Ottobre 8th, 2019 Riccardo Fucile
LA LEGA PRESENTA VOLPI, UN PASSATO NELLA DC E CREATORE DELLE LISTE “NOI PER SALVINI” AL SUD (CON SCELTE MOLTO DISCUTIBILI)
“Il marito è sempre l’ultimo ha sapere di esser stato tradito”, ridacchia Raffaele Volpi andandosi a
fumare una sigaretta nel cortile della Camera. A pochi metri da lui, in Transatlantico, schizza Giorgia Meloni. Va al Senato, dove si chiude un’ora con Matteo Salvini, al telefono Silvio Berlusconi. Non tradiscono “il marito”.
Esce il comunicato: “Intesa raggiunta, il candidato al Copasir è Volpi”. È frutto di una trattativa estenuante.
Qualche ora prima Maria Stella Gelmini, Riccardo Molinari hanno fatto il punto in Transatlantico. La quadra non si trova, non c’è in ballo solo quella poltrona. Molinari schizza via: “Non parlo, l’interlocutore è Salvini”. La palla passa ai leader.
Meloni riunisce i suoi, ottiene il via libera dal suo candidato Adolfo Urso. E va al tavolo di Salvini sparando alto: la contropartita sarebbe la candidatura alla presidenza dell’Emilia Romagna. Il giro di tavolo dei tre capi non chiude la questione, se ne riparlerà .
Una fonte spiega a Huffpost: “Forse l’Emilia no, ma nelle Marche e in Puglia possiamo esprimere un nostro candidato”.
Puntare alto per ottenere il voluto, una tattica sempreverde messa in piedi da chi ormai, sondaggi alla mano, si sente seconda forza del centrodestra
Esce così il nome di Volpi, un nome di complessa lettura. Da un lato la Lega ottiene il grimaldello per poter tentare di scardinare il portone delle sicurezze di Giuseppe Conte. “Ormai tra Matteo e il presidente c’è più della politica, è un fatto quasi personale”, commenta un dirigente leghista riferendosi a Salvini.
Ma dall’altro manda avanti il suo uomo più “democristiano”. È complessa è ricca infatti la biografia di Volpi, chiamato proprio “il democristiano” da alcuni suoi colleghi per una giovanile formazione politica proprio nelle fila della Balena bianca.
Da allora di acqua ne è passata sotto i ponti, e il deputato di Pavia è negli anni diventato un leghista doc. In Parlamento ormai da dieci anni, prima a Montecitorio, poi a Palazzo Madama e oggi di nuovo deputato, prima di arrivare a sedersi al ministero della Difesa è stato tra i tessitori di Noi con Salvini.
Una sigla che sembra ormai consegnata alla preistoria della politica, ma dietro la quale si celano le fondamenta del radicamento al sud di Salvini. È stato Volpi, riservato e insieme affabile, paziente tessitore di rapporti umani, a porre le basi per la Lega partito nazionale.
Doti da mandarino della diplomazia unanimemente riconosciuti nel Carroccio, che lo ha spedito a tanti dei tavoli sulle nomine, anche quelle più pesanti ai tempi gialloverdi, sempre insieme a Giancarlo Giorgetti, sempre mezzo passo indietro.
Così come è noto il rapporto di simpatia che si è cementato al ministero con il 5 stelle Angelo Tofalo. Che casualmente (o no?) è stato studente proprio di quella Link Campus University in cui insegnava Joseph Mifsud, il professore maltese — irreperibile da due anni – considerato la miccia del Russiagate e al quale gli uomini di Donald Trump danno la caccia considerandolo un agente provocatore.
La poltrona del Comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica è dunque una poltrona calda. Perchè il primo compito del nuovo presidente sarà quello di chiamare Giuseppe Conte a spiegare che tipo di rapporti e a che livello siano ruotati intorno alla visita del ministro della Giustizia americano William Barr, per due volte in incognito nel Belpaese per condurre una contro inchiesta sul Russiagate che potrebbe coinvolgere i nostri servizi segreti, e quali tipo di autorizzazioni a livello politico siano state concesse, e con quale legittimità .
