Luglio 10th, 2022 Riccardo Fucile
“SALVINI? E’ UNA MACCHIETTA, UN RINNEGATO, BULIMICO DEL POTERE, CHE HA TRADITO IL NORD E LA LEGA”
“Vogliamo restituire agibilità politica a un movimento che si chiama da
sempre Lega Nord, e non c’entra niente con la Lega di Salvini. Cercano di far credere che la Lega Nord sia diventata la “nuova” Lega, ma sono due cose diversissime. Come la cioccolata e un’altra cosa dello stesso colore. Scegliete voi qual è una e quale l’altra”.
Gianluca Pini è un volto storico del Carroccio romagnolo, iscritto dal 1991, segretario regionale per 16 anni e deputato per tre legislature. Imprenditore nel settore alimentare, federalista della vecchia scuola, ha appena raggiunto – all’esito di una battaglia sfociata in tribunale – un risultato che è un potenziale terremoto per Matteo Salvini: far riconvocare, per la prima volta dopo più di cinque anni, il Congresso Federale della Lega Nord per l’indipendenza della Padania.
Cioè la Lega “originale“, scomparsa dall’immaginario politico ma ancora esistente sul piano giuridico: di fatto è stata soltanto “congelata” a dicembre 2019, con le dimissioni di Salvini da segretario, la nomina del deputato Igor Iezzi (un suo fedelissimo) a commissario del “vecchio” partito trasformato in bad company e il trasferimento di tutti gli asset alla “Lega per Salvini premier“, pronta a fare il pieno di voti anche al Sud con un programma nazionalista ed euroscettico, depurato dal nordismo e dai riferimenti storici all’autonomia della Padania.
L’obiettivo: schierare il simbolo alle elezioni
Erano tempi in cui il Capitano passava da un bagno di folla all’altro, e aspirava persino a strappare al Pd anche la rossa Emilia-Romagna. Ma Pini e i suoi compagni di militanza (tra cui l’ex presidente del Copasir Giacomo Stucchi e vari ex sindaci del Nord) non hanno mai voluto fare la tessera del nuovo partito personale (“La polisportiva Salvini? Non scherziamo”), mentre hanno rinnovato, anno dopo anno fino a oggi, quella con il vecchio simbolo. E ora, con il segretario in crisi di consensi e credibilità, puntano sul Congresso per riportare in vita la Lega Nord di un tempo: un soggetto politico vero e non più commissariato, con organi capaci di portare avanti una linea autonoma e – soprattutto – di schierare il simbolo alle elezioni e fare concorrenza “in casa” alla Lega salviniana, riconquistando i simpatizzanti delusi, tutte cose ora precluse dal commissariamento.
Un progetto, questo, che non nasce oggi, ma più di due anni fa. L’ex deputato riavvolge il nastro: “A fine 2019 Salvini si dimette da segretario della Lega Nord e fa la furbata di svuotarla, mettendo Iezzi come commissario a non far nulla”, ricorda. “Il partito però esiste ancora, e raccoglie, ogni anno, tra i 600 e gli 800mila euro di finanziamenti pubblici tramite il due per mille. Soldi che i cittadini versano perché siano investiti a fare politica. Invece finiscono in una scatola vuota che li usa per pagare le rate dei 49 milioni (il debito con lo Stato per la vicenda dei rimborsi elettorali trafugati, ndr)”.
Il ricorso in Tribunale
“Dopo le dimissioni di Salvini – spiega ancora Pini – lo statuto imponeva al Commissario, entro 180 giorni, di convocare un Congresso straordinario per eleggere i nuovi organi. Quel termine è scaduto a giugno 2020, ma fino a oggi la convocazione non era mai arrivata”. Tuttora infatti l’ultimo Congresso della Lega Nord risale al maggio del 2017, quando la “nuova” Lega non esisteva ancora: subito prima si erano tenute le primarie, che avevano confermato Salvini segretario con un plebiscito dell’82,7%.
Una volta scaduto il termine, Pini e i suoi chiedono per oltre un anno al commissario Iezzi di ottemperare allo statuto, senza mai ottenere risposte. Finché, nel giugno scorso, l’imprenditore sceglie la via giudiziaria e si rivolge al Tribunale di Milano con un ricorso urgente, chiedendo di “disporre la convocazione del Congresso Federale della Lega Nord per l’indipendenza della Padania al fine di deliberare la nomina del nuovo Consiglio Federale e del nuovo Segretario Federale”. L’udienza di comparizione è fissata a giovedì prossimo, 14 luglio.
Ma domenica 9 luglio, a sopresa, Iezzi gioca d’anticipo e firma di sua iniziativa una convocazione del Consiglio per il prossimo 20 settembre (due giorni dopo la kermesse di Pontida, ormai appannaggio della Lega salviniana) che all’ordine del giorno ha per secondo punto proprio “Congresso Federale“.
Il nodo degli iscritti
Se le cose andranno come sperano i reduci, dunque, dal Consiglio di settembre uscirà la data del primo Congresso della Lega Nord dopo lo svuotamento. E lì, con il voto dei militanti, si proverà a gettare le basi per la rifondazione.
