Destra di Popolo.net

I SATRAPI DEGLI SCHIAVISTI E L’OCCIDENTE ALLEATO A GOVERNI CRIMINALI

Luglio 18th, 2024 Riccardo Fucile

GLI ACCORDI INTERNAZIONALI FORAGGIANO SOLO GOVERNI CHE GESTISCONO IL TRAFFICO DI MIGRANTI… IL SEDICENTE PIANO MATTEI E’ IL FAST FOOD DELLA MISERIA, UNA COLOSSALE PRESA IN GIRO

Qualora foste tra quelli che provano simpatia per i popoli sventurati che migrano, eritrei e gambiani, saheliani e afgani, siriani e magrebini, per le umanità e le tribù lasciate sgomente e nell’ombra dell’inesorabile incalzare della nostra spietata epoca del Progresso, la visita di Giorgia Meloni in Libia non vi porterà alcun motivo di novità e di conforto.
Siatene certi. Nulla cambierà dopo gli «storici» accordi firmati da tutta la compagnia di microscopiche Eccellenze sopra i «cari saluti» e i «pensieri affettuosi». Ad esser cortesi: irrilevanti pezzi di carta già ascesi a un manierismo del pressapoco. Propaganda. Da conservare nella memoria al massimo come prove a carico. In Africa i mitra continueranno a sparare, in nessun luogo è facile morire come lì, e uomini e donne e bambini saranno inseguiti torturati derubati uccisi da soldati e briganti, jihadisti, capi di stato, golpisti, affaristi criminali, dalla carestia e dalla siccità, e un altro pezzo di mondo sarà calpestato e si metterà in moto. E l’unica cosa che si porteranno dietro, i fuggiaschi, è un po’ di coraggio e nessun rimpianto. La migrazione è una condizione umana in cui si impara ad apprezzare le cose più semplici, camminare ancora, respirare ancora, sopravvivere. Che se ne fa dei piani Mattei, una specie di fast-food della miseria, l’ennesima versione Ikea dell’aiutiamoli un po’ a casa loro, questa granitica e marginale umanità del Ventunesimo secolo? Niente, un’altra trascurabile bugia come lo Sviluppo, la democrazia farsesca delle elezioni truffa, il dio riparatore proprietà privata dai feroci apostoli del jihad, la carità internazionale che profittevolmente si auto alimenta…
Il fatto che una parte di loro sia sopravvissuta fino ad oggi non si deve certo alle politiche di Lor signor dell’Europa ricca, ma unicamente alla infaticabile tenace insondabile capacità di resistere a tutto e ricominciare testardamente da capo. Cosa c’entrano Meloni, Macron, la Von der Layen, eccetera con tutto questo? Niente. Spingere la roccia sulla cima della montagna e poi ricominciare da capo perché è ritornata in fondo; esser respinti e riprendere a camminare a pagare lavorare navigare mari luttuosi, compilare moduli e ricorsi e rispondere a domande. È vero: Sisifo era la metafora di un migrante, non un arrogante peccatore condannato. È l’unico eroe vero del nostro tempo.
Occorre ancora parlarne dopo più di dieci anni? Le politiche europee per la migrazione, destra e sinistra purtroppo confuse fraternamente, si caratterizzano per un punto cieco, una assenza di franchezza, una insufficienza di responsabilità umana, una evidente riluttanza a indicare qualche cosa che non sia lo scopo di lucrare politicamente sul fenomeno. Come se si pretendesse che le opinioni pubbliche credano semplicemente che i migranti grazie a questi mezzucci polizieschi stiano a poco a poco semplicemente svanendo. E quindi si chiede ai governati di non chiedere oltre. Il compito di risolvere questo guaio storico, una volta che lo si è ben ben manovrato a proprio utile, è lasciato a ignobili regimi di soci- complici, che procedono ormai da qualche tempo con brutale franchezza e senza accampare troppe scuse a discolpa. Come dimostra appunto la Libia. E perché mai dovrebbero farlo, queste esplicite canaglie? La segregazione dei migranti-schiavi, la loro nullificazione si realizza non malgrado i nostri sforzi e raccomandazioni, ma grazie alla nostra connivenza e molto di frequente con la nostra fervorosa collaborazione. A cui aggiungiamo, per ratificare l’inganno, le propagande di linfatici apologisti dell’«Africa sta cambiando» e del miracolo economico realizzato da «giovani imprenditori» del Continente. Se non fosse sforzo inutile verrebbe da suggerire a questi mercanti all’ingrosso o al minuto di tartuferie filistee un viaggio nelle banlieue delle città africane per incontrare «dal vero» qualche purtroppo inconsapevole esempio del boom africano.
La nostra colpa è di non comprendere che i fatti storici non sono soltanto fatti, ma sono intrisi di umanità. I migranti sono vittime di poteri spietati di cui l’Europa è alleato e sostegno. Loro, fuggendo, ingaggiano una lotta con una realtà concreta. Noi da questa parte del mare lottiamo con entità immaginarie, fantasmi generati dalle propagande politiche e questi fantasmi sono reali almeno per noi. Sono intoccabili, invincibili perché sono in noi stessi. Carità? Pietà? Diritti umani? Dopo tredici anni siamo ancora qui con i malinpiastrati piani Mattei? Queste parole sono ormai guaste e corrotte e traviate. Si fanno accordi con i veri, grandi scafisti, presidenti e satrapi, che creano i migranti con la miseria, la corruzione, la violenza perché poi ne traggono, da noi, utile economico e immunità politica. Un metodo antico: nominare i briganti generali per affidar loro i lavori più sporchi.
Tutta e solo merce della destra xenofoba? Vi si contrappone una politica della migrazione progressista, illuminata e illuminista, nutrita dall’aria rarefatta di altipiani spirituali? Mettiamo sulle stadere della Storia il primo ministro britannico Keir Starmer che ha appena ammobiliato il Numero Dieci con ninnoli laburisti. Prima misura: abolizione immediata della deportazione a pagamento di migranti in Ruanda, remota terra di genocidi recenti, inventata dal predecessore. Esultiamo? Abbiamo trovato nelle tristi faccende contemporanee l’ultima thule della dignità occidentale? Un attimo. Starmer chiede indietro i soldi già versati all’Uomo della provvidenza locale, Paul Kagame. Per farne che? Per finanziare una Maginot nella Manica che impedisca ai migranti di infrangere lo splendido isolamento britannico.
Siamo fermi dunque ai pellegrinaggi dai compari dell’altra sponda. A Tripoli e a Bengasi non c’è nessun «governo di unità nazionale» come descrivono gli accoliti incensieri della propaganda. Ci sono bande armate che si spartiscono la produzione e lo smercio di petrolio e di migranti in un equilibrio di stampo clanico criminale, interrotto da sprazzi di violenza per regolare gli sgarri. Propongo una domanda preliminare agli illustri praticanti di questa forma di turismo politico: prima di partire chiedete la biografia di coloro a cui stringerete la mano. A meno che, temo, non la conosciate benissimo.
Domenico Quirico
(da La Stampa)

