Aprile 5th, 2021 Riccardo Fucile
DAI BANDI REGIONALI ALL’INSALATA DI STOCCAFISSO
Dai bandi regionali all’insalata di stoccafisso, dalla falsa modestia con cui glissa su
una futura candidatura all’inchiesta flash sui programmi per cena dei suoi social elettori.
Fa discutere tutti e indigna molti l’ultimo video del governatore facente funzioni della Calabria, Nino Spirlì, che qualche sera fa si è video-intrattenuto con i suoi follower su Facebook discettando su carciofi ripieni, pipi e patate (peperoni e patate) e pennette al salmone.
Argomenti “pregnanti” saltati fuori dalla fondamentale questione posta dal presidente reggente ai suoi: “Ma stasera cosa mangiate? Mi piacerebbe sapere anche questo di voi. Io penso di provare un po’ di stoccafisso e di insalata”. Segue una raffica di risposte, che Spirlì non esita a commentare dalla zuppa di farro – “buona” sentenzia Spirlì – alla pastina di Enzino che il governatore evidentemente conosce, perché approfitta del suo commento per raccomandargli “un saluto a Laura”.
Per il presidente regionale del Codacons Francesco Di Lieto, che ha segnalato il video, “siamo oltre il ridicolo”.
Ma non è la prima volta che il presidente facente funzioni di Regione Calabria si lascia andare a interventi social decisamente sopra le righe. Anzi, che Spirlì abbia un rapporto assai disinvolto con Facebook, spesso usato anche per sostituire o anticipare le comunicazioni istituzionali, è cosa nota, così come famosi sono ormai i video registrati in auto mentre viene accompagnato da una parte all’altra della regione.
Arringhe contro gli insegnanti stufi di essere parcheggiati arbitrariamente in Dad, allusive quanto velenose comunicazioni contro misteriosi “nemici della Calabria”, orgogliosi annunci di progetti faraonici che una regione condannata all’ordinaria amministrazione dalla morte della sua governatrice eletta non potrebbe varare, sobrie raccomandazioni a rispettare distanziamento e norme di sicurezza da buon padre di famiglia.
Il surreale sondaggio sulla cena dei calabresi è un passo oltre, ma la riedizione riveduta e corretta degli abusi gastronomici del suo leader, Matteo Salvini, che qualche anno fa non faceva passare giorno senza addentare qualcosa a favore di fotocamera, sembra tutto meno che estemporanea.
E a farselo scappare è proprio Spirlì, che a chi gli chiede di candidarsi alle prossime regionali risponde “intanto facciamo bene quel che dobbiamo fare”, mentre – tra un commento goloso e l’altro – coccola i suoi: “Bello, sapere che ci scambiamo anche – lo spezzatino di Gianpino mmm -ogni tanto le notizie più familiari”.
Dopo un anno di pandemia, cosa c’è di più rassicurante di un “politico che è quasi uno di famiglia”?
Una vita fra tv e salotti, per il presidente facente funzioni la comunicazione è materia nota ed esplorata. Lo scivolone non è contemplato a meno che non serva per fare rumore e adesso che nel centrodestra i giochi per le regionali entrano nel vivo, il governatore ha voglia e bisogno di farsi notare.
Ufficialmente non l’ha mai detto, ma ad una candidatura da presidente ci spera, forte anche dell’endorsement neanche troppo velato di Matteo Salvini, che nonostante la sua Lega continui a perdere pezzi in Calabria, ai suoi non ha nascosto la volontà di spingere per Spirlì.
Un modo per ridimensionare gli alleati-rivali di Fratelli d’Italia, che pressano per una candidatura della loro deputata e plenipotenziaria in Calabria, Wanda Ferro, e per dare fastidio a Forza Italia, cui in base ai precedenti accordi spetterebbe l’indicazione del candidato unico del centrodestra.
Anche qui, i giochi sarebbero fatti. La scelta sarebbe caduta sul capogruppo alla Camera, Roberto Occhiuto, fratello dell’attuale sindaco di Cosenza, che già parla da candidato in pectore e come tale è stato blindato da Silvio Berlusconi e dal suo numero due, Antonio Tajani.
Ma l’ufficializzazione manca ancora e secondo alcune indiscrezioni, nei prossimi giorni la questione potrebbe finire nel mucchio della più generale discussione sulle elezioni d’autunno nelle grandi città italiane. Nessuna è ancora stata definita e al tavolo nazionale del centrodestra tutto, Calabria inclusa, potrebbe essere messo in discussione.
(da agenzie)
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Aprile 5th, 2021 Riccardo Fucile
“STIAMO CAMMINANDO SU UN TERRENO MINATO, BISOGNA SPINGERE PER RIMPIAZZARE ASTRAZENICA CON ALTRI VACCINI”
I casi di trombosi avvenuti in Italia dopo le inoculazioni del vaccino Astrazeneca preoccupano la popolazione e la classe medica: c’è correlazione tra questi eventi e il siero anticovid?