Ma ecco spuntare un’altra questione: chi e quanti sono, in questo momento, gli iscritti alla vecchia Lega? “Non lo sappiamo, non ce l’hanno mai detto”, denuncia Pini. “Sappiamo solo che negli ultimi due anni i commissari scelti da Salvini hanno regalato tessere random a tutti i militanti storici: quelle sono iscrizioni illegittime, perché non garantiscono la volontarietà dell’adesione e sono state fatte oltre i termini previsti dallo statuto per il rinnovo. Sui numeri e sui nomi però non ci hanno dato mai nulla, nemmeno quando a chiederli è stato un consigliere federale, Gianni Fava (lo sfidante di Salvini alle primarie 2017, ndr). Come rispetto delle minoranze, Salvini è peggio di Erdogan“, attacca. Quindi, chi potrà eleggere i delegati al futuro congresso?
“Se vuole sapere la mia, solo i militanti che, come noi, tutti gli anni entro il 31 marzo hanno fatto un bonifico dichiarando di continuare a voler essere iscritti alla Lega Nord. Vuole che le dica quanti sono? Non più di venti“.
“Salvini? Una macchietta, è bulimico di potere”
Se riusciranno nell’impresa far risorgere il Carroccio autonomista dal mondo dei morti, Pini e i suoi hanno ben chiara la direzione in cui andare. “La Lega Nord, con i suoi pregi e difetti, è stata la prima vera esperienza post-ideologica all’interno della politica italiana. E ha svolto un ruolo, che Salvini ha buttato nel cesso: quello di rappresentare le istanze di una parte del Paese, il Nord”.
Secondo l’imprenditore, infatti, decine di migliaia di antichi elettori della Lega hanno abbandonato le urne dopo la svolta “meridionalista”: “Salvini ha rinnegato la storica politica di sostegno alle imprese per buttarsi sui sussidi, su Reddito di cittadinanza e Quota 100. E per espandersi al Sud ha tentato di coprire il vuoto che c’era a destra. Ma dopo un po’, stanchi di votare la brutta copia, gli elettori di destra hanno iniziato a votare l’originale: da qui il boom di Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni. Mentre gli elettori della Lega Nord, me compreso, semplicemente non vanno più a votare. E le sconfitte sonore delle ultime amministrative al Nord lo dimostrano”.
Qual è, insomme, il peccato originale? “Essersi snaturati. Ha sacrificato tutto quello che era stato creato con fatica dalla Lega Nord solo per arrivare al potere, perché lui è bulimico di potere. Solo che poi non lo sa gestire: rincorre ogni giorno chi gli garantisce una sopravvivenza politica. Ma la gente se n’è accorta e non ci crede più”.
(da il Fatto Quotidiano)
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Luglio 10th, 2022 Riccardo Fucile
IL GIRO DI VITE SUI MALATI IMMAGINARI ALL’AMA PRODUCE I PRIMI FRUTTI
Ipocondriaci come il Malato immaginario (tra le molte sfaccettature della romanità interpretate da Alberto Sordi anche quella del ricco proprietario terriero Argante, convinto di covare tutte le sindromi possibili) o risanati all’improvviso per motivi imperscrutabili: merito, forse dei medici arruolati dal nuovo management di Ama per accertare se la schiera di renitenti soffra davvero di patologie incompatibili con il saliscendi dai mezzi di raccolta, lo spazzamento (spesso chini a terra per prelevare i sacchi ammassati in strada) e altre attività che richiedono una salute, se non di ferro, quantomeno non cagionevole.
Dopo i duecento dipendenti guariti all’improvviso con le visite di maggio imposte dal nuovo management della società, se ne aggiungono altri 125 con i controlli di giugno.
La giunta della Capitale ha deciso che, dopo gli incentivi di Natale per aumentare l’indice di produttività e ripulire Roma, era necessario attuare una stretta sui lavoratori e accelerare tutte le visite, rallentate con la pandemia, ai netturbini della Capitale.
Una scelta radicale rappresentata dalla differenza tra le 3.906 visite di maggio 2022 contro le circa 1.550 del 2021.
I dati
Prima degli esami medici erano risultate 1.612 persone inidonee parziali, con problematiche incompatibili con i lavori pesanti come la raccolta dei rifiuti per strada, e 332 inidonei completi, ovvero che non potevano effettuare alcun tipo di prestazione lavorativa.
Poi, a seguito dei controllo medici di maggio, 200 persone erano risultate idonee al lavoro. Inoltre, 330 dipendenti non si erano presentati nonostante la convocazione.
Nel mese corrente sono tornati al lavoro in 125, ovvero il 20 per cento del campione esaminato composto da 693 persone. Anche qui, però, gli assenti non sono mancati: ben 72 a giugno.
(da agenzie)
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Luglio 10th, 2022 Riccardo Fucile
TRA I LEADER POLITICI PREVALGONO MELONI, CONTE E SPERANZA
È il Partito democratico la prima forza politica nel Paese secondo l’ultimo
sondaggio realizzato da Ipsos per il Corriere della Sera.
