Aprile 12th, 2021 Riccardo Fucile
INUTILE DISSOCIARSI SE NON SI SA DA CHI: ABBIA LE PALLE DI FARE I NOMI DEI 40 PRESENTI
Chi c’era al pranzo in hotel a Sardara che sta facendo polemica? Non si
conoscono i nomi della quarantina di persone che erano presenti, ma si sa che a violare le regole c’erano politici e membri della giunta regionale della Sardegna.
La storia ha fatto scalpore perché in una regione che è diventata rossa senza passare dall’arancione è stata violata la norma che impedisce la ristorazione agli esterni in hotel. Che poi fossero dei rappresentanti delle istituzioni a farlo ha sollevato molte polemiche.
Racconta il Fatto:
Un pranzo con una quarantina di persone, politici e figure apicali della Regione o responsabili di Enti strumentali sopresi da un blitz della Guardia di Finanza. In una Regione arancione fino a ieri, in cui i vaccini vanno a rilento mentre i contagi corrono e da oggi è zona rossa. La vicenda è di qualche giorno fa. Nella struttura alberghiera di Sardara (Cagliari), mentre è in corso un pranzo con una quarantina di persone arrivano i finanzieri della tenenza di Sanluri (nel Medio Campidano). Si racconta di un fuggi e così, dei presenti, solo 19 vengono identificati dalle fiamme gialle, che ritirano le autocertificazioni e avviano l’indagine. Per il gestore del locale scatta la sanzione perché, in zona arancione, gli alberghi non possono effettuare ristorazione agli esterni. Non si conoscono ancora i nomi dei partecipanti, ma è già scontro e polemica.
La situazione ha creato non poco imbarazzo, tanto che il capogruppo della Lega in Consiglio regionale, Dario Giagoni si è dissociato: “In una situazione delicata come quella che attualmente viviamo, con l’isola che si accinge ad essere relegata in zona rossa per due settimane, riteniamo quanto mai sconveniente che a infrangere le regole sia proprio chi dovrebbe dare il buon esempio”
Anche il presidente della regione Solinas non ha preso bene il pranzo di Sardara, annunciando provvedimenti perché”è inconciliabile la permanenza in qualunque ruolo o incarico regionale di chi abbia violato le norme di contenimento della pandemia sulle quali i pubblici ufficiali o coloro che sono incaricati di pubblico servizio devono per primi dare il buon esempio”.
Ma i fatti dove sono? Si parla si vari esponenti dell Giunta di centrodestra presenti al pranzo, ma i nomi Solinas non li fa.
(da NextQuotidiano)
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Aprile 12th, 2021 Riccardo Fucile
SCONFITTI PER AVER OSPEDALIZZATO LA LOTTA AL VIRUS
Siamo tutti presi dal vaccino. E le cure? Perché questo è il punto. Chi si occupa della cure? Mentre scriviamo, in Italia ci sono 533mila positivi. Più di trecento purtroppo moriranno nelle prossime 24 ore.
Tremilaseicento stanno in rianimazione, ventisettemila nei reparti ordinari. Ma i restanti 500mila sono a casa. La maggior parte asintomatici, ma più o meno cinquantamila sono ammalati. Chi si occupa di loro? Adesso che ogni sforzo è teso a vaccinare, vaccinare, vaccinare, chi pensa alle terapie sul territorio?
Ci pensa il Senato. L’8 aprile ha approvato un protocollo per la gestione domiciliare del Covid. Che vuol dire? Vuol dire andare a casa dei malati che invano aspettano il medico di famiglia che non verrà, che invano chiamano centralini muti, e curarli subito. Superare quella “vigile attesa” che è stata per molti l’anticamera della morte. Duecentododici voti favorevoli, due contrari, due astenuti. Tutti d’accordo. Quanto vale? Zero. Non a caso la notizia è ignorata dai quotidiani cartacei.
A quattordici mesi dallo scoppio della pandemia chi va a casa dei malati di Covid? Ci vanno i medici di famiglia, oggi tutti vaccinati? No, non ci vanno affatto, al netto di qualche generosa eccezione.
Ci vanno però le Usca, acronimo di un’entità misteriosa che aleggia sulla pandemia come un fantasma. Vuol dire unità speciali di continuità assistenziale, un medico neolaureato e un infermiere. Quando chiedi al Ministero della Salute quanti sono in circolazione, quanti malati hanno in carico, quale bilancio si fa di un anno di attività, ti rispondono che non si può sapere.
Se vuoi, possono inviarti le linee guida. E che ci facciamo con le linee guida? In concreto, ti rispondono, se ne occupano le Regioni. Già, le Regioni. Come per i ventilatori polmonari, lo Stato mette i soldi, le Regioni comprano e assumono. Ma se poi non accade, chi controlla? Nessuno.