Al momento la scienza non ha fornito una risposta al quesito: dopo una breve sospensione disposta a livello europeo il vaccino Astrazeneca è tornato ad essere utlizzato nei paesi dell’Unione, cambiando nome e con un aggiornamento del suo bugiardino. Le trombosi sono state inserite come possibili, anche se rari, eventi avversi.
“Questi episodi si sono registrati quasi esclusivamente in pazienti giovani, non soggetti a rischio trombotico – spiega a Primocanale il dottor Pietrino Forfori, flebologo e chirurgo vascolare – le trombosi avvengono per un disordine della coagulazione che avviene in ogni punto e non sono associate alla presenza di varici che coinvolgerebbero una porzione ben più vasta della popolazione. I meccanismi biologici che governano l’immunità hanno molte parti in comune con i processi che regolano l’infiammazione e la coagulazione: stiamo camminando su un terreno minato, probabilmente si instuarano dei processi che avviano dei fenomeni che portano alla formazione del trombo nei siti più disparati”.
“Non ci sono particolari consigli che si possano dare in vista dell’appunamento con il vaccino – prosegue Forfori – perché non sembra che i soggetti che sono stati interessati dalle trombosi avessero un qualche quadro pregresso di disordine coagulativo, quindi anche i test che si fanno prima di prescrivere la pillola contraccettiva, per esempio, non sembrano particolarmente appropriati”.
Dunque cosa fare, sospendere Astrazeneca? “Questi episodi si sono registrati solo con un determinato vaccino quindi indipendentemente dalle risultanze scientifiche è indubbio che la percezione sia di generale diffidenza. E’ difficile spiegare ai familiari dei pazienti colpiti da trombosi che i casi sono limitati: i loro cari si sono presi il 100% del rischio e questo non possiamo non tenerlo in considerazione. La mia opinione su questo argomento è una sola: escludere dalla somministrazione il vaccino che spaventa la gente e spingere il piano vaccinale con gli altri sieri. Soprattutto quelli monodose che sono estremamente vantaggiosi visti i tempi stretti che abbiamo per immunizzare la maggior parte dei nostri connazionali”.
Il problema è però l’approvviggionamento: “E’ un problema frutto di scelte errate- conclude il dottor Pietrino Forfori – è assurdo avere firmato dei contratti senza penali con aziende che ora sono libere di non rispettare le consegne. Io cercherei di sfruttare questo momento per rimpiazzare Astrazeneca con altri vaccini”.
(da Primocanale)
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Aprile 5th, 2021 Riccardo Fucile
DOPO LA PELLEGRINI, IL MILAN, LA NAZIONALE, LUNA ROSSA, SALVINI COLPISCE ANCORA
Per Matteo Salvini non è esattamente un periodo brillante. I sondaggi danno la
Lega in calo e il concorrente Fratelli d’Italia in crescita, nel governo di Mario Draghi la linea aperturista non incide. Tanto che lui, secondo alcuni rumors, medita l’addio alla maggioranza. Da stanotte però sarà anche costretto a fronteggiare un’accusa dura, soprattutto in Italia. Quella di #Salviniportasfiga.
Ieri sera infatti è diventato trending l’hashtag che lo accusa di non essere esattamente un portafortuna. E tutto questo perché il tennista 19enne italiano Jannik Sinner è stato battuto 7-6 6-4 dal polacco Hubert Hurkacz nella finale del Miami Open in Florida. Per Sinner è arrivata la grandissima soddisfazione di essere arrivato alla finale, aver accarezzato il sogno di vincere il suo primo Atp, il che avrebbe fatto di lui il più giovane italiano nella storia a conquistare un successo in questo circuito.
Per Salvini invece è arrivata l’accusa di “portare sfiga”, e questo per un motivo ben preciso.
La strategia di comunicazione del Capitano prevede di legare la sua immagine agli sportivi e allo sport, di cui celebra spesso i momenti importanti su Twitter e Facebook anche per raccattare like (visto che la sua pagina ha dimezzato i like da quando la Lega è al governo). E così Salvini ha fatto i complimenti a Sinner quando è arrivato in finale.
Quello che accade dopo è facilmente intuibile.
Lo sportivo prima o poi perde e a quel punto gli auguri o i complimenti di Salvini diventano un modo per schernirlo accusandolo di portare sfiga.
È successo con Federica Pellegrini, Luna Rossa, il Milan, la Nazionale italiana: ogni volta Salvini si presenta a complimentarsi, poi arriva la sconfitta
È successo molto spesso con il Milan: nel settembre 2019 #Salviniportasfiga era tornato in tendenza quando il Capitano era andato a vedere il derby, con tanto di scatto gioioso dalle tribune. Ma i rossoneri persero 2 a 0.
L’utenza accusò Salvini di portare sfiga anche quando rivelò che avrebbe tifato per la Croazia nella finale con la Francia. Alla fine infatti hanno vinto i francesi.