Una fonte parlamentare di altissimo livello spiega: “Il problema per Palazzo Chigi è che le interlocuzioni sarebbero avvenute tra il capo del Dis e quello della Cia, sottintendendo un contatto politico se non diretto quanto meno mediato, ma di altissimo livello”.
Contatti dei quali, se verranno accertati, l’organo di controllo parlamentare è stato del tutto tenuto all’oscuro. Come d’altronde lo è stato su entrambe le visite dell’Attorney general in Italia.
Giuseppe Conte continua a tacere, nervoso.
La sonnecchiosa presidenza del Copasir si infiamma. Il Pd ha per tutto il giorno provato a evitare che spettasse a un leghista. Ma le opzioni Elio Vito (Forza Italia) e Adolfo Urso (Fratelli d’Italia) di partenza erano più deboli, avendo i primi la presidenza del Senato e quella della commissione di Vigilanza Rai, i secondi la vicepresidenza della Camera e quella della giunta per le Elezioni.
Nel Palazzo volano i veleni. A metà mattina qualcuno accredita che lo stesso Luigi Di Maio non si sarebbe opposto a una presidenza leghista, per tenere un pungolo sul fianco di Conte, con il quale i rapporti sarebbero ancora non semplici.
Voci subito smentite, ma che permangono in un Palazzo in cui si respira aria mefitica. Il governo è partito da un mese, ma il sobbollimento dei 5 stelle, la difficoltà del Pd, il tatticismo di Renzi stanno già scavando la roccia.
Così ecco che l’annuncio del passaggio di ex pentastellato da tempo nel gruppo Misto a Fratelli d’Italia basta per far scattare una rissa in pieno Transatlantico tra il grillino Donno e il meloniano Fracassini. Gli schiaffoni in Transatlantico non si erano mai viste, almeno negli ultimi anni. Ma alle cose mai viste ci si sta iniziando ad abituare.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 8th, 2019 Riccardo Fucile
E’ L’OPINIONE DEL 51% DEGLI ADULTI, ADDIRITTURA DEL 64% DEI GIOVANI… SEGUONO LE DISEGUAGLIANZE SOCIALI (37%), LA CRISI ECONOMICA (29%, ULTIMO POSTO L’IMMIGRAZIONE (28%)… GRETA LEADER DEL FUTURO PER IL 57% DEGLI ADULTI E IL 77% DEI GIOVANI
Secondo un sondaggio di Swg diffuso oggi 8 ottobre fra le «situazioni o le realtà » che preoccupano maggiormente gli italiani al 51% c’è il cambiamento climatico. Il dato arriva al 65% tra il campione della cosiddetta generazione Z.
A seguire, in questa speciale classifica, l’aumento delle diseguaglianze sociali (37%), la stagnazione economica (29%) e i grandi flussi migratori (28%).
Chi dovrebbe impegnarsi di più per combattere il cambiamento climatico? Secondo l’Istituto di ricerca, partiti politici e imprese italiane sono gli attori che dovrebbero concorrere a trovare una soluzione al problema. Le percentuali sono quasi plebiscitarie: rispettivamente 89 e 90% degli interpellati.
In merito al sostegno nei confronti dell’attivista ambientalista Greta Thunberg, Swg rileva un livello di simpatia (molto/ abbastanza simpatica) del 49% dei consultati: fra i giovani della generazione Z, anche in questo caso, la tendenza “verde” si fa sentire e la percentuale sale al 60%.
Il 40% del campione considera invece Greta poco/per niente simpatica.
Greta Thumberg sarà un leader del futuro? Solo un 17% ne è molto convinto. Ma la percentuale di quelli che ne sono abbastanza convinti sale al 40%.
Ancora una volta, il giudizio positivo, che nel campione generale sondato arriva al 57%, all’interno della generazione Z sale al 77%.
Parere negativo per il 34% (per niente convinto il 15%, poco il 19%).