Al ministro Roberto Speranza non è venuto in mente di chiedere conto di come le Regioni spendono i soldi dello Stato? Proprio no.
E qui qualcuno, in uno dei talk dove si alzano nubi di chiacchiere sulla tragedia, tirerà in ballo il Titolo V della Costituzione. Ma perché, il federalismo impedisce forse al responsabile della Salute di capire che accade nella medicina di territorio? Magari lo spronerà la fiducia tributatagli in pubblico dal premier Mario Draghi. Certo è che, dopo 115mila morti, qualche domanda potrebbe pure porsela.
Se la sono posta giorni fa sul Corriere della Sera Marco Imarisio e Simona Ravizza. Perché il nostro – hanno fatto notare i due giornalisti – è l’unico Paese d’Europa che a marzo ha registrato un aumento dei morti: 43 per centomila abitanti.
Pesa il nostro tardivo rincorrere un virus che va veloce. Pesa il disastro di una campagna dei vaccini che ha spostato l’immunizzazione dal suo naturale bersaglio, gli anziani e i vulnerabili, per indirizzarla verso le categorie capaci di fare pressione, e cioè i più forti. Ma non basta.
Perché c’è un’anomalia italiana che segna tutte le stagioni della pandemia e che ci condanna al record di letalità tra le democrazie avanzate, cioè al peggior rapporto tra vittime e contagi. Quest’anomalia si chiama medicina di base.
Ce lo raccontiamo da un anno, limitandoci a constatarlo come un dato ineluttabile, senza che nulla cambi: l’Italia ha perso la sfida con la pandemia perché ha ospedalizzato la lotta al virus, ha rinunciato a curare i malati presto e a casa. La medicina di territorio è ancora una terra di nessuno.
Dove nulla fa la burocrazia dei medici di famiglia, e poco può l’intermittente e insufficiente impegno delle Usca. Il saturimetro nelle mani del paziente, lasciato a casa in attesa che vada come deve andare, è una roulette russa. Metafora di una scommessa incosciente che la sanità pubblica ha perso da tempo.
Pierluigi Bartoletti, responsabile delle Usca del Lazio, racconta con icastica chiarezza ciò che non si vuol sentire: “Questa malattia ha una faccia a casa e un’altra in ospedale. La prima è decisamente migliore. Il trucco è fare in fretta tampone e diagnosi, valutare il rischio e anticipare le cure per evitare il decorso maligno. Se sbagli e aspetti, il paziente ti crolla in poche ore e finisce nel tubo”.
Se gli chiedi perché l’Italia continua ad aspettare, ti risponde: “Perché tutto, dalla diagnosi alla terapia, è ospedalizzato. Perfino le linee guida sono scritte su una casistica ospedaliera, ma la malattia inizia prima ed è un’altra cosa”.
L’assenza della medicina di base fa sì che siano ospedalizzate anche le cure che funzionano solo se somministrate precocemente: gli anticorpi monoclonali.
Il comitato tecnico scientifico li ha sdoganati per “quei pazienti non ospedalizzati che, pur avendo una malattia lieve/moderata, risultano ad alto rischio di sviluppare una forma grave, con conseguente aumento delle probabilità di ospedalizzazione e/o morte”.
Il ministero della Salute ha avviato una sperimentazione acquistando 150mila dosi al prezzo di circa duemila euro ciascuna. Vanno somministrate nei primi tre giorni dalla comparsa dei sintomi, prima che intervenga la polmonite interstiziale. Lombardia, Veneto, Lazio, Marche e Toscana hanno firmato un protocollo con la società italiana di medicina generale e delle cure primarie: i medici di famiglia segnaleranno i pazienti a rischio, le Usca faranno le verifiche a casa, ma la terapia verrà eseguita in day hospital. Perché tutto, in questa vicenda, finisce in ospedale.
E dove i protocolli mancano, dove le Usca sono fantasmi, come si fa? Lo scopriremo solo vivendo, o piuttosto morendo. Un anno è passato invano e la medicina di territorio è ancora un’incompiuta.
Curare presto e curare a casa sono i comandamenti traditi della lotta italiana alla pandemia. E adesso pensate davvero che il vaccino sia il colpo di spugna su questa immane rinuncia politica? Quando avremo immunizzato tutti gli immunizzabili, il Covid sarà scomparso? O piuttosto si dovrà convivere con le sue varianti e concepire una sanità che impara a combatterlo con priorità, senza però annientarsi?
