Destra di Popolo.net

AGGRESSIONE AL GIORNALISTA DE LA STAMPA, IL COMITATO DI REDAZIONE: “LA POLITICA CONDANNI IN MANIERA FERMA L’EPISODIO”

Luglio 21st, 2024 Riccardo Fucile

“INACCETTABILE LA DERIVA POLITICA DI QUESTI GRUPPI”

La scorsa notte Andrea Joly, un giornalista de La Stampa, ha subìto una vergognosa aggressione da un branco di militanti di Casa Pound. Il collega si è trovato per caso a passare davanti a un circolo di Torino frequentato da militanti di estrema destra, l’Asso di Bastoni, mentre era in corso un raduno con fumogeni e fuochi d’artificio.
D’istinto ha deciso di fotografare la scena essendo piuttosto particolare. Due militanti si sono accorti della sua presenza e si son fatti sotto mettendogli la mano sul cellulare, chiedendogli se fosse “dei loro” e intimandogli in modo minaccioso di consegnare foto e filmati ripresi sulla pubblica via.
Il collega ha capito che la situazione era di tensione e si è dunque allontanato. I due militanti, chiamati a raccolta altri simpatizzanti del circolo, hanno inseguito, gettato a terra e preso a calci il collega.
Il Cdr de La Stampa trova inaccettabile la deriva violenta di questi gruppi, esprime la massima solidarietà al collega e chiede alle autorità che venga al più presto ripristinata la legalità spazzando via ogni rigurgito squadrista che ultimamente si è fatto più violento e sfacciato nei confronti della stampa e dei giornalisti. Chiede altresì alla politica di condannare in maniera ferma l’episodio. Non staremo a guardare e continueremo a denunciare chi fa della violenza e della prevaricazione i valori della propria esistenza.
Cdtr de la Stampa

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“PERCHE’ L’AGGRESSIONE A JOLY CI RIGUARDA TUTTI”

Luglio 21st, 2024 Riccardo Fucile

LA NOTA DELLA DIREZIONE DE “LA STAMPA”

La Direzione de La Stampa condanna con fermezza l’aggressione di cui la scorsa notte un suo giornalista è stato vittima a Torino. Andrea Joly stava filmando una festa di Casa Pound che si svolgeva per strada, all’aperto. Alcuni militanti glielo hanno impedito. Joly è stato poi percosso, preso a calci, sbattuto a terra. Ha sentito una mano stringergli la gola mentre qualcuno si affacciava alla finestra e urlava «lasciatelo, lasciatelo!».
Un episodio grave, gravissimo, che non solo limita la libertà di stampa, ma che pretende di restringere lo spazio pubblico, che appartiene a tutti, a luogo in cui a imporsi è solo la legge della violenza, della sopraffazione e dell’arbitrio.
Per questo l’aggressione a Joly ci riguarda tutti.
E quello che è successo l’altra notte ci spinge a ribadire una volta di più che gli unici valori a cui dobbiamo ispirarci sono quelli della democrazia e del rispetto, gli stessi per cui una città come Torino combatte da sempre, e che guidano La Stampa nel suo difficile lavoro quotidiano.
la Direzione de La Stampa

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ANDREA JOLY, GIORNALISTA DE LA STAMPA, AGGREDITO DAI MILITANTI DI CASAPOUND A TORINO

Luglio 21st, 2024 Riccardo Fucile

“SEI DEI NOSTRI? COSA FILMI?” E POI LE BOTTE… SDEGNO UNANIME DELLE ISTITUZIONI… IL SINDACO: “INTOLLERABILE”

