Gennaio 4th, 2024 Riccardo Fucile
LA SATIRA SI SCATENA E IL DEPUTATO DI FDI DIVENTA UN MEME
«Ma cosa memiamo a fare» è una frase con tanto di neologismo che i geniacci satirici del web buttano fuori quando un fatto di cronaca è talmente strampalato che si fatica a prenderlo in giro con i meme, le grafiche graffianti fatte per ridere e per circolare di social in social. Perfino Makkox, vignettista del quotidiano «Il Foglio» e della trasmissione televisiva «Propaganda live», è sembrato arrendersi di fronte ai fatti di Rosazza, al deputato che porta una pistola alla festa di un collega parlamentare, poi da quella pistola parte un colpo e una persona resta ferita. «Neanche la disegno, va…» aveva sentenziato dal suo profilo X commentando l’intervista in cui Andrea Delmastro ricostruiva i fatti per quello che aveva visto, cioè poco dato che stando alle sue dichiarazioni era intento a caricare in auto gli avanzi della cena. Poi il dovere chiama e sul giornale è comparsa eccome una vignetta a tema, con Emanuele Pozzolo a pistola sguainata che fa le prove davanti a uno specchio come nel film «Taxi driver».
Ma quello è lavoro. I geni della satira dilettanti hanno fanno a gara a commentare il fatto del giorno e gli accadimenti di Rosazza. A proposito di citazioni cinematografiche, i film western sono andati per la maggiore. C’è la locandina rielaborata che recita «Rosazza colt». In un’altra il titolo di un capolavoro degli «spaghetti western» è diventato «Il buono il brutto il sottosegretario» in cui qualcuno ha usato Photoshop per mettere la faccia di Andrea Delmastro sopra quella di Lee van Cleef: una produzione «Fratelli di Taglia».
Pozzolo prende di volta in volta le sembianze di John Travolta in «Pulp fiction» o viene accostato a spezzoni di commedie, con un Carlo Verdone d’annata che tira fuori un revolver dal borsello e giura «C’ho il porto d’armi» o Giacomo Poretti (appena stato a Oropa) che a Giovanni e Aldo chiede scusa per aver fatto partire un colpo dalla pistola infilata nel taschino della giacca.
Per Delmastro c’è anche una versione John Belushi nei Blues Brothers (quello che diceva alla fidanzata «Non sono stato io») e una citazione da intenditori di Amici Miei, quando la figlia del conte Mascetti alias Ugo Tognazzi, rimasta inopinatamente incinta, dice che il fattaccio è avvenuto mentre «sparecchiavo». Perfino Osho, l’autore satirico che Fratelli d’Italia chiama ai suoi convegni, ha pubblicato un’immagine del presidente dell’Ucraina Zelensky al telefono che chiede a Pozzolo: «Per caso ha anche altre armi?».
Siccome il sarcasmo poi deborda facilmente oltre la valle del Cervo e l’episodio in sé, pagano pegno anche Biella e Vercelli con i loro antichi luoghi comuni. Matteo Bordone, giornalista e autore di podcast per Il Post, picchia duro: «A me spiace soprattutto per quelli di Vercelli che già non è che la città godesse di fama scintillante».
Da Enrico Sola, esperto di marketing torinese, arriva il gancio alla mascella: «Tieni conto che avviene in provincia di Biella che è la Vercelli di Vercelli, quanto a vivacità». Vira sull’umorismo nero lo speaker radiofonico e autore Luca De Gennaro: «Se vi proponessero di passare un capodanno alla Pro loco di Biella non direste: mado’, da spararsi?».
Non basta? Il post social con cui la rivista Dove pubblicizza i suoi podcast dedicati alla città ha subito raccolto un commento: «Feste di capodanno scoppiettanti». Per la promozione turistica del territorio, per favore, ripassate fra qualche giorno.