Perché questo è il punto. L’ospedalizzazione della strategia ha messo in coda i malati di tumore e i cardiopatici, ha fatto saltare interventi chirurgici, visite ed esami diagnostici, ha ingolfato le liste d’attesa, scoraggiando il ricorso alle cure. Ha trasformato la pandemia in una sindemia, cioè in una patologia che dalla sanità sconfina nella società e colpisce i più deboli. Dopo esserci ammalati del virus, potremmo ammalarci della cura al virus.
(da Huffingotonpost)
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Aprile 12th, 2021 Riccardo Fucile
PENALIZZATI I MALATI CON ALTRE PATOLOGIE
Di tempo da perdere non ce n’è stato mai. Ma adesso il ritardo nella
vaccinazione anti Covid delle persone ultra-fragili, che continua a causare tante morti evitabili, è incomprensibile.
Tra queste persone ci sono 160.000 pazienti cardiologici, 150.000 pazienti e 70.000 oncoematologici in corso di trattamento attivo o trattati negli ultimi 6 mesi, che avrebbero già dovuto ricevere i vaccini.
Ma al 20 marzo, solo il 7,3% dei pazienti oncologici che ne avevano diritto è stato effettivamente vaccinato. Non è il solo problema: in queste settimane negli ospedali si sta proiettando un film già visto: interventi rimandati, ritardi nei trattamenti, nei controlli e negli screening.
A fare un’analisi della situazione che stanno vivendo 11 milioni di italiani è il documento “Stato della gestione delle patologie oncoematologiche e cardiologiche durante la pandemia da Covid in Italia”, che Salute ha ricevuto da FOCE (Confederazione degli Oncologi, Cardiologi e Ematologi) e che è stato inviato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Un documento che riporta dati puntuali delle criticità riscontrate finora e, soprattutto, propone azioni concrete per un “Piano Marshall” del sistema sanitario. Di seguito i punti principali presenti nel rapporto, che può essere letto qui nella versione integrale.
Decessi non-Covid, pesa la mancanza di assistenza
Tra marzo e dicembre 2020 – si legge nel rapporto – ci sono stati 108.178 decessi in eccesso rispetto agli anni precedenti. Se il 69% è riconducibile a Covid, almeno il 31% è rappresentato da morti legate a patologie non Covid, soprattutto tempo-dipendenti, duvute alla mancata assistenza. Basti pensare che per le malattie cardiologiche la mortalità è raddoppiata. I motivi erano già stati analizzati in un precedente documento inviato lo scorso novembre all’allora Presidente del Consiglio Conte e al Ministro Speranza: ritardi o cancellazioni di interventi chirurgici cardiologici e per tumore dovuti all’affollamento delle terapie intensive; diminuzione degli accessi al pronto soccorso e alle unità di terapie intensive dei pazienti con infarto; 20-30% dei trattamenti oncologici ritardato, se non cancellato; arresto o forte rallentamento degli screening oncologici; quasi azzeramento dei controlli dei pazienti in follow up.
Oggi come un anno fa
“È doveroso constatare che su questi aspetti dopo un anno di emergenza non è stato operato nessun intervento né strutturale, né organizzativo atto a ridurre queste criticità”, scrivono gli esperti. E ancora, per i pazienti oncologici: “Vengono diffusi dati allarmanti sulla tardività delle diagnosi e quindi l’osservazione di tumori sempre più avanzati. Inoltre, permane la segnalazione dell’eliminazione di oltre 2 milioni di esami di screening e soprattutto l’assenza di dati recenti sullo stato di recupero di questi esami, che sembra assolutamente carente su quasi tutto il territorio nazionale”.
Le cause dell’elevata mortalità
La sintesi è che il Servizio Sanitario Nazionale ha registrato una tenuta complessiva molto scarsa, soprattutto a causa dei “tagli orizzontali indiscriminati e ingiustificati alle Strutture Sanitarie per quel che riguarda il personale medico e infermieristico, il numero di letti e di prestazioni e l’adeguatezza delle strutture ospedaliere”, subiti in tanti anni. Tagli che non hanno risparmiato gli IRCCS. Basti la conta dei posti letto ordinari per centomila abitanti, molto più basso rispetto alla media europea (314 vs 500), che ci colloca al ventiduesimo posto nella classifica tra i Paesi Europei. Non va molto meglio se si considera la spesa sanitaria, che nel 2017 ci poneva al quindicesimo posto per percentuale sul PIL (media europea 9,9% vs 8,8 % per l’Italia). “È anche da osservare – si legge – che all’interno di questa percentuale ci sono almeno tre punti che si riferiscono alla quota parte a carico dei pazienti, quindi in realtà la spesa pubblica per la sanità risulta essere del 6% circa nel nostro Paese” […] per cui l’Italia risulta “davanti solo ai Paesi dell’Europa dell’Est”.