Mentre c’è un precedente storico piuttosto famoso. Quello del Mondiale del 2006, quando tifò contro l’Italia sperando nella vittoria della Germania e delle Francia tra semifinale e finale. Quello fu l’ultimo Mondiale vinto dagli azzurri.
E poi ci sono i Socialisti Gaudenti, che hanno proposto una petizione per chiudere l’account di Salvini in occasione delle Olimpiadi. Povero Capitano.
(da agenzie)
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Aprile 5th, 2021 Riccardo Fucile
STORIA DELLA PRASSI PREFERITA DAI POLITICI E DAI LORO ELETTORI
Dal Regno d’Italia alla Repubblica. La Prima e pure la Seconda. Un secolo e mezzo di storia costellata da una lunga scia di condoni e sanatorie di tutti i tipi in favore dei contribuenti disonesti.
Varati da governi e maggioranze di ogni colore, spesso nel silenzio delle opposizioni. Ché il partito degli evasori è variegato e trasversale. Ma, soprattutto, sposta consensi. Una lezione, del resto, appresa già dagli antichi romani con la favolosa remissio tributi del 118 dell’imperatore Adriano… Il primo esempio di sanatoria in campo tributario risale a poche settimane dopo l’Unità d’Italia, grazie a un regio decreto varato a giugno del 1861: riguardava l’abbuono di pene pecuniarie per omissioni relative alle rendite soggette a tassa di manomorta.
E il Duce? Per lui gli evasori delle imposte erano “i peggiori parassiti della società nazionale”. Tuttavia cancellò una norma chiaramente anti evasione voluta da Giovanni Giolitti, quella sulla nominatività dei titoli azionari, e accordò trattamenti di ultra favore per alcuni ceti produttivi – la quasi completa franchigia agli agricoltori assistiti da una serie di altre importanti provvidenze – oltre che alle famiglie numerose.
Caduto il Fascismo, l’andazzo non cambia. La Repubblica d’altra parte si inaugurò con la depenalizzazione valutaria contenuta nell’amnistia del 1946 voluta dal ministro della Giustizia Palmiro Togliatti, poi seguita dall’amnistia del ‘48 per i reati finanziari commessi fino a tutto il 1947, cui si aggiunse un analogo salvacondotto per quelli fino al 1958 e poi ancora amnistia e indulto per i reati tributari compiuti fino al 1966: dall’inizio del secolo fino ai primi anni ‘70 i provvedimenti per mettere una pietra sopra alle pendenze pregresse anche con il fisco furono in tutto 33.
Ma l’epoca d’oro delle sanatorie si aprì nel 1973 con un mega-condono di debiti di imposta accompagnato dalla solita amnistia, giustificati dalla transizione a un nuovo sistema tributario e dalla necessità di abbattere l’imponente contenzioso.
Nel 1976 a Palazzo Chigi c’era il diccì Aldo Moro, quando il governo decise di varare uno scudo fiscale ante litteram per il rientro dei capitali che consentì allo Stato di incassare duemila miliardi di lire, assai meno di quanto sperato.
Tre anni più tardi il condono venne adottato invece per i debiti previdenziali per consentire ai datori di lavoro di mettersi in regola con l’Inps.
Il 7 agosto 1982 fu la volta della legge che, brandendo il bastone delle manette agli evasori, regalava la carota dell’amnistia per reati tributari. Meglio di un gol di Paolo Rossi ai Mondiali, vinti quell’anno dalla Nazionale in Spagna.
Nel 1985, sotto Craxi fu la volta della normativa sull’utilizzo dello scontrino fiscale in funzione anti-evasione. Ma con quanta convinzione? Pochissima sicché qualcuno, malignamente, prese a dire che la vera ragione della misura era di fare arricchire l’Olivetti, ditta leader dei registratori di cassa, di cui il ministro Visentini era stato presidente fino a poco tempo prima. Maledette coincidenze.
Nel 1989, il governo guidato dal democratico-cristiano Ciriaco De Mita, si diede un gran daffare: una sanatoria immobiliare, un condono sulla tassa dei rifiuti, uno sugli ex forfettari e un decreto sulle irregolarità tributarie formali.
A luglio del 1991 il Ministero delle Finanze guidato da Rino Formica, varò poi un condono tombale per sanare la bellezza di ben 17 anni di imposta, dal 1974 al 1990. E la Seconda Repubblica? Iniziò esattamente come la Prima.
Nel 1994 il tandem Berlusconi–Tremonti spalancò le porte al ravvedimento tramite pagamento di un obolo per chiudere le liti pendenti con il Fisco e a una procedura di conciliazione per scongiurare il contenzioso tributario futuro. Col governo tecnico di Lamberto Dini stesso spartito.
Nel 1995 il ministro delle Finanze Augusto Fantozzi varò un concordato fiscale di massa. Di cui si avvantaggiò lo stesso ministro. 22 maggio 1997, clima da fossa dei leoni al Senato. Romano Prodi per entrare nella moneta unica riaprì i termini per accedere ad alcuni condoni fiscali pregressi, dal concordato di massa alla sanatoria per la minimum tax – escogitata da Giuliano Amato qualche anno prima – passando per la chiusura agevolata delle liti fiscali pendenti.
