Novembre 27th, 2019 Riccardo Fucile
PRESCRIZIONE, EMILIA, CALABRIA, CONCESSIONI AUTOSTRADALI, MES, COMMISSIONI INCHIESTA: NON C’E’ ACCORDO SU NULLA
Lo smarrimento è tutto nella risposta che Dario Franceschini dà appena arriva in
Parlamento. Sentite qui, il più convinto sostenitore del governo: “Qualunque domanda voi facciate, non ho risposte da darvi”.
Poi si allontana, per parlare di Rai con qualche parlamentare. La sintesi del conciliabolo: i Cinque stelle hanno fatto saltare anche l’accordo sulle nomine, e chissà se sarà possibile riacchiapparlo prima dell’Emilia.
Ecco, si vive così, ai tempi del governo giallorosso, senza un centro di gravità permanente.
In parecchi, anche oggi, sono andati in processione da Nicola Zingaretti, invitandolo a dire qualcosa: “Ormai Di Maio è scientifico, sta usando ogni occasione per distruggere tutto. Iniziamo a dirlo apertamente”.
Il segretario però, che concorda sull’analisi, per ora ha scelto di tacere, consapevole dell’equilibrio instabile e convinto che, porre la questione adesso, scaricherebbe sul Pd la responsabilità di un crescendo di tensione.
Perchè c’è poco da fare: se riproduci la dinamica del governo gialloverde, prima o poi ne riproduci anche il bis dell’epilogo. C’è prima una finanziaria da approvare, in un quadro in cui sembra che del paese importi a pochi.
È la fotografia di una paralisi, di un disequilibrio che non si ricompone, diventato condizione strutturale, proprio come ai tempi del precedente governo, con Di Maio che gioca a fare Salvini col Pd e il Pd che, per senso di responsabilità , fino a dicembre sceglie di portare la croce, rinunciando (per ora) anche a quei temi che considera dirimenti (vai alla voce: decreti sicurezza e ius culturae).
Scorrete l’elenco, diventato oggi piuttosto sostanzioso: la Rai, la prescrizione, l’annuncio (dopo l’Emilia) della corsa solitaria dei Cinque stelle anche in Calabria, le concessioni autostradali, la riforma del fondo “salva stati”, la commissione d’inchiesta sul finanziamento a partiti e fondazioni.
Anche la spaccatura del Movimento nel voto su Ursula, lì dove a luglio di fatto il governo era nato. Non c’è un solo dossier, uno solo, su cui il governo riesce, senza fatica, ad esprimere una posizione comune.
La crisi dei Cinque stelle ha contagiato il governo e inchiodato il Pd all’attesa che lo psicodramma di una nomenklatura in dissoluzione si risolva in un modo o nell’altro: il famoso dibattito sul “se prevale la linea Grillo o Di Maio”.
Aspettando Grillo, ci sarebbe da ironizzare sulle “comiche finali”, come ai tempi del precedente governo, è tornata la domanda del giorno, il “quanto dura”.
Nicola Fratoianni, senza ipocrisia, la mette così: “Se si va al voto adesso perdiamo. Ma io preferisco perdere nel 2023 dopo aver eletto un capo dello Stato democratico, che magari qualche osservazione la farà , quando Salvini varerà un decreto sicurezza ter, peggio di quelli che ha già fatto. Su questo sono togliattiano”.
Non è solo una voce fuori dal coro. È ormai opinione diffusa che l’argine, nato per arginare il salvinismo, si sia rotto e che questo nuovo inizio mai nato sia l’ultima tappa di una crisi che, inevitabilmente certificherà una svolta a destra.
Il problema, non banale, è arrivarci al 2023, avendo questo come unico collante.
Il punto però è che il governo delle non risposte politiche poggia su una non risposta ontologica, esistenziale.
Parlando con alcuni parlamentari il vicesegretario del Pd Andrea Orlando, la vede così: “Siamo in una situazione magmatica. Può durare 15 giorni come tre anni. È chiaro che Di Maio si è messo l’elmetto e, come può, gioca a destabilizzare”.
Poi si allontana e va a fare una dichiarazione per spiegare all’alleato che chiedere una commissione d’inchiesta proprio nel momento in cui la magistratura ha avviato un’indagine, con la pretesa di sostituirsi alla magistratura, è piuttosto grave.
Il problema è questo, non Renzi, che da oggi è azzoppato e avrà tutto l’interesse che la legislatura prosegua.