Il pasticcio delle priorità nelle vaccinazioni
Un’altra causa dell’elevata mortalità andrebbe poi ricercata nella campagna vaccinale per Covid. Un mese fa, lo scorso 10 marzo, venivano finalmente emanate le raccomandazioni ad interim sui “gruppi target delle vaccinazioni anti-SARS-CoVID-2/COVID-19” del Ministero della Salute e del Commissario Straordinario per l’emergenza, che accoglievano la richiesta di FOCE per la definizione delle categorie più a rischio. Anche su questo fronte, si registra una debacle: “I dati attuali – riporta il documento – dimostrano che finora ben il 35% dei cittadini già vaccinati non apparteneva alla categoria a maggior rischio di letalità, e soprattutto dei circa 16 milioni di cittadini a maggior rischio solo il 38% ha finora ricevuto la vaccinazione”. Lo stesso non è avvenuto in altri paesi che hanno usufruito negli ultimi tre mesi di volumi vaccinali simili ai nostri: “Va quindi stigmatizzato come la campagna vaccinale abbia favorito alcune ampie categorie con moltissime persone che non ne avevano i requisiti di urgenza, non tanto per iniziativa di alcuni ‘furbetti’, quanto per alcune scelte errate o prive di chiarezza da parte delle Istituzioni preposte, che oltretutto non hanno esercitato alcun controllo durante il realizzarsi di queste gravi scelte”. Secondo FOCE, per abbattere la mortalità da COVID, sarebbe necessario vaccinare esclusivamente gli over 70 e i pazienti fragili per gravi patologie, e solo dopo passare gradualmente agli altri cittadini, in base all’età. Ad oggi, ad eccezione di una survey condotta da FOCE, non esistono, nelle comunicazioni ufficiali, dati precisi sullo stato delle vaccinazioni dei pazienti fragili.
Le 8 azioni prioritarie
Già in precedenza FOCE aveva individuato 8 azioni da portare avanti con rapidità (il documento era stato pubblicato sul sito di Agenas). Tra queste: “Tutte le strutture di oncologia medica, di cardiologia e di ematologia devono rimanere pienamente operative anche a livello ambulatoriale. Va preservata la rete dell’emergenza cardiologica. Le attività di chirurgia oncologica devono essere garantite e devono avere priorità assoluta”. Inoltre, “Gli ospedali devono essere notevolmente potenziati in personale medico, infermieristico e tecnico e nella dotazione strutturale di posti letto e servizi al fine di colmare le lacune esistenti fra Italia e altri Paesi. Deve essere intanto ripristinata almeno la dotazione originaria di posti letto nei reparti di medicina e chirurgia atta a far fronte all’assistenza dei pazienti affetti da patologie non Covid”.
Il “Piano Marshall” per la sanità
Le proposte di intervento per una riforma radicale della sanità Italiana della confederazione comprendono azioni a breve e a medio termine. Nel breve periodo bisogna affrontare le priorità della prevenzione primaria, della diagnosi precoce e delle cure. Servono: una campagna rivolta ai cittadini di sensibilizzazione sulla necessità di riprendere le cure, per non abbandonare i piani terapeutici e tornare in sicurezza negli ospedali, e un’altra campagna rivolta alle istituzioni nazionali e regionali, perché si riprendano gli screening e si recuperino i ritardi, campagna che Foce intende autofinanziare. Nel medio periodo, invece, servono azioni strutturali sul piano dei finanziamenti e dell’organizzazione della medicina territoriale: “Come FOCE – concludono gli esperti – siamo convinti che solo i clinici, quelli che ogni giorno vivono le corsie, hanno rapporti con i pazienti e i loro famigliari, possono avere una visione di insieme e proporre soluzioni concrete, efficaci, misurabili nel tempo, coinvolgendo i diversi attori che intervengono nella filiera. Purtroppo nessun clinico attualmente è ricompreso negli organismi ufficiali consultivi che assumono le decisioni o che determinano le scelte anche a livello centrale”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 12th, 2021 Riccardo Fucile
UNA ULTERIORE DIMOSTRAZIONE CHE LE REGIONI IN ITALIA ANDREBBERO ABOLITE, COSI’ CI RISPARMIEREMMO TANTI PICCOLI DUCETTI CHE FANNO QUELLO CHE CAZZO GLI PARE
“La Campania è stata una regione tra le più rigorose d’Italia, ma una cosa è il rigore altro è la stupidità. Ho appena finito di parlare con il commissario Figliuolo al quale ho detto che una volta completati gli ultra ottantenni e i fragili noi non intendiamo procedere per fasce di età”. Lo afferma il governatore della Campania Vincenzo De Luca, parlando a Benevento.