Nel 2001 riecco Berlusconi riaprire le danze a Palazzo Chigi con uno scudo fiscale per incentivare il rientro dei capitali dall’estero con la scusa dell’imminente messa in circolazione dell’euro.
E poi il condonissimo del 2002: in un sol colpo un concordato, una sanatoria per omessi o tardivi versamenti, un’altra per le scritture contabili, le tasse automobilistiche e soprattutto un condono tombale. E non finisce qui.
Nel 2009 ancora Berlusconi, sempre in tandem con Tremonti, concede il bis dello scudo fiscale per tutte le operazioni illecite, anche di imprese estere controllate o collegate, finalizzate alla costituzione delle disponibilità economiche all’estero. Neppure Sua austerità Mario Monti deluse le aspettative: tagli, tasse, sacrifici tali da far addirittura piangere la ministra Elsa Fornero e soprattutto i pensionati colpiti nel portafogli.
Alla presentazione del decreto Salva-Italia, una purga per i critici, il nuovo Presidente del consiglio presentò la norma come una rivoluzione: lotta all’evasione a tutto spiano e basta condoni. Peccato per la manina che aveva inserito tra le pieghe del provvedimento la proroga di un anno dei termini di accertamento per i furbetti del condono berlusconiano del 2002 che se l’erano cavata senza pagare tutto il dovuto.
Altro premier, altro giro. Di slot machine. La cui liberalizzazione avviata da Berlusconi prevedeva, tra gli altri, l’obbligo di collegare in rete gli apparecchi per consentire un monitoraggio costante sulle giocate effettuate ai fini del prelievo fiscale.
Obbligo, però, che dieci società violarono almeno fino a quando la Procura generale della Corte dei Conti del Lazio decise di citarle in giudizio insieme ad alcuni dirigenti dei Monopoli per non aver vigilato. Causando un gigantesco danno erariale che spinse la stessa Procura a chiedere un risarcimento monstre di 89 miliardi di euro.
Ma la Corte dei Conti comminò in primo grado ai gestori delle diaboliche macchinette sanzioni per “soli” 2,5 miliardi. Ed è a questo punto della storia che entra in gioco il governo Letta. Con una norma inserita nel decreto Imu che regalò ai signori delle slot un maxi-sconto fino al 75% sulla sanzione pecuniaria. Risultato: i concessionari se la cavarono pagando appena circa 600 milioni.
Nel 2014 scambio della campanella, a Palazzo Chigi, tra Letta e Matteo Renzi. Che, divenuto presidente del Consiglio, mosse subito i primi passi nella giungla della normativa fiscale con l’introduzione della controversa voluntary disclosure per l’”emersione e rientro di capitali detenuti all’estero”.
Fu sempre Renzi a coniare un nuovo genere della letteratura tributaria con la rottamazione delle cartelle esattoriali per regolarizzare i debiti contratti con il Fisco tra il 2000 e il 2015, pagando sì l’intero importo dovuto, ma senza interessi di mora né sanzioni aggiuntive.
Un provvedimento bissato nel 2017 dal suo successore, Paolo Gentiloni. Poi emulato con la rottamazione ter pure dal governo gialloverde guidato da Giuseppe Conte. E non è tutto.
Perché sempre l’esecutivo Conte I, con la Manovra 2019, ha introdotto anche la possibilità di archiviare le pendenze con il Fisco ricorrendo alla procedura del “saldo e stralcio” senza corrispondere neppure le sanzioni e gli interessi di mora.
Col nuovo premier Mario Draghi ci si aspettava, invece, un cambio di passo. Almeno a sentire il suo intervento sulla fiducia, il 17 febbraio 2021 nell’Aula del Senato, in cui lanciò “un rinnovato e rafforzato impegno nell’azione di contrasto all’evasione fiscale”. Una promessa non mantenuta, smentita appena un mese dopo, dall’ennesimo condono a favore di furbetti e furboni del Fisco, inserito nelle pieghe del decreto Sostegni.
E questa volta senza neanche nasconderlo: “Sì, è un condono…”, ha ammesso candidamente l’ex presidente della Bce. Insomma, tutti felici e condonati.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 5th, 2021 Riccardo Fucile
L’ANALISI SULLA VOLITIVITA’ ELETTORALE
Lo sappiamo da anni ormai. La volatilità elettorale, la infedeltà cioè al proprio partito, o quanto meno all’ultimo partito votato, sta raggiungendo vette inesplorate in tutta la storia elettorale italiana.
Se si escludono le consultazioni del 1994, quando l’offerta politica era mutata in maniera significativa, fino ad un decennio fa il mutamento di voto tra una elezione e l’altra era rimasto circoscritto attorno al 10-15% dell’elettorato.