Alfredo D’Attorre, ex parlamentare, commenta così: “È la nemesi. Voleva fare il Ghino di tacco che teneva sotto scacco la maggioranza e adesso viene travolto sul finanziamento illecito…”. Il vicesegretario del Pd, accanto, annuisce.
Questa è l’unica consolazione: l’operazione scissione è franata, nel consenso mai decollato del partitino di Renzi e in un’inchiesta che ne stronca sul nascere ogni velleità di protagonismo.
Ecco Giorgetti, uno che di equilibri instabili se ne intende: “Ma dai… Neanche la cosa smuove niente. In altri i tempi i Cinque stelle lo avrebbero preso a pedate. Ora fanno un po’ di scena ma ci restano al governo. È tutta tattica, tutto… Di Maio non vuole andare a votare. E intanto fuori la casa brucia, del paese non frega un piffero a nessuno. Aspettiamo la relazione di Barr, solo uno shock può liberarci”.
A proposito, dell’unico tema su cui si dovrebbe parlare, la legge elettorale per impedire che, in caso di voto Salvini non prenda i famosi pieni poteri, è l’unico espunto dall’agenda.
Perchè, al tempo stesso, rappresenta un rischio nella misura in cui nessun Parlamento sopravvive all’approvazione di una nuova legge elettorale. Tanto per non mettere in discussione la paralisi.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 27th, 2019 Riccardo Fucile
L’ARROGANZA DEL BECCHINO DEL M5S CHE PRETENDE SEMPRE DI IMPORRE I SUOI TEMI NON E’ PIU’ SOPPORTABILE
Per quanto sembri incredibile l’ultima botta l’ha data la rottura sulle nomine Rai. Sembrava tutto sancito, con la firma di Franceschini e Spadafora per Pd e Movimento: Raidue e il tg2 restavano nell’area dell’opposizione, e Raiuno e tg1, così come Raitre e tg3, mantenevano o acquisivano direttori graditi alle due grandi forze di governo.
Solo che stanotte è arrivato il veto di Luigi Di Maio a una delle nomine, la più pesante per il curriculum dell’interessato: quella al tg3 dell’ex amministratore delegato, ed ex direttore del tg1 e del tg2, oltre che del Mattino e del Messaggero, Mario Orfeo.
E tutto il pacchetto così è saltato, con una reazione dei dirigenti del Pd che solo con un eufemismo si può definire irritata.
Al di là dell’episodio in sè questa rischia di essere la goccia che ha fatto traboccare il vaso, perchè arriva nel momento peggiore di questi tre mesi di convivenza nel Conte Due. Zingaretti e i suoi sono già stati scottati dalle giravolte grilline sulle prossime elezioni regionali, dove come è ormai chiaro il M5s sarà di fatto avversario del Pd, facendo così il gioco del comune avversario, il centrodestra a guida Salvini.
In più veti, divisioni interne e incertezze nel Movimento hanno incartato le partite Ilva e Alitalia.
E infine Di Maio e Conte hanno fatto la voce grossa sulla riforma della prescrizione, mettendo il partito in forte difficoltà nel settore presidiato dal vicesegretario Orlando.
Così ai vertici del Nazareno ci si comincia a chiedere a che serve andare avanti con questa doccia scozzese, in cui alla fine il Pd, che era all’opposizione, si sta ritrovando in mano i cerini delle tasse necessarie a scongiurare l’aumento dell’Iva e della ratifica del nuovo accordo sul Mes, il fondo salva Stati, l’altra partita su cui, secondo Zingaretti, Di Maio ha fatto il furbo.
E allora il ragionamento è stato semplice: con una scelta forte si può mollare il Movimento, fare la crisi, andare all’attacco in Emilia-Romagna, e di lì andarsela a giocare come unica vera forza antisovranista alle elezioni anticipate, troncando la legislatura prima che scatti il taglio dei parlamentari, e prima che si possa celebrare l’eventuale referendum.
Anzi, gli eventuali referendum, visto che la Corte costituzionale potrebbe dare il via libera anche a quello leghista sull’abolizione della quota proporzionale.