“Dedicheremo la struttura pubblica a curare i fragili e le persone anziane ma lavoreremo anche sui settori economici perché se decidiamo di andare avanti solo per fasce di età, quando avremo finito le fasce di età l’economia italiana sarà morta”.
“Siccome abbiamo deciso che dobbiamo privilegiare un comparto importante dell’economia campana che è quello turistico e non possiamo vaccinare ad agosto, perché altrimenti abbiamo perduto un altro anno turistico, noi procederemo esattamente come abbiamo deciso di fare” ha spiegato De Luca.
“Priorità assoluta agli ultra ottantenni e ai fragili. Abbiamo bisogno di tutelare la salute ma anche di dare il pane alla gente. Difficile reggere un altro anno di paralisi e capisco anche la rabbia degli operatori economici, anche perché spesso in Italia lo Stato non esiste”.
(da agenzie)
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Aprile 12th, 2021 Riccardo Fucile
LE MANIFESTAZIONI NON AUTORIZZATE VANNO SCIOLTE, LA LEGGE DEVE ESSERE UGUALE PER TUTTI
I ristoratori si dividono sulla protesta. Mentre le bandiere bianche di “Roma
più bella” e “Italian Hospitality network” hanno rinunciato alla manifestazione autorizzata dalla questura dalle 15, il movimento “IoApro” non si è fermato.
L’intento è arrivare come annunciato domenica a Montecitorio ma la polizia ha circondato con le transenne e i blindati tutta l’area intorno a palazzo Chigi.
Radunati a piazza San Silvestro alle 14,50 sono circa in 500, con vari esponenti di movimenti di partite Iva, ristoratori, mondo dello sport e della cultura. Intorno la piazza del governo un folto schieramento di polizia e carabinieri che la rendono è inaccessibile anche per chi tenta di arrivare da Piazza San Lorenzo in Lucina.
Come aveva annunciato già ieri, il movimento voleva coinvolgere “130 pullman”: “Partiranno da tutta Italia, invaderemo Montecitorio”, si leggeva nel comunicato sui social. Sarebbero dovuti andare prima al Pantheon, poi alle 14,30 a Montecitorio. Ma il programma degli organizzatori è stato cambiato all’ultimo momento. Sia il sit-in che il corteo non sono autorizzati.
Blindati e idranti schierati in varie strade, transenne attorno a Montecitorio. Diverse pattuglie anche della polizia locale impegnate nei servizi di viabilità. I manifestanti a piazza San Silvestro intonano cori “Libertà, libertà”. “Non siamo partite Iva, siamo persone, siamo famiglie – dice un manifestante arrivato da Napoli – non siamo delinquenti, siamo persone che lavoravano 14 ore al giorno”. Mentre un altro aggiunge: “Ci negano anche il diritto di manifestare. È stata un’impresa arrivare qui”.
“Noi dobbiamo riaprire per i nostri figli” grida Sandra Di Bella, del movimento ‘Ristoratori siciliani indipendenti’, che indossa una sorta di elmo vichingo con le corna come Jake Angeli, uno dei manifestanti di Capitol Hill. “Speranza si deve dimettere. Ci stanno distruggendo”.
Intorno a mezzogiorno circa 16 ristoratori e fieristi di “IoApro” arrivati in nave da Palermo con tanto di autocertificazione, erano stati identificati dalla polizia alla stazione Termini e poi lasciati andare. Un altro gruppo da Vibo Valentia non è riuscito ad arrivare, i bus dal nord fermi ai caselli autostradali. Alle 14 un pullman con 39 persone provenienti da Bologna è stato intercettato al casello di Roma Nord, la polizia ha identificato i passeggeri a bordo
“Non siamo venuti a far casino, ma vogliamo raggiungere Montecitorio per far sentire la nostra voce – dice Francesco Salomone, 21enne titolate di una braceria a Terrasini – la cassa integrazione non arriva, gli aiuti e l’apporto non sono sufficienti a salvare le nostre aziende”.
I ristoratori di “Roma più bella” però non ci sono. Hanno invece consegnato una lettera al governo: “Domani al Circo Massimo – dicono Roberta Pepi – avremo un cordone di sicurezza nostro per tutelare i nostri manifestanti, la polizia garantirà la sicurezza della piazza. Non cerchiamo lo scontro sociale ma la coesione. Non portate bandiere politiche, vogliamo risposte dal governo dopo il documento che abbiamo presentato oggi”. Le nostre aziende, aggiunge Fabio Mina della “Lupe Roma”, “sono ormai al collasso pertanto pretendiamo il diritto di fare impresa nel rispetto delle regole e dei protocolli di sicurezza”.