(da La Stampa)
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Gennaio 4th, 2024 Riccardo Fucile
“SOSTIENE CHE LA RIFORMA ISTITUZIONALE NON TOCCA I POTERI DEL QUIRINALE. OGGI IL CAPO DELLO STATO PUÒ NOMINARE GOVERNI TECNICI, DOPO LA RIFORMA NO. QUINDI AVREBBE MENO POTERI. ALTRA BALLA: NELL’INCHIESTA SULL’ANAS VIENE CITATO SOLO IL PRECEDENTE GOVERNO”
Due cose colpiscono di questa conferenza stampa di fine anno
slittata a inizio anno: l’incertezza strategica di Giorgia Meloni e la sua palese ignoranza di qualunque aspetto dell’attività economica del suo governo.
Per esempio riesce a dire sia che l’Italia cresce più della media europea, ma anche che è troppo presto per sapere come andrà la crescita, forse perché non ha mai letto la legge di Bilancio in cui ci sono previsioni a tre anni su qualunque variabile economica.
Incertezza strategica: su cosa ha le idee chiare la premier? Di certo non sui suoi temi in teoria forti, dai valori ai migranti.
Per quanto sembri incredibile, è arrivata con risposte preparate solo su due punti: l’uscita dell’Italia dalla Via della Seta con la Cina e il caso del deputato con la pistola, Emanuele Pozzolo.
Sul resto dice cose a modo loro clamorose (vedi sotto sui migranti) o assurde (su Patto di stabilità e Mes), senza una bussola identificabile di qualunque tipo, se non una vaga difesa dell’operato del governo fin qui. Ma sempre senza numeri e dettagli, a spanne, con il grado di superficialità consentito da un format che non concede ai giornalisti la seconda domanda.
Di economia Meloni non si è mai occupata, e forse era comprensibile quando stava all’opposizione, ma è il primo premier che io ricordi così incapace di articolare un qualunque ragionamento non dico condivisibile ma che almeno riveli una minima conoscenza dei dossier.
(da agenzie)
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Gennaio 4th, 2024 Riccardo Fucile
PUNTO PER PUNTO LE FALSITA’
Giorgia Meloni ribadisce di non voler toccare alcuna prerogativa del presidente della Repubblica: «Quando ho presentato la riforma costituzionale del premierato, la prima cosa che ho detto è di non toccare poteri del presidente della Repubblica e infatti non li tocchiamo. Manteniamo intatto il ruolo del presidente della Repubblica perché è giusto così e perché è sempre stato una figura di assoluta garanzia».
È falso.
La riforma del premierato, così come è stata presentata dalla ministra Elisabetta Casellati, toglie al Capo dello Stato il potere di nomina dei senatori a vita, la cui figura viene eliminata dal sistema parlamentare. Incide quindi su un potere del Quirinale previsto dalla Costituzione.
Tocca poi quei poteri attribuiti al Colle per “prassi costituzionale”, perché il presidente della Repubblica, con l’elezione diretta del premier, non avrà più modo di scegliere quale presidente del Consiglio nominare. Vede limitati, poi, anche i poteri di scioglimento delle Camere, perché non potrebbe più tenere in piedi la legislatura trovando maggioranze alternative in caso di caduta del premier incaricato (e di successiva caduta dell’eventuale “premier di scorta” che la stessa maggioranza parlamentare uscita dalle elezioni potrebbe nominare). Una volta sfiduciati il premier e il successivo “premier di scorta”, il Capo dello Stato sarà obbligato a indire nuove elezioni.
Nel nome del garantismo, Giorgia Meloni rigetta l’ipotesi di dimissioni di esponenti del suo governo senza che ci sia una condanna definitiva: «Credo che le cose si valutino a valle. Io non ho mai chiesto le dimissioni di Conte quando è stato indagato. A sinistra si è garantisti coi propri e giustizialisti con gli altri. Non funziona così».
Vero e falso.
Meloni non ha mai chiesto le dimissioni di Conte quando è stato indagato nell’inchiesta sulla gestione del Covid-19, ma non sempre ha atteso l’ultimo grado di giudizio per chiedere un passo indietro dei suoi avversari politici. Spesso, per la verità, non ha aspettato nemmeno che si arrivasse a processo.
Nel 2017 il ministro dello Sport Luca Lotti viene coinvolto nell’inchiesta Consip, recentemente rinviato a giudizio, ma Meloni non vuole attendere di «valutare a valle» e appoggia subito l’idea di una «mozione di sfiducia».