I più maligni, ma non certo i meno realisti, aggiungono anche altri due aspetti: andare al voto al più presto vorrebbe dire frenare la possibile crescita di Italia Viva e l’esordio stesso del movimento di Calenda, e portare nel nuovo parlamento almeno venti nuovi eletti, scelti dal nuovo segretario, che potrebbe anche scremare la squadra uscente, tutta decisa dall’ingombrante predecessore…
(da Open)
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Novembre 27th, 2019 Riccardo Fucile
SUL FONDO SALVA-STATI NESSUN PAESE CON DEBITO ALTO HA AVUTO NULLA DA RIDIRE, SOLO IN ITALIA CI SONO CAZZARI CHE STARNAZZANO NON AVENDO ALTRI ARGOMENTI
La linea che segna il limite entro cui si possono spingere le critiche dei 5 stelle e delle
opposizioni sul Mes, Roberto Gualtieri la tira quando sono passate due ore e mezza dall’inizio della sua audizione in Senato.
Domanda: la riforma può ancora essere oggetto di trattativa? Risposta: “La mia valutazione è no. Il testo è stato chiuso”.
La scia della blindatura arriva in meno di un’ora alla Camera. In aula parla il deputato del Pd Piero De Luca. Ricorda che la trattativa sulla riforma è stata fatta quando al governo c’era la Lega.
I deputati del Carroccio gridano “venduti, venduti”. Anche dai banchi del centrodestra si alzano urla e proteste. Parte la rissa, Fico è costretto a sospendere la seduta dell’aula. Scoppia la bagarre. Ma Gualtieri, con una nota, chiarisce: “Il testo della riforma del Mes non è firmato, le polemiche sono pretestuose”. Il senso è che la sua valutazione è politica, non giuridica.
Le tensioni sulla riforma del Fondo salva-Stati esplodono dopo le parole di Gualtieri, che difende la linea portata avanti dal premier per arrivare a un testo che tutto fa tranne che penalizzare l’Italia.
Quello che il ministro dell’Economia lancia da palazzo Madama è un messaggio di blindatura: riaprire i giochi in Europa significherebbe rendere gli italiani “meno sicuri” e “meno forti”. C’è un ragionamento, che viene riproposto nelle risposte ai senatori, a fare da base al punto che viene messo sul Mes: non ci sono rischi per l’Italia. Prende forma così l’operazione verità per spazzare via “manipolazioni” e fake news che parlano di un rischio di stabilità finanziaria per l’Italia, di mercati pronti a scatenare la tempesta, dell’egemonia dell’asse franco-tedesco in Europa che tutto fa e tutto decide.
Passano pochi minuti dalla conclusione della relazione introduttiva del titolare del Tesoro e il senatore grillino Elio Lannutti lo incalza. Parla di una sovranità dell’Italia in pericolo.
Eppure il ministro è stato chiarissimo: tutto quello che si è generato negli ultimi giorni sul Mes è stato frutto di informazioni infondate e non corrette. Con pazienza, il titolare del Tesoro mette in fila tutti gli elementi necessari per dissipare i dubbi. Sottolinea che la riforma non prevede una ristrutturazione preventiva del debito, che il backstop, cioè la disponibilità del Mes a essere utilizzato dal fondo per le risoluzioni bancarie, raddoppia i fondi disponibili per salvare le banche ed è quindi “un successo per l’Italia”.
E soprattutto spiega che tutto è stato fatto alla luce del sole: niente sotterfugi o contenuti tenuti nascosti al Parlamento.
Nella lunga e articolata difesa del Mes, di cui non vuole diventarne tuttavia un “pasdaran”, Gualtieri rivendica come il lavoro svolto da Conte in Europa sia stato determinante per tutelare gli interessi dell’Italia da un disegno che alcuni Paesi, cioè quelli nordici, volevano decisamente duro e foriero di pericoli per l’Italia.
Da qui la necessità di non rimettere tutto in discussione. Farlo, incalza Gualtieri, significherebbe dare un’immagine dell’Italia debole, fragile. Anche perchè – è il ragionamento – dalla Polonia all’Olanda, tutti hanno concordato sul fatto che l’intesa raggiunta sul Mes va bene.
L’Italia, insomma, rischia di essere la pecora nera, andando a sbattere contro il muro dell’Europa che tra l’altro ha partorito un progetto che non fa male a Roma.
La convinzione di Gualtieri si fa granitica quando prende la parola Adolfo Urso, senatore di Fratelli d’Italia, che parla di critiche alla riforma del Mes di Maria Cannata, ex dirigente del Tesoro per il debito pubblico, del governatore di Bankitalia Ignazio Visco e del presidente dell’Abi Antonio Patuelli.