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COME SONO CRESCIUTI (MALE) I RAGAZZI DEL GARAGE

Luglio 18th, 2024 Riccardo Fucile

I TECNOCRATI DI SILICON VALLEY CHE FINANZIANO IL CRIMINALE TRUMP

Di solito chi nasce riformista muore riformista. Capita invece a parecchi rivoluzionari di morire reazionari: è il caso di Silicon Valley, inteso come luogo-sintesi della parabola produttiva e umana di una generazione di tecnocrati sognatori. Fatte le debite eccezioni, e detto che ogni persona vale per sé e fa storia a sé, capita che molti degli ormai maturi miliardari hi-tec, ex scapigliati che volevano scardinare lo status quo a colpi di clic, siano finanziatori di Donald Trump e votino repubblicano.
Il sogno originario era una democrazia diffusa e post-gerarchica, nella quale ognuno avesse accesso a tutti i dati e la struttura verticale della società analogica si sciogliesse felicemente nella immensa orizzontalità della società digitale: una navigazione illimitata, iper democratica e soprattutto gratuita.
Come questa presunta gratuità abbia generato una montagna di miliardi, e la più grande concentrazione di ricchezza mai vista al mondo, è cosa che andrà spiegata dagli storici dell’economia (forse solo gli oligarchi russi, quanto a velocità e entità dell’accumulazione, hanno potuto competere).
Fatto sta che da quella magica avventura, che all’origine ebbe una forte componente libertaria e pure lisergica (la storia è raccontata molto bene in The Game di Baricco) si è poi generata una formidabile lobby tecnocratica e finanziaria che alla politica chiede — come tutti i ricconi — soprattutto di non interferire con le proprie faccende. Di non rompere le scatole, di non tassare che in minima parte i profitti, di non disturbare il solo vero manovratore, che è il capitale. Il mondo visto da un garage e da una tastiera rudimentale non è per niente uguale al mondo visto dall’orbita di una ricchezza irresistibile. Che, come sempre è accaduto, può comperare tutto e cambiare tutto.
(da repubblica.it)

