico che fa la maggioranza relativa: il 44% pensa che il governo arriverà a fine legislatura, con le stesse differenze indicate precedentemente (ci scommette meno della metà dei leghisti).
Infine, i ministri.
Al crescere della notorietà , tutti sono in calo rispetto al dato registrato subito dopo l’insediamento (con la sola eccezione del ministro degli Esteri, che cresce di un punto e della ministra della Pubblica Amministrazione che scende di uno). È un dato piuttosto usuale, quasi fisiologico.
Interessa invece sottolineare che cali molto superiori alla media interessano innanzitutto il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, al centro delle polemiche sulla Tav, che scende di ben 18 punti, e il ministro della Salute Giulia Grillo, discussa negli ultimi mesi per la «schedatura» degli scienziati, le nomine del Consiglio Superiore della Sanità , che cala del 14%.
Ma anche molti ministri leghisti (da Stefani a Bonisoli) perdono il 10%.
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: governo | Commenta »
Marzo 17th, 2019 Riccardo Fucile
IL 30% DI CHI PARTE E’ LAUREATO… CI SONO 5 MILIONI DI ITALIANI IN ALTRE NAZIONI … PERDIAMO COSI’ L’1% DEL PIL
I dati parziali sul 2018 dicono che lo scorso anno è stato da record per gli espatri degli italiani: 120 mila espatri a fronte di 47 mila rimpatri.
Le cancellazioni anagrafiche nel 2017 erano state invece 114.559 e 42.369 rimpatri.
“Si tratta del numero massimo di espatri registrato nel decennio in corso, ma anche di un vero e proprio ritorno al passato, cioè ai livelli numerici dell’inizio degli anni Settanta, quando gli espatri superavano le 100 mila unità , ma erano ampiamente compensati dai rimpatri” scrivono il Centro Studi e Ricerche Idos e l’Istituto di Studi Politici “San Pio V” nelle pagine del dossier “L’Europa dei talenti: migrazioni qualificate dentro e fuori l’Unione europea”. Una ricerca sulle migrazioni da, per e dentro l’Unione europea.
Il focus sull’Italia parla di un Paese che “Secondo l’Ocse è ascesa all’ottavo posto mondiale tra i paesi di emigrazione”.
E mentre “le principali destinazioni restano quelle tradizionali” emerge “dai tassi di crescita una certa atomizzazione verso nuove destinazioni come i paesi dell’Europa centro orientale o i paesi scandinavi”.
Gli archivi dell’Anagrafe italiani residenti all’estero (Aire) mostrano come la presenza stabile degli italiani in altre nazioni ha superato nel 2017 i 5 milioni (5.114.469).
Il motivo più ricorrente di iscrizione all’Aire è l’espatrio, che riguarda poco più della metà di tutti gli iscritti (2.656.822).
Allo stesso tempo dal “confronto con le statistiche nazionali dei primi cinque paesi di destinazione”, secondo le elaborazioni di Idos e Istituto “San Pio V” emerge “un’enorme sottovalutazione del numero degli italiani andati a stabilirsi all’estero e ciò a causa della mancata cancellazione dalle anagrafi comunali”.
Oppure della “mancata registrazione all’Aire”. Il flusso reale di espatri sarebbe soprattutto nell’ambito dell’area Schengen “di quattro volte superiore a quanto rilevato dall’Istat nel caso della Spagna, 2,5 volte nel caso della Germania e del Regno Unito”.
Tanto che “prendendo in considerazione il decennio 2008-2017 i cancellati dalle anagrafi italiane per trasferimento in Germania sono pari complessivamente a circa 115mila” mentre “i neo iscritti italiani nelle anagrafi tedesche sono quasi 400mila”.
“È perciò possibile stimare — scrivono i ricercatori — un coefficiente di rivalutazione dell’emigrazione italiana che va da un minimo di 2,5 volte a un massimo di 3 volte” e “una forbice tra 290mila e 350mila nuovi espatriati all’anno, un flusso quantitativamente analogo a quello dell’immediato dopoguerra”.