Il ministro ribatte in modo netto: “Lei ha manipolato l’affermazione del governatore Visco, che ha precisato che questa riforma non prevede nè annuncia un meccanismo di ristrutturazione del debito sovrano, non c’è scambio fra assistenza finanziaria e ristrutturazione debito”. E manipolazione è il termine che Gualtieri usa per replicare a Urso anche sulle affermazioni intestate a Patuelli e Cannata.
Alberto Bagnai, il presidente della commissione Finanze in quota Lega, presiede la seduta. Quando dopo oltre tre ore l’audizione volge al termine, prende la parola. Accusa di Gualtieri di aver irriso il Parlamento e ribadisce la sua contrarietà alla riforma del Mes. Il ministro replica e difende ancora la riforma.
Ma la scia delle sue parole travalica i muri di palazzo Madama e arriva fino a Montecitorio. Lì prende forma la rabbia delle opposizioni. Dopo la bagarre, la seduta riprende. Fico annuncia che il governo si è detto disposto a riferire in aula in tempi brevissimi, domani o dopodomani.
In serata arriva la nota con cui Gualtieri ribadisce il senso delle sue parole in audizione. Ricostruisce, come fatto in Senato, i fatti.
Il 13 giugno l’Eurogruppo ha raggiunto un ampio consenso su una bozza di revisione del Mes. Due giorni dopo, il 21 giugno, i leader all’Eurosummit hanno preso atto delle revisioni proposte e invitato l’Eurogruppo a continuare i lavori su tutti gli aspetti della riforma e del pacchetto più generale che comprende anche la capacità di bilancio per la convergenza e la competitività e la roadmap per il completamento dell’Unione bancaria.
Questo riferimento alla logica di pacchetto è stato inserito su richiesta dell’Italia e a sua volta riflette la richiesta del Parlamento di riservarsi di esprimere la valutazione finale sulla base di tutti gli elementi del suddetto pacchetto.
Da qui le conclusioni finali: “Il consenso definitivo e formale del governo alla riforma del Mes e al pacchetto non è ancora stato espresso e, come ho detto in Commissione, se da un lato il testo non è ancora stato firmato e sono tuttora in corso discussioni e negoziati su aspetti minori interni ed esterni al trattato, la mia valutazione che non ci sia reale spazio per emendamenti sostanziali è di natura politica e non giuridica, in quanto come è noto in questa procedura vige la regola dell’unanimità ”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 27th, 2019 Riccardo Fucile
“VI CHIEDIAMO DI ESSERE PIASTRINE IN SOCCORSO DI UNA FERITA”… GIOVEDI’ ALLE 18 APPUNTAMENTO IN PIAZZA DE FERRARI A GENOVA.. A ROMA IL 14 SI CHIUDE LA PRIMA FASE DELLA PROTESTA
Genova, Firenze, Milano, Taranto, Napoli e per finire Roma, giusto per citare alcune tappe a dimostrazione che ormai le Sardine hanno preso il largo.
Già questo week end sono in programma manifestazioni che, per il movimento nato un paio di settimane fa, possono diventare passaggi importanti per muovere opinione pubblica sui territori.
La città pugliese è per gli organizzatori particolarmente importante. Mattia Santori, ideatore di questa onda anti-Salvini che si sviluppando in Italia, domenica mattina sarà presente a Taranto. Per la prima volta, il leader, parteciperà a un evento fuori dall’Emilia Romagna. E appena terminato il flashmob scapperà a Milano per partecipare alla manifestazione in piazza dei Mercati.
Il leader delle Sardine, che non ama definirsi tale, spiega cosa possa significare per loro la città di Taranto rimandando a un post pubblicato su Facebook da una delle organizzatrici della manifestazione in programma il primo dicembre: “Vi chiediamo di essere piastrine in soccorso di una ferita”.
Si parla di “allegria, rigore, presa di coscienza di un intero territorio che ha bisogno di parole di pace e di buonsenso innanzitutto”. Insomma, è una comunità che vuole esserci e che ha bisogno di attenzione.
Sullo sfondo non può che esserci l’ex Ilva, considerato anche il particolare momento storico che stanno vivendo l’acciaieria e l’intera città .
Ma Mariastella Baglioli chiede di “non ridurre la questione tra pro e contro, tra buoni e cattivi, è davvero irrispettoso, perchè in ogni tarantino sano di mente albergano un operaio, un malato o un genitore che ha perso il bene più caro”.