(da Open)
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Ottobre 8th, 2019 Riccardo Fucile
DOPO FRANCIA, GERMANIA E FINLANDIA ADERISCONO ANCHE PORTOGALLO, LUSSEMBURGO E IRLANDA… SPAGNA, CIPRO E GRECIA VORREBBERO ESSERE COINVOLTE ANCHE LORO… ROMANIA E BULGARIA FAVOREVOLI MA VORREBBERO IN CAMBIO L’ENTRATA IN SCHENGEN
A Lussemburgo va avanti la trattativa per stabilire un meccanismo temporaneo di redistribuzione per
le persone salvate dalle navi delle ong nel Mediterraneo centrale, dopo l’intesa raggiunta a La Valletta tra Italia, Francia, Germania e Malta.
La Finlandia si è già detta disponibile, altra importante apertura dalla Spagna.
Sulle adesioni dei Paesi all’accordo di Malta oggi “non do numeri”. Resta cauta la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, al termine del suo primo Consiglio degli Affari interni dell’Ue a Lussemburgo, che aveva al centro la trattativa per stabilire un meccanismo temporaneo di redistribuzione per i migranti salvati dalle navi delle ong nel Mediterraneo centrale.
In pratica, estendere ad altri Paesi l’intesa già firmata a La Valletta da Italia, Germania, Francia, e Malta che prevede ricollocamenti entro quattro settimane, valutazione delle richieste d’asilo a carico dei Paesi che accolgono e la possibilità che il porto sicuro sia a rotazione.
La ministra francese dell’Ue, Amèlie de Montchalin, ha annunciato che “siamo stati in grado di allargare il cerchio dei Paesi a sostegno” di questo meccanismo “di ricollocamento rapido nel caso dell’arrivo di nuove navi. Ci sono circa dieci Paesi pronti a prendere parte e forse anche altri dopo i dettagli che abbiamo fornito”. Lamorgese evidenzia: “Dobbiamo operare perchè l’accordo abbia una valenza anche per gli altri Paesi. Speriamo di chiudere tra novembre e dicembre“, ha detto la ministra dell’Interno.
Ricordando poi che l’accordo di Malta comunque è “già operativo” e “le condivisioni le facciamo già , con Paesi che danno la loro disponibilità . Quindi l’attuazione c’è già , anche se non c’è niente di scritto. Ora a noi interessa che sia allargato il più possibile”, ha concluso.
La questione tuttavia si intreccia e si complica con la nuova emergenza sulla rotta del Mediterraneo orientale, con la Turchia che chiede un miliardo di euro per il 2020, per continuare a tenere fede all’accordo stipulato con i Paesi dell’Ue nel 2016.
Un tema portato all’attenzione da Grecia, Cipro e Bulgaria, che in un documento allertano su “aumenti persistenti” degli arrivi di migranti. “La Grecia ha posto il problema degli arrivi, pur apprezzando la nostra iniziativa. Hanno parlato di un aumento nel flusso dalla Turchia ed erano preoccupati“, ha spiegato la ministra Lamorgese.
Resta ottimista invece il collega tedesco Horst Seehofer, secondo il quale c’è “una buona possibilità che” l’intesa di Malta “possa essere un progetto pilota per una politica comune di asilo”
Secondo alcune indiscrezioni, invece, altri paesi starebbero sfruttando la carta dell’adesione per ottenere vantaggi o elementi in gran parte slegati: è il caso di Romania e Bulgaria, che potrebbero spingere per ottenere in cambio l’ingresso nello spazio Schengen.
Non si sbilanciano per ragioni di politica interna Austria e Belgio (impelagati alla ricerca di nuovi esecutivi nelle loro piene funzioni), ma i Paesi Bassi alla fine dovrebbero aderire
(da agenzie)
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Ottobre 8th, 2019 Riccardo Fucile
ALLA CAMERA 201-205 SEGGI SU 400, AL SENATO 9 SEGGI DI VANTAGGIO
Dopo il taglio dei parlamentari, se si andasse oggi al voto con il Rosatellum la coalizione M5s-Pd potrebbe avere la maggioranza dei seggi.
