Agosto 5th, 2020 Riccardo Fucile
LA MAGISTRATURA DI GENOVA HA DOVUTO CHIEDERE AL PARLAMENTO L’AUTORIZZAZIONE A PERQUISIRE L’AZIENDA PERCHE’ IL PARLAMENTARE LEGHISTA VI HA ELETTO PROPRIO DOMICILIO PER IMPEDIRE I CONTROLLI…. MA SE UNO NON HA NIENTE DA NASCONDERE LI FA ACCOMODARE … DA DICEMBRE A OGGI TUTTO SARA’ RIMASTO UGUALE?
L’Aula della Camera ha autorizzato la richiesta a procedere alla esecuzione di perquisizione domiciliare nei confronti del deputato della Lega Fabio Massimo Boniardi. I voti a favore sono stati 234, i voti contrari 223, 16 gli astenuti.
L’esito del voto, riferiscono fonti parlamentari, ha fatto adirare i leghisti, che hanno puntato il dito contro gli alleati di Forza Italia: tra le fila azzurre, infatti, sarebbero stati 39 gli assenti. L’autorizzazione è passata per 11 voti.
La richiesta era stata avanzata dai magistrati di Genova, che indagano sui 49 milioni di rimborsi elettorali che il partito avrebbe ottenuto illegalmente, in un periodo tra il 2008 e il 2010, falsificando rendiconti e bilanci.
Il processo si è concluso lo scorso 6 agosto con una sentenza della Cassazione, che oltre ad avere stabilito la prescrizione per i reati per Umberto Bossi e per il tesoriere Belsito, ha confermato la confisca dei 49 milioni.
I magistrati genovesi stanno indagando sul presunto riciclaggio di una parte di quei fondi, che da settembre il partito sta restituendo allo Stato a rate.
Lo scorso 10 dicembre uomini della Guardia di Finanza si erano recati presso l’azienda di Boniardi, la Boniardi Grafiche srl, e il deputato leghista aveva invocato l’immunità parlamentare, spiegando che in quella sede aveva eletto il suo domicilio e di utilizzare l’ufficio per svolgere “attività politica”. Per questo magistrati si sono rivolti al Parlamento per ottenere il via libera alle perquisizioni.
L’azienda, insieme alla Nembo srl, sarebbe servita per stampare volantini elettorali. Il sospetto è però che quei volantini non sarebbero mai stati realizzati.
Non è ancora chiara quel ruolo abbia giocato Boniardi. Attualmente l’unico iscritto nel registro degli indagati è l’assessore lombardo Stefano Bruno Galli, accusato appunto di riciclaggio.
Da presidente dell’Associazione Maroni, secondo l’accusa, Galli potrebbe aver “compiuto operazioni su una parte delle somme di denaro provento dei reati di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, commessi da Umberto Bossi e Francesco Belsito”. Circa 450mila euro sarebbero stati erogati dalla Lega Nord all’Associazione Maroni Presidente, nata nel 2013 per le regionali.
I magistrati, però, ipotizzano che non siano realmente andati in porto gli ordini di volantini e manifesti elettorali alle due aziende. E che invece Galli, in qualità di presidente, abbia fatto rientrare i soldi in altri conti correnti riconducibili al Carroccio sotto forma di erogazione liberale
Il M5s, con la vice presidente della Camera, Maria Edera Spadoni, rivendica la compattezza nel sì all’autorizzazione: “Filone dell’indagine sui 49 milioni dei fondi della Lega e tangenti. Alla Camera dei Deputati abbiamo votato questa mattina due richieste di autorizzazione importantissime: la prima riguarda l’autorizzazione di perquisire il domicilio del deputato Fabio Massimo Boniardi della Lega, la seconda riguarda l’autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni telefoniche ed ambientali dell’ex parlamentare di Udc e Forza Italia ed ex componente del Csm Antonio Marotta”, ha fatto sapere Maria Edera Spadoni su Facebook.