Nel 2016 diventano «dimissioni doverose» quelle di Federica Guidi, ministra dello Sviluppo economico nell’allora governo Renzi, colpita dall’inchiesta sul petrolio in Basilicata, che poi finirà in un nulla di fatto. In quella occasione Meloni estende addirittura l’invito alle dimissioni al premier Matteo Renzi e a «tutto il suo governo».
Nel 2013 pretende le dimissioni per due ministri. Chiede senza successo quelle di Annamaria Cancellieri, coinvolta nella vicenda Ligresti per le sue telefonate ai familiari del costruttore: «Il suo comportamento è stato totalmente inopportuno, credo che il ministro non abbia più la possibilità di avere un mandato pieno», diceva la leader di Fratelli d’Italia. E nello stesso anno ritiene sia doveroso un passo indietro di Josefa Idem, ministra alle Pari opportunità del governo Letta, al centro delle polemiche dopo un accertamento disposto dal comune di Ravenna che le contestava l’Ici non pagata per quattro anni e delle irregolarità edilizie: «Le dimissioni da ministro sarebbero un gesto importante e significativo, un forte segnale di rispetto verso le Istituzioni», sentenzia Meloni prendendo la parola nell’Aula della Camera.
Per rispondere all’accusa delle opposizioni di aver trasformato la Rai in TeleMeloni, la premier ricorda il caso di Paolo Corsini, che alla festa di partito di FdI si rivolse ai militanti usando il «noi» e attaccò la segretaria del Pd Elly Schlein. «Ho visto – dice Meloni – le richieste di dimissioni per un giornalista Rai che ad Atreju ha criticato il segretario di un partito. Io sono stata criticata da giornalisti della Rai per una vita, ma nessuno ha mai detto una parola. E sono d’accordo che non si dica una parola, perché la libertà di stampa è anche quella».Se quella di Meloni non è un’affermazione falsa, è quantomeno fuorviante.
Corsini, infatti, non è un «semplice» giornalista Rai, ma è direttore degli Approfondimenti. Si tratta quindi di uno dei massimi dirigenti del servizio pubblico televisivo italiano. E se i giornalisti devono poter avere il diritto di critica che Meloni rivendica, i dirigenti Rai dovrebbero invece essere imparziali e, soprattutto, apparire imparziali.
(da La Stampa)
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Gennaio 4th, 2024 Riccardo Fucile
LA MELONI HA DETTO DI NON AVERLO MAI FATTO…LA RENZIANA BOSCHI: “MELONI MENTE SENZA CONTRADDITTORIO”
Giorgia Meloni dice in conferenza stampa di non aver mai chiesto le
dimissioni in passato per questioni di opportunità politica a seguito di inchieste giudiziarie. Il tema caldo sono le diverse indagini che riguardano esponenti di governo o loro congiunti.
L’enorme archivio del web sul suo passato la smentisce. Per esempio dal sito ufficiale di Fratelli d’Italia spunta una dichiarazione della futura premier che nel 2016 chiedeva dimissioni dell’ex ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi, il cui compagno fu coinvolto nell’inchiesta sul petrolio. L’argomento tocca soprattutto i renziani, nel mirino della destra meloniana quando Matteo Renzi era presidente del Consiglio.
«Meloni ha mentito anche stamani in conferenza stampa. Oggi ha detto che lei non ha mai chiesto le dimissioni degli avversari; evidentemente dimentica le aggressioni giustizialiste di Fratelli d’Italia contro di me e la mia famiglia. Ma dimentica anche le plurime richieste di dimissioni del Governo Renzi. Qui ad esempio dopo lo scandalo – che scandalo non era – di Tempa Rossa. Abbiamo una Presidente del Consiglio che senza contraddittorio mente. Lo ha fatto in Senato sull’Euro, lo ha fatto oggi sul giustizialismo». Lo scrive in un post su Facebook la deputata di Italia Viva Maria Elena Boschi.