Lo sostiene una simulazione elettorale pubblicata da YouTrend.
Per la precisione, alla Camera i giallo-rossi potrebbero contare su 199 seggi su 392. Basterebbe che ottenessero 2 degli 8 seggi riservati alla circoscrizione Estero per raggiungere la maggioranza assoluta.
Le forze dell’attuale maggioranza potrebbero vincere in 78 collegi su 147, con una significativa differenza territoriale: vincerebbero infatti circa l’85% dei collegi delle regioni del Sud e delle Isole. Da Roma in su, invece, PD-M5S e alleati risulterebbero vincenti essenzialmente nei collegi dell’ex Zona Rossa e nelle grandi città
Si giungerebbe a un sostanziale pareggio nel proporzionale: alla fine, prima dei seggi attribuiti all’estero, la maggioranza di Zingaretti-Di Maio-Renzi avrebbe 9 seggi di vantaggio sulla coalizione Salvini-Meloni-Berlusconi.
(da Open)
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Ottobre 8th, 2019 Riccardo Fucile
LA RIMODULAZIONE DEGLI 80 EURO DI RENZI MA SENZA DANNEGGIARE I SINGLE
Un assegno unico per le famiglie con figli minori. La riforma in cantiere del governo Conte Bis
promette 240 euro al mese per ogni figlio minore con una rimodulazione degli 80 euro di Renzi che però non toccherà la platea dei percettori.
Secondo il piano famiglia chi riceve gli ottanta euro e non ha figli continuerà a riceverli, mentre chi li ha riceverà l’assegno unico di 240 euro per ogni figlio minore che assorbe gli 80 euro. L’ipotesi è di far partire tutto nel 2020, ovvero a gennaio se possibile o a luglio. Spiega oggi Repubblica:
Il piano del governo giallo-rosso, accelerato nelle ultime ore, corre su due binari. §
Uno normativo affidato a una legge delega — la Delrio-Lepri, dai primi firmatari pd — già in discussione in commissione Welfare della Camera e attesa il 28 ottobre in Aula.
E uno finanziario, con il riparto delle risorse da inserire nella manovra di bilancio. È questo il punto più delicato.
Il piano da 30 miliardi necessita di 10 miliardi di coperture extra. Il resto viene recuperato eliminando assegni familiari (6 miliardi) e detrazioni (12 miliardi). Oltre a bonus vari: premio alla nascita, bonus bebè, bonus rette asilo nido, fondo di sostegno alla natalità (2). Dieci miliardi non si trovano in un giorno.
E neanche in 15, come il tempo che ci separa dall’invio della legge di Bilancio alle Camere.
Ecco allora l’ipotesi.
Rimodulare tre importanti centri di spesa: gli 80 euro, il reddito di cittadinanza e quota 100. Il bonus Renzi non verrebbe cancellato, come ha precisato anche Gualtieri. Resterebbe agli esclusi dall’assegno unico: chi è senza figli o non ha figli minori (per il primo anno) o non ha figli a carico (il secondo anno l’assegno unico verrebbe esteso anche agli under 26 che vivono ancora in famiglia).
Gli 80 euro erogati alle famiglie con figli minori verrebbero invece riassorbiti nell’assegno unico da 240 euro al mese per ogni figlio.
Così facendo, si recuperano 3,2 miliardi, visto che i due terzi di chi prende oggi il bonus Renzi non ha figli minori, secondo i calcoli di Massimo Baldini, docente di Scienza delle finanze all’Università di Modena.
Poi ci sono i risparmi da reddito di cittadinanza e quota 100. Il beneficio andrebbe anche gli esclusi dagli 80 euro: disoccupati, lavoratori atipici, partite Iva, incapienti (sotto gli 8 mila euro), ceto medio. Ci sarebbe un tetto di reddito da 100 mila euro lordi. Non reddito familiare, però.