“La Lega ha sbarrato la strada alla Guardia di Finanza appellandosi all’articolo 68 della Costituzione secondo cui nessun parlamentare può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare senza autorizzazione della Camera a cui appartiene. Così la Lega — ha proseguito — ha impedito i controlli degli investigatori che cercano di far luce su quella che la Procura della Repubblica di Genova ritiene essere stata un’imponente operazione di riciclaggio. Gli inquirenti hanno però chiesto alla Camera l’autorizzazione per perquisire la sede e tutti gli uffici della srl Boniardi Grafiche, di cui è amministratore il deputato leghista Boniardi che, quando è scattato il blitz, ha dichiarato domicilio nell’azienda, chiudendo le porte alle Fiamme Gialle”.
(da Fanpage)
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Agosto 5th, 2020 Riccardo Fucile
SI FORMEREBBE UNA CASTA ANCORA PIU’ POTENTE, I FORTI VINCERANNO CON PIU’ AGIO CONTANDO SU DENARO E LOBBIE
Non è saggio, ragionevole e razionale dare il nostro assenso a una riforma costituzionale la cui
coerenza con i principi della democrazia rappresentativa è condizionata ad una legge ordinaria che, per giunta, ancora non c’è e forse non riuscirà ad esserci.
Questo è esattamento il caso assurdo che sta dietro alla questione che i cittadini sono chiamati a risolvere per via referendaria il 20 e 21 settembre prossimo sul taglio del 36,5% del numero dei parlamentari.
Questa riforma della Costituzione sarebbe sbagliata anche qualora il PD riuscisse a portare a casa una riforma in senso proporzionale del sistema elettorale.
Lo sarebbe perchè si tratta comunque di una norma costituzionale la cui bontà o funzionalità è e resta condizionata ad una norma ordinaria. A meno che la legge elettorale non sia essa stessa parte del dettato costituzionale, questa riforma è un aborto.
Lo sarebbe anche qualora fosse corredata da una legge elettorale che si prefiggesse di rendere un Parlamento di 600 meno esposto alla logica del maggioritarismo, meno ingiusto verso i partiti piccoli o non grandi, meno iniquo nei confronti dei cittadini che votano in regioni piccole, meno deprimente del nostro potere del diritto di voto.
Si tratta di una riforma in tutto scellerata. E la radice di questa scelleratezza sta nella sua gestazione: è figlia di una logica aberrante, quella che crede (che vuol far credere) che rimpicciolendo il numero dei rappresentanti si rimpicciolisca la casta.
Ma sarebbe vero proprio il contrario: si formerebbe una casta più potente perchè più selezionata numericamente, e soprattutto naturalmente direzionata verso le parti più forti della società e dell’elettorato.
Come ha spiegato con limpidezza Gianfranco Pasquino su Huffington in questi giorni, la battaglia per essere eletti diventerà più dura e quindi anche più cara: è ovvio che se si disbosca il numero dei posti per cui competere la radicalità della competizione aumenterà e le armi usate dovranno essere più letali.
Le armi sono in questo caso i denari — privati– che necessiteranno per farsi eleggere, con evidente squilibrio dell’eguaglianza di opportunità politica, con una esposizione evidente ai rischi di una virata oligarchica dell’intero sistema politico.
I forti vinceranno con più agio in una gara con minor numero di concorrenti.
Solo gli sprovveduti possono credere che il taglio dei parlamentari sia la strada vincente per abbattere la casta. Vero è il contrario: la casta dei notabili che si formerà sarà ancora più autoreferenziale, famelica e corrotta. La logica del numero è fatale: nella democrazia come nel suo opposto, l’oligarchia.
L’identificazione dei mali del paese con la “casta” ha una storia lunga quanto quella dell’antipolitica e dell’antipartitismo. Oggi, essa è la linfa del populismo.
Proprio perchè la democrazia populista ha l’ambizione di sistituirsi alla democrazia dei partiti (definita castale o partitocrazia) l’idea di sfoltire il Parlamento è nel DNA del populismo, che ama forti e nette maggioranze (disdegnando, potendolo, alleanze di governo), esecutivi forti e con pochi ostacoli (e un Parlamento che non serve solo a formare una maggioranza è un ostacolo).