Nelle ultime due Politiche e nelle ultime due Europee, al contrario, i tassi di infedeltà sono almeno raddoppiati, avvicinandosi quasi al 40% del corpo elettorale, il che significa che soltanto poco più di un elettore su due ha confermato la propria scelta di partito fatta nella consultazione precedente
La storia della fedeltà elettorale è piuttosto lunga e complessa, ed ha vissuto tre fasi particolarmente significative.
Fino agli anni Ottanta il sistema partitico è stato caratterizzato da un’estrema staticità, con incrementi o decrementi dei consensi limitati a pochi punti percentuali: l’elettore aveva un alto livello di vischiosità (si è per questo coniato il termine di “fedeltà pesante”), derivante o da appartenenza (sub-culturale) o dal voto di scambio, che permetteva il costante processo di allocazione mirata delle risorse economiche, determinante soprattutto nel meridione a favore del partito egemone, la DC.
A partire dagli anni Novanta, con il deciso incremento del voto d’opinione, il concetto di “fedeltà leggera” diviene un patrimonio interpretativo particolarmente efficace per leggere i risultati elettorali.
L’idea si basa sul presupposto che, da un parte, il credo politico non sia più così fondamentale, per il cittadino-elettore, nella formazione della propria personalità, come lo era stato al contrario nei decenni precedenti (da qui, l’idea di una sorta di “leggerezza” nel proprio coinvolgimento elettorale); dall’altra, che permanga comunque una forte fedeltà di voto, legata non già al partito quanto alla propria coalizione o alla propria area politica di riferimento.
Il voto riacquistava dunque una nuova forma di stabilità, motivata non più dall’importanza che il partito rivestiva come rappresentante dei propri interessi, o della propria sub-cultura di riferimento, quanto dalla condivisione delle ideologie che le due aree politiche rappresentavano: destra contro sinistra, stato contro mercato, berlusconismo contro anti-berlusconismo sono state, fino alla fine del primo decennio del nuovo secolo, le fratture che determinavano maggiormente la scelta di voto dei cittadini.
Dal secondo decennio del secolo, infine, con la comparsa di nuove valide alternative di voto (a cominciare dal Movimento 5 stelle) da una parte, e con il progressivo ridimensionamento politico di Berlusconi dall’altra, una parte considerevole di elettori inizia a sperimentare nuove strade, legate più a motivazioni contingenti, episodiche, che a forti legami con i partiti. Così, volta per volta, il cittadino sceglie i partiti personali, gli slogan più convincenti, i temi di attualità, senza più alcuna logica di fedeltà.
Oggi le ultime stime di voto ci raccontano dunque che, rispetto alle ultime europee, soltanto un elettore su tre ha intenzione di ribadire il proprio voto passato. Un mercato elettorale che somiglia sempre più alla scelta di quale serie Tv guardare, nelle lunghe serate di lockdown.
(da Infosannio)
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Aprile 5th, 2021 Riccardo Fucile
QUANTO VALE IL LORO DATABASE?
“La Chiesa e la roba”, si intitolava un articolo pubblicato dal settimanale Il Mondo il 17 maggio 1960. L’autore, il radicale Ernesto Rossi, sosteneva che fosse la Roba, cioè i soldi, a orientare non poche scelte del Vaticano.
Oggi scopriamo che la Roba determina anche molte decisioni politiche dei grillini. È il cospicuo monte stipendi dei loro 240 parlamentari, infatti, a renderli assai riottosi rispetto alla promessa di lasciare il seggio dopo due mandati, per evitare il professionismo politico.
E sono 450mila euro quelli in ballo con la società Casaleggio ereditata da Davide, il figlio del fondatore. Lui pretende il saldo di questa cifra non versata dai parlamentari (300 euro mensili ciascuno) per continuare a fornire i servizi di democrazia diretta, marchio di fabbrica del Movimento 5 stelle: primarie online, referendum, ratifiche di espulsioni, gestione del blog.
Loro non vogliono più dipendere dalla sua piattaforma Rousseau, la quale però contiene lo strumento più prezioso del M5S: l’elenco degli iscritti, la mailing list, il database.
Che, in un partito senza sedi né dirigenti locali, organizzato solo su web, rappresenta il cuore del sistema. La società Casaleggio non ha mai aperto a nessuno questo scrigno. Incredibilmente, neanche i massimi dirigenti nazionali grillini, da Di Maio a Taverna, da Fico allo stesso Grillo, hanno accesso all’indirizzario dei circa 190mila aderenti.
Se un deputato vuole organizzare un evento nel suo collegio, non può invitare gli iscritti della sua città. Il povero Crimi, quando nel 2016 il candidato sindaco di Milano fu scelto con primarie vere, fisiche, dovette verificare una a una l’iscrizione di ogni votante su un computer al seggio del voto. La srl Casaleggio negò l’elenco perfino a lui, fidato proconsole lombardo.
Quanto può valere commercialmente, allora, questo mitico database M5s?