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IL BATMAN DELLA LAGUNA: LE MILLE MASCHERE DI LUIGI BRUGNARO, IL MINI-BERLUSCONI DI PIAZZA SAN MARCO TRA AFFARI, BASKET E POLITICA

Luglio 18th, 2024 Riccardo Fucile

IL SINDACO DI VENEZIA E’ INDAGATO PER CONCORSO IN CORRUZIONE… QUANDO ELTON JOHN LO DEFINI’ “BIFOLCO E BIGOTTO”

Erede politico di Carlo Goldoni, non ha scritto oltre duecento commedie. Dal temerario debutto nel teatro dell’ex Serenissima, che mai lascia scampo, ha recitato però quotidianamente incalcolabili parti: fino ad essere invocato e al tempo stesso snobbato, più che da sindaco, come la trasformista maschera perfetta del carnevale di Venezia.
Luigi Brugnaro ha così voluto essere un po’ Berlusconi, un po’ Renzi e un po’ Salvini. Grazie al talento per demolire le imitazioni ci è infine perfettamente riuscito, ottenendo a sua volta i riflettori di quella giustizia che si è sempre vantato di sottovalutare: proprio quando, prossimo al capolinea del potere e dopo aver fondato il suo ininfluente partito con il governatore della Liguria Giovanni Toti, viene ora costretto a interpretare la parte dell’indagato assieme al co-leader arrestato di Coraggio Italia.
Uomo di campagna al timone di un universo lagunare, secondo i magistrati Luigi Brugnaro non è riuscito a rinunciare al suo acquatico passo falso: mosso banalmente dentro la palude che sempre risucchia chi si illude di usare l’influenza pubblica per moltiplicare gli affari personali.
Dieci anni fa e prima di “scendere in campo” (che nei sestieri di Venezia significa altro), il profetico segnale: Brugnaro cerca di acquisire l’isola di Poveglia, respinto dai comitati dei cittadini che presto lo avrebbero votato. Tutti capiscono all’istante che quello non è già più Luigi il compagnone di Spinea, figlio della maestra Maria e dell’operaio-poeta Ferruccio sindacalista di Porto Marghera.
Il nuovo Brugnaro getta così la maschera dell’architetto-imprenditore, del fondatore di Umana Spa, colosso italiano del lavoro interinale, e addirittura quella da patron della Reyer basket, capace di riportare uno scudetto a Venezia dopo 74 anni. Si cala nella parte del “Silvio di piazza San Marco” e all’umiliato popolo mestrino, bisognoso di riscatto e ancora ammaliato dalla sfacciata sontuosità di Giancarlo Galan, insegna la formula magica: blind trust.
La promessa è chiara: resto ricco ma finché rimango sindaco, patrimonio privato da una parte e interesse pubblico dall’altra.
Nelle mani dei suoi amministratori finiscono anche i terreni dei Pili, antiche barene affacciate sulla laguna. Propri di questi si interessa Ching Chiat Kwong, magnate di Singapore che si presenta con 150 milioni di euro per costruire 384 mila metri cubi di negozi e appartamenti vista- petrolchimico. Il trust, ipotizzano i magistrati, potrebbe non essere stato poi del tutto blind: al punto che nell’inchiesta finiscono i riferiti impegni a rendere i dogali Pili non solo edificabili, ma miracolati dal raddoppio municipale dell’indice di edificabilità.
Noioso osservare che Ching Chiat Kwong, come sovente accade a chi viene dall’Estremo Oriente, si innamora della città di Marco Polo. I suoi occhi cadono su palazzo Papadopoli, eretto da una famiglia salpata dall’isola di Candia, oggi Creta, per scoprire che la prima asta, base 14 milioni, è andata deserta. Si fa coraggio, contatta i fedelissimi di mister Blind Trust e scopre di essere infine l’unico acquirente: in premio un affare da 10,8 milioni, prezzo di saldo.
L’espressione della maschera di Luigi Brugnaro, che a carnevale gira travestito da Batman? Indignata come oggi, da indagato per concorso in corruzione: liquida l’inchiesta della procura veneziana definendola «inimmaginabile » e ai suoi promette «si va avanti».
Avanti al massimo qualche mese. Al termine del secondo mandato, nel 2025, dovrà togliersi anche il costume da sindaco.
Di memorabili in laguna restano già solo le sue recite: sceriffo all’inseguimento degli spacciatori, spazzino a differenziare le “scoasse” nelle calli, vigile urbano che difende piazza Ferretto gridando a un bengalese «religione o non religione qui si va a piedi», pescatore in stivaloni nell’acqua alta, autista di un bus green mentre grida «Oh, tenive duri e cavarse », hostess che dice «you have a problem» a un turista ignaro della sua tassa-Venice.
Capito dal popolo di terra e disprezzato dalla nobiltà di mare, l’ex sindaco più apprezzato d’Italia sa che la sua commedia politica è agli sgoccioli. Dall’altro ieri non deve più nemmeno cercare un’uscita di scena goliardica come lui. «Bifolco e bigotto», la sentenza di Elton John, dopo l’ordine di ritiro dagli asili lagunari di 49 libri di fiabe omogenitoriali.
Il re del pop non aveva colto l’ironia dell’attore aggrappato a Forza Italia, Lega, FdI, se stesso e chiunque “purchè né di destra né di sinistra”. Il “sior Blind Trust” ora è così atteso da “Coraggio Brugnaro”, il suo prossimo personaggio.
(da agenzie)