La democrazia parlamentare, che è democrazia fatta di “parti” e di “partiti”, si regge su una ragione chiara: la rappresentanza ha bisogno di partiti o gruppi politici, senza i quali essa non è propriamente rappresentanza politica ma delega elettorale a questo o quel notabile o gruppo che dice di rappresentare “il popolo” (idealmente contro le sue parti).
Tutti i grandi pensatori democratici, da Schattschneider a Sartori, da Kelsen a Bobbio hanno per questo identificato la democrazia rappresentativa con una democrazia che articola l’opinione in partiti e che struttura la vita parlamentare secondo la più ambia rappresentanza di queste parti, per amorzare il peso degli interessi settoriali. Con un taglio del numero dei parlamentari così drastico si renderà il Parlamento e la politica della rappresentanza una questione veramente per pochi e potenti.
Se questo parlamento riuscisse ad approvare una riforma elettorale in senso proporzionale, forse questa deriva oligarchica e castale potrebbe essere se non altro resa più difficile. Ma non c’è certezza che a ciò si giunga, anche perchè i piccoli partiti o gruppi non sono convinti che sia nel loro interesse scegliere una soglia di sbarramento che forse li penalizzerebbe (e, in aggiunta, alcuni di essi, come i reduci della “rottamazione”, sono essi stessi sostenitori di una virata in senso esecutivista del sistema politico, poco amici della democrazia parlamentare). Insomma troppi “se” e troppe condizionalità .
E una riforma costituzionale così sospesa è brutta sul nascere. Se davvero vogliamo contenere il potere degli eletti, non c’è miglior strategia che volere che il loro numero non sia così piccolo.
Se davvero vogliamo che la rappresentanza valga per noi cittadini, non possiamo volere che per eleggere un rappresentante occorra quasi il doppio dei voti che servono oggi. Perchè dovremmo votare contro il nostro interesse?
(da “Huffingtopost”)
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Agosto 5th, 2020 Riccardo Fucile
DANILO COPPE: “IL NITRATO DI AMMONIO FA DEL FUMO GIALLO E NON ARANCIONE E ROSSO”… “SE FOSSERO STATE 2700 TONN. VOLEVA DIRE 100 CONTAINER CHE NON SAREBBERO MAI ESPLOSI IN SIMULTANEA”
“No, macchè nitrato di ammonio. Quello per me era un deposito di armamenti, non c’entra il nitrato di ammonio”.
Danilo Coppe, è un geominerario, fra i più importanti esperti di esplosivistica in Italia e fondatore della SIAG, società di esplosivistica civile con sede a Parma,
Torri, palazzi, acquedotti, ponti, campanili, eco-mostri e persino ciò che rimase, a Genova, del vecchio Ponte Morandi: numerose sono le esplosioni controllate affidate nel nostro Paese a Coppe.
Che su quanto avvenuto a Beirut, non ha dubbi: “Il nitrato di ammonio fa del fumo giallo e lì si vede arancione e rosso, primo. Secondo: non erano 2.700 tonnellate, perchè se fossero state 2.700 tonnellate, voleva dire più di 100 container di nitrato di ammonio. E 100 container non esplodevano in simultanea così, perchè il nitrato di ammonio da solo se ne sta bravo”.
“Per me quello era un deposito di armamenti -ribadisce Coppe-. Con circa dieci tonnellate di armamenti. Secondo il mio modesto parere il nitrato d’ammonio non c’entra nulla. Poi nella vita tutto è possibile, però io non credo sia nitrato di ammonio quello che è esploso”.
Il bilancio delle vittime, intanto, continua a salire in Libano, con oltre 130 morti, 4.000 feriti, centinaia di dispersi e quasi 300mila persone rimaste senza casa per via delle impressionanti esplosioni di ieri nella zona del porto di Beirut, col ministro dell’interno libanese, Mohamed Fehmi, che ha puntato il dito proprio contro una “enorme quantità di nitrato d’ammonio”. Si tratta di un composto chimico molto versatile, usato per diversi scopi, fra i quali anche la fabbricazione di ordigni.