Un’indagine che evidenzia anche l’indice di gradimento degli elettori verso i leader politici e che, in questo senso, vede in testa la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni.
Ma vediamo nel dettaglio come si comporterebbero gli italiani se fossero chiamati oggi alle urne e i loro giudici sul governo e sui principali esponenti politici.
La forza politica che conquisterebbe più consensi è il Partito democratico secondo i sondaggisti di Ipsos, dato al 20,8%. A seguire troviamo, non troppo distante, Fratelli d’Italia al 20%. Dietro di cinque punti percentuali, invece, la Lega, al 15%.
E ancora, dopo il Carroccio, con il 12,1% dei consensi c’è il Movimento Cinque Stelle. E infine, ultimo tra i principali partiti, Forza Italia al 9,8%.§Tra le forze politiche minori, però, ci sono un paio di elementi degni di nota.
In primis il fatto che il principale tra i piccoli partiti sia Italexit al 4%. Insieme alla federazione di Azione e +Europa, è l’unica formazione politica che passerebbe la soglia di sbarramento.
Inoltre, c’è un altro elemento interessante: Insieme per il futuro di Luigi Di Maio si posiziona davanti a Italia Viva di Matteo Renzi.
Come abbiamo detto, oltre al gradimento per i partiti, viene anche esaminata la fiducia nel governo e nei presidente del Consiglio. L’esecutivo totalizza un indice di gradimento di 55 punti, Mario Draghi di 59.
Per quanto riguarda invece i leader politici, la più amata è Giorgia Meloni con 35 punti, seguita da Giuseppe Conte (31) e Roberto Speranza (31). Il segretario del Pd si trova in quarta posizione (28), seguito da Silvio Berlusconi (27). Matteo Salvini occupa la settima posizione, Luigi Di Maio l’ottava. Matteo Renzi la quindicesima e ultima.
(da Fanpage)
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Luglio 10th, 2022 Riccardo Fucile
IL SOGNO NEOLIBERALISTA STA SVANENDO?
Nel 1844, il filosofo tedesco Karl Marx scrisse i Manoscritti economico-filosofici, teorizzava il concetto di lavoro alienato pensando al lavoro degli operai nelle fabbriche.
Secondo Marx, l’uomo si distingue dagli animali per la sua capacità di fare e creare in maniera consapevole e libera.
Condizione che poco aveva a che fare, invece, con la realtà. Un operaio in fabbrica produce un oggetto estraneo, la merce che dà profitto al suo capo, alimentando il capitale finanziario e trasformando la propria attività in un mezzo di sopravvivenza che produce alienazione dagli altri uomini e alienazione rispetto a chi possiede il prodotto del suo lavoro.Il concetto di alienazione teorizzato quasi due secoli fa da Marx sembrava essere stato dimenticato.
Come se il neoliberismo, con la sua retorica dell’essere imprenditori di sé stessi e sentirsi costantemente in competizione con gli altri al pari di un’impresa sul mercato, avesse davvero cancellato quel concetto che fino alla prima metà del Novecento aveva invece caratterizzato le forme e le norme capitalistiche di produzione e di organizzazione del lavoro. Tuttavia, negli ultimi anni, si è reso di nuovo necessario tornare a parlarne, perché si è compreso che i processi di modernizzazione non hanno interessato solo il mondo del lavoro, ma anche le forme di alienazione stessa. Oggi ci si sente alienati perché costretti alla disoccupazione, al precariato, alla discontinuità lavorativa o anche a un lavoro talmente professionalizzato da non rendere più possibile una distinzione tra tempo di lavoro e tempo di vita.
Si è ristretta la base operaia ed è cambiata l’organizzazione del lavoro in fabbrica, ma non vuol dire che non ci sia una classe operaia diversa. Basti pensare alle centinaia di rider che, in giro per le strade delle città, a colpi di pedalate sulle loro biciclette, si affannano per effettuare decine di consegne al giorno nel minor tempo possibile. Il lavoro automatizzato della catena di montaggio dei secoli scorsi si è messo indosso le maschere della libertà, dell’autonomia e dell’indipendenza, continuando a sfruttare operai nuovi convinti di cose che, in realtà, non esistono. Insieme alla retorica degli imprenditori di sé stessi, infatti, ci sono quelle della condivisione, del fare community sui social, del lavoro in smart-working, più flessibile perché svolto da casa.
Gli scritti del giovane Marx sono più che mai attuali.
Secondo Giorgio Fazio, ricercatore di Filosofia politica all’Università La Sapienza di Roma, «l’alienazione, riprendendo la rivisitazione di questo concetto della filosofa Rahel Jaeggi, è una relazione in assenza di relazione. Quindi, possiamo parlare di alienazione quando siamo in forme di rapporto con altri, da cui è venuta meno una forma di relazione compiuta e identificante». In altre parole, è come se una forza esterna impedisse al lavoratore contemporaneo di riconoscersi in ciò che fa, pur rimanendo attivo.