(da agenzie)
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Aprile 12th, 2021 Riccardo Fucile
“LE INFORMATIVE DOVEVANO RIMANDARLE INDIETRO”
“Non è normale che la polizia giudiziaria chieda al pm di emettere misure cautelari e interdittive, come è successo a Trapani nell’indagine sulle ong. Quando accadeva a me, le rimandavo indietro. E non è neanche normale che gli investigatori scrivano giudizi e opinioni nelle loro carte”.
Armando Spataro di informative e intercettazioni ne ha viste e lette tante in 43 anni di carriera da magistrato.
Tuttavia, l’ex procuratore di Torino fatica a ricordare una sequela di anomalie come quella che sta emergendo a proposito dell’inchiesta trapanese, dove sono indagati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina gli attivisti di Jugen Rettet, Save The Children e Medici Senza Frontiere.
Cosa la colpisce di più?
“Il deposito di trascrizioni di conversazioni varie di avvocati e giornalisti, redatte dalla polizia giudiziaria, fatto apparentemente senza un vaglio approfondito della rilevanza e della utilizzabilità delle stesse”.
Ci può essere una spiegazione plausibile?
“Le mie affermazioni scontano un deficit di conoscenza degli atti del processo di Trapani ma, sulla base delle sole notizie giornalistiche, escluderei ipotesi di misteri e complotti. Spetta al pm impartire direttive alla polizia giudiziaria. Se non è stato fatto, tocca ai magistrati spiegarlo”.
La Federazione nazionale della stampa sospetta che sia un modo per scoprire le fonti dei cronisti che si occupano di immigrazione. Cosa ne pensa?
“In presenza di determinati presupposti, come ad esempio raccogliere elementi di prova per individuare i responsabili di reati gravi, è possibile ascoltare anche le conversazioni dei giornalisti. Ma non certo per il fine di scoprire la fonte delle loro notizie. E sarebbe inaccettabile occultare questo scopo illlegittimo con motivazioni apparentemente corrette. Comunque, stento a credere che questo fosse il fine delle intercettazioni di cui parliamo”.
Negli atti sono finite anche intercettazioni tra indagati e avvocati, che la legge vieta. Può inficiare l’inchiesta?
“No, si può determinare soltanto l’inutilizzabilità assoluta di conversazioni di questo tipo, non certo l’azzeramento della inchiesta”.
Gli inquirenti hanno ascoltato e riportato le conversazioni di un parlamentare, l’ex senatore del Pd Luigi Manconi, mentre interloquiva al telefono con l’indagato Don Zerai. Si può fare?
“La disciplina è complessa. Se si vuole intercettare un parlamentare, il Gip deve chiedere l’autorizzazione alla camera di appartenenza. Se intercettando un cittadino qualsiasi, anche non indagato, vengono ascoltate per caso conversazioni di un parlamentare rilevanti a suo carico, anche in questo caso si deve chiedere analoga autorizzazione. Resta una terza ipotesi: intercettando un cittadino si registrano casualmente conversazioni con parlamentari, ma l’intercettazione appare rilevante ed utilizzabile solo nei confronti del primo: in tal caso, non servono autorizzazioni. Va da sé, comunque, che qualsiasi conversazione manifestamente irrilevante, tra chiunque intercorsa, non può rimanere agli atti di un processo”.
Nell’informativa finale della Polizia e della Guardia Costiera, consegnata ai pm, ci sono valutazioni sull’operato degli attivisti che assomigliano a giudizi di merito di tipo ideologico.
“Sì, lì ho letti su Repubblica. Non ritengo possibile che la polizia giudiziaria si diffonda in valutazioni e giudizi nelle proprie informative che devono, invece, contenere solo descrizione dei fatti. Purtroppo prassi del genere non sono rare e ciò non può che rimandare all’effettività del ruolo di direzione della polizia giudiziaria che il nostro ordinamento attribuisce all’autorità giudiziaria: sono le procure che devono vigilare sull’operato della polizia”
Nella stessa informativa, gli investigatori chiedono ai pm, quattro anni dopo i fatti, misure cautelari e interdittive per le ong
“In questo caso, sono ancora più categorico nella risposta: no, non è normale! E in più di un’occasione, io ho restituito informative contenenti simili richieste alla polizia giudiziaria che le aveva redatte. Personalmente, ho imparato molto dalla polizia giudiziaria, ma la simbiosi investigativa deve essere virtuosa: la polizia accerta i fatti, i pm ne operano la prima valutazione. Richieste di misure cautelari da parte della polizia giudiziaria potrebbero persino generare dubbi e strumentalizzazioni sull’effettiva indipendenza dell’autorità requirente, avallando l’idea di un pubblico ministero che agisce sotto la guida della polizia giudiziaria”
Da Procuratore capo come ha affrontato la questione?