“Il nitrato di ammonio è un fertilizzante, da solo non esplode — spiega ancora Danilo Coppe — , devi additivare con altre cose per fare degli esplosivi. E quindi dubito che avessero miscelato tutto quel nitrato di ammonio per farci, così, un mega deposito di esplosivo in mezzo al porto. Nemmeno il più pazzo avrebbe mai creato un deposito di quella dimensione di quantità in una situazione così, inverosimile. Tanto più -rimarca ancora l’esperto di esplosioni- di fianco a un deposito di munizioni, perchè quelle che scoppiano non sono fuochi d’artificio. Tra un’esplosione e l’altra ci sono tutte quelle microesplosioncine a raffica. Anche quelli non erano fuochi d’artificio, insomma. E quindi uno cosa fa? Un deposito di esplosivo di fianco a una fabbrica di fuochi d’artificio? No, no. Non torna niente”.
(da “agenzie”)
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Agosto 5th, 2020 Riccardo Fucile
L’INDAGINE SUL SAN MATTEO DI PAVIA SI STA CONCENTRANDO DU FATTURE E RAPPORTI TRA SERVIRE SRL (PRESIDENTE IL SALVINIANO GAMBINI) E LA MULTINAZIONALE
Antonella Mascali sul Fatto Quotidiano oggi racconta che una parte dell’indagine su Diasorin e il
San Matteo di Pavia si sta concentrando su una serie di fatture e rapporti tra la Servire Srl (presidente del cda il salviniano Gambini) e la multinazionale degli esami sierologici:
Gli accertamenti della Procura proseguono soprattutto sulla figura di Andrea Gambini (perquisito ma non indagato), leghista della prima ora, già commissario provinciale del partito a Varese e titolare di diversi incarichi, dall’Istituto neurologico Carlo Besta di Milano di cui è presidente alla direzione generale della Fondazione Istituto Insubrico di Gerenzano (Varese) che ha sede all’interno dell’Insubrias Biopark così come anche la Servire srl di cui Gambini è presidente del Cda. Sempre a Gerenzano si trova una seconda sede di DiaSorin. Ed è proprio sui rapporti commerciali tra Servire e DiaSorin che gli inquirenti puntano la lente.
L’obiettivo è analizzare le fatture emesse dalla società di Gambini verso DiaSorin per capire quanto siano reali. Secondo i primi accertamenti molte causali allegate alle fatture risultano troppo generiche. Quasi tutte, secondo gli inquirenti, hanno le indicazioni “servizi vari”. Un elemento che se pur ancora da confermare ha messo la procura di Pavia sulla pista investigativa di fatture false per operazioni inesistenti. Al momento però nessun nuovo capo di imputazione è stato aggiunto. Di certo i rapporti tra Servire e DiaSorin sono molto stretti. Con le fatture emesse tra il 2019 e il 2020 si arriva a circa 1,5 milioni di euro. Nel solo 2019 la cifra è stata di 1,2 milioni a fronte di un volume d’affari dichiarato dalla società del leghista di 1,3 milioni. Dai numeri si comprende come DiaSorin sia quasi l’unico cliente di Servire. C’è poi da capire come la società di Gambini, con appena sette addetti dichiarati al 30 marzo, riesca a fornire servizi a DiaSorin per oltre un milione di euro.
Un altro collegamento su cui indagano i magistrati, spiega Il Fatto, riguarda il fatto che i vertici del San Matteo si siano rivolti a uno studio legale vicino alla Lega, mentre le intercettazioni fissano i contatti tra alcuni vertici dell’ospedale indagati e Giulia Martinelli (non indagata), capo segreteria di Fontana nonchè ex compagna di Matteo Salvini.
Tra le mail interne all’ospedale c’è poi quella di una funzionaria che il 16 marzo scrive al direttore scientifico Giampaolo Merlini (indagato) sollevando dubbi sulla bozza dell’accordo, a suo dire troppo sbilanciato a favore di DiaSorin. La donna è già stata sentita dai pm che vogliono capire da chi arrivò la bozza e chi ne decise il contenuto.