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I VERDI: “DA MELONI GIOCHI PATETICI. VOLEVA UN CAMBIAMENTO RADICALE? ECCOLO SERVITO”

Luglio 18th, 2024 Riccardo Fucile

“SUL GREEN DEAL ABBIAMO VINTO NOI”

All’uscita dall’Aula di Strasburgo dove i 720 eurodeputati hanno depositato la scheda del voto di fiducia su Ursula von der Leyen, i più sorridenti alla fine sono i Verdi.
Terry Reintke e Bas Eickhout, i due co-presidenti del gruppo ecologista, si presentano ai cronisti con l’aria di chi è riuscito a entrare a una festa a cui all’inizio non era stato invitato. «Da settimane sentivamo che si era creata una collaborazione efficace con Von der Leyen e il suo team, e il documento presentato stamattina ce lo ha confermato», dicono i due. Sulla prosecuzione dell’impegno per la transizione ecologica e il rispetto dello stato di diritto, quel che hanno letto e sentito dalla candidata in Aula è più che sufficiente rispetto alle richieste. Dunque, confermano ufficialmente, il gruppo ha votato sì. Compattamente, chiediamo? «Abbastanza», risponde onesta con un sorriso Reintke.
I Verdi europei si sono dunque “auto-invitati” nella nuova maggioranza che sosterrà il secondo mandato di Ursula von der Leyen (se i numeri finali del voto ufficializzeranno la conferma), anche se promettono di «restare vigili» lungo ognuna delle prossime tappe – a partire dalla scelta di ciascun Commissario – senza dare mai di qui in poi il sostengo per scontato.
L’affondo contro Meloni
Per quattro gruppi che hanno annunciato ufficialmente il loro sì prima di entrare in aula a votare – come i Verdi anche Popolari, Liberali e Socialisti – c’è un gruppo che ha rifiutato strenuamente fino all’ultimo di dire come si sarebbe comportato nell’urna: l’Ecr, e in particolare la sua componente italiana.
«Fratelli d’Italia sta facendo giochetti, ormai è chiaro, non sono seri. Noi, al contrario, siamo stati chiari e abbiamo annunciato il nostro orientamento prima del voto». E comunque, aggiunge ancora il leader olandese affondando un altro colpo alla premier italiana, nei giorni scorsi Meloni aveva chiesto «un cambiamento radicale sul Green Deal. Beh, se è questo che voleva, direi che il nuovo piano verde presentato stamattina da Von der Leyen è un’ottima risposta…».
(da Open)