“Già prima della legge Orlando del 2017 in tema di tutela della privacy e delle successive modifiche della legge Bonafede, il codice di procedura prevedeva il doveroso intervento di pm e giudici per eliminare dagli atti le conversazioni irrilevanti o inutilizzabili per legge. La prassi diffuse degli uffici giudiziari però non erano – e spesso ancora non sono – in linea con questi principi. Io emisi una direttiva, peraltro simile a quelle di altri Procuratori, in cui disponevo che i miei pm si facessero sempre carico del dovere di depositare solamente le registrazioni correttamente effettuate, avviando dinanzi al giudice la procedura di trascrizione di queste ultime e di stralcio di quelle manifestamente irrilevanti e di cui fosse vietata l’utilizzazione: un dovere a mio avviso assoluto anche a tutela dei dati sensibili secondo il Codice della Privacy”.
Qualcuno, a suo tempo, la definì legge bavaglio. Il tema intercettazioni è, da sempre, delicatissimo.
“E io spero anche che la vicenda di Trapani induca alcuni giornalisti che avevano sparato ad alzo zero contro la riforma Orlando, parlando appunto di legge bavaglio, a rivedere le loro convinzioni in tema di doveroso rispetto della privacy”.
(da agenzie)
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Aprile 12th, 2021 Riccardo Fucile
“FIERO DI AVER FATTO IL MIO DOVERE DI CITTADINO”
Alessandro Gassmann, attore e – ora – attivissimo sui social. Tanto che vanta
più di 295mila follower.
Persone a cui ieri ha dato una lezione: se vedete che qualcuno sta violando le norme anti contagio, chiamate le forze dell’ordine e denunciate quanto sta avvenendo. Così ha fatto lui, e ha affidato alla piattaforma i suoi pensieri, quando ieri pomeriggio ha sentito che un vicino di casa stava festeggiando nel suo appartamento con “decine di persone”. Ha scritto su twitter, ricevendo una sfilza di reazioni positive:
“… sai quelle cose di condominio quando senti in casa del tuo vicino ,inequivocabilmente il frastuono di un party con decine di ragazzi?… hai due possibilità: chiamare la polizia e rovinarti i rapporti con il vicino, ignorare e sopportare, scendere e suonare…E poi, nel primo commento, facendo capire di aver preso la decisione di chiamare il 112: “Fatto il mio dovere. Fiero”.
I vicini non gli vorranno più bene come prima, questo è certo. E – ahinoi – tra i tanti commenti dei fan che hanno sostenuto e applaudito l’attore c’è stato anche chi invece l’ha tacciato di essere una spia. Come a dire: di cosa ti vanti? Hai solo messo i bastoni fra le ruote a qualche ragazzo.
Ma il concetto e il motivo per cui l’ha fatto sono chiari: dare il buon esempio, e qualcuno su twitter glielo fa notare. Scrive un utente: “Purtroppo in Italia chi denuncia viene spesso etichettato con termini poco onorevoli: delatore, spia, infame… E così chi commette il reato finisce per passare per la vittima. È per questo che andiamo sempre peggio. Bravo per aver fatto il tuo dovere e per averlo detto”.
(da agenzie)
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Aprile 12th, 2021 Riccardo Fucile
AVEVA 79 ANNI, CAPITANO DELLA NAZIONALE CON 47 PRESENZE, POI ALLENATORE DEGLI AZZURRI NEL 1987 DOVE OTTENNE IL MIGLIORE RISULTATO DEI MONDIALI… DAI VICOLI DELL’ANGIPORTO ALLA GLORIA
Marco Bollesan ha passato la palla. Aveva 79 anni, è stato il capitano più iconico della storia del rugby italiano. Terza linea centro, nato a Chioggia ma genovese di adozione: un leone, un guerriero che nelle ultime stagioni – ospite di una struttura a Bogliasco, alle porte del capoluogo ligure – ha lottato a lungo e non si è mai arreso: nemmeno al Covid, che aveva superato nell’estate passata.