Nella tarda serata di ieri Andrea Joly, giornalista de La Stampa, è stato aggredito in via Cellini all’esterno dell’Asso di Bastoni, un circolo storicamente frequentato da simpatizzanti e militanti di estrema destra. Un filmato girato dal cronista stesso , che passava di lì per caso, immortala il momento in cui gli attivisti lo avvicinano chiedendogli: «Sei dei nostri?», poi reagiscono appena intuiscono che Joly non c’entra con loro.
Da una prima ricostruzione fuori dal locale era in corso una festa di Casa Pound con fumogeni e fuochi d’artificio. A Joly è stato intimato di consegnare lo smartphone quindi lo hanno minacciato e aggredito, mentre lui si allontanava lo hanno calciato facendolo cadere e a quel punto lo hanno colpito con dei calci. Il giornalista è stato costretto a farsi medicare in ospedale. Le indagini sono affidate ora agli agenti della Digos della polizia che in queste ore stanno analizzando i filmati per cercare di identificare gli autori dell’aggressione.
La “festa” all’Asso di Bastoni
L’assembramento di ieri sera davanti all’Asso di Bastoni era per la festa dei 16 anni del circolo. Una festa che è andata avanti per svariate ore in via Cellini a Torino, con interventi di Marco Racca, aperitivo identitario e un dj invitato appositamente da Roma per “scaldare” i partecipanti.
Inni al Duce e Faccetta Nera, la “festa” all’Asso di Bastoni
Le scene che si sono viste, e che sono state riprese dai residenti della zona, sono inquietanti: decine di persone occupano la via con fumogeni e fuochi d’artificio mentre in corso s’intonano inni al Duce e Faccetta Nera.
Nel pomeriggio alcuni residenti erano già andati a vedere di persona cosa stesse succedendo davanti al circolo visto l’arrivo di decine di persone. A uno di loro era già stato intimato di non filmare nulla. Una scena che ricorda da vicino la recente inchiesta video di Fanpage nella quale una giornalista, dopo essersi infiltrata nei movimenti giovanili legati a Fratelli d’Italia, viene invitata a una festa nella quale, però, vengono severamente vietate le riprese.
Durante la “festa” i riferimenti sono a «una Torino nera, una Torino che non si pente, una Torino che non deve chiedere scusa di nulla».
(da La Stampa)

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OLTRE ALL’ULTRA’ SALVINI, S’AVANZA UNA FORZA ITALIA CON VOLTI NUOVI, NON PIÙ SUPINA MA D’ATTACCO: CON DUE ALLEATI DI OPPOSIZIONE, COSA POTRÀ SUCCEDERE AL GOVERNO DELLA UNDERDOG DELLA GARBATELLA?

Luglio 21st, 2024 Riccardo Fucile

NELLA MENTE DELLA DUCETTA SI FA STRADA L’IDEA DI ANDARE AL VOTO ANTICIPATO (COLLE PERMETTENDO), ALLA RICERCA DI UN PLEBISCITO CHE LA INCORONI “DONNA DELLA PROVVIDENZA”… MA CI STA TUTTA ANCHE L’IDEA DI UNA NUOVA FORZA ITALIA CHE RIGETTI L’AUTORITARISMO DI FDI PER ALLEARSI CON IL PARTITO DEMOCRATICO