(da “NextQuotidiano“)
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Ottobre 8th, 2019 Riccardo Fucile
350 MILIONI PER L’ULTIMA RATA DEL PRESTITO PONTE, 550 MILIONI PER FINANZIARE LA CASSA INTEGRAZIONE
Per Alitalia servono altri 900 milioni. In attesa della definizione dell’alleanza e con la scadenza del 15 ottobre ancora sul tavolo, la compagnia di bandiera necessita di altri soldi: oltre ai 350 milioni dell’ultima rata del prestito ponte, servono 550 milioni per finanziare la cassa integrazione.
Il tutto mentre la querelle con Atlantia non sembra trovare una soluzione a breve. Spiega oggi MF:
Solo una norma ad hoc potrebbe evitare alle casse pubbliche l’esborso di altri 350 milioni di euro sotto forma di prestito ponte per tenere in volo l’Alitalia. Si tratterebbe, cioè, di abbuonare alla compagnia il versamento dell’ultima tranche di interessi sui precedenti prestiti di 900 milioni di euro, che al momento l’amministrazione straordinaria potrebbe onorare solo svuotando la cassa residua. La situazione critica autorizza lo studio di ogni ipotesi alternativa, tanto più che il Mef dovrebbe utilizzare gli interessi dovuti da Alitalia per convertirli in una partecipazione del 15% nella newco Atlantia-Fs-Delta.
Ma se tutto restasse come è oggi, non ci sarebbe altra soluzione se non quella di garantire la continuità aziendale rimettendo mano ai soldi pubblici, per gestire la fase transitoria in attesa che si completi il passaggio a una nuova proprietà . All’eventuale terzo prestito si aggiungerebbero gli oneri per fronteggiare gli ammortizzatori sociali, ovvero la cassa integrazione per circa 2mila dipendenti, Fonti sindacali li stimano in altri 550 milioni di euro, che porterebbero così a 900 milioni di euro l’intervento a carico dello Stato.
Intanto, spiega il Messaggero, le divergenze tra Atlantia e FS bloccano la definizione dell’accordo:
Dopo questo confronto-scontro sarà ora necessario individuare una linea mediana che consenta di appianare il rapporto fra i due soci, dopo che la call convocata per ieri pomeriggio è stata cancellata. Si sono però interfacciati i legali che si risentiranno presto per promuovere una ricucitura. Che probabilmente avverrà dopo l’incontro Atlantia-Conte. Intanto Patuanelli ha convocato oggi all’ora di pranzo i commissari Enrico Laghi, Daniele Discepolo, Stefano Paleari: si farà il punto a ridosso dell’ora X e probabilmente il ministro chiederà ai commissari quali risparmi sono possibili per non intaccare più che tanto la cassa ed evitare che, dalla firma al closing, sia necessario un altro prestito-ponte.
(da agenzie)
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Ottobre 8th, 2019 Riccardo Fucile
SI SONO VERIFICATI “FENOMENI DISTORSIVI” A CUI OCCORRE PORRE RIMEDIO
«Vogliono togliere la flat tax al 15%, sarebbe demenziale complicare la vita a chi va a lavorare anche
con 40 di febbre, perchè lo stato non gli dà una lira», così Matteo Salvini, parlando questa mattina a Terni annunciava la battaglia sulla manovra economica «andiamo a Roma e facciamo battaglia sulla manovra economica».
Di cosa sta parlando il capo della Lega? Di certo non della Flat Tax al 15% che ha promesso in lungo in largo per mesi.
Perchè quella flat tax non si è mai fatta. Non si è mai capito nemmeno quanto costasse nè dove fossero le coperture. Ma questo per un motivo ben preciso: non c’erano. Ad un certo punto quella che doveva essere una tassa piatta con aliquota fissa al 15% è stata presentata con più aliquote. Insomma, per mesi Salvini ha parlato di flat tax, mostrato cartelli ai comizi e ripetuto nei talk show che lui la flat tax l’avrebbe fatta eccome, salvo poi defilarsi alla prima occasione utile.
La flat tax come la intendeva Salvini non è mai esistita. E per questo motivo non si può togliere o fermare.