«Queste relazioni – infatti – sono sempre attivate da noi, dunque l’alienazione non indica una semplice eteronomia, come se fossimo solo impediti da un potere che esternamente ci vieta di fare qualcosa, è una forma di blocco delle nostre attività più sottile e molto più pervasiva», spiega Fazio, puntualizzando che si può essere alienati pur agendo, in apparenza, liberamente, ma senza mai sentirsi realizzati, perché non si agisce in piena autonomia.
Nonostante il lavoro degli operai nelle fabbriche non sia del tutto scomparso, oggi c’è stata una trasformazione del mondo del lavoro che, come spiega Fazio, ha fatto credere di aver allargato le possibilità di autonomia dei soggetti. «In realtà, non è avvenuto e, al contrario, ci troviamo davanti a forme nuove di alienazione.
Esistono, infatti, moltissimi lavori che sembrano offrire il massimo dell’autonomia ai dipendenti. Vengono richieste skills come l’inventiva, la creatività, la flessibilità, tutto ciò che è all’opposto di un lavoro monotono.
Eppure, anche questi lavoratori «sono inseriti in forme di controllo e dominio forti, manchevoli di una vera autonomia rispetto a quelle che sono le scelte del fine ultimo del lavoro prodotto», dice Fazio. Si instaurano «nuove forme di relazione, che a volte sono molto più pervasive rispetto a quelle del passato, che intervengono nella sfera psicologica del soggetto, perché richiedono una mobilitazione di competenze che hanno delle ripercussioni profonde anche nella sfera personale emotiva», prosegue Fazio.
È proprio per questo che negli ultimi anni si sente sempre di più parlare di casi di burnout sul lavoro, talvolta seguiti da suicidio: cambia il nome, ma non la sostanza. «Si tratta di nuove forme di alienazione. Bisogna avere la capacità di riconoscere le nuove forme di dominio e controllo presenti e molto più pervasive, per poi comprendere quando si arriva all’alienazione di sé», spiega il ricercatore. Per quanto, dunque, il mondo del lavoro sia sempre più smart, l’alienazione esiste e può avere risvolti drammatici se non si è in grado di riconoscerla in tempo.§L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha definito il burnout come «un fenomeno occupazionale, lavorativo, conseguenza di uno stress cronico e prolungato sul posto di lavoro».
Si verifica quando ci si sente incapaci di soddisfare le costanti richieste esterne e può manifestarsi attraverso sintomi sia mentali che fisici, fino alla perdita dell’identità. «Il lavoro è un ambito di vita ed espressione, di impegno, dove ancora le persone proiettano la realizzazione di sé. Il lavoro riveste ancora un ruolo molto importante nella vita delle persone, sia perché obbligati a lavorare per vivere, sia perché è tuttora un mezzo per partecipare alla cooperazione sociale», dice Fazio.
Lavorando, infatti, ci si sente riconosciuti socialmente, si acquisisce un certo grado di esclusività nel mettere alla prova le proprie capacità. Il lavoro, nelle credenze socialmente condivise, porta a emanciparsi, a crescere e anche se, oggi, le persone riescono a realizzarsi anche in altri ambiti della propria vita, la sfera lavorativa continua a essere quella principale: «Le persone potrebbero accontentarsi di lavoretti e proiettare soddisfazione in altre sfere sociali, invece arrivano piuttosto a sentirsi alienate quando non si sentono realizzate a livello professionale. È un tema che va di pari passo con quello della ricerca della felicità e che ci chiede di avere un concetto di autonomia e libertà molto più profondo e complesso di quello che è diventato con il neoliberismo, che ha ridotto la libertà al fare o non fare ciò che si vuole», prosegue Fazio, il quale, infine, afferma che «l’idea che il lavoro rende felici è solo il frutto di un broglio ideologico del neoliberismo che ha veicolato questo tipo di messaggi per fare gli interessi del grande capitale finanziario e basta».
Un lavoratore su tre è triste
L’Italia è ultima in Europa per percentuale di persone che si dichiarano “coinvolte” nel proprio lavoro: sono solo il 4 per cento.
A rilevarlo è l’ultimo rapporto sullo “Stato globale del mondo del lavoro” pubblicato lo scorso 14 giugno da Gallup, società di ricerche di mercato indipendente che ha intervistato 230mila lavoratori in tutto il mondo. Siamo quindi al 38° posto, in fondo alla classifica, per “employee engagement”, coinvolgimento dei dipendenti sul lavoro. A livello globale, a questo pessimo risultato si avvicina solo il Giappone, con un 5 per cento, mentre la media è del 21 per cento.Ma cosa si intende con l’espressione “coinvolgimento dei dipendenti”? Si tratta di una definizione non semplice, che di solito «si riferisce a una combinazione di entusiasmo, senso di appartenenza, frequenza con cui si entra in uno stato di “flusso” di profonda concentrazione e trovare il proprio lavoro significativo e gratificante», spiega il Financial Times in un articolo di Sofia Smith, citando Constance Hadley, psicologa organizzativa e docente presso la Questrom School of Business della Boston University.