Il catastrofico voto contrario a Ursula von der Leyen segna lo spartiacque politico del governo di Giorgia Meloni, non solo in Europa ma anche in casa. Dal 18 luglio, infatti, la Fiamma Magica di Palazzo Chigi (Giorgia, Arianna, Fazzolari e Scurti) si troverà conficcata nel fianco non una bensì due spine. Del resto, finora la vera opposizione al melonismo senza limitismo è avvenuta all’interno della maggioranza di governo da parte di Salvini, mente Schlein e Conte si baloccano con le loro ambizioni sbagliate.
Oltre a contrastare i sabotaggi quotidiani e gli sberleffi acidi di Matteo Salvini, che dal basso di una Lega galleggiante intorno 8% non smette un attimo di mettere i bastoni tra le ruote all’autoritarismo della Marchesa del Grillo (“Io ho il 30% e voi non siete un cazzo!’’), dopo il 18 luglio la Melona si troverà a combattere con una nuova Forza Italia, non più supina ai suoi piedi al limite dell’inesistenza.
Un partito così ‘’cameriere’’ che, quando in un ristorante di Bolgheri Meloni propose a Salvini di sparare la tassa sugli extra profitti bancari in cambio della legge sull’autonomia differenziata, la decisione avvenne a insaputa non solo di Bankitalia e istituti di credito ma tenendo del tutto all’oscuro anche la terza gamba del governo, il vicepremier, ministro degli Esteri e presidente di Forza Italia, il trasparente Antonio Tajani.
A quel punto, toccati nel vivo dei loro interessi (Banca Mediolanum), i “padroni” di Forza Italia reagirono con due micidiali missili catodici: i fuori onda di “Striscia la notizia” sulle smanie libertine del compagno della Meloni, Andrea Giambruno. E la tassa, che per Fazzolari e camerati doveva rappresentare alla “Nazione” come il governo Ducioni sistemava per le feste gli “usurai” dei risparmi degli italiani, finì nel cestino delle minchiate.
Per la gioia della Famiglia di Arcore seguirono poi altri “sgarbi” non da poco: prima il Decreto Capitali by Fazzolari-Caltagirone per finire con Salvini talmente furioso con i talk di Mediaset, che dopo aver pompato la Lega fino a issarla oltre il 30% l’hanno poi abbandonarlo per sintonizzarsi solo su Giorgia-Giorgia-Giorgia, che riesce a imporre al Consiglio dei ministri il taglio di 20 euro ai 90 del canone Rai. Una decurtazione al bilancio di viale Mazzini di 400 milioni che, se per il 2024 sono stati recuperati dal Mef, dal 2025 porteranno ad alzare il tetto pubblicitario della Rai a scapito delle casse di Mediaset, La7, Discovery, etc.
Dal 18 luglio, la tarantella meloniana-salviniana intorno a quel tonto dormi-in-piedi di Tajani, deve finire. Marina e Pier Silvio hanno deciso di cambiare, e subito, spartito e musica. Negli ultimi due giorni, se Dagospia ha lanciato l’indiscrezione che vuole la Famiglia decisa ad abbandonare “Il Giornale” nelle mani di Angelucci e Sallusti, ormai soldatini di Meloni, e comprarsi un giornale (“Il Giorno” di Riffeser?), da “Repubblica” al “Corriere”, sono apparsi diversi articoli che hanno annunciato la nuova Forza Italia.
Scrive Antonio Fraschilla su “la Repubblica”: “Esalta il ruolo di Forza Italia nel voto alla presidenza della Commissione Ue di Ursula von del Leyen, rimarcando le distanze con gli alleati di governo Giorgia Meloni e Matteo Salvini e sottolineando il ruolo «moderato» del partito. E nel frattempo prepara subito nuovi ingressi. All’indomani della strigliata arrivata da Pier Silvio Berlusconi, che vuole una Forza Italia d’attacco con volti nuovi e che torni a essere riferimento “dei tanti moderati del Paese”.
Il ragionamento dei fratelli di Arcore ruota sul fatto che il declino di Forza Italia è stata la conseguenza di un Silvio Berlusconi malato, privo di energie per curarsi del suo partito, di qui l’emorragia di voti verso Fratelli d’Italia che fece il grande balzo approfittando del suo ruolo di unica forza di opposizione durante il governo-ammucchiata di Mario Draghi.