(da agenzie)
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Gennaio 4th, 2024 Riccardo Fucile
DAL BOOMERANG DEL FAX SUL MES ALLA “GENIALE” TASSA SUGLI EXTRAPROFITTI: TUTTI I PRECEDENTI – “IL FOGLIO”: “PER MELONI IL PROBLEMA NON È LO STUPIDO ATTORNO A CUI SI POSSONO COSTRUIRE DEGLI ARGINI, MA QUELLI CHE LEI RITIENE SVEGLI”
Il partito di Giorgia Meloni ha un evidente problema di toninellismo diffuso, come ha scritto Salvatore Merlo. Non c’è un bomber delle gaffe e degli scivoloni, ma c’è la forza di un collettivo che non fa mai mancare dalle prime pagine dei giornali un lampo d’imbecillità. Da Delmastro a Donzelli, passando per Lollobrigida e Urso, per non tacere di Sangiuliano e La Russa, scendendo giù per li rami dei nomi meno noti fino all’exploit di Capodanno di Pozzolo, ognuno contribuisce a questo gioco di squadra.
Evidentemente, per Meloni il problema non è tanto lo stupido conclamato attorno a cui si possono costruire degli argini, ma quelli che lei ritiene svegli. Prendiamo Giovanbattista Fazzolari, che secondo le cronache per Giorgia Meloni è “la persona più intelligente che abbia conosciuto”. E per questo nominato come stratega della comunicazione del partito e del governo.
Il deputato Pozzolo, durante una festa di Capodanno insieme al sottosegretario Delmastro, estrae una pistola da cui parte un colpo che ferisce una persona. Tragedia sfiorata, ma è evidente che si tratta di un enorme caso politico e di una crisi di comunicazione che Fazzolari riesce a gestire peggio di Chiara Ferragni dopo il “Pandoro gate”: “Solo un fatto di cronaca”, è la linea.
Nelle immediate ore dopo l’accaduto, Fazzolari prende in mano la situazione con la stessa delicatezza con cui Pozzolo maneggia le armi da fuoco, e dirama una nota secondo cui “l’incidente accaduto a Biella a una festa la sera di Capodanno… non ha alcuna rilevanza politica”. Si tratta “di un fatto di cronaca”, “qualora dovessero emergere comportamenti irregolari o inadeguati da parte dell’on. Pozzolo” il partito prenderà provvedimenti ed è “assurdo il tentativo di trasformare quanto accaduto in un caso politico per attaccare FdI”. Capitolo chiuso e crisi archiviata, avrà pensato. Ora non ne parlerà più nessuno.
Neppure Fazzolari ha creduto all’esclusione della valenza politica dell’accaduto. Tanto è vero che nel mattinale con cui detta la linea del governo è lo stesso “Fazzo” a commentare il caso Pozzolo sotto il capitolo “politica interna”. Non solo cronaca, quindi.
E infatti la storia, come era prevedibile, è rimasta per giorni sulle prime pagine dei giornali che sono andati a scandagliare tutti i dettagli tragicomici della vicenda, dall’uso dell’immunità alla testimonianza del poliziotto secondo cui Pozzolo “era allegro, ha tirato fuori la pistola e all’improvviso è partito lo sparo”
E così la comunicazione viene subito ribaltata, con la Meloni “furiosa” perché “questa follia ci danneggia!”. La strategia di Fazzolari non ha funzionato, insomma. E non è la prima volta. Una grande idea del Fazzo è stata quella di risolvere la partita del Mes facendo sventolare alla premier un “fax” che avrebbe dovuto dimostrare la firma “col favore delle tenebre” da parte del governo Conte e invece, come indicato dal Foglio, mostrava alla luce del sole che si trattava di una patacca.
Ma già all’inizio del governo Meloni, Fazzolari provocò una crisi con la Banca d’Italia con una dichiarazione che la accusava di essere portatrice della “visione delle banche private” in relazione a una norma sul Pos che poi il governo ha dovuto ritirare.
Un altro grosso incidente diplomatico, stavolta con gli Stati Uniti, il braccio destro della Meloni lo provocò un paio di mesi dopo quando disse, proprio sul Foglio intervistato da Simone Canettieri, che “l’omino della Cia non ha altri interlocutori affidabili” al di fuori di Meloni.
Per non parlare di quella genialata della tassa sugli extraprofitti delle banche, sempre farina del sacco di Fazzolari, che ha incrinato l’immagine di Meloni sui mercati internazionali tanto da costringere il governo a rimangiarsela.