Il nuovo governo non la farà per un altra ragione: costa troppo. E se la Lega ha un’idea di come poterla realizzare senza far saltare i conti pubblici ci si chiede come mai ha aspettato di uscire dalla maggioranza per poterne parlare.
C’è il forte dubbio che i leghisti abbiano preso in giro tutti gli elettori: quelli che credevano che gli sbarchi si sarebbero azzerati con i porti chiusi e quelli che speravano che Salvini avrebbe abbassato le tasse ai più ricchi.
Appurato che Salvini non sta parlando della sua flat tax di cosa sta parlando? Forse, ma non è detto, del progetto dell’attuale esecutivo di rivedere quella per le partite Iva. Rivedere non significa togliere infatti a quanto pare lo scaglione fiscale tra 30 mila e 65 mila dovrebbe rimanere con l’aliquota al 15% per il regime forfettario come deciso nella scorsa legislatura.
A venire ritoccata dovrebbe essere invece lo scaglione dai 65 mila ai 100 mila euro che con la legge di bilancio varata dal governo Lega-M5S avrebbe dovuto godere di un forfettario al 20% a partire dal prossimo anno.
Proposta che oltre a non avere la copertura necessaria non ha ancora ottenuto il via libera di Bruxelles.
Anche in questo caso dal momento che non è al 15% e non è ancora in vigore non si può certo dire che il nuovo governo vuole togliere la flat tax.
Ma si sa che a Salvini piace molto semplificare. Secondo il governo lo stop all’estensione del regime agevolato servirà per mettere dei paletti in modo da frenare quei fenomeni distorsivi di cui parlava su Econopoly il professor Dario Stevanato qualche settimana fa. Secondo il docente di diritto tributario dell’Università di Trieste infatti «il regime forfettario, per come delineato dalle modifiche di fine 2018, presenta plurime distorsioni» come ad esempio la «distorsione concorrenziale provocata dal mancato assoggettamento ad Iva».
Ma anche la penalizzazione che il libero professionista subisce quando esce dalla soglia del regime forfettario a causa di un superamento dei ricavi che per Stevanato costituirebbe un «fortissimo incentivo a restare al di sotto della soglia, rinunciando a un certo punto ad acquisire nuove commesse o incarichi, o prestandoli “in nero”».
Di fatto quello che era il regime dei “minimi” ha finito così per coinvolgere una grande platea di professionisti che di “minimo” hanno ben poco. In quest’ottica una revisione del sistema in nome dell’equità è più che mai necessaria. Ma forse ai leghisti il concetto di equità dell’imposizione fiscale interessa poco.
(da “NextQuotidiano“)
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Ottobre 8th, 2019 Riccardo Fucile
L’EX PRESIDENTE DELLA CONSULTA: “NON E VERO CHE I BOSS USCIRANNO TUTTI DAL CARCERE”
“Non è vero che ci ritroveremo con i boss fuori dal carcere”. Giovanni Maria Flick, costituzionalista e presidente emerito della Corte costituzionale, tiene a metterlo subito in chiaro: la dichiarazione di inammissibilità del ricorso dell’Italia alla Grand Chambre della Cedu non renderà più semplice l’uscita dal carcere degli ergastolani che hanno commesso reati di mafia o di terrorismo.
Piuttosto, con la decisione emessa il 13 giugno sull’ergastolo ostativo, che a questo punto diventa definitiva, la Corte ha dichiarato “non compatibile con la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo quella norma (inserita nell’articolo 4 bis della legge sull’ordinamento penitenziario, ndr) che stabiliva un automatismo secondo il quale gli ergastolani che non collaborano con la giustizia non possano chiedere al giudice di sorveglianza misure alternative alla detenzione”, spiega il professore ad HuffPost.
La decisione di oggi ha suscitato molte polemiche in Italia. Ma cosa ha stabilito, esattamente, la Corte europea dei diritti dell’uomo?