(da agenzie)
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Agosto 5th, 2020 Riccardo Fucile
LA REAZIONE DI DUE BAGNANTI CONTRO LA MADRE DEL BAMBINO.. LA MAGISTRATURA PROVVEDA A IDENTIFICARLE E DENUNCIARLE, CI SIAMO ROTTI I COGLIONI DEI DEMENTI IN CIRCOLAZIONE
“Il Covid non esiste: niente distanze. Se tuo figlio è malato tienitelo in casa”. Sarebbe stata questa la reazione di due turiste della costa apuana, in Toscana, contro una madre che chiedeva attenzione per il suo bambino, reduce da un trapianto. A riportare la vicenda è Il Tirreno.
Se lo è sentito gridare addosso, muso a muso, con una cattiveria ingiustificabile, per uno spicchio di ombra negato una mamma coraggiosa, al mare sulla costa apuana con il suo “bambino di ceramica”.
Secondo quanto riportato al quotidiano, la donna e il figlio sarebbero stati aiutati da altri bagnanti, che avevano assistito con incredulità alla scena.
(da agenzie)
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Agosto 5th, 2020 Riccardo Fucile
L’ANALISI DI SIEROPREVALENZA DELL’ISTAT: IL 2,5% DEGLI ITALIANI E’ CONTAGIATO DA COVID-19
La recente analisi dell’Istat fornisce, finalmente, una informazione fondamentale relativamente al
reale numero di persone che hanno contratto il virus durante la pandemia Covid-19.
Rispetto al numero degli infetti registrati dal sistema della sanità pubblica, circa 250.000 persone, un numero circa sei volte maggiore, pari a 1.482.000 persone, hanno contratto il virus, per lo più senza mostrare effetti particolari. Si tratta del 2.5% degli Italiani.
Questa preziosa informazione, ottenuta tramite l’analisi del sangue e l’identificazione dell’Rna virale nei campioni di 66.400 individui scelti in modo casuale, permette di chiarire il mistero del tasso di decesso che ha caratterizzato l’epidemia nel nostro paese.
In Italia, infatti, il rapporto tra il numero di decessi e il numero di infetti supera il 14%, con punte che sfiorano il 17% in Lombardia. Si tratta di un numero molto più alto di quanto osservato in altri paesi, tipicamente minore del 5%.
I dati dell’Istat permettono di stabilire che a livello nazionale, il rapporto tra decessi e il totale degli infetti è invece molto più basso, 2.14%, facendo rientrare nella normalità la mortalità dell’epidemia registrata in Italia.
È interessante osservare come, regione per regione, l’effetto dei risultati sierologici, cambi completamente la mappa del tasso di mortalità . Si va dal minimo della Basilicata (0.6%) al massimo dell’Emilia Romagna (3.4%).
Si attenua anche l’effetto Nord-Sud sul tasso di mortalità : in particolare si nota come la Lombardia, che risultava essere la regione con il massimo del tasso di mortalità (16.8%), rientra ora nella media nazionale (2.2%).
In altri termini il tasso elevatissimo di mortalità in Lombardia era dovuto alla diffusione raggiunta dall’epidemia (il 7.5% dei lombardi ha contratto il virus, circa 750.000 persone), non a condizioni ambientali particolari e neppure alla difficilissima situazione in cui si è trovato il sistema sanitario lombardo che ha dovuto fronteggiare un numero enorme di casi.
Occorre però notare che questo dato potrebbe essere ritoccato al rialzo considerando i casi di morti da Covid che però non sono stati registrati come tali durante il picco dell’infezione in alcune delle zone della Lombardia.
Sarà interessante capire le cause della significativa dispersione di valori nel tasso di mortalità : tra la Basilicata e l’Emilia Romagna c’è una differenza di quasi 6 volte. Questo può essere legato a vari fattori, in particolare all’età media dei pazienti colpiti: il peso del contributo delle RSA sul totale, diverso regione per regione, influenza certamente questi valori e deve essere considerato.