(da agenzie)
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Gennaio 4th, 2024 Riccardo Fucile
FORZA ITALIA APRE A UNA TRATTATIVA, MA IL CAPITONE MANTIENE LA LINEA “DURA E PURA”: NIENTE COMPROMESSI – E COSÌ LA SORA GIORGIA SI TROVA A UN BIVIO: SEGUIRE IL CARROCCIO E BECCARSI UNA PROCEDURA D’INFRAZIONE O APRIRE UNA SPACCARURA NELLA MAGGIORANZA? LA COMMISSIONE AVVERTE: “ANALIZZEREMO ATTENTAMENTE IL DDL CONCORRENZA”
La Commissione europea “analizzerà attentamente” il disegno di
legge sulla concorrenza adottato dall’Italia “nella prospettiva del settore degli ambulanti così come in quella delle concessioni balneari” e “porterà avanti il dialogo bilaterale su questi due temi con le autorità italiane”. Lo ha detto un portavoce della Commissione Ue, ricordando in particolare che Bruxelles “sta monitorando la situazione del settore degli ambulanti in Italia e su questo tema è già stata in contatto con le autorità nazionali”.
Il governo sembra finalmente pronto ad approvare una norma che mandi a gara, con regole nuove sulla concorrenza, le concessioni balneari. Soprattutto appare ormai consapevole che senza un intervento normativo i danni possono essere molto maggiori dell’inerzia, e a farne le spese potrebbero essere, per paradosso, gli stessi titolari storici delle concessioni attuali.
Oltre all’intervento del capo dello Stato, sono due i motivi che hanno rafforzato la consapevolezza delle necessità di un intervento. Primo: già da quest’anno, quindi da quattro giorni, esiste il rischio che un sindaco o un magistrato disapplichi la normativa vigente, si appelli a quella europea, iniziando le gare e dando vita a quel far west legislativo da tanti annunciato e temuto, che finirebbe per fare danni a tutto il settore. Anzi, alcune gare sono state già bandite.
In secondo luogo si avvicina la possibilità che la Commissione europea giri la materia alla corte di Giustizia europea, che a sua volta ci condannerà a pagare una multa molto pesante, da decine di migliaia di euro al giorno secondo alcune stime, che pagherebbe il Mef, quindi di fatto tutti contribuenti. Oltre allo smacco di un’ennesima procedura di infrazione.
Ma il condizionale è d’obbligo perché nessuno al momento è in grado di fare previsioni sulle reali intenzioni del vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini, che fino ad oggi non ha mai dato disco verde alla presentazione di nuove norme che siano in linea con la direttiva Bolkestein sulla concorrenza, che l’Italia non ha mai applicato.
Per questo motivo ci vorrà certamente nei prossimi giorni un test di maggioranza, una riunione o un confronto fra i tre partiti e il tentativo di arrivare quantomeno a un compromesso, sul quale del resto la stessa Commissione europea è aperta: infatti un testo che tutelerebbe (dando valore agli investimenti fatti o ad altri criteri) gli attuali titolari di concessioni è stato già discusso informalmente con gli uffici della Commissione, che sono disposti ad approvare una legge che contemperi sia il diritto alla gare che quelli maturati dai titolari storici di aziende balneari.
Se a un compromesso non si arrivasse sembra di capire che a questo punto la stessa Meloni sia disposta, nonostante la posizione di alcuni esponenti del suo stesso partito, a scaricare su Salvini la responsabilità di un ormai imminente caos amministrativo, normativo e pratico per gli stessi esercenti, che potrebbe rivelare i suoi effetti già la prossima estate.
Pronti a trattare con Bruxelles. A patto però che nessuno, nella maggioranza, si chiami fuori da una «condivisione di responsabilità». Ossia se ne lavi le mani, lasciando agli altri l’onere di salvare capra e cavoli: evitare l’onta di finire davanti alla Corte di giustizia europea e, allo stesso tempo, provare a salvaguardare balneari e ambulanti italiani. All’indomani dell’altolà del Quirinale sul ddl Concorrenza, nel centrodestra si studiano le contromosse.