Il team Gallup ha sviluppato 12 domande, la Q12 di Gallup, che misurano il coinvolgimento in un modo più pratico e che ruotano intorno a tre grandi temi: le condizioni materiali sul posto di lavoro, le relazioni e la presenza di opportunità. «Il coinvolgimento potrebbe non sembrare importante, ma i dipendenti altamente coinvolti in realtà contribuiscono direttamente a migliorare le prestazioni aziendali», si legge nell’articolo del Financial Times. «Le aziende con dipendenti impegnati registrano profitti superiori del 23 per cento rispetto alle aziende con dipendenti infelici, secondo uno studio del 2020 di Gallup, per non parlare di maggiore produttività, fedeltà dei clienti e fatturato superiore».
Al record negativo per l’Italia sul coinvolgimento dei dipendenti si aggiungono altri dati allarmanti: il 27 per cento dei lavoratori italiani – quasi uno su tre – ha dichiarato di aver provato un’intensa tristezza nella giornata lavorativa precedente.
Peggio dell’Italia in questo dato solo Cipro, che arriva al 28 per cento. A sentirsi arrabbiato è invece solo il 16 per cento dei lavoratori italiani: il che ci porta al 21° posto in classifica. Insomma, gli italiani a lavoro si sentono tristi, ma non si arrabbiano, un quadro che trasmette un’estrema rassegnazione per la situazione in cui vivono. Non pensano nemmeno che la situazione possa migliorare in futuro. «Immagina una scala con gradini numerati da zero in basso a dieci in alto. Supponiamo che la parte superiore della scala rappresenti la migliore vita possibile per te, e il fondo della scala rappresenti la peggiore.
u quale gradino della scala diresti di sentirti personalmente in questo momento?». Nella risposta a questa domanda, solo il 40 per cento delle persone sentono di andare nella direzione della prosperità, mentre il restante 60 per cento non vede possibili miglioramenti della propria condizione nel futuro. Questo colloca l’Italia al 28° posto in Europa, seguita da un gruppo di nazioni dell’est europeo.
Lo stress è dichiarato dal 49 per cento dei lavoratori italiani, che al 45 per cento si dichiarano anche preoccupati. Infine, l’Italia arriva per ultima anche in un’altra classifica, che stavolta riguarda il clima lavorativo. La domanda è la seguente: «Pensando alla situazione lavorativa nella città o nella zona in cui vivi oggi, diresti che ora è un buon momento o un brutto tempo per trovare un lavoro?». Ebbene, solo il 18 per cento degli italiani pensa che sia un frangente positivo. «Se i capi non prestano attenzione al benessere dei loro dipendenti, è probabile che vengano presi alla sprovvista dal burnout da parte di chi offre le migliori prestazioni e dagli alti tassi di abbandono», ha scritto Ryan Pendell, che si occupa di questi temi per Gallup, sulla Harvard Business Review. I suoi suggerimenti ai datori di lavoro sono tre: pensare al benessere dei dipendenti, raccogliere i dati sul loro benessere e, infine, rendere la cura dei dipendenti una parte permanente della propria cultura del lavoro.
Il fallimento non è individuale
Tanto tristi, ma poco arrabbiati. Perché? Secondo Fazio, i lavoratori in Italia fanno fatica a sentirsi parte di uno stesso sistema, che li condanna a una condizione di sfruttamento. «I fattori di identificazione collettiva sono altri e questo a causa delle trasformazioni del mondo del lavoro stesso», afferma.
La più grande vittoria del neoliberismo è stata e continua a essere, infatti, quella di aver fatto credere a tutti che i fallimenti e i successi sono una questione strettamente individuale: «sia che si riesca a vincere sia che si fallisca, come di solito accade, è merito o, viceversa, demerito solo dell’individuo», prosegue il ricercatore, perché «c’è stato un racconto ideologico secondo cui responsabilità che affondano le proprie radici nelle logiche del profitto e della competizione, che regola i rapporti economici nel capitalismo, sono state trasformate in responsabilità individuali e dei lavoratori».
Quel lavoratore su tre che avverte una profonda tristezza sul posto di lavoro, probabilmente, non si arrabbia perché non attribuisce la responsabilità della propria infelicità al luogo di lavoro stesso in cui si reca quotidianamente, ma a sé stesso, trasformando quello stato d’animo in una sorta di fallimento personale. «I lavoratori dovrebbero riconoscere delle connessioni fra lavori diversi, e quindi fare fronte comune contro i poteri forti, contro chi trae un vantaggio da questa situazione
Se non accade è proprio perché non si vuole rinunciare al percorso individuale nel mondo del lavoro», precisa Fazio.