Con questi risultati la pericolosità di questo virus risulta ancora più evidente. Gran parte dei contagiati, pur essendo contagiosi per un periodo variabile da pochi giorni a una settimana, risultano completamente invisibili al sistema di protezione.
Qui non si tratta solo di asintomatici, vale a dire di persone che sono state individuate con i tamponi ma che non avevano avuto sintomi. Rispetto agli asintomatici contagiosi “identificati” un numero molto maggiore di asintomatici contagiosi “non identificati” ha circolato e circola nel nostro Paese.
Il 2.5% della popolazione è un numero elevato: naturalmente non si tratta di persone in cui è attiva la malattia, nè che sono contagiose.
Questo numero però da una idea di come al crescere degli “infetti identificati” — crescita chiaramente in corso nelle settimane che hanno seguito la fine del lockdown come discusso per esempio qui — può anche crescere fino a 6 volte di più (dipende dall’efficacia del tracciamento in atto nel contenimento dei focolai) il numero di infetti contagiosi circolanti.
Per cui dobbiamo assolutamente continuare a difenderci dal nemico invisibile mantenendo la massima attenzione nel rispetto delle procedure di distanziamento sociale e di protezione personale.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 5th, 2020 Riccardo Fucile
L’ORDINE DEI MEDICI HA RACCOLTO LE DRAMMATICHE TESTIMONIANZE DEI SUOI ISCRITTI
“Siamo stati abbandonati da chi doveva dirigerci”. Elena Vitali fa il medico di famiglia a Milano. Nel ripercorrere quei mesi terribili, che nessuno avrebbe immaginato, usa la parola “amarezza”. Non è l’unica: molti suoi colleghi, che come lei hanno deciso di sedere davanti a un foglio bianco e raccontare cosa hanno vissuto, usano quel termine. Insieme a “paura”, “angoscia”. Alcuni, “impotenza”.
Elena Vitali è una dei medici che, nelle scorse settimane, ha risposto all’appello lanciato dall’Ordine dei medici di Milano e ha inviato la sua testimonianza per raccontare cosa ha significato, per lei camice bianco, vivere sulla sua pelle e nella sua professione il Covid-19. Un’epidemia che sembrava lontana migliaia di chilometri, confinata in Cina, e che è arrivata qui e ha cambiato tutto. Il cui inizio per Michele Bandirali, radiologo che lavora a Codogno, primo epicentro del virus, non potrà mai essere cancellato: “Non dimenticherò quel giorno – scrive – come non ho dimenticato cosa stavo facendo l’11 settembre 2001”
Sono un racconto amaro e diretto, le testimonianze dei medici milanesi e lombardi. Che l’Ordine ha raccolto in un’edizione straordinaria del suo bollettino, “Informami”, dando vita a “un vero e proprio diario dalla trincea – spiega il presidente, Roberto Carlo Rossi – che contiene testimonianze dirette, ma anche polemiche spontanee sorte in merito alla gestione delle informazioni sul virus, per offrire un punto di vista inedito”.
Questi racconti, allora, riportano alla mente le sirene delle ambulanze, gli ospedali inaccessibili, le strade deserte, il silenzio del blocco totale. Le camionette dell’esercito a Bergamo, per potare via le bare dei morti.
Elena Vitali mette in fila tutto quello che a parer suo non è andato come doveva, in quei mesi terribili. Lei che quando è scoppiato tutto era dall’altra parte del mondo, in viaggio con il marito, e online ha cercato di comprare quelle mascherine che già erano introvabili.
“È mancato un piano della protezione civile, su epidemia o attacco terroristico biologico, che avrebbe dovuto avere i dpi per sanitari e altre figure chiave – si sfoga – e che avrebbe dovuto sapere come trasformare gli ospedali con entrate separate per renderli luoghi più sicuri, sapere che i colleghi ospedalieri non avrebbero dovuto essere rimandati in famiglia senza una diagnosi certa e nel frattempo tenerli in un dormitorio apposito, sapere che un familiare di possibile infetto esce per necessità , sapere che i pazienti sospetti dovrebbero essere isolati anche dalle loro famiglie in luoghi protetti”.