Secondo Marina e Pier Silvio, d’accordo con vari analisti, lo zoccolo duro del partito fondato da Meloni-La Russa-Crosetto resta intorno al 10% di fidelizzati, l’altro 20 non è radicato tra i nostalgici del post-fascismo ma rappresenta quel voto mobile, deluso e deideologizzato, che prima ha premiato i Cinque Stelle, poi la Lega e infine Fratelli d’Italia. Occorre quindi recuperare gli elettori che hanno sempre votato Silvio Berlusconi e la sua idea di partito moderato, liberale e conservatore, erede della Democrazia Cristiana che fu.
Ancora ”La Repubblica”: “I Berlusconi, Marina e Pier Silvio, hanno chiesto un cambio di passo, spinti anche dai loro consiglieri Mediaset che quando in tv vedono alcuni vecchi volti del partito saltano su dalla sedia. Non a caso proprio da Cologno Monzese, via Fedele Confalonieri, è ripartito il refrain sui «volti nuovi e smart». Il segretario per mercoledì ha convocato i dipartimenti di Fi e ha chiesto di coinvolgere nei territori volti nuovi: soprattutto professionisti, tecnici di area, gente con «esperienza».
E così mentre in tv nei programmi Mediaset anche per assecondare i desiderata dei manager dei Berlusconi, da un po’ ha iniziato a mandare volti giovani, come quello di Simone Leoni, adesso Tajani ha chiesto ai suoi una sorta di «fase due»”. (Tra i volti che spingono Marina a spegnere la televisione c’è di sicuro quello del capogruppo al Senato di Forza Italia, l’immarcescibile Maurizio Gasparri che un bel giorno, manco fosse un Achille Starace, ha proposto addirittura l’assegno di maternità).
Ora i Palazzi romani si domandono, più curiosi di una scimmia: chissà cosa potrà succedere al governo della Underdog della Garbatella, già col fianco martoriato dal “mordi e fuggi” quotidiano del “Patriota” Salvini, con l’arrivo a Palazzo Chigi della “Fase Due” di Forza Italia, un alleato non più disposto a portare il tovagliolo sul braccio da bravo cameriere?
Quello svalvolato di Matteo Renzi, intervistato dal ‘’Corriere’’, alla domanda: “Il governo potrebbe cadere prima della fine della legislatura?”, ha risposto: “Sì. Sarà la stessa Meloni ad anticipare per evitare di perdere il referendum costituzionale e perché, se anche trova i soldi della legge di Bilancio 2025, sull’anno successivo è strangolata dai vincoli”.
L’idea di andare al voto anticipato, alla ricerca di un plebiscito popolare che la incoroni “Donna della provvidenza” sul balcone di Piazza Venezia, prima che sia strangolata economicamente dalle regole del nuovo Patto di Stabilità (il taglio di 10 miliardi del deficit metterebbe in crisi anche un Draghi) e finire logorata dalla visione politica più lontana che mai dei due partiti alleati (quella sovranista e populista di Salvini contro quella liberale e europeista di Forza Italia), ci sta tutta nella mente esaltata di “Io so’ Giorgia”, la cui unica cultura politica è quella di fare a cazzotti con l’opposizione (non ha mai lasciato via della Scrofa per Palazzo Chigi).
(Ovviamente, tra il desiderio e la realtà, bisogna fare i conti con Sergio Mattarella).
Come d’altra parte, ci sta tutta anche l’idea di una nuova Forza Italia, ”faro dei moderati che guarda al futuro con l’innesto di giovani energie” (Pier Silvio), che rigetta l’anti-europeismo tafazziano del 18 luglio mollando al suo destino l’arroganza e la tigna della Fiamma Magica di Palazzo Chigi per traslocare sulla sponde dell’opposizione quale partito di centro (lasciato orfano dalla psicoegolatria di Calenda e Renzi) alleandosi con il Partito Democratico e quello che resterà in piedi di Conte e M5S, e insieme proporsi all’elettorato italiano come alternativa al fallimento del melonismo del “Qui comando io!”.
(da Dagoreport)