Dipendesse dal titolare delle Politiche Ue, Raffaele Fitto, lo schema sarebbe quello già applicato con successo per chiedere modifiche al Pnrr: avviare subito una trattativa con Bruxelles sulla tanto famigerata quanto avversata (almeno da una parte della maggioranza) direttiva Bolkestein, che impone di rimettere a gara tutte le concessioni. […] Una soluzione, quella di cercare un «punto di equilibrio» con Bruxelles, che assicurano da Fratelli d’Italia sarebbe anche la preferita dalla premier Giorgia Meloni.
Ma la via diplomatica, per il momento, si scontra con il muro eretto dalla Lega. Che un attimo dopo il richiamo del Colle aveva già fatto sapere che, su balneari e ambulanti, non si sarebbe ceduto di un millimetro: «Non ci arrendiamo a chi, nel nome dell’Europa, ha provato a svendere lavoro e sacrifici di migliaia di italiani», il grido di battaglia del partito di Matteo Salvini.
Per il Carroccio, dunque, non si torna indietro. Anzi: c’è chi già si dice sicuro che per il numero uno leghista quella dei balneari sarà la battaglia perfetta da appendersi al bavero durante la campagna elettorale per le Europee di giugno. Salvini, insomma, non avrebbe alcuna intenzione di disinnescare tanto presto una mina che è uno storico cavallo di battaglia della Lega.
Chi invece in queste ore apre a un dialogo con l’Europa è Forza Italia. Stretta, come FdI, tra la necessità di non lasciare il Carroccio solo a difendere le istanze di balneari e commercianti su suolo pubblico e quella di conformarsi ai richiami sempre più insistenti di Bruxelles (e del Quirinale).
Gli azzurri ne sono convinti: un equilibrio andrà trovato, se non si vuol rischiare di esporre l’Italia – già sotto procedura d’infrazione – a una maxi sanzione Ue. «Come leader di FI e vicepresidente del Consiglio è intervenuto ieri Antonio Tajani ai microfoni di Rainews ritengo che si debba trovare un compromesso, che permetta di rispettare le norme e le decisioni della Giustizia europea e italiana, ma anche di tutelare le imprese balneari e gli ambulanti. Non è facile riconosce Tajani però l’obiettivo è questo, trovare una buona soluzione che ci permetta di rispettare le regole che comunque vanno rispettate». Insomma: giusto tutelare chi è titolare di concessioni, perché «la direttiva Bolkestein ha creato una serie di problemi» e «forse bisognava intervenire diversamente durante l’iter legislativo».
Una linea non troppo diversa da quella di Fitto (e della premier). Quel che è certo, nelle previsioni di chi lavora col ministro dei Rapporti Ue, è che di nuove proroghe, invocate dalla Lega e inizialmente da un pezzo degli azzurri, non si può discutere. Più che tutelare balneari e ambulanti, quella strada finirebbe infatti per danneggiare il settore. E aprirebbe un’autostrada alla procedura d’infrazione dell’Europa, per cui entro il 16 gennaio a Bruxelles ci si aspetta una risposta da Roma al parere motivato della Commissione. Il muro contro muro, insomma, non sembra destinato a dare frutti.
Ma per avviare le trattative con Bruxelles, è il ragionamento che si fa in maggioranza, serve compattezza. Da parte di tutti, ripetono dalle parti di FdI: «Nessuno escluso». Intanto, dall’opposizione, il Pd annuncia un’interrogazione parlamentare alla premier, mentre Italia viva con Raffaella Paita presenta una proposta per mettere a gara subito le concessioni. Andrea Bulleri Francesco Malfetano
(da Corriere della Sera)
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Gennaio 4th, 2024 Riccardo Fucile
CRITICHE DA PD E FORZA ITALIA: “INOPPORTUNO. L’AMMINISTRAZIONE CONDANNA L’EVENTO?”
Il filosofo teorico dell’aggressione russa in Ucraina Alexandr Dugin
ospite in videocollegamento ad un convegno a Lucca il prossimo 27 gennaio, giorno della Memoria dell’Olocausto.
Invitato peraltro da un volto noto dell’estrema destra toscana, Lorenzo Berti, fondatore di Casa Pound a Pistoia, già candidato a sindaco per i “fascisti del terzo millennio” nel 2017, sodale e amico del dirigente di Casapound che ha fatto più carriera di tutti in Toscana, l’assessore lucchese Fabio Barsanti.