“I database hanno un valore estremamente variabile, che dipende dal numero di soggetti contenuti, dalla quantità di dati e dalle condizioni che rendano possibile e lecita la cessione”, spiega uno dei massimi esperti italiani di diritto informatico e privacy, l’avvocato bresciano Federico Vincenzi. “Sono come una casa di valore enorme: se si scopre che è abusiva, il prezzo crolla. Egualmente, puoi avere migliaia di dati, ma senza un consenso valido per la loro cessione non si possono trasferire a nessuno”. E quindi? “Non so quali consensi ci siano nel database M5s. Dubito però che siano sufficienti a giustificare la cessione, o addirittura una vendita”.
Perchè? “Il Tribunale di Roma ha definito il rapporto tra utente e Facebook ‘contratto a rilevanza sociale’. Perciò alcune piattaforme, e Rousseau per definizione, non possono essere considerate semplici portali privati: incidono sul dibattito politico, sul futuro del Paese. Credo quindi che i dati delle persone, che si sono iscritte perché vorrebbero – ahimè, il condizionale è d’obbligo – partecipare direttamente al processo democratico, non possano essere oggetto di trattative o cessioni come se si trattasse di semplici dati da cedere per fini pubblicitari”.
Vede una via d’uscita? “Quella più naturale sarebbe chiedere un consenso specifico e consegnare solo i dati di chi dice sì. La situazione è inedita, non poteva esser prevista quando la piattaforma è stata creata. Vedo difficile riciclare vecchi consensi. Ne serve uno nuovo. Una seconda ipotesi potrebbe venire ‘dal basso’: gli utenti/elettori che desiderano essere trasferiti alla nuova dirigenza chiedono – come loro diritto – la portabilità: la Casaleggio non potrebbe opporsi”.
E se non si raggiungesse un accordo? “I dati non sono delle parti, ma degli interessati. Non si può giocare con la democrazia. Debiti e crediti vanno regolati a parte. La soluzione non è fare il prezzo dei dati degli elettori”.
Insomma, la società milanese non può tirare troppo sui soldi. Ora i grillini offrono 150mila per coprire i debiti, più un contratto di servizio per il futuro. Degradando però il rampollo Casaleggio al rango di un qualsiasi fornitore tecnico di assistenza telematica. Addio Rousseau e utopie palingenetiche.
“In ogni caso”, spiega Lorenzo Borrè, legale di molti grillini espulsi, “non ci si può sottrarre al passaggio del voto su Rousseau per approvare le modifiche statutarie che Conte proporrà, perché la piattaforma è attualmente l’unico strumento per votare un nuovo comitato direttivo, come previsto dagli Stati generali di novembre”.
In realtà Conte è già stato acclamato Capo unico, e agisce come tale. “Ma legalmente, senza la ratifica di un voto online Conte non conta nulla”, avverte Borrè.
Insomma, bisogna rispettare lo statuto M5s: per fare inversione a U e tornare al Capo unico, i grillini devono passare per forza da Casaleggio.
Senza accordo, il nuovo partito di Conte dovrebbe ricominciare da zero: costruirsi una nuova mailing list di iscritti e forse perfino rinunciare al simbolo.
Quanto a Casaleggio, potrebbe continuare a usare il suo database solo accusando il nuovo movimento di aver violato lo statuto, per poi eleggere propri dirigenti scismatici.
Scenario fantascientifico. Ai grillini, tramontati gli ideali, non resta che spartirsi la Roba: “Dimmi quanti soldi vuoi”, cantava Zucchero.
(da agenzie)
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Aprile 5th, 2021 Riccardo Fucile
“HO TROVATO IL CANCELLO CHIUSO, NESSUN SPIEGAZIONE”
Hanno fatto scandalo le code al Niguarda per i vaccini, costate le dimissioni del
cda di Aria. Sorprende però anche il deserto al Pio Albergo Trivulzio in cui si sono ritrovati i medici per il richiamo: convocati a Pasqua soli dietro un cancello chiuso con comprensibile sconcerto.
“Domenica sono andato lì avendo in agenda l’appuntamento per la seconda dose, fissato alle 12:50. I cancelli di Via Bezzi erano chiusi e in portineria mi hanno detto che tutto il giorno il centro vaccinale sarebbe stato chiuso. Ho iniziato a chiamare Ats ma un’ora di attesa non è bastata, e come altri sono dovuto tornare a casa senza neppure una spiegazione”.
E’ il racconto di un medico milanese che ha impiegato 24 ore per venire a capo di un giallo: come vaccinarsi anche avendo l’appuntamento in mano. E non in un centro vaccinale qualsiasi ma al Pio Albergo Trivulzio, la casa di riposo più famosa d’Italia. Nella pandemia è assurta ad hub metropolitano per lo smistamento dei pazienti Covid nelle Rsa, il primo grande ospizio del Nord finito sotto inchiesta per i contagi (il dg indagato a gennaio).