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ALLA CAMERA E’ DAVVERO TUTTO UN “MAGNA-MAGNA”: NEL 2023 400 DEPUTATI HANNO SPESO IN CIBO PIU’ DEI LORO 630 PREDECESSORI

Luglio 21st, 2024 Riccardo Fucile

NONOSTANTE IL TAGLIO DEI PARLAMENTARI IL COSTO DELLO STATO RESTA IDENTICO

Se si legge il bilancio 2023 della Camera dei deputati diventa difficile non cedere a uno dei più classici slogan populisti, secondo cui la politica «è tutto un magna-magna». Da questa legislatura, infatti, i deputati italiani sono 400, e cioè 230 meno della scorsa legislatura per la riforma costituzionale approvata. Il bilancio del 2022 era quindi relativo a una Camera per 9 mesi composta di 630 deputati e per gli ultimi 3 mesi da 400. Il bilancio 2023 che l’aula di Montecitorio deve approvare entro fine luglio è il primo integralmente post-riforma, con le spese per tutti e i 12 mesi relative a 400 deputati. Infatti, i costi dei deputati (indennità e rimborsi spesa) scendono sensibilmente da 143 a 89 milioni di euro l’anno. Scendono un pizzico anche le spese per il personale dipendente, che passano da 174,9 a 169,4 milioni di euro. Però con molti meno deputati e un po’ meno dipendenti aumentano del 10,7% le spese di ristorazione, passando da 2,175 a 2,36 milioni di euro (231 mila euro di più in un anno). Eccolo documentato il magna-magna.
Non esistono più dal 2012, eppure è aumentata perfino la spesa per i vitalizi
Anche se ha 230 deputati in meno la Camera continua a costare agli italiani la stessa cifra di sempre. Il fondo di dotazione pagato dal Tesoro per il funzionamento dell’assemblea di Montecitorio è restato anche nel 2023 di 943,16 milioni di euro, identico agli anni precedenti quando c’erano 630 deputati. Un mistero quella dotazione non cambiata, ma non il solo giallo in bilancio. Ad esempio i famosi vitalizi per i deputati e i loro familiari (c’è la reversibilità) sono stati formalmente aboliti dal 2012 e sostituiti da un sia pure generoso sistema pensionistico contributivo. Eppure nel 2022 la Camera spendeva in vitalizi diretti e in assegni vitalizi di reversibilità 85,3 milioni di euro. Nel 2023 quella cifra è aumentata ancora di 4,5 milioni, arrivando a 89,8 milioni di euro. Mistero anche sui contributi ai gruppi parlamentari, che nonostante la riduzione dei deputati è restata immutata: 30,87 milioni di euro.
La stangata bollette con un anno di ritardo: su luce, gas e pure l’abbonamento Internet
Il secondo mistero arriva dalle bollette di Montecitorio. Certo il palazzo resta lo stesso anche con meno deputati, le lampadine pure. Però se il caro bolletta per tutti gli italiani si è sentito soprattutto nel 2022, per la Camera dei deputati l’effetto è stato nel 2023. In tutto ha infatti speso 10,5 milioni di euro per acqua, gas ed elettricità contro i 5,95 milioni dell’anno precedente (+77,3%). La bolletta dell’acqua è restata immutata, quella del gas è aumentata del 33,3%, ma la vera mazzata è arrivata dalla bolletta elettrica, passata da 4,7 a 9 milioni di euro (+92%). Cresciute anche le spese telefoniche, passate in un anno da 434 mila a 585 mila euro (+34,8%) quasi solo per i rincari della rete Internet e dei suoi servizi accessori. Aumentate di 375 mila euro (+12,6%) anche le spese per la comunicazione istituzionale.
Acquistati libri antichi ed opere d’arte per arricchire il “museo Montecitorio”
Già che c’era la Camera ha speso qualcosa in più per arricchire sia la propria biblioteca che la propria collezione d’arte che fa invidia a un vero museo. Nel 2023 sono stati acquistati 8.657 volumi con una spesa di 817.868 euro. Di questa somma fanno parte anche i 2.700 euro spesi per l’acquisto di 18 edizioni antiche e di pregio. La collezione d’arte che vanta 4.848 opere, di cui 552 prestate da terzi, si è arricchita nell’anno di ulteriori 13 disegni o stampe. In questo caso non è però indicato il costo di acquisto.
(da Il Corriere della Sera)

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FRANCIA, I DEPUTATI NEGANO LA STRETTA DI MANO AL PARLAMENTARE DEL RASSEMBLEMENT NATIONAL

Luglio 21st, 2024 Riccardo Fucile

E’ BUONA NORMA NON DARE LA MANO A PERSONE CHE SI DISPREZZANO

Durante l’elezione del “nuovo” presidente dell’Assemblée Nationale, giovedì 18 luglio, diversi deputati hanno negato la stretta di mano a Flavien Termet, il deputato più giovane della Camera bassa e del Rassemblement National di Le Pen, che vigilava sulla corretta procedura di voto. «Non stringiamo la mano all’estrema destra. Mai», si è giustificato il parlamentare Louis Boyard su X (ex Twitter).
«Non stringo la mano ai deputati del RN fuori dall’Assemblea, non vedo perché dovrei farlo all’interno», ha replicato Antoine Léaument a BFMTV.
Più originale, invece, la reazione di François Piquemal – un altro deputato de La France insoumise – che ha mimato un «sasso-carta-forbici».
«Nelle urne come a sasso, carta, forbici, alla fine vince sempre il Nuovo Fronte Popolare», ha scritto su X. Dopo tre turni di votazioni, la macroniana Yaël Braun-Pivet è stata rieletta presidente dell’Assemblea nazionale francese con 220 voti a favore, seguita dal candidato della sinistra riunitasi nel Nuovo Fronte popolare André Chassaigne, 207 voti, e da quello del Rassemblement National di Marine Le Pen Sebastien Chenu, a 141 voti.
(da agenzie)

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INTERVISTA A STEFANO BONACCINI: “FIDARSI DI RENZI? IO GIUDICO I PROGRAMMI. GIA’ ALLE REGIONALI IN CAMPO IL NUOVO CENTROSINISTRA”

Luglio 21st, 2024 Riccardo Fucile

“NOI SIAMO IL BARICENTRO”

Stefano Bonaccini, presidente del Pd: anche Matteo Renzi è favorevole al campo largo.
«Ho apprezzato le parole di Renzi. Come ho ripetuto mille volte, se le opposizioni non voglio regalare il governo del Paese a Meloni per i prossimi dieci anni devono provare a costruire un centrosinistra unito, con una piattaforma progressista e riformista alternativa a quella della destra. Superando i veti e i personalismi del passato».
Era l’obiettivo del Pd…
«Come ha detto Elly Schlein, noi siamo ostinatamente unitari. E questo approccio sta pagando. C’è un governo che sta smantellando la sanità pubblica, che ha dimenticato i lavoratori più fragili, i giovani precari e le donne. Per le imprese non c’è nulla: né una seria politica industriale né per la transizione ecologica. Hanno dissipato le risorse e ora che avremmo ancora bisogno dell’Europa, Giorgia Meloni ha invece scelto di isolare l’Italia, condannandoci all’irrilevanza. Insomma non hanno un progetto per l’Italia. Unire il Pd come stiamo facendo con Schlein si sta rivelando un contributo essenziale anche per unire le opposizioni. Perché noi non siamo autosufficienti, ma non c’è alternativa possibile che non veda nel Pd il baricentro di un nuovo centrosinistra».
C’è da fidarsi di Renzi ?
«I giudizi si danno sui programmi e le idee. Intanto, ripeto, archiviamo personalismi e pregiudiziali. E si riparta dal rispetto e dal confronto, se si vuole essere credibili. Vale per tutti, naturalmente».
Lei crede che sia possibile conciliare Conte, Renzi, Fratoianni, Bonelli… Non rischia di essere un’accozzaglia, per dirla alla Calenda?
«Ho sempre detto che le alleanze vanno fatte sui programmi e non per convenienza elettorale. Pochi punti, chiari, dichiarati agli italiani, sui quali convergere. Non basta essere contro, ma soprattutto alternativi alla destra, per essere compresi e scelti dagli elettori. Quando parliamo di difesa della sanità e della scuola pubbliche, contro cui il governo si sta accanendo; o della transizione ecologica da realizzare con investimenti che non mettano in contrapposizione lavoro e ambiente, a fronte di una destra che oscilla tra negazionismo e disfattismo; quando ci occupiamo di diritti delle persone, a fronte di una destra che si ostina a discriminare. Non sono punti concreti per programma alternativo e migliore? Lo spazio c’è e gli elettori ci chiedono di rimboccarci le maniche».
A proposito di Calenda, alla fine sarà anche lui della partita?
«Farà le sue valutazioni, com’è giusto. Ma andare da solo fino ad oggi non ha pagato. E poi, ricordo a Carlo che a livello locale governiamo insieme in tante realtà, con ottimi risultati. Come in Emilia-Romagna».
Il voto regionale sarà un passaggio decisivo per cementare questa alleanza?
«Ne sono certo. In Emilia-Romagna e in Umbria abbiamo già realizzato un’alleanza molto larga e forte che ci ha permesso di stravincere a giugno, fin dal primo turno, città come Modena, Reggio Emilia e Cesena, e di strappare dopo dieci anni Perugia alla destra. Alle prossime elezioni regionali sperimenteremo il nuovo centrosinistra e sarà la dimostrazione che si può fare e si può vincere tutti insieme. L’alternativa di cui parlo passa proprio da lì».
Non teme che il Pd con l’arrivo dei centristi si sposti troppo a sinistra?
«Guardi, senza offesa, ma saranno 20 anni che sento questa domanda e il suo opposto. Le assicuro che se andiamo a chiedere alle persone se hanno questo timore, tutti ci risponderanno che vogliono un Pd unito, forte, vincente per il bene del Paese. Per tornare a governare attraverso l’unica strada possibile: vincere le elezioni».
Meloni può cadere prima della fine naturale della legislatura?
«Non faccio previsioni ma noi dobbiamo essere pronti. La maggioranza in Parlamento è ampia e il desiderio di occupare posti di potere è il collante più forte di questo centrodestra. Anche le controriforme che stanno tentando su autonomia, premierato e giustizia non sono altro che un patto di potere e di scambio tra i partiti della destra sulla testa del Paese. Ma in realtà sono ormai divisi e in aperta competizione su tutto, come abbiamo visto anche in Europa: giocano gli uni contro gli altri e a rimetterci è l’Italia. Quando si imbocca questa deriva non si va lontano».
Renzi dice che il candidato premier sarà il leader o la leader della coalizione che prenderà più voti, cioè Schlein…
«Prima pensiamo a costruire un’alleanza solida e credibile, che parli a tutti gli italiani. Le scelte successive verranno da sé