Un’attenzione particolare è rivolta agli emigranti italiani ad alti tassi di scolarizzazione o professionalità .
Si legge nella ricerca che “su quasi 1 milione e duecentomila italiani in età lavorativa (15-64 anni) che risiedono abitualmente in un altro Stato membro dell’Ue, il 30,6 per cento risulta laureato”.
Mentre “il 36,3 per cento ha conseguito un titolo di istruzione secondaria superiore e post-secondaria non terziaria” e “il 32 per cento di istruzione pre-elementare, primaria e secondaria inferiore”.
Quelli che prendono il nome di “ laureati mobili” sono 359mila, ma per gli analisti “non si può sapere quanti poi effettivamente svolgano un lavoro altamente qualificato e quanti invece soffrano di sovraqualificazione”.
Tra 2008 e 2017 almeno mezzo milione di laureati sono andati a cercare la fortuna all’estero e di questi almeno un terzo non è più rientrato in Italia.
Scrivono i ricercatori che per queste cifre “la perdita annuale da attribuire all’emigrazione dei giovani italiani under 40 sarebbe pari, secondo Confindustria, all’1 per cento del Pil” mentre “secondo l’Ocse andrebbe dilapidata una spesa pubblica pari ad oltre 140mila dollari per ogni laureato di I livello che emigra, 160mila dollari per ogni laureato di II livello, e di oltre 230mila dollari per un titolare di PhD”.
(da agenzie)
argomento: denuncia | Commenta »
Marzo 17th, 2019 Riccardo Fucile
“EPISODIO VERGOGNOSO, INTERVENGA LA FEDERAZIONE”.. L’ARBITRO INTERROMPE LA GARA PER I CORI INFAMI (“NEGRO DI MERDA”) CONTRO IL RAGAZZINO SUDAMERICANO
Insulti razzisti a un calciatore di 14 anni della categoria Giovanissmi provinciali durante
una partita di calcio a Cairo Montenotte, in provincia di Savona.
L’arbitro della gara, una donna, ha sospeso la partita due volte perchè un gruppo di ragazzini dalle tribune, coetanei dei giocatori in campo, gridava “nero di m…” al portiere di origini sudamericane della squadra del Priamar di Savona.
“Mio figlio è ferito e amareggiato, è un episodio vergognoso che non merita altri commenti se non un intervento deciso della Federazione, non si possono accettare certi episodi”, ha denunciato la madre.
Per l’episodio sono arrivate le scuse della Cairese, la squadra di Cairo Montenotte: “Condanniamo il gesto – ha spiegato il direttore generale al Secolo XIX – Nessuno deve permettersi di discriminare un’altra persona, ragazzo o adulto, per il colore della pelle. I nostri dirigenti sono subito intervenuti. La Cairese ha fatto dell’accoglienza una delle sue priorità “.
Sull’episodio è intervenuto anche Gianfranco Pusceddu che porta avanti il progetto “Alfabeto a colori nello sport” con Il Faggio . “Il calcio è integrazione. Conosco bene Laoretti ed è una persona che sa insegnare sport e rispetto ai suoi ragazzi”.
I dirigenti della Cairese sono intervneuti sull’episodio con un post di solidarietà su Facebook: “L’ASD Cairese vuole ancora una volta condannare l’atteggiamento tenuto sugli spalti da questi pseudo tifosi, esprimendo la più grande vicinanza al portiere del Priamar. Nel calcio così come nella vita, non esistono differenze di colore della pelle, etnie, religione ecc, solo un pallone, due squadre, voglia di divertirsi e di vincere. Uniti tutti insieme, solo così possiamo porre fine a questa dilagante piaga del razzismo! #NoToRacism”
(da Globalist)
argomento: Razzismo | Commenta »
Marzo 17th, 2019 Riccardo Fucile
NAILA HASSAN ALLA VEGLIA PER LE VITTIME DELL’ATTACCO TERRORISTICO: “SIAMO CON VOI E FAREMO TUTTO IL POSSIBILE”
Un paese che non ha mai avuto grandi problemi di convivenza. E ha scelto un simbolo dell’integrazione per lanciare un messaggio a tutti i neozelandesi: lei si chiama Naila Hassan ed è l’ufficiale di polizia musulmano più anziano della Nuova Zelanda
Naila è scoppiata in lacrime mentre si rivolgeva a una veglia per le vittime dell’attacco terroristico di Christchurch
Molto emozionata Naila ha detto “Sono un orgogliosa musulmana e sono un capo della polizia della Nuova Zelanda e provo orrore per gli eventi di Christchurch”.