Sta scatenando molte polemiche, perfino a destra, l’evento organizzato al Grand Hotel Guinigi, dall’associazione filo russa Vento dell’Est, fondata da Berti e legatissima al gruppo “Quei Bravi Ragazzi”, la curva neofascista lucchese. L’appuntamento è per il 27. Titolo del convegno: “Verso un nuovo mondo multipolare”.
Tra i relatori, in collegamento da Mosca, ci sarà Dugin, l’ideologo dell’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia, legatissimo a Vladimir Putin, in Italia legato al mondo di Salvini, ma anche al filosofo Fusaro.
Accanto a Dugin ci sarà Giorgio Bianchi, reporter da 100mila e passa iscritti sul suo canale Telegram, che durante il Covid elogiava le manifestazioni di Forza Nuova e ora si occupa di Donbass, alle ultime elezioni politiche candidato nella lista di Marco Rizzo “Italia Sovrana”, i cosiddetti “rossobruni”, talmente a sinistra da tornare a destra, filo Putin e anti americani. Tra i relatori anche l’ex ambasciatore italiano in Cina e Iran Alberto Bradanini, Moderatore per l’appunto Berti.
“A nome di Forza Italia esprimo grande sconcerto e preoccupazione: dare voce a simili personaggi, in un momento in cui il sostegno a Kiev deve essere più forte che mai, è assolutamente inopportuno” affermano Deborah Bergamini, deputata toscana di Forza Italia e il coordinatore regionale forzista Marco Stella.
E anche il Pd si ribella col segretario regionale Emiliano Fossi: “In Italia vige la libertà di espressione ma condanno e stigmatizzo nel modo più assoluto solo l’idea di invitare a un convegno l’ideologo rossobruno e antioccidentale Dugin. Uno di quelli che vuole di fatto l’aggressione ai valori della inclusione e della società aperta. Soffia un brutto vento a Lucca. L’amministrazione di destra condanna e si dissocia?”.
(da agenzie)
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Gennaio 4th, 2024 Riccardo Fucile
NELL’INDAGINE SU INVER EMERGONO I TENTATIVI DI PILOTARE LE NOMINE IN REGIONE
I palazzi romani del potere non bastano. I contatti in Anas, Fs e al Mef non soddisfano le esigenze degli uomini della Inver.
Per questo motivo Tommaso Verdini e il socio Pileri cercano una sponda in Veneto. Provano a entrare nel cuore della regione controllata dalla Lega, tra le sue partecipate. Vogliono piazzare un loro uomo nella Cav, la società partecipata da Anas e dalla Regione Veneto che gestisce il Passante, il tratto dell’A4 tra Padova e Mestre, il raccordo Marco Polo e la tangenziale di Mestre. «Un bel giocattolino», come la chiamano gli indagati.
Occorre muoversi con delicatezza perché «la Lega veneta è un’altra cosa rispetto alla Lega nazionale». Lo sanno anche dalle parti di Fs, tanto che, sostiene il 2 maggio del 2022 Tommaso Verdini, «la struttura», ovvero Fs, si tira fuori dalle nomine, poiché dovrà in futuro cedere la Cav al ministero dell’Economia, e «per carineria nei confronti della Lega veneta» al partito avrebbe fatto sapere: a questo punto «mettete uno che vi piace a voi».
Emerge anche questo dall’inchiesta che ha portato 5 persone agli arresti domiciliari, tra cui il figlio dell’ex senatore berlusconiano. Due dirigenti Anas, Luca Cedrone e Paolo Veneri, sono stati sospesi dal servizio. E il collega Domenico Petruzzelli è indagato. Secondo la Guardia di finanza ha aiutato gli imprenditori amici della Inver a ottenere appalti. Quindi occorre ricompensarlo.
Così Il 28 aprile 2022 Tommaso Verdini fa una telefonata. Parla con tale «Filippo» di come «collocare all’interno di Cav Spa Domenico Petruzzelli». Il responso è chiaro: bisogna «sottoporre la questione a Ciambetti». Si tratta di Roberto Ciambetti, presidente del Consiglio regionale del Veneto, una di quelle persone che dopo il forum di Yalta del 2016 è arrivata in Crimea per firmare un accordo con lo scopo di costruire legami economici.