Quello su cui Letizia Moratti ha poi scaricato la grana dei “baroni” degli atenei milanesi da vaccinare per primi, scalzando gli anziani: docenti universitari, ricercatori, assistenti. Poi però a chi deve vaccinarsi all’ex “Baggina” capita di restare davanti al cancello, l’appuntamento in mano.
E’ successo ad Antonio Pappagallo, ortodonzista milanese e ad altri medici che a Pasqua si sono presentati, puntuali per la seconda dose Pfizer. Della seconda dose, come tutti i medici, aveva bisogno perché la copertura vaccinale è un requisito di legge per poter esercitare.
“Senza – racconta – non sarei potuto tornare a lavorare in studio lasciando a mia volta a piedi i pazienti”. Per 24 ore, come altri in lista, resta in balia dell’incertezza totale, risolta l’indomani solo grazie a un custode comprensivo. Ecco il suo racconto.
“La prima dose me l’avevano fatta domenica 14 marzo e quando mi hanno dato l’appuntamento ho visto che cadeva il giorno di Pasqua ma mi è stato detto di non preoccuparmi che il centro avrebbe lavorato come sempre. Una volta arrivato lì, domenica, ho scoperto che non era così. Ho vagato quasi un’ora per avere spiegazioni finché il portinaio mi ha suggerito di telefonare l’indomani per tentare di recuperare il vaccino. Uscendo incrocio un altro medico e scopriamo che gli appuntamenti erano fissati ogni 10 minuti e ci siamo chiesti quanti quel giorno sarebbero saltati”.
Il giorno successivo, cioè oggi 5 aprile, Pappagallo torna in via Bezzi alle 9:15 e riparte la caccia. “Il centro stavolta è aperto ma all’accettazione mi chiedono se ho più di 80 anni e se insegno all’università. Gli ho dovuto fornire da capo i miei dati spiegando che avevo già detto più e più volte che sono un medico e non un docente. Mi rispondono che era il giorno degli universitari, poi alla fine hanno trovato il tempo di vaccinarmi ma ancora mi chiedo come sia possibile oggi, con tutti gli impegni dei politici lombardi che leggo sui giornali, ritrovarsi con la prenotazione in mano, all’ora giusta nel posto giusto e dover tornare a casa senza sapere nulla”.
Non è stato possibile sapere dal Trivulzio a quanti è toccata questa sorte perché nonostante il ruolo dell’ente pubblico nella pandemia, coi pazienti Covid ricoverati nonché il ruolo di hub vaccinale, l’amministrazione ha pensato bene di rimanere senza un ufficio stampa che possa fornire notizie ai giornalisti. Il ruolo è vacante da metà febbraio e non c’è un bando aperto per la ricerca di personale. Così la linea, fatalmente, è quella del silenzio.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 5th, 2021 Riccardo Fucile
PFIZER E MODERNA HANNO RISPETTATO IL CONTRATTO, ASTRAZENICA HA CONSEGNATO SOLO 4 MILIONI DI DOSI INVECE DEI 16 MILIONI PREVISTI
Raggiunge quota 11.156.326 il numero delle vaccinazioni somministrate in Italia, secondo i dati diffusi dal Ministero della Salute e aggiornati alle 15.31 di oggi, lunedì 5 aprile. Vaccino inoculato a 6.617.620 donne e 4.538.706 uomini. Il totale delle persone vaccinate (a cui sono state somministrate la prima e la seconda dose), invece, è di 3.463.295.
Il maggiore numero dei destinatari è rappresentato da operatori sanitari e sociosanitari (3.066.060), seguito dagli Over 80 (3.818.771), dalla categoria “Altro” (1.906.541), personale scolastico (1.058.146), Ospiti delle Strutture Residenziali (569.723), personale non sanitario (502.352), Forze Armate (234.733).
Le regioni con la percentuale maggiore di somministrazioni rispetto alla dotazione sono Valle D’Aosta (86,8%), Veneto (86,3%), Provincia Autonoma di Bolzano (85,3%), Toscana (83,9%), Provincia autonoma di Trento (86,8%), quella con la minore percentuale è la Calabria (71,5%).
Ecco nel dettaglio le singole regioni: Abruzzo (78,2%), Basilicata (79,3%), Calabria (71,5%), Campania (78,8%), Emilia-Romagna (80,8%), Friuli Venezia-Giulia (80,2%), Lazio (78,3%), Liguria (74,2%), Lombardia (77,3%), Marche (78,1%), Molise (84,9%), Provincia autonoma Bolzano (85,3%), Provincia di Trento (81,7%), Piemonte (79,5%), Puglia (73,5%), Sardegna (72,4%), Sicilia (78,6%), Toscana (83,9%), Umbria (77,5%), Valle d’Aosta (86,8%), Veneto (86,3%).
Per quanto riguarda l’approvvigionamento dei vaccini. Ad aprile è prevista la consegna in Italia di 8 milioni di dosi, ossia quasi il 20% di tutti gli arrivi programmati nel secondo trimestre (aprile-giugno) del 2021, oltre 40 milioni di dosi.