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MINISTERO DEL MADE IN ALGERIA

Luglio 18th, 2024 Riccardo Fucile

LOLLOBRIGIDA, IL SOVRANISMO ALIMENTARE E I 420 MILIONI REGALATI ALL’AGERIA PER PRODURRE CEREALI E LEGUMI

Il ministro che ha voluto un ministero chiamato Made in Italy ovvero Francesco Lollobrigida, cognato d’Italia e della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, aveva promesso di difendere “il sovranismo alimentare”, qualsiasi cosa significhi. Il ministro del Made in Italy ha firmato nei giorni scorsi un patto con l’Algeria all’interno del cosiddetto Piano Mattei – qualsiasi cosa significhi – in cui si prevede la concessione di 36mila ettari in Algeria alla società Bonifiche Ferraresi che li rigenererà per la coltivazione di cereali e legumi. Spesa stimata: 420 milioni per creare una filiera produttiva completa, dalla semina alla lavorazione dei prodotti agricoli, e rafforzare la sicurezza alimentare locale.
Solo che secondo i dati del 2023, lo stipendio medio mensile in Algeria è di circa 300 euro, mentre in Italia è intorno ai 1.600 netti. Il prezzo dell’elettricità per uso industriale in Algeria è di circa 0,03 euro per kilowattora (kwh), contro gli 0,18 euro per kwh in Italia. Se a questo aggiungiamo i soldi che l’Italia cede come investimento lo squilibrio che preoccupa gli operatori del settore è presto fatto.
Gli agricoltori italiani infatti temono che se da un lato questa iniziativa potrebbe rappresentare un modello virtuoso, dall’altro rischia di creare una concorrenza sleale: il costo inferiore della produzione in Algeria potrebbe spingere i prezzi verso il basso, rendendo difficile per i produttori italiani mantenere i margini di profitto.
Concorrenza sleale, dicono a bassa voce, per di più finanziata con soldi di Stato. Una settimana fa il ministro ha promesso di intervenire stabilendo un “costo medio di produzione”, cioè quanto un imprenditore agricolo spende per produrre un determinato bene: “Quando c’è un contratto di vendita – ha spiegato il ministro – in cui il prezzo scende sotto il costo medio di produzione c’è un controllo delle forze dell’ordine e degli ispettori”.
Chissà se li spediranno anche ad Algeri.
(da lanotiziagiornale.it)