“So che questo è un momento molto, molto doloroso per la nostra comunità musulmana in particolare, ma per tutti nelle nostre comunità “, ha detto
“Vogliamo rassicurare tutti, dicendo che stiamo facendo tutto il possibile per garantire che le vittime di questo attacco devastante vengano trattate con il massimo rispetto.
“Voglio che la nostra comunità musulmana in particolare sappia, e che la gente di Christchurch sappia, che noi stiamo con voi e condividiamo tutti il ​​vostro dolore”.
“Noi, la polizia della Nuova Zelanda, faremo tutto il possibile per sostenere la nostra comunità e in particolare le nostre comunità musulmane”, ha affermato
Ha concluso dicendo “inshallah”, l’espressione in arabo che significa “Dio vuole”.
(da Globalist)
argomento: Attentato | Commenta »
Marzo 17th, 2019 Riccardo Fucile
I VIAGGI DI TARRANT NON SOLO IN CROAZIA E BOSNIA, MA ANCHE IN TURCHIA, BULGARIA, SERBIA, UNGHERIA E ROMANIA
Una strage che fa venire in mente qualcosa di molto saggio: troppa libertà nel
commercio di armi è pericolosa. Soprattutto di un certo tipo di armi particolarmente letali.
Qualcuno sentendo parlare di sicurezza può approvare. Ma tanti dimenticano che più armi in circolazione fanno di noi non solo potenziali persone difese ma soprattutto potenziali vittim
Così dopo la strage di Christchurch si corre ai ripari: «Posso dirvi una cosa: la nostra legge sulle armi cambierà ». All’indomani della peggiore strage nella storia recente della Nuova Zelanda, la premier Jacinda Ardern ha promesso che subirà delle modifiche la permissiva legge sulle armi in vigore nel Paese affacciato sul Pacifico.
Prima di raggiungere Christchurch, Ardern ha detto che dell’arsenale trovato in possesso del 28enne australiano Brenton Tarrant facevano parte anche «due armi semi-automatiche e due fucili».
Il capo del governo di Wellington ha anche aggiunto che l’autore della strage aveva ottenuto nel novembre 2017 un regolare porto d’armi, mentre dal mese successivo aveva iniziato a mettere insieme l’arsenale usato per il massacro
In Nuova Zelanda circolano circa 1 milione e 200 mila armi: una ogni tre abitanti. «L’amara ironia è che il presunto autore di quanto avvenuto a Christchurch non avrebbe potuto acquistare quelle armi nel suo Paese d’origine, l’Australia», diceva al New Zealand Herald Chris Cahill, presidente dell’associazione della polizia neozelandese.
Dopo una sparatoria di massa nel 1996, l’Australia ha infatti imposto limiti sulla vendita e sul possesso di armi da fuoco, compreso l’obbligo di presentare «un motivo giustificabile» per le richieste di porto d’armi.
I viaggi del terrorista e la rete internazionale
La radicalizzazione del terrorista e forse i legami con altri gruppo neo-nazisti si potrebbe essere cementificata a partire dal 2016.