“Ho più punti (di sutura) nel mio corpo che quanti ce ne possono stare in un tailleur”, era solito dire. Quarantasette presenze in Nazionale, quando si indossava la maglia azzurra per poche volte in una intera stagione, condottiero di quella banda improbabile e coraggiosa che nel ’72 fu protagonista della prima, vera tournée internazionale in Rhodesia e Sudafrica con il successo sui Leopards, la nazionale nera sudafricana.
Un campione “venerato” dal mondo del rugby
Due scudetti vinti con Brescia e Partenope Napoli, la maglia di Cus Milano e Amatori Milano, ma la sua squadra è sempre stata una sola: il Cus Genova, che lo accolse adolescente e ribelle strappandolo ai vicoli dell’angiporto (“Sapevo solo fare a botte: se non ci fosse stato il rugby, chissà dove sarei finito”) e con il quale sfiorò per tre volte il titolo di campione d’Italia, beffato all’ultimo dal Petrarca Padova.
E poi allenatore della Nazionale protagonista della migliore edizione dei Mondiali di sempre: quella del 1987, con i quarti di finale sfiorati nonostante un girone con Nuova Zelanda, Argentina e Fiji. Tecnico di diversi club italiani (Milano, Livorno, Alghero, Cus Genova) in cui ha portato l’entusiasmo per uno sport di cui è stato interprete assoluto, quasi “venerato” da chi gli è stato a fianco ed è venuto dopo di lui. Serie A, B o C: l’importante era la battaglia, e una birra nel terzo tempo con gli “amici” che lo avevano sfidato. “La faccia sgherra e la testa leonina”, scriveva di lui Giorgio Cimbrico.
Lo storico scontro con “le Mongol”
Storico il suo esordio in azzurro nel 1963 a Grénoble, contro una Francia che sembrava di un altro pianeta ma il giovanissimo Bollesan ci mise tutto il suo proverbiale coraggio guadagnandosi il rispetto di una leggenda dell’epoca, Michael Crauste detto ‘le Mongol’, un gigante coi baffoni spioventi che alla prima mischia gli spaccò un sopracciglio ma Marco – dopo gli ennesimi punti di sutura – gli restituì il colpo: quel giorno, da tutti ricordato come la MalaPasqua, l’Italia perse di soli 2 punti conquistandosi il rispetto dei blasonati avversari.
Genova era orgogliosa del suo campione così come lo è di Eraldo Pizzo, il Caimano della pallanuoto: i due, grandi amici, sono sempre stati accumunati come grande esempio sportivo.
Il suo nome è inserito nella Walk of Fame degli sportivi italiani, al Foro Italico.
Gabriele Remaggi, rugbista e giornalista anche lui scomparso, ne aveva scritto una straordinaria biografia: “Una meta dopo l’altra. Della vita e del rugby”. Vedovo, due figlie che lo adoravano e gli sono state vicino in questo lungo calvario che ha affrontato a testa alta, come ha sempre fatto sul campo.
Il cordoglio di Innocenti, presidente Fir
“Per i rugbisti della mia generazione, per chiunque abbia praticato lo sport tra gli Anni ’60 e gli Anni ’80, ma anche per chi è venuto dopo Marco Bollesan è stato un esempio, l’epitome del rugbista coraggioso, il simbolo di un Gioco dove fango, sudore e sangue rappresentavano i migliori titoli onorifici. Ha contribuito a far conoscere il rugby nel nostro Paese ben prima della rivoluzione professionistica del 1996, incarnando lo spirito del rugby italiano per oltre due decenni e rivestendo anche negli anni successivi al suo ritiro dal campo una serie di ruoli strategici per la Federazione. Gli saremo eternamente grati per il suo straordinario contributo ed io, in particolare, porterò sempre nel cuore i suoi insegnamenti e l’onore che mi riconobbe assegnandomi, da Commissario Tecnico, i gradi di capitano della Nazionale durante la propria gestione. Siamo vicini alle figlie Miride e Marella ed a tutta la sua famiglia. Il rugby italiano ha perso uno dei suoi figli prediletti”, ha dichiarato il Presidente della FIR, Marzio Innocenti, esprimendo il cordoglio della Federazione.
I funerali a Boccadasse
Se ne è andato a poche ora da Massimo Cuttitta, 54 anni, altro campione azzurro ucciso ieri dal Covid. I funerali del Capitano si svolgeranno (domani o dopo, la data è ancora da definire) nella chiesa di Boccadasse, davanti al mare e una baia dove solo 13 anni fa Bollesan si era gettato tra le onde impetuose per salvare alcune barche alla deriva, fratturandosi il braccio destro: “E’ una sciocchezza, non sento neanche il dolore”, aveva sorriso come sempre.
Il dolore resta invece insopportabile in tutti quelli che lo hanno conosciuto ed amato.
(da agenzie)
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