Sul fatto che la situazione nel mondo del lavoro possa cambiare, Fazio si mostra indomito: «I cambiamenti che vanno nella direzione di allargare la sfera dei diritti e le forme di riconoscimento di autonomia, libertà, uguaglianza avverranno solo se ci saranno scelte politiche e movimenti sociali che spingeranno in quella direzione, non accadranno in modo automatico e l’abbiamo già visto negli ultimi decenni, con la rivoluzione informatica», afferma. Esperimenti, in questo senso, nel mondo del lavoro in corso ce ne sono, ma sono ancora pochi. Un esempio fra tutti, la settimana corta, che prevede una riduzione dei giorni lavorativi da cinque a quattro, mantenendo lo stesso stipendio.
Tra i primi Paesi ad averla attuata ci sono Scozia e Islanda, seguiti da Spagna, Regno Unito, Giappone e Belgio. In Italia, invece, al di là dello scontro politico sulla possibilità di mantenere lo smart working o lavorare in modalità mista (in ufficio e da casa), lavorare solo quattro giorni a settimana è un’opzione ancora lontana. Sono, infatti, poche le situazioni in cui è stata introdotta la settimana lavorativa corta, fatta eccezioni per piccole realtà. L’unico modo per ottenere un cambiamento effettivo, secondo Fazio, è quello di «creare fronti comuni contro il capitale finanziario e chi detiene le leve del potere».
(da agenzie)
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Luglio 10th, 2022 Riccardo Fucile
“HA UN COMPLESSO DI INFERIORITÀ E QUESTA SORTA DI SPOCCHIOSITÀ PARIOLINA. PENSA DI ESSERE MEGLIO DI TUTTI GLI ALTRI”… “BUON RISULTATO A ROMA? È ARRIVATO TERZO. COME QUANDO UNO PARTECIPA ALLE CORSE CICLISTICHE E NON ARRIVA MAI PRIMO. NON VINCE MAI”
«Calenda ha un complesso d’inferiorità». Clemente Mastella, sindaco di
Benevento e leader di Noi al Centro, risponde per le rime al fondatore di Azione che ha posto il veto sul suo nome durante la convention di Giovanni Toti.
Perché Calenda ha tanta acredine nei suoi confronti?
«Ricordo che quando lui lavorava per il Cis di Nola, io gli davo le raccomandazioni. Lui ha sempre questa sorta di spocchiosità pariolina. È come un piccolo Trump pariolino che pensa di essere meglio di tutti gli altri. Una strategia politica che lo porta a essere sconfitto permanentemente».
Ci spieghi meglio…
«Fu candidato con Monti e non fu eletto. Poi fu recuperato da Renzi contro il quale sprizza veleni e, infine, fu eletto al Parlamento europeo col Pd e ha lasciato il Pd. Ha una sorta di coerenza-incoerenza per cui per sé stesso non vale l’incoerenza, vale solo per gli altri».
Eppure a Roma ha ottenuto un buon risultato…
«Sì, è arrivato terzo. È come quando uno partecipa alle corse ciclistiche e non arriva mai primo. Non vince mai…».
Perché lo ha definito la quinta colonna del populismo?
«Perché se tu metti insieme tutti quelli che sono andati con i populisti e realizzi una condizione di parentela politica particolare, è chiaro che vincono gli altri dove c’è un populismo accentuato».
Ma il centro può davvero tenere insieme Renzi, Calenda, Di Maio e Mastella?
«Se uno volesse realizzare una trasposizione dalle parole al dato reale dovrebbe tenere insieme tutto attraverso una forma federativa».
Non c’è il rischio di creare una sorta di riedizione dell’Unione?
«Certo, ma l’ultima volta che ha vinto il Pd in Italia era il 2006 quando c’era quella compagine. Dopo, non ha mai più vinto le elezioni. Ovviamente si deve stabilire in partenza il modo di comportarsi».
Italia al centro, Noi di centro, Azione e Italia Viva. Quattro o più partiti che si dichiarano tutti di centro non sono troppi?
«Per me, in questa coalizione, andrebbe bene se ci fosse anche Forza Italia che oggettivamente è di centro. Detto questo, è chiaro che si deve iniziare con una formula federativa come la Margherita e, poi, farne uno solo».
Lei però non aderì alla Margherita…
«Io ho evitato il più grande dramma della storia politica italiana degli anni, ossia congiungere i destini dell’area ex comunista con quella ex democristiana. E, infatti, oggi il Pd fa una fatica immensa ad arrivare al 20%. All’epoca, invece, Margherita e Pds arrivavano al 30%. Poi, nel Pd capitava che se vinceva uno della ditta, gli altri gli erano contro. Se vinceva Renzi, gli altri gli erano contro. E, quindi, che senso ha avuto quel partito?».
Forza Italia è un partito di centro. Non sarebbe meglio rafforzare il progetto del Cavaliere
«Oggi, Forza Italia, col suo 8-10%, sarebbe il primo partito dello schieramento di centro e avrebbe una valenza enorme. Di là, invece, è minoritario diversamente da quanto avveniva prima quando a guidare la coalizione c’era il Cavaliere, che era di gran lunga più moderato di questi che ci stanno ora e che si fanno la guerra per vedere chi arriva primo».
Ma, quindi, c’è spazio per un polo di centro anche con questa legge elettorale?