Stefania Acerno è una neurochirurga del San Raffaele: a inizio marzo dà la sua disponibilità per lavorare con i pazienti Covid, con lei in reparto “un ortopedico, un otorino, un urologo, un neurochirurgo”.
Fatica, stanchezza, paura: nelle sue parole ci sono tutte, insieme con il ricordo di quando durante la “prima notte di auto- esilio fuori casa, perchè non sono riuscita a convivere in pace con l’idea di far sopportare ai miei cari il peso delle mie scelte, ho pianto. A dirotto”.
Anche Marina Boeri, chirurga ed ematologa, ha lavorato in un reparto Covid: il figlio di un paziente, che rischiava di non farcela, le ha chiesto di far dare al padre l’estrema unzione. Il prete non poteva però entrare in reparto, ha autorizzato lei a farlo: “Mi accosto al letto del malato, che è sotto Cpap (il casco per la ventilazione meccanica, ndr) e in trattamento con morfina e recito un Pater Noster – ricorda – . Quindi lo benedico usando parole richiamate da luoghi della mente lontani. E traccio nell’aria il segno di croce. Calogero (il paziente, ndr) ripete il segno di croce andando a cozzare contro il casco di plastica. Nello stesso momento, il suo vicino di letto, musulmano e non parlante italiano, prende dal comodino il suo rosario dai grossi grani di legno e si mette a pregare. Esco da quella stanza diversa da come c’ero entrata”.
E poi ci sono i medici che, il virus, l’hanno vissuto sulla loro pelle.
“Quando la pandemia è scoppiata a Bergamo ho pensato: questa volta nell’occhio del ciclone ci sono io”, scrive Marzia Bronzoni, medico di famiglia di Seriate. Si è ammalata, ha cercato di seguire i pazienti a distanza nonostante anche lei lottasse contro il virus. E dopo? “Resto sola nella colpa che sento con alcuni miei pazienti, per non essere stata nelle condizioni di poterli curare al meglio, così come avrei voluto”.
C’è anche il trauma della malattia, la paura: Pietro Roberto Goisis, psichiatra e psicoanalista, è stato ricoverato a metà marzo, il suo è stato “un corpo a corpo intenso e appassionato con Mister Corona”. Quando viene finalmente dimesso, vorrebbe abbracciare una delle colleghe che l’ha curato: “Non si può. ‘Però stringerci le due mani sì’, dice lei. Lo facciamo con il piacere e l’intensità consentiti. ‘Non so come ringraziarvi’. ‘Siamo noi a ringraziare lei’. Nascondiamo due lacrime”.
(da agenzie)
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Agosto 5th, 2020 Riccardo Fucile
E’ USCITO DALL’OSPEDALE L’APPUNTATO CHE FUORI SERVIZIO ERA INTERVENUTO PER SEDARE UNA RISSA
Giovanni Ballarò, appuntato dei carabinieri vittima di una aggressione selvaggia domenica sera nel
cuore della movida di Castellammare di Stabia, parla oggi con Repubblica Napoli dopo essere stato dimesso dall’Ospedale del mare dove era stato trasferito per accertamenti:
«Rifarei tutto — sottolinea — Mi sono fiondato lì senza pensarci un attimo». Perchè? «Questo è il mio lavoro», spiega in una telefonata breve col sindaco Gaetano Cimnino.
Più senso del dovere che lavoro, a dire il vero. Che gli hanno fatto subire numerosi colpi di casco sulla testa, calci e pugni. L’affronto di venire derubato del portafogli mentre è a terra inerme. Non commenta tutto questo, Ballarò, parlando al telefono con il sindaco di Castellammare di Stabia, mentre sua moglie Luisa ringrazia gli amici su Facebook per le manifestazioni di solidarietà , anche lei senza fare commenti.