A Taranto, quindi, dopo molti anni, l’ultima vera manifestazione è stata forse nel 2012, torna in piazza “perchè tornare in strada, guardarsi in faccia, provare a riconoscerci tutti sotto i valori della responsabilità democratica che fa l’unità del paese è già un primo importante passo verso la bonifica dei cuori e delle coscienze”
Poche ore più tardi, nel pomeriggio, le Sardine riempiranno piazza Duomo di Milano, città amministrata da un sindaco di sinistra Giuseppe Sala, in una regione a guida Lega e a trazione di destra.
Anche qui, città scesa in piazza contro nel marzo scorso contro il razzismo, non ci saranno bandiere ma una coreografia in cui campeggerà il pesce azzurro divenuto simbolo di questo movimento.
Inoltre saranno letti in corso i primi dodici articoli della Costituzione. Le adesioni, per adesso, sono oltre diecimila. Se il numero dovesse essere confermato o addirittura superato, il flashmob potrebbe spostarsi in piazza Duomo.
Anche la piazza di Firenze, città che si prepara alle elezioni regionali in primavere, sarà un evento importante per capire che aria tira nella città di Matteo Renzi, il leader di Italia Viva, alla luce anche delle indagini che ruotano attorno alla fondazione Open.
Le tappe nelle grandi città termineranno il 14 dicembre con l’evento in piazza San Giovanni a Roma. Obiettivo 100mila sardine. “Finirà la prima fase, poi andremo anche nei piccoli comuni”, spiega Santori che non nasconde come la manifestazione nella Capitale sia non solo un momento per contarsi ma anche un momento di passaggio tra un prima e un dopo in fase di costruzione.
(da agenzie)
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Novembre 27th, 2019 Riccardo Fucile
UN VERO GENTLEMAN DI RAZZA PADAGNA CHE RAPPRESENTA DEGNAMENTE IL PARTITO DELL’ODIO… IL M5S NE CHIEDE LE DIMISSIONI
Insulti volgari contro il movimento delle Sardine. Li ha pubblicati sui social network il
direttore dell’Aler (l’azienda lombarda per l’edilizia residenziale) di Brescia-Mantova-Cremona, Corrado Della Torre.
Il Movimento 5 stelle lombardo ha denunciato i ripetuti insulti che il direttore ha scritto sul suo profilo Facebook: “Le Sardine infilatevele nel c…” e ancora “Sardine già dal nome capisci che sono poveri sfigati mentecatti”.
Della Torre ha poi accostato le foto di Mattia Sartori (movimento Sardine) e di Luka Mesec (del partito sloveno ‘Levica’) scrivendo: “Evidentemente quello degli imbecilli è un gene”.
Dopo aver ricordato che Della Torre è “un leghista” della prima ora”, Nicola Di Marco (consigliere regionale M5S) attacca: “Sono dichiarazioni becere e vergognose, Della Torre ogni volta che parla rappresenta un ente regionale di primo piano, non può parlare come un odiatore qualsiasi. Il Movimento delle sardine, al di là di quello che esprime, va rispettato soprattutto da chi riveste ruoli di vertice nell’amministrazione di beni pubblici. Aler Brescia merita di più di un leghista fanatico alla sua guida. Mi auguro che Della Torre si scusi e faccia un passo indietro, non può guidare un ente regionale”.
(da agenzie)
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Novembre 27th, 2019 Riccardo Fucile
REMO SERNAGIOTTO RINVIATO A GIUDIZIO PER ASSEGNI DA 63.680 EURO QUANDO ERA ASSESSORE
Avrebbe dovuto diventare una cooperativa sociale, per dare un lavoro a persone con handicap. Ma il finanziamento della Regione Veneto venne impiegato per tutt’altro scopo, per realizzare una birreria tra le dolci colline trevigiane, a Nervesa della Battaglia, dove scorre il fiume Piave.
Con l’accusa di truffa aggravata e corruzione è stato rinviato a giudizio l’ex assessore regionale ed europarlamentare di Forza Italia, Remo Sernagiotto, ora trasmigrato nei Fratelli d’Italia. La decisione è stata presa a Treviso dal giudice dell’udienza preliminare Bruno Casciarri.
È così arrivato a un primo punto fermo il procedimento riguardante lo scandalo di Ca’ della Robinia. A gennaio sul banco degli imputati saranno citati anche l’ex dirigente dei Servizi sociali della Regione Veneto, Mario Modolo, l’imprenditore Giancarlo Baldissin e il consulente finanziario Egidio Costa.