Oltre ad un viaggio in Turchia Tarrant è stato segnalato alla fine del 2016 e all’inizio del 2017 in Croazia e in Bosnia-Erzegovina . Gli inquirenti stanno analizzando i motivi della permanenza. Tarrant si sarebbe fermato in Croazia per circa due settimane e avrebbe visitato Zagabria e varie città della costa adriatica, inclusa Dubrovnik.
ll procuratore generale bulgaro Sotir Tsatsarov ha reso noto che Tarrant aveva visitato vari Paesi balcanici fra il 2016 e il 2018, fermandosi in varie località storiche legate in particolare alle battaglie tra cristiani e ottomani.
Non solo: oltre alla Bulgaria il terrorista era anche andato in Ungheria e Romania.
Ci sono poi altri elementi: la conoscenza di eventi italiani fanno pensare anche al continuo contatto wia web tra gruppi di suprematisti bianchi e nazisti e razzisti nel mondo.
Un reticolo di informazioni e propaganda con uno schema non differente dall’Isis.
Le autorità di Sofia hanno annunciato l’apertura di un’inchiesta sul soggiorno del giovane stragista fra il 9 e 15 novembre dello scorso anno, quando aveva già deciso di colpire. Tarrant è arrivato a Sofia con un volo da Dubai e poi ha visitato via terra diverse località , dove si sono svolte epiche battaglie contro l’impero ottomano.
Una di queste è Plovdiv dove fu impiccato dai turchi l’eroe nazionale Vassil Levski. Nel 1999 dalla stessa città era partita la Legione Levski per dare man forte ai serbi bombardati dalla Nato
L’organizzatore, Ivan Dionisiev, era sodale di Radovan Karadzic. Il criminale di guerra in galera a L’Aja, un mito per Tarrant, che si è messo la canzone dedicata al serbo in macchina prima della mattanza. Non solo: nella zona confinante con la Turchia il nome di Levski e della battaglia contro gli ottomani del passo di Shipka, visitato da Tarrant, è stato usato da gruppi ultra nazionalisti anti migranti.
Formazioni che hanno contatti anche con l’estrema destra italiana. Su uno dei fucili mitragliatori della strage c’era la scritta bianca «Shipka pass» e altre simili in cirillico su un caricatore.
In Nuova Zelanda sono attivi gruppi xenofobi e legati alla destra identitaria: una costale locale del National Front britannico, ma anche il Dominion Movement che si ripromette di «rivitalizzare la cultura e l’identità degli europei» nel Paese. Sebbene le autorità stimino in poche centinaia i militanti di estrema destra e l’intelligence non li ritenga una grave minaccia, le cronache raccontano di suprematisti infiltrati nell’Università di Auckland e di episodi di violenza, compresi tafferugli davanti al Parlamento.
(da Globalist)
argomento: Razzismo | Commenta »
Marzo 17th, 2019 Riccardo Fucile
IL CANDIDATO APPOGGIATO DAL GOVERNO SI FERMA AL 18,7% CONTRO IL 40,5% DELLA ESPONENTE LIBERALE EUROPEISTA… A NOVEMBRE TOCCHERA’ ALLA POLONIA FARE PULIZIA
Netta sconfitta per i sovranisti, gli euroscettici, i politici anti-migranti e l’estrema destra per la prima volta da anni in un paese del gruppo di Visegrad.
L’avvocatessa divorziata 45enne Zuzana Caputova, leader di “Slovacchia progressiva“ – il movimento liberal anti-corruzione, anti-autocrazia ed europeista nato dalle proteste della società civile dopo l’assassinio del giornalista investigativo Jan Kuciak e della sua compagna — ha vinto di larga misura il primo turno delle elezioni presidenziali slovacche a suffragio universale, svoltesi ieri.
Secondo i dati praticamente completi diffusi tra tarda nottata e primo mattino nella capitale Bratislava, Zuzana Caputova è di gran lunga prima col 40,5 per cento dei consensi espressi.
Secondo, ma ben piຠdebole, il candidato tradizionalista appoggiato dal partito di governo, il giudice Maros Sefcovic, col 18,7 per cento.