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TOTI, BRUGNARO E I SOSPETTI DELL’ANTIRICICLAGGIO

Luglio 18th, 2024 Riccardo Fucile

QUANDO LA POLITICA E’ UN AFFARE

I destini politici del presidente della Liguria e del sindaco di Venezia si erano divisi nel 2022. Oggi le loro strade sembrano ricongiungersi, segnate entrambe dalle inchieste giudiziarie sulla gestione della cosa pubblica
Il loro destino s’incrocia nel 2021 quando, insieme, fondano Coraggio Italia. Poi per Giovanni Toti, governatore della Regione Liguria, e Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia, i cammini si dividono nel 2022 con il primo che lancia Italia al Centro e l’anno dopo viene eletto presidente del consiglio nazionale di Noi Moderati.
Oggi le strade dei due politici di centrodestra sembrano nuovamente ricongiungersi, segnate entrambe da inchieste giudiziarie tra loro non tanto diverse.
Toti dallo scorso 7 maggio è ai domiciliari per corruzione, Brugnaro è indagato dalla procura della città lagunare con la stessa accusa, concorso in corruzione. seppure per il primo cittadino non sia stata chiesta alcuna misura cautelare. Nessuno dei due ha ancora fatto un passo indietro rispetto al ruolo ricoperto.
Ma c’è dell’altro a unire le due storie politiche. E quell’altro sono i finanziamenti “sospetti” che avrebbero ricevuto dai privati per le loro campagne elettorali e su cui gli investigatori dell’antiriciclaggio si sono concentrati. Un minimo comune denominatore, quello dei flussi di denaro.
Partiamo da Giovanni Toti. La procura di Genova ha non a caso attenzionato il finanziamento illecito sui soldi versati da imprenditori e società ai comitati che hanno sostenuto il percorso politico dell’imprenditore nato e cresciuto in Mediaset. In altre parole dalle delibere regionali è emerso come gli imprenditori che hanno “regalato” soldi a Toti avrebbero ottenuto pareri favorevoli sui loro progetti.
Un esempio? Aldo Spinelli, patron dell’omonimo gruppo imprenditoriale e oggi ai domiciliari, che tra il 2015 e il 2018 ha donato 40mila euro ai comitati di Toti. Sempre secondo l’accusa Spinelli avrebbe “foraggiato” il comitato del politico per ottenere la velocizzazione di pratiche portuali. E poi, oltre al denaro che potrebbe essere vera e propria “spia” di forme di corruzione, ci sarebbe anche il capitolo delle spese private fatte dal presidente della regione Liguria con soldi dei suoi donatori.
E poi c’è il primo cittadino Brugnaro. I conti correnti delle associazioni nate per sostenerne la candidatura a sindaco di Venezia hanno da sempre rivelato un dato: i finanziamenti ricevuti dalle aziende sono riusciti a collocarlo ai vertici della classifica dei politici più finanziati da privati.
Chi ha fatto meglio di lui è, neanche a dirlo, l’ex collega di partito, Toti. Ma è con l’operazione dei giorni scorsi che a finire sotto la lente degli investigatori è stato il blind trust di Brugnaro. E cioè lo “schermo” utile per evitare conflitti d’interesse nel caso in cui un amministratore pubblico sia anche imprenditore.
Le indagini oggi si stanno concentrando proprio sulla corretta gestione del blind trust: questo giornale nel 2021 aveva ricostruito una serie di conflitti di interesse in capo al sindaco. Già all’epoca, scriveva Domani, i detective finanziari avevano individuato flussi di denaro sospettando che il blind trust custode delle aziende del sindaco, fosse una montatura. Gli esperti dell’antiriciclaggio ricostruirono diverse transazioni «sospette».
Si trattava di fondi che erano stati erogati da due società riconducibili a Brugnaro, Umana Spa e Consorzio di sviluppo Nord Est, verso due associazioni riconducibili all’attività politica di Brugnaro, cioè Associazione Venezia 20-25 e Un’impresa in comune.
In pratica gli addetti ai lavori non esclusero che Umana Spa e il consorzio avessero finanziato indirettamente la campagna elettorale e osservarono che questa circostanza «non risulterebbe del tutto coerente con la finalità di rendere autonoma la gestione delle citate aziende rispetto agli interessi del medesimo Brugnaro».
Toti e Brugnaro “re” dei finanziamenti, ora al centro di due inchieste che, oltre a far luce sulla verità giudiziaria, pongono diverse domande. Tra tutte se sia opportuno per chi governa ricevere fondi da chi ha interessi inerenti alla cosa pubblica. Di certo poco interessa al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che ha difeso il governatore ligure attaccando la magistratura, cioè i suoi ex colleghi: «Posso dire che ho riletto di recente Hegel e sono riuscito a capirlo, ho letto quest’ordinanza (su Toti, ndr) e non ho capito nulla».
(da editorialedomani.it)

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JOE BIDEN E’ POSITIVO A COVID-19 E PENSA AL RITIRO: “KAMELA HARRIS PUO’ VINCERE CONTRO TRUMP?”