Le stesse accuse formulate a carico di Sernagiotto riguardano sia Modolo che Baldissin (quest’ultimo ha pure la bancarotta fraudolenta), mentre per Costa è contestata solo la truffa aggravata.
All’origine della vicenda c’è un finanziamento regionale da 3,4 milioni di euro che era destinato a realizzare una fattoria didattica nell’area dell’ex Disco Palace di Nervesa, che era di proprietà di Baldissin.
In realtà venne realizzata una birreria. A beneficiare dei soldi pubblici era stata la società cooperativa Ca’ della Robinia, fondata da Bruna Milanese e dai figli Selene e Stefano Bailo, che hanno già patteggiato accuse di bancarotta fraudolenta e truffa aggravata.
La Procura di Treviso aveva aperto un fascicolo sul crack nel 2016 e scoprirono che nel 2012 era stata sottoscritta una convenzione con la Regione Veneto, mentre Sernagiotto era assessore al Sociale del Veneto e Modolo il direttore del settore.
Il progetto prevedeva una struttura per produzione casearia, un’ippovia e alloggi per persone con handicap.
L’area dell’ex discoteca Disco Palace era di Baldissin, amico di Sernagiotto, con problemi di debiti. Secondo l’accusa, Ca’ della Robinia aveva ricevuto il finanziamento senza neppur essere una cooperativa sociale. Insomma, non aveva i titoli per ottenerlo. Nel frattempo la Milanese aveva acquistato l’ex Disco Palace da Baldissin.
E la corruzione? Secondo la Procura di Treviso, Sernagiotto e Modolo avrebbero ricevuto due assegni per complessivi 63.680 euro, intestati a una società immobiliare che gestiva alcuni locali che Sernagiotto usava per le riunioni politiche.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 27th, 2019 Riccardo Fucile
NEGLI ULTIMI 11 ANNI SPUTTANATI 5,3 MILIARDI DI SOLDI PUBBLICI E NON E’ FINITA QUA, ORA IL M5S PARLA PURE DI NAZIONALIZZAZIONE
«Io credo che una grande compagnia di bandiera come Alitalia noi la dobbiamo riavere tra
le mani dello Stato quindi è chiaro che se servirà una nazionalizzazione dell’azienda si dovrà vedere», ha le idee chiarissime il vice-ministro dei Trasporti Giancarlo Cancelleri (M5S) oggi ad Agorà .
In una situazione in cui il ministro dello Sviluppo Economico Patuanelli ha detto che il consorzio di Atlantia e Delta non esiste più il fantastico piano del Governo è quello di nazionalizzare la compagnia aerea nella speranza di poterla vendere, forse, in futuro.
Il salvataggio di Alitalia lo pagheranno quindi gli italiani. I quali senza dubbio saranno talmente felici di aver appena risparmiato una cinquantina di milioni di euro dal taglio dei parlamentari, fortemente voluto dal MoVimento 5 Stelle e votato da Lega e Partito Democratico, da non accorgersi del costo dell’idea di chi oggi chiede di salvare Alitalia coi soldi pubblici.
Si parte con il prestito ponte da 400 milioni di euro stanziato dal Governo. Dovevano essere 350 milioni, ma evidentemente si è deciso di arrotondare, tanto se ne sono appena risparmiati 50 dal taglio di deputati e senatori.
Soldi che in realtà si risparmieranno a partire dalla prossima legislatura e che quindi per ora sono un minore aggravio solo sulla carta.
Il viceministro dello Sviluppo Economico Stefano Buffagni fa sapere che «lo spacchettamento dei servizi ha senso», il famoso spezzatino in cui si prova a vendere la parte della compagnia che è più appetibile sul mercato (le rotte e il comparto volo) mentre allo Stato rimarrebbero quelle meno redditizie e più onerose.
Un’altro regalo per i cittadini. Ma Patuanelli va oltre e non esclude nemmeno in ritorno dell’IRI, la grande panacea di tutti i mali per le ex grandi aziende di Stato (da Alitalia all’Ilva ma non si esclude nemmeno Autostrade nell’eventualità della famosa revoca delle concessioni.
Ma nessuno ha il coraggio di affrontare il fatto che in 30 anni di salvataggi pubblici Alitalia è ancora lì, sull’orlo del crack e del fallimento. Anzi: ogni governo che è passato ci ha messo qualche centinaio di milioni di euro, andati invariabilmente bruciati senza risolvere nulla.