«Si deve partire, rischiare, definire la formula dello stare insieme e poi presentarsi alle elezioni indipendentemente dalla legge elettorale. Non si può decidere all’ultimo momento».
Ma poi, con chi si dovrebbe alleare il centro?
«L’idea del centro un po’ guardone che guarda un po’ di là e un po’ di qua non mi piace. Io sto nel mio, poi valuto a seconda delle proposte politiche e dei programmi».
(da agenzie)
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Luglio 10th, 2022 Riccardo Fucile
LO SCANDALO DELLA SENTENZA DI TORINO
Stamattina sono andata al mercatino domenicale. Mi sono accorta solo quando ero già fuori d’avere sbagliato una serie di cose, accidenti a me. Anzitutto ho messo i jeans celesti, quelli molto attillati. Li ho scelti perché sono leggeri, e mi piacciono, e non ho pensato al pericolo. Che stupida. Sono davvero senza cervello, come dicono che siamo noi donne. Stavo attenta a muovermi, tra le bancarelle, per non attirare sguardi. A un certo punto ho controllato la tenuta della cerniera, non si sa mai. Con jeans attillato e cerniera rotta non avrei avuto scampo, chiunque si sarebbe sentito, come avevano detto quei giudici nella sentenza di Torino? Ah già,“invitato a osare”. Perché si sa, lo diceva pure mia nonna, “l’uomo è cacciatore”, e si ti fai selvaggina la colpa è solo tua.
Così, quando sono entrata nel bar e ho preso il caffè sono stata molto attenta, mi sono messa in un angolino in disparte: metti che entrava un maschio e vedeva i miei jeans, poverino, non avrebbe avuto scampo. Si sa, i maschi sono sempre col testosterone agli occhi, sono creature impetuose, sta a noi non provocarli, no? Poi ho chiesto dove fosse il bagno, e due, tre teste si sono voltate. E si capisce, il bagno è un luogo simbolico. Sono sgattaiolata in fondo al locale, la porta non si chiudeva bene, e lì ho avuto davvero paura. Metti che passava qualcuno e s’accorgeva della porta chiusa male: era un evidente invito a entrare, no? Se poi fosse stato uno che conoscevo, uno con cui magari in passato c’era stato qualcosa – che noi femmine siamo fatue e poco serie, certe volte – allora sarebbe stato matematico. I jeans, la cerniera, il bagno, la porta: ma che dovrebbe fare un maschio per trattenersi, in certe condizioni?
Ormai lo sappiamo, lo sapevamo da prima – ce n’erano state altre sentenze, a segnalarci tutto quello che non dobbiamo fare, se vogliamo stare al sicuro: la minigonna, l’atteggiamento, il troppo alcool, una vita sessuale libera, anzi una vita sessuale – ma in qualche modo quella di Torino è stata rivelatoria e definitiva: la colpa è nostra se veniamo stuprate, punto. Dopotutto, se lasci la borsa aperta e sparisce il portafoglio puoi seriamente sostenere che la colpa è di chi te lo ha rubato? No, la colpa è tua che non hai chiuso la borsa. Anzi che ce l’avevi, la borsa, e sei persino uscita, a esibire il tuo portafogli malcustodito. Stando a casa non ti sarebbe capitato. Si chiama TLSC: te la sei cercata.
Certo, nei tribunali non è facile trovare derubati accusati di induzione al furto, truffati accusati di arrendevolezza alla truffa, malmenati accusati di provocazione. Invece di stuprate accusate di stupro indotto – a mezzo jeans attillato, porta socchiusa, minigonna o “rifiuto poco deciso”, qualunque cosa sia – ce ne sono un sacco. E’ che siamo donne, non impariamo mai. Meno male che gli uomini ce le spiegano, le cose.
E ora scusate, ordino online un burka. Le sorelle che lo portano, dopotutto, lo fanno per una buona causa: non provocare gli istinti maschili. Ecco.
(da Huffingtonpost)
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Luglio 10th, 2022 Riccardo Fucile
L’ENNESIMA STRAGE DI UNA ASSOCIAZIONE A DELINQUERE
Un altro crimine di guerra: è salito ad almeno 20 morti in Ucraina il
bilancio del bombardamento russo di un condominio di cinque piani a Chasiv Yar, nella regione orientale di Donetsk, e oltre 20 persone potrebbero ancora essere intrappolate fra le macerie.
Lo riferiscono i servizi locali di emergenza. I soccorritori hanno fatto sapere di essere riusciti a parlare con almeno tre persone intrappolate sotto le macerie.
Pavlo Kyrylenko, governatore della regione di Donetsk in cui Chasiv Yar si trova, ha riferito che la città di circa 12mila abitanti è stata colpita da razzi Uragan, che vengono lanciati da sistemi trasportati da camion. Chasiv Yar si trova a circa 20 chilometri a sud-est di Kramatorsk, una città che dovrebbe essere uno dei principali obiettivi delle forze russe mentre si spostano verso ovest.
La regione di Donetsk è una delle due province che, insieme al Luhansk, compone il Donbass.