Ancora piຠdeboli i candidati che avevano espresso posizioni estreme e diffamato Caputova come “estremista di sinistra troppo liberale e favorevole a migranti e gay“, cioè Stefan Harabin col 14,15 per cento e il leader dell’ultradestra dichiaratamente nostalgica Marian Kotleba, con appena il 10,5 per cento.
Zuzana Caputova appare dunque — secondo tutti gli osservatori — vincitrice annunciata al ballotaggio che — dato che nessun candidato ha ottenuto al primo turno di ieri il 52 per cento richiesto dalla Costituzione — si terrà il 30 marzo e opporrà solo i primi due piazzati al voto di questo sabato.
Nei sondaggi relativi al secondo turno, Caputova è accreditata del 64,4 per cento die consensi contro il 35,6 attribuito a Sefcovic.
Avvocatessa, 45 anni, bionda ed elegante, madre divorziata di due figli, Zuzana Caputova è chiamata “la Erin Brockovich slovacca“, allusione al film con Julia Roberts sull’attivitista per i diritti della gente.
Zuzana è da anni un’attiva militante per l’ambiente e la salvezza del clima, e aveva cominciato a divenire popolare per la sua vittoriosa battaglia a fianco della società civile per impedire la costruzione di una discarica illegale. Aveva anche ottenuto il premio mondiale per l’ambiente definito “Il Nobel verde”.
Poi i suoi consensi sono cresciuti con le battaglie della gente — soprattutto i giovani die centri urbani del piccolo, iperindustrializzato paese di circa 5 milioni di abitanti membro di Unione europea, eurozona e alleanza atlantica e che vanta una delle piຠsolide crescite economiche della Ue — per avere giustizia nel caso di Jan Kuciak, il giornalista investigativo del giornale onlike Aktuality.sk assassinato un anno fa da killer perchè denunciava attività economiche illegali e corruzione, in collusione coi politici governativi, del miliardario Marian Kocner.
Il movimento aveva ottenuto sulle prime le dimissioni del leader dello Smer (socialisti nazionalisti, maggioranza relativa) Robert Fico, da anni premier, e la sua sostituzione con Robert Pellegrini. Poi pochi giorni fa la magistratura ha incriminato Marian Kocner come mandante dell’assassinio di Jan Kuciak e della sua fidanzata.
“Vogliamo che trionfino la giustizia, la lotta alla corruzione, lo Stato di diritto, come chiedono i cittadini coraggiosi che sono scesi tante volte in piazza, io mi batto per loro e per una maggiore partecipazione della Slovacchia all’integrazione europea“, ci aveva detto Zuzana Caputova nell’intervista esclusiva concessa a Repubblica poco prima del voto.
E le sue speranze non sono andate deluse. La 45enne eroina della società civile, sfidando i conservatori, chiede anche libertà di matrimonio e piena parità di diritti per i cittadini gay o in generale LGBT.
Il primo a esprimerle le sue congratulazioni è stato il capo dello Stato uscente Andrej Kiska, che nonostante la sua popolarità di leader corretto e onesto aveva deciso di non ripresentarsi e in campagna elettorale aveva appoggiato Zuzana Caputova.
“È un bel risultato, è un forte segnale di volontà di cambiamento democratico e di rafforzamento dello Stato di diritto nel nostro paese“, ha scritto Kiska su Twitter.
La vittoria di Zuzana Caputova può essere un segnale d’inversione di tendenza nei paesi centro-orientali della Ue in vista delle elezioni europee di maggio e delle elezioni politiche di ottobre nel piຠgrande di quei paesi, la Polonia.
Dove per la prima volta nei sondaggi la coalizione europeista ispirata dall’ex premier liberal e ora presidente dell’esecutivo europeo, Donald Tusk, ha superato i sovranisti di Jaroslaw Kaczynski (PiS) al potere nei sondaggi.
Il PiS tenta il contrattacco con un’aggressiva campagna contro i gay, dipinti come nuovi nemici della nazione come migranti, sinistre, europeisti e implicitamente ebrei.
(da agenzie)
argomento: elezioni | Commenta »