Quello di Alitalia è il salvataggio infinito, prima dei 400 milioni promessi dal Conte 2 ci sono stati i 900 milioni di euro del prestito concesso dal governo Gentiloni (al MISE c’era Carlo Calenda che qualche tempo fa ha detto che la farebbe fallire).
Quei soldi sarebbero dovuti servire per vendere Alitalia in Lufthansa, ma come al solito non se ne è fatto nulla. Un prestito poi solo per modo di dire visto che quei soldi — che avrebbero dovuto essere restituiti a fine giugno — non li rivedremo mai.
Dopo tre proroghe il governo gialloverde aveva infatti deciso di cancellare il termine per la restituzione. E con il Decreto Crescita Lega e M5S hanno anche deciso che Alitalia non avrebbe dovuto nemmeno pagare gli interessi sul debito: circa 10% all’anno, altri 145 milioni di euro regalati.
E di soldi gli italiani ad Alitalia ne hanno dati tanti. Dal 2017 calcolatrice alla mano sono un miliardo e quattrocento milioni.
Il Sole 24 Ore ha calcolato che Alitalia è costata ai cittadini 5 miliardi e 278 milioni negli ultimi undici anni.
Dal 2008, quando si parlava di una vendita ad Air France bloccata da Berlusconi, ad oggi. Ben 9 miliardi e 200 milioni se si estende lo sguardo più in là nel passato. Il tutto per ottenere cosa? Un’azienda che perde un milione di euro al giorno ma che si permette di premiare i dirigenti.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 27th, 2019 Riccardo Fucile
“CONDANNATE LE FUTURE GENERAZIONI A PENSIONI SEMPRE PIU’ POVERE”
Se l’Italia non aumenta l’età pensionabile e con un mercato del lavoro ancora appesantito da contratti part-time e temporanei, rischia di condannare le prossime generazioni a pensioni sempre più povere.
Nel sistema pensionistico italiano la priorità dovrebbe essere «aumentare l’età effettiva di ritiro dal lavoro» dato che al momento è a 62 anni, di due anni circa inferiore a quella media Ocse e di cinque più bassa rispetto all’età legale di vecchiaia (67).
Lo si legge nel Rapporto Ocse Pensions at a Glance, nella scheda sull’Italia nella quale si ricordano le nuove regole per il sistema previdenziale a partire da Quota 100.
La sfida sarà di «mantenere adeguate prestazioni di vecchiaia limitando la pressione fiscale a breve, medio e lungo termine».
L’Italia spende per il sistema pensionistico il 16% del Pil, il secondo livello più alto nell’area Ocse. Secondo il rapporto, il reddito medio delle persone con più di 65 anni è simile a quello dell’intera popolazione mentre nella media Ocse è più basso del 13%. L’Ocse sottolinea che l’età di ritiro legale è 67 anni, tre anni superiore a quella della media Ocse ma che di recente «è andata indietro rispetto alle recenti riforme introducendo Quota 100».
L’aumento dell’età pensionabile effettiva in Italia «dovrebbe essere la priorità , evidenziando la necessità di limitare il pensionamento anticipato agevolato e di applicare debitamente i collegamenti con l’aspettativa di vita».
Si aggiunge nel rapporto a proposito dell’introduzione di regole che consentono il ritiro anticipato rispetto alla vecchiaia come la Quota 100. Bisogna poi «concentrarsi sull’aumento dei tassi di occupazione, in particolare tra i gruppi vulnerabili, il che ridurrebbe l’utilizzo futuro delle prestazioni sociali di vecchiaia».
L’Ocse sottolinea che l’Italia oltre ad aver introdotto Quota 100 che consente di ritirarsi in anticipo dal lavoro, ha bloccato l’aumento dei requisiti legati all’aspettativa di vita fino al 2026 per coloro che hanno almeno 42 anni e 10 mesi di contributi se uomini e 41 e 10 mesi se donne. Inoltre non è prevista una revisione per l’età di vecchiaia nel 2021 legata all’aspettativa di vita.
«Il sistema italiano — scrive l’Organizzazione — combina un’alta età pensionabile obbligatoria con un tasso di contribuzione pensionistica elevato del 33%» e ciò comporterà un tasso di sostituzione netto futuro (quando si raggiungeranno i 71 anni, ndr) molto elevato, il 92% per i lavoratori con salario medio a carriera piena contro il 59% in media nell’Ocse.