Luglio 18th, 2024 Riccardo Fucile

SECONDO LA CNN BIDEN SI MOSTRA “RICETTIVO” RISPETTO ALL’IPOTESI DI RITIRO, INTANTO KAMELA SCALDA I MUSCOLI… SI DECIDERA’ LA PRIMA SETTIMANA DI AGOSTO

Joe Biden è positivo a Covid-19 e riflette ancora sulla possibilità di ritirarsi dalla corsa alla Casa Bianca. Il presidente degli Stati Uniti si sta mostrando più «ricettivo» di fronte alle discussioni in atto sul suo futuro riguardanti un suo possibile passo indietro nella corsa alla Casa Bianca. La Cnn, citando alcune fonti, dice che sta chiedendo ai suoi consiglieri se ritengono che «Kamala Harris possa vincere le elezioni». Biden ha fatto sapere che sta bene: il suo portavoce ha ricordato che è vaccinato e che continuerà a esercitare pienamente le sue funzioni. «Continuerò a lavorare per il popolo americano», ha scritto lui su X mentre una foto lo ritraeva con il pollice alzato salendo sull’Air Force One.
Gettare la spugna?
Nei giorni scorsi Biden rispondendo alle domande su un possibile ritiro ha detto che lo farebbe «se avessi un problema medico che si presentasse. Ovvero se qualcuno, i medici, venisse a trovarmi e mi dicesse: “Hai questo problema”». È la prima volta che il candidato Dem apre la porta all’idea di un ritiro. L’annuncio sul Covid arriva mentre il presidente si gioca la sua sopravvivenza politica in seguito al disastroso dibattito con Donald Trump. Una ventina di eletti alla Camera e un senatore hanno chiesto il suo ritiro. Dopo l’attentato a Trump le richieste sono riprese con forza. Il leader della maggioranza Dem in Senato Chuck Schumer ha detto che per Biden sarebbe stato meglio gettare la spugna. Anche se il team dei Dem ha smentito l’indiscrezione. Anche Hakeem Jeffries ha espresso «preoccupazione» per la candidatura e per il rischio di perdere la maggioranza a novembre.
La seconda presidenza Trump
Il portavoce della Casa Bianca Andrew Bates ha risposto all’agenzia France Presse che il presidente aveva «detto ai due funzionari che era il candidato del Partito Democratico» e che intendeva «vincere, non vedendo l’ora di poter lavorare con loro».
Adam Schiff, eletto in California, ha esortato il presidente a passare il testimone. «Una seconda presidenza Trump minerebbe le basi stesse della nostra democrazia», ha aggiunto, diventando il democratico di più alto rango a avanzare pubblicamente questa richiesta dopo il dibattito.
Il processo di nomina e Kamala Harris
I funzionari del Partito Democratico hanno annunciato mercoledì la volontà di accelerare il processo di nomina di Biden con un sistema di voto anticipato le cui modalità restano da definire.
Il sistema consentirebbe di votare durante la prima settimana di agosto invece di aspettare la convention democratica che inizierà a Chicago il 19 agosto e durante la quale il candidato dovrà essere ufficialmente nominato per le elezioni presidenziali del 5 novembre contro Donald Trump.
Alcuni democratici hanno fortemente criticato questo progetto, ritenendo che fosse un modo per far avanzare la candidatura di Joe Biden nonostante i dubbi sulle sue capacità e senza discutere le possibili alternative. La vicepresidente Kamala Harris è vista come la favorita se Biden si dimettesse. Secondo un recente sondaggio, quasi due terzi degli elettori democratici vorrebbe che il presidente gettasse la spugna.
(da Open)

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LA PAURA DI MELONI E QUELLA DI TAJANI: COSA C’E’ DIETRO L’ATTIVISMO DI PIER SILVIO BERLUSCONI SU FORZA ITALIA