Il sindaco Cimmino lo ha chiamato ieri mattina per avere sue notizie direttamente dalla sua voce. Una telefonata di appena quattro minuti. Tempi brevi in cui il primo cittadino ripete all’appuntato quello che aveva già detto subito dopo il raid: «Questa non è la mia città . Castellammare è un’altra cosa».
E l’appuntato Ballarò replica: «Questa città è bellissima — risponde — Mi piace frequentare la Villa comunale. Quelle persone non c’entrano nulla con Castellammare».
Cimmino gli chiede come si sente.«Il peggio è passato», risponde ancora l’appuntato. E poi «Non vedo l’ora di tornare a indossare la divisa. Amo il mio lavoro».
Intanto ci sono gli indagati per lesioni pluriaggravate: si tratta di Pio Lucarelli, 19 anni; Ferdinando Imparato, di 27; Giovanni Salvato, 22 anni, e un diciassettenne per cui procede la Procura dei minori.
C’è anche un quinto membro del branco di sette aggressori, il quarantasettenne Antonio Longobardi, che si è costituito lunedì sera.
Quest’ultimo, stando alla visione del filmato a disposizione degli investigatori (non c’è un video della telecamera del Comune perchè guasta) sarebbe l’uomo che ha colpito alla testa Giovanni Ballarò con un tavolino di metallo che si trovava all’esterno di un bar. Gli ultimi due sono ancora latitanti.
(da agenzie)
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Agosto 5th, 2020 Riccardo Fucile
VEDRAI CHE GLI ITALIANI TI ACCOMPAGNERANNO, MA IN GALERA… DOPO AVER FATTO DI TUTTO PER SOTTRARSI AL PROCESSO, HA PURE IL CORAGGIO DI DIRE “DI SOLITO I POLITICI SCAPPANO DAI PROCESSI”: UOMO SENZA VERGOGNA
Tu chiamale se vuoi eversioni. O tentativi di intimidazione.
Matteo Salvini annuncia che chiamerà a raccolta gli italiani il 3 ottobre, giorno in cui dovrebbe svolgersi l’udienza preliminare sulla richiesta di rinvio a giudizio per sequestro di persona dell’ex ministro dell’Interno per la gestione nello sbarco di 131 migranti bloccati a bordo di nave Gregoretti, della Guardia Costiera italiana, da 27 luglio al 31 luglio 2019, quando giunse l’autorizzazione all’approdo nel porto di Augusta, nel Siracusano.
“Affronterò il 3 ottobre a testa alta, col sorriso, e penso che tanti italiani mi accompagneranno a Catania. Penso che il 3 ottobre sarà una festa di libertà democrazia di orgoglio italiano. Invito già da oggi tutti gli italiani liberi, onesti e orgogliosi a esserci”, ha detto Salvini prima della visita al carcere di Marassi, a Genova (dove avrà preso confidenza con le celle)
E la dichiarazione è già di per sè imbarazzante, perchè “convocare” i suoi sostenitori in tribunale potrebbe dar luogo a problemi di ordine pubblico visto che si tratterebbe di una manifestazione non autorizzata.
Ma soprattutto, presentarsi con i propri sostenitori nel giorno in cui si deve svolgere un’udienza, a parte la deriva sudamericana di una scelta del genere, potrebbe costituire un chiaro metodo di intimidazione nei confronti dei giudici e del pubblico ministero che deve sostenere l’accusa.
Eppure era stato lo stesso Salvini ad appellarsi a Mattarella per avere un processo giusto e imparziale. All’epoca il presidente del tribunale di Catania Sarpietro gli aveva anche risposto: “Stia tranquillo il senatore Salvini, avrà un processo equo giusto e imparziale come tutti i cittadini“
“Non vedo l’ora che arrivi quella giornata, di solito i politici scappano dai processi”, ha concluso il Capitano. E qui siamo alla farsa: prima voleva far votare Sì al processo, poi ha fatto di tutto per sottrarsi al giudizio e ha fatto votare No. Tipico esempio di di crede di contare sull’impunità e ha paura di farsi giudicare come avviene per tutti i cittadini.
Senza vergogna.
(da agenzie)
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