“La Corte chiede che si elimini l’automatismo secondo cui il giudice di sorveglianza non può valutare in concreto se dopo un lungo periodo di detenzione la persona, già condannata all’ergastolo, possa rientrare in qualche modo nell’ambito della società perchè si è ravveduta, ha iniziato un percorso di rieducazione. La norma sull’ergastolo ostativo viene, insomma, dichiarata contraria alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. La possibilità di chiedere permessi premio o misure alternative alla detenzione in passato in Italia era garantita per tutte le ipotesi di ergastolo. Dopo le stragi mafiose dei primi anni 90, però, è stata posta una condizione di tassativo divieto quando la persona condannata al carcere a vita non collabori con la giustizia. E proprio questa riduzione del potere di valutazione del giudice sulla condotta del detenuto è stata dichiarata contraria alle norme della Cedu.
L’articolo posto al vaglio della Corte non riguarda, però, solo l’associazione a delinquere di stampo mafioso. Quali altre fattispecie sono comprese?
Inizialmente l’ergastolo ostativo era stato introdotto solo per i reati di mafia, nell’ambito di un’eccezionale legislazione di emergenza che ha rappresentato una grossa deroga ai principi fondamentali dell’ordinamento penale. La disposizione rimasta in vigore perchè la criminalità organizzata ha continuato ad affliggere questo Paese. Poi, però, sono state inserite in quell’articolo altre fattispecie: prima i reati relativi al terrorismo e poi, in maniera irragionevole, una serie di altri delitti. Si pensi a quelli inseriti nel decreto Spazzacorrotti – che in questo caso era più una legge Spazzadiritti. Per la corruzione non è previsto l’ergastolo, ma ai condannati sono comunque preclusi alcuni benefici nel corso dell’esecuzione della pena, se non collaborano.
Perchè sostiene che questa estensione della normativa ad altri reati sia stata irragionevole?
Perchè preclude al giudice il potere e dovere di essere lui a valutare, caso per caso, se il detenuto può essere messo alla prova attraverso la liberazione condizionale. Introdurre un discorso del tipo “chi non collabora non potrà ottenere l’accesso alle misure alternative” è un modo per privare il magistrato del suo compito di vagliare il comportamento della singola persona nello specifico caso concreto.
Privando il giudice della possibilità di concedere misure alternative alla detenzione si impedisce anche al detenuto che non collabora con la giustizia di avere la possibilità di essere reinserito nella società , non è così?
Un soggetto a cui non viene consentito di uscire dal carcere difficilmente potrà essere rieducato. Perchè la rieducazione presuppone la reintegrazione nella società , sia pure con particolare gradualità e con una valutazione significativa, che solo il giudice deve poter fare. Non può essere affidata a una clausola legislativa.
Molti si sono dichiarati in disaccordo con l’approccio della Corte europea dei diritti dell’Uomo. Cosa pensa di queste reazioni?
In tanti ritengono che l’unico modo per dimostrare che una persona è sulla strada del ravvedimento rispetto ai delitti commessi sia la collaborazione con l’autorità giudiziaria. A questa affermazione altri fanno un’obiezione seria e a mio avviso fondata.
Quale?
Vi possono essere molti casi in cui la persona non è più in grado di collaborare, perchè non ha più niente da dire, o perchè ha paura perchè metterebbe a repentaglio la vita dei familiari che vivono fuori dal carcere. Le situazioni sono molteplici, e non è il caso di ricondurle a un’etichetta unica, all’astrazione della legge. La valutazione, in concreto, sull’esecuzione della pena spetta al giudice, non può essere sancita solo in una norma.
Cosa dovrà fare adesso lo Stato italiano, alla luce della pronuncia della Cedu?
Modificare ed adeguare, sotto questo specifico profilo, la legislazione, tenendo conto dei rilievi della Corte. Vede, la prima valutazione da fare è che non è vero, come è stato sostenuto, che usciranno dal carcere tutti i boss. L’arrivo di questa pronuncia e quella odierna sull’ammissibilità del ricorso contro di essa è stato accolto con previsioni e conclusioni molto frettolose ed enfatizzate. Nel modo più assoluto, non ci sarà un’uscita in massa dei capimafia dal carcere. Non esiste niente di tutto ciò: esiste un caso specifico, il caso Viola. Il detenuto si è visto riconoscere dalla Cedu il diritto a che sia il giudice di sorveglianza a valutare se ha fatto o no un percorso che gli consenta di avere un permesso per uscire dal carcere. Per casi come questo potrà entrare in gioco la Corte costituzionale, che peraltro dovrà già pronunciarsi su una questione connessa il 22 ottobre.