Luglio 18th, 2024 Riccardo Fucile

LUI DICE DI SENTIRE IL FASCINO DELLA POLITICA… LA PREMIER E’ PREOCCUPATA E TAJANI SA CHE RISCHIA IL POSTO

«Mio padre è sceso in campo a 58 anni. Io ne ho 54». Questa è la frase che secondo il Fatto Quotidiano ultimamente Pier Silvio Berlusconi ripete ai suoi collaboratori. E che dietro le sue ripetute esternazioni riguardo la politica e Forza Italia ci sia la mezza idea di scendere in campo non è più un segreto. Anche se la politica è «un suicidio» e ufficialmente nega di aver commissionato sondaggi sull’ipotesi. Che è vista come il fumo negli occhi – e per ovvie ragioni – in due ambiti precisi. Il primo è Palazzo Chigi. Il secondo è proprio Forza Italia. «Il fascino della politica in termini di adrenalina, avventura, spinta, rapporto con la gente io lo sento, fa parte del Dna di mio padre, di un qualcosa che io, ahimé, sento di avere», è la frase di chi sembra proprio pronto a bere l’amaro calice. Anche perché «alle prossime elezioni c’è spazio per un centro moderato. Forza Italia sta lì: il brand è già pronto».
Guerra e pace
La dichiarazione di guerra sembra proprio essere pronta. E l’intervista “di sinistra” di Marina Berlusconi sembra lì a fare da segnale di fumo. Per questo i collaboratori di Giorgia Meloni hanno letto con preoccupazione i lanci di agenzia. Senza ovviamente rispondere. Perché è quella la linea ufficiale dettata dalla premier, nel frattempo impegnata nella trattativa con l’Europa per la Commissione. Così sembrerà un affare interno a Forza Italia, è il ragionamento dei fedelissimi di Giorgia. Che cominciano però a lanciare qualche segnale di nervosismo nei confronti della famiglia. Sempre gentilissima quando bisogna chiedere qualcosa e in ogni momento molto critica con il governo di centrodestra votato anche da Silvio. I rapporti sono diventati gelidi all’epoca della tassa sugli extraprofitti delle banche, che poi il governo si è rimangiato. E si è sfiorato l’incidente sui fuorionda di Giambruno.
La mina vagante
Di certo per Giorgia Pier Silvio è una mina vagante. «Non è un esponente della maggioranza», ha detto Meloni un anno fa a Palermo a proposito delle parole di Marina B. sui giudici. Mentre la Lega si è già cautelata chiedendo l’aumento del tetto della pubblicità della Rai, cosa che sfavorirebbe Mediaset. Anche Antonio Tajani però è sulla graticola. Perché è considerato troppo appiattito sulla linea di Meloni. E quindi incapace di dare la svolta ai consensi del partito. Lui ha sempre smentito le voci di dissapori con la famiglia. Che continua a garantire con fidejussioni bancarie la sopravvivenza del partito. Nella riunione di segreteria del 12 giugno l’attuale segretario ha impegnato il partito a restituire i soldi ai Berlusconi un po’ alla volta. Anche per non sentirsi troppo dipendenti.
(da Open)

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NUOVO ARRESTO PER TOTI: “FINANZIAMENTO ILLECITO”, COINVOLTA ESSELUNGA E L’EDITORE DI PRIMOCANALE

Luglio 18th, 2024 Riccardo Fucile

IL PROVVEDIMENTO RIGUARDA ESSELUNGA E IL PASSAGGIO DI SPOT ELETTORALI SUL MAXISCHERMO DI TERRAZZA COLOMBO

Una nuova ordinanza di custodia cautelare è stata eseguita questa mattina nei confronti del presidente della regione Liguria Giovanni Toti, che si trova già ai domiciliari dal 7 maggio nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta corruzione.
La nuova misura (si tratta anche in questo caso di una misura cautelare ai domiciliari) riguarda l’imputazione di finanziamento illecito relativo alla vicenda Esselunga, vale a dire al passaggio attraverso il maxi schermo di terrazza Colombo di spot elettorali relativi per elezioni comunali del 2022, che secondo gli investigatori sono stari pagati da Esselunga attraverso il consigliere di amministrazione Francesco Moncada.
Nella stessa inchiesta sono indagati sempre per finanziamento illecito oltre all’editore di Primocanale Maurizio Rossi, anche Francesco Moncada e Matteo Cozzani. Anche loro sono già indagati in questo filone per il reato di corruzione.
La nuova ordinanza di custodia cautelare potrebbe incidere sui colloqui del presidente Toti già autorizzati dalla gio Paola Faggioni, a partire d quello di domani con Matteo Salvini. Nei prossimi giorni Toti sarà chiamato dalla gip a rispondere nell’ambito dell’interrogatorio di garanzia.
(da agenzie)

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