Adesso Ciambetti dice di non conoscere Petruzzelli. «Hanno sbagliato teorema, perché la nomina spetta ad Anas. Magari qualche curriculum posso anche averlo ricevuto, ma non ricordo da chi provenisse e comunque dissi che quella cosa non si poteva fare», spiega.
Gli indagati, risulta dalle carte, vorrebbero coinvolgere Palazzo Chigi. E ne avrebbero parlato con Massimo Bruno, di Fs. Niente da fare: «La presidenza del Consiglio ha detto fermi perché forse entro giugno vorrebbe lanciare la nuova società». Quindi ritengono di doversi interfacciare con «la Lega veneta» nel senso, spiega uno degli indagati «che devo confrontare con Zaia» la nomina. La faccenda non va in porto. Anzi «Ugo (Dibennardo, di Anas ndr) ha litigato con Zaia… anzi Zaia l’ha mandato a f…o perché pretendeva di andà a fa il super commissario di tutto quanto».
Se l’assalto alle partecipate è un buco nell’acqua, gli affari in Veneto vanno meglio. L’imprenditore Angelo Ciccotto, dopo essersi rivolto alla Inver si aggiudica una gara da 10 milioni di euro per lavori in Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna. E poi il bando “versanti rocciosi e protezione del corpo stradale Veneto e Friuli Venezia Giulia”: altri 20 milioni circa. Il Veneto entra nell’inchiesta anche con la struttura operativa «Piano strategico per l’accessibilità a Cortina 2021 — opere in variante alla strada statale Alemagna», visto che uno dei componenti è l’indagato Luca Cedrone.
La regione si rivela comunque ostica per i protagonisti dell’inchiesta. Lo sa bene Tommaso Verdini, che durante una discussione con il patron di un’azienda in provincia di Vicenza, la Gemmo spa, mette le cose in chiaro: «Ah non sei soddisfatto? Ma quel milione e duecentomila euro che ti ho sbloccato io a me m’è valso un avviso di garanzia se permetti».
(da agenzie)
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Gennaio 4th, 2024 Riccardo Fucile
ORA LA PROCURA PUO’ INDAGARLO PER LESIONI
Ha presentato formalmente querela Luca Campana, il 31enne che la
notte di Capodanno è rimasto ferito da un proiettile partito dalla pistola del parlamentare Emanuele Pozzolo al termine di una festa a Rosazza, in provincia di Biella.
A quattro giorni dal drammatico incidente, costatogli una ferita alla coscia sinistra, un grande spavento e almeno 10 giorni di prognosi, Campana è potuto uscire dall’ospedale dove si trova ricoverato per presentare la denuncia negli uffici della procura, in qualità di persona offesa, accompagno dall’avvocato Marco Romanello.
Ascoltato dagli inquirenti, il giovane elettricista ha ricostruito quanto accaduto tra l’una e le due della prima notte dell’anno, negando nuovamente tra l’altro seccamente di avere maneggiato la pistola dell’onorevole, men che meno di aver fatto partire lo sparo da cui è rimasto ferito.
Ai magistrati Campana ha ribadito invece che era in piedi nella sala del veglione quando ha sentito lo sparo, ha sentito il dolore e si è poi accasciato a terra, ignaro di quanto fosse esattamente accaduto.
Ora la procura di Biella potrebbe procedere contro Pozzolo con l’ipotesi del reato di lesioni. Questo si aggiungerebbe al fascicolo già aperto per esplosioni pericolose e omessa custodia dell’arma, regolarmente detenuta, da cui è partito lo sparo.
Al deputato di FdI potrebbe anche presto essere revocato il porto d’armi. Questa mattina intanto Pozzolo è stato ufficialmente «scomunicato» dalla premier Giorgia Meloni, che nel corso della conferenza stampa di inizio anno (dopo il doppio rinvio da fine dicembre) ha chiesto al suo partito di sospendere il deputato, in attesa di un esame più accurato della vicenda da parte del collegio dei probiviri di FdI.
(da agenzie)
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