In che modo potrà ora intervenire la Consulta?
I detenuti che stanno scontando l’ergastolo potranno rivolgersi al magistrato di sorveglianza chiedendogli, in sostanza, di valutare se possono usufruire dei benefici nonostante la mancata collaborazione. Quest’ultimo potrà adire la Corte costituzionale e chiedere al collegio di valutare se – alla luce della decisione della Cedu – la normativa sull’ergastolo ostativo è da ritenersi incostituzionale perchè vìola l’articolo della Carta che stabilisce che l’Italia si uniforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute ed in particolare alla convenzione Cedu. C’è una differenza importante tra le decisioni della Cedu e quelle dalla Consulta: quest’ultima, laddove dovesse decidere di dichiarare incostituzionale una norma, la deve cancellare immediatamente dal nostro ordinamento. Ed è ciò che potrebbe accadere per l’articolo 4 bis.
Come giudica, in conclusione, la decisione della Cedu?
La dignità umana è il fondamento della Costituzione (piaccia o non piaccia) e quindi anche del sistema penitenziario, quest’ultimo impone la possibilità di una rieducazione (e quindi il riesame della sua condizione dopo un certo periodo di tempo), che non può essere esclusa in via presuntiva dalla mancanza di collaborazione del condannato con l’autorità giudiziaria. La Cedu osserva che lo Stato ha un ampio margine di valutazione per decidere se la pena già sconta abbia condotto o meno alla soglia della rieducazione, e respingere nel secondo caso la domanda di accedere alle misure alternative. Non può però costringere il condannato a una scelta “fittizia”, senza alternative, tra il carcere a vita e la collaborazione.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 8th, 2019 Riccardo Fucile
ORA SIAMO NELLA BRATTA COME PRIMA MA ABBIAMO RISPARMIATO LA CIFRA CHE SPENDE A BILANCIO IL COMUNE DI VITERBO E IL POPOLINO E’ FELICE
Con il voto a maggioranza “bulgara” dell’aula della Camera, il taglio dei parlamentari riceve il via libera
definitivo.
I sì alla riforma costituzionale, fortemente voluta dal Movimento 5 stelle, sono stati 553, i no 14 e 2 gli astenuti.
Hanno votato a favore le forze di maggioranza (M5s, Pd, Italia Viva, Leu) e le forze di opposizione (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia), anche se con alcuni distinguo personali al loro interno, più alcuni deputati del gruppo misto.
Uniche forze del Parlamento contrarie al taglio sono state +Europa (3 deputati) e Noi con l’Italia (4 deputati guidati da Maurizio Lupi).
Ha votato in dissenso dal M5s il deputato Andrea Colletti. In dissenso dal gruppo anche la dem Angela Schirò, eletta all’estero, che si è astenuta.
Trattandosi di una proposta di legge di modifica della Costituzione, l’esame ha previsto quattro letture parlamentari (una doppia lettura conforme di Camera e Senato).
Oggi per l’appunto c’è stato l’ultimo passaggio del provvedimento ridurrà il numero dei deputati da 630 a 400 e quello dei senatori da 315 a 200, in aggiunta al taglio dei seggi dei deputati (da 12 a 8) e dei senatori (da 6 a 4) eletti all’estero.
La “riforma Fraccaro”, dal nome dal sottosegretario pentastellato alla presidenza del Consiglio, cambia il rapporto numerico di rappresentanza sia alla Camera dei deputati (1 deputato per 151.210 abitanti, mentre oggi era 1 per 96.006 abitanti) sia al Senato (1 senatore per 302.420 abitanti, mentre oggi era 1 ogni 188.424 abitanti).
(da agenzie)
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