Nel primo trimestre sono arrivati circa 14 milioni di dosi, a fronte dei 28 milioni previsti dai contratti, la metà.
Pfizer ha inviato gli 8,7 milioni di dosi pattuite entro il 31 marzo – sebbene con alcuni ritardi intermedi – e Moderna lo stesso con i suoi 1,3 milioni. AstraZeneca ha consegnato appena un quarto – 4 milioni – delle dosi promesse, 16 milioni.
(da agenzie)
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Aprile 5th, 2021 Riccardo Fucile
PREOCCUPA E484K, OLIMPIADI A RISCHIO
Una nuova mutazione del coronavirus in Giappone è stata segnalata in un
ospedale a Tokyo, capace di ridurre l’efficacia dei vaccini.
Lo ha anticipato il canale pubblico Nkh, segnalando come la variante, denominata E484K, sia stata rilevata in 10 dei 14 pazienti esaminati in un ospedale della capitale nel mese di marzo.
Per circa due mesi fino al mese scorso, riferiscono le fonti, 12 pazienti Covid su 36, sarebbero stati infettati pur non avendo mai viaggiato e frequentato altre persone poi risultate positive all’agente patogeno.
La notizia arriva nel corso di una seconda impennata di infezioni che ha investito in particolar modo la città di Osaka e altre due prefetture dell’arcipelago, Hyogo e Miyagi, dove da oggi sono entrate in vigore restrizioni simili a quelle revocate due settimane fa nella capitale Tokyo.
In una audizione parlamentare, il premier Yoshihide Suga ha cercato di stemperare i toni, affermando di non ritenere imminente una quarta ondata e insistendo sulla necessità da parte dei cittadini di usare maggiore vigilanza.
Meno rassicuranti le dichiarazione del capo della commissione medica, in stretta cooperazione con l’esecutivo, Shigeru Omi, che ha riconosciuto le difficoltà al controllo delle abitudini della popolazione, e l’effettivo rispetto delle misure anti-pandemia, non escludendo che l’ascesa dei contagi in atto a Osaka possa poi riproporsi anche a Tokyo. “La quarta ondata sarà più diffusa” ha detto Koji Wada, professore dell’Università di Tokyo, “dobbiamo iniziare a discutere come estendere a Tokyo misure specifiche”.
Il Giappone vive l’attesa delle Olimpiadi, che cominceranno fra 109 giorni. Osaka ha cancellato il passaggio della torcia olimpica, ma il premier Suga ha nuovamente ribadito che i Giochi, già rinviati nel 2020, si terranno come previsto.
“In attesa di dati scientifici certi sulla variante E484K e sulla sua eventuale resistenza ai vaccini – afferma Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e professore associato di Malattie Infettive all’Università di Roma Tor Vergata – c’è in generale grande preoccupazione rispetto alle mutazioni del virus SarsCov2 e la necessità di attuare un forte monitoraggio”.
Quella contro le varianti ad ogni modo, spiega Andreoni, ”è ormai una corsa contro il tempo: più il virus circola più tende a mutare e dare luogo a nuove varianti. L’unica strategia è dunque quella di bloccare il prima possibile la circolazione del virus e per far questo la vera arma di cui disponiamo è la vaccinazione. Dunque, è fondamentale in questo momento velocizzare il più possibile la campagna di vaccinazione, per immunizzare il maggior numero di persone in tempi rapidi, bloccare il virus e impedire così che origini altre mutazioni”.
Allo stesso tempo, sottolinea, “cruciale diventa aumentare la capacità di tracciamento delle varianti potenziando le attività di sequenziamento del virus, ciò al fine di capire cosa sta accadendo effettivamente in Italia e quali sono i ceppi che stanno circolando”. Un’attività, che “stiamo portando avanti all’Università di Tor Vergata, così come si sta facendo in altri centri, ma che va ulteriormente rafforzata”.
Se fosse comunque confermata la resistenza di E484K ai vaccini, conclude Andreoni, “credo sarebbe da valutare l’opportunità di un blocco dei voli aerei per impedire l’ulteriore diffusione di questa e altre varianti, ed andrebbero adottati protocolli stringenti se E484K è già arrivata in Europa”.
Concorda con tale ipotesi anche il virologo Fabrizio Pregliasco dell’Università Statale di Milano: “Ci vuole un monitoraggio ferreo – commenta – e va valutata una sospensione più generalizzata dei voli aerei se fosse confermata l’ulteriore espansione delle nuove varianti”.
Attualmente in Italia, secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità, la cosiddetta variante inglese è diventata dominante con una prevalenza dell′86,7%, (con valori oscillanti tra le regioni tra il 63,3% e il 100%). Per quella ‘brasiliana’ la prevalenza è del 4,0% (0%-32,0%), mentre le altre varianti monitorate sono sotto lo 0,5%.
(da Huffingtonpost)
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