Qui i ribelli separatisti filorussi combattono contro le forze ucraine dal 2014. La scorsa settimana la Russia ha preso il controllo della città di Lysychansk, l’ultima grande roccaforte della resistenza ucraina nel Luhansk. Secondo il governatore del Luhansk, Sergey Haidai, le forze russe stanno scatenando il «vero inferno» nel Donbass, nonostante secondo gli analisti i russi avrebbero dovuto prendersi una pausa operativa dopo la conquista del Luhansk per riarmarsi e riorganizzarsi.
L’assalto missilistico di sabato sera è l’ultimo di una recente serie di attacchi contro strutture civili.
Almeno 19 persone sono morte dopo che un missile russo ha colpito un centro commerciale nella città di Kremenchuk alla fine di giugno e 21 persone sono rimaste uccise dopo che un condominio e un’area ricreativa sono stati colpiti da razzi questo mese nella regione meridionale di Odessa.
(da agenzie)
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Luglio 10th, 2022 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL FRIULI ENTRA A PIENO TITOLO NEL CIRCO DEI PUTINIANI D’ITALIA
Neanche al più scatenato dei putinisti era finora venuto in mente di chieder soldi agli Stati Uniti (invece che a Putin) come ‘ristoro’ per la guerra in Ucraina.
C’è riuscito oggi Piero Mauro Zanin, presidente del consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia: “La guerra affonda l’Italia, gli Usa paghino i costi”, propone sul Messaggero Veneto.
“Il pensiero unico imposto dalla Nato a forte trazione americana ci ha fatti schierare a supporto di un incondizionato, frettoloso, scomposto e ingenuo appoggio all’Ucraina”, denuncia Zanin, “in un conflitto che si è voluto semplificare come quello dei buoni contro i cattivi”.
Linea dura che non possiamo permetterci: “Mostriamo muscoli che la palestra del benessere ha afflosciato, se non azzerato”. Saremmo dei mollaccioni, insomma: “Invece di ricercare pace e dialogo finanziamo armanenti e rifiutiamo confronti con la Russia, adducendo scuse di ogni tipo”.
La colpa, per Zanin, è tutta della “politica espansionistica e imperialista degli Usa, che potrebbe farci affondare. Invece di offrire briciole per la ricostruzione dell’Ucraina, gli americani dovrebbero ristorare l’Europa in cambio dei nostri sacrifici”.
Parole a metà fra centri sociali e bottegai piccolo borghesi in cerca di risarcimento. P
eccato che i talk show siano in pausa estiva, altrimenti Zanin, già sindaco di Talmassons (Udine), avrebbe una ribalta assicurata. Tanto più che non è un estremista grillino o leghista, ma un dirigente di Forza Italia. Povero Berlusconi
(da agenzie)
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Luglio 10th, 2022 Riccardo Fucile
PATUANELLI ANTICIPA LE MOSSE: “ABBIAMO POSTO DEI TEMI CENTRALI PER IL PAESE”
Stefano Patuanelli, titolare delle politiche agricole e forestali del governo
Draghi, intervistato da Repubblica va fino a dove può andare nella determinazione del Movimento, sul voto di fiducia di giovedì in Senato, sul decreto Aiuti, quello che dà a Roma la possibilità di costruire un termovalorizzatore, non proprio gradito al Movimento.
Nessun Papeete bis. “A parte che il Papeete di Salvini è stata una crisi immotivata. Noi abbiamo posto dei temi centrali per il Paese a cui Draghi deve rispondere. Francamente non credo che questo si possa definire un Papeete”.
Il ministro si dichiara “ottimista” e arriva a dire sulla possibilità di non andare a strappare fino in fondo, cioè con un atteggiamento di semi rottura, tipo il non voto e l’uscita dall’Aula: “Vediamo — risponde il ministro — Non lo escludo, non lo escludo”.
Ma il ministro ce l’ha con gli ex compagni di viaggio, gli scissionisti di Di Maio: “Non capisco il loro ragionamento, come lo proiettano sulla tenuta del governo — dice polemico Patuanelli — C’è una forza politica nuova che ha creato i gruppi a Montecitorio e Palazzo Madama dicendo che così avrebbero reso ininfluente il Movimento 5 Stelle. Però se il Movimento esce, il governo casca e siamo noi gli irresponsabili”.
Il ministro, come Conte, guarda all’anima perduta del Movimento, anche in rapporto al campo largo, se esiste ancora, e con il Pd.
“Dobbiamo disegnare un percorso che ci porti a presentare un progetto di Paese diverso da quello che hanno in mente le destre — dice ancora Patuanelli — In questo momento credo che non dobbiamo tanto guardare al nostro ombelico, al nostro rapporto, a ciò che accade all’interno delle nostre forze politiche. Stiamo perdendo troppo tempo in questo, secondo me. E invece ne stiamo impegnando troppo poco a disegnare il progetto futuro che dobbiamo proporre agli italiani”.
Ma ombelico o no, l’orizzonte è giovedì. E molto dipenderà da Draghi.
(da Huffingtonpost)
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