L’Ocse segnala inoltre che la pensione di cittadinanza ha innalzato i benefici per la vecchiaia portandoli al di sopra della media Ocse per questi schemi. In particolare l’Organizzazione ricorda le difficoltà del mercato del lavoro italiano con una percentuale di lavoro temporaneo e part time che generalmente dà guadagni più bassi, più alto rispetto alla media dei paesi Ocse.
«Queste forme di lavoro — avverte — aumentano il rischio di basse pensioni future dato che il sistema italiano collega strettamente le pensioni ai contributi. Inoltre i tassi di occupazione di giovani e anziani in Italia sono ancora bassi con il 31% di giovani tra i 20 e i 24 anni al lavoro contro il 59% medio Ocse e il 54% tra i 55 e i 64 anni contro il 61% della media Ocse. Anche questo rischio di carriere incomplete pesa sulla pensione futura strettamente legata ai contributi versati».
Infine l’Ocse ricorda l’alta percentuale di lavoro autonomo nel nostro Paese «Più del 20% dei lavoratori sono autonomi — si legge — a fronte del 15% nei paesi Ocse». E se nella media Ocse questi lavoratori hanno pensioni mediamente più basse del 22% rispetto ai lavoratori dipendenti in Italia c’è il divario più grande con una differenza che supera il 30%
(da agenzie)
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Novembre 27th, 2019 Riccardo Fucile
IL GRUPPO ITALIANO GARANTIRA’ IL SERVIZIO MADRID-BARCELLONA, MADRID-VALENCIA-ALICANTE E MADRID-MALAGA-SIVIGLIA
Trenitalia (Gruppo Fs Italiane) si aggiudica i servizi dell’alta velocità Madrid-Barcellona,
Madrid-Valencia/Alicante e Madrid-Malaga/Siviglia.
Il consorzio Ilsa, composto da Trenitalia e Air Nostrum, è stato selezionato da Adif, il gestore dell’infrastruttura ferroviaria spagnola, e sarà il primo operatore privato ad accedere nel mercato iberico.
L’inizio del servizio commerciale è previsto per gennaio 2022 e avrà una durata decennale.
Il consorzio ILSA offrirà 32 collegamenti giornalieri sulla rotta Madrid-Barcellona (16 in ciascuna direzione). La rotta Madrid-Valencia avrà otto collegamenti al giorno, sette saranno quelli sia fra Madrid e Malaga sia fra Madrid e Siviglia.
Da Madrid ad Alicante, invece, ci saranno quattro collegamenti giornalieri, incrementabili durante le settimane estive di punta.
Il treno scelto da ILSA è il Frecciarossa 1000 fabbricato con tecnologie ecosostenibili e dotato di design aerodinamico. Le cinque rotte aggiudicate saranno servite grazie a una flotta di 23 treni.
Il Frecciarossa 1000, treno di punta della flotta di Trenitalia e più veloce d’Europa, è stato progettato e costruito secondo le Specifiche Tecniche di Interoperabilità (STI) internazionali che consentono al treno di poter circolare su più reti europee. Il Frecciarossa 1000 è il primo treno alta velocità ad aver ottenuto la certificazione di impatto ambientale (EPD) ed è costruito con materiali riciclabili e riutilizzabili per quasi il 100%, oltre ad avere ridotti consumi idrici ed elettrici.
Trenitalia è presente con società controllate in Gran Bretagna con Trenitalia c2c (trasporto pendolare) e Trenitalia UK, che dal 9 dicembre 2019 gestirà i servizi InterCity da Londra a Glasgow/Edimburgo (West Coast Partnership); in Germania con Netinera (passeggeri); in Francia con Thello (collegamenti internazionali Italia—Francia) e in Grecia con TrainOSE (servizi passeggeri).
“Questo progetto segna l’ingresso del Gruppo Fs nel mercato ferroviario alta velocità iberico”, spiega Gianfranco Battisti, ad e direttore generale di Fs Italiane. “Siamo orgogliosi di mettere a disposizione anche in Spagna il know-how sviluppato in 10 anni di alta velocità con 350 milioni di passeggeri trasportati in Italia, unici in Europa in un mercato competitivo”, ha continuato Battisti.
“Il Gruppo Fs Italiane è un player internazionale primario, pronto ad affrontare le sfide per le gare nel mercato americano dopo l’aggiudicazione sia dei servizi ferroviari fra Londra ed Edimburgo, operativi dal 9 dicembre in Gran Bretagna, sia del progetto per l’alta velocità in Thailandia.”
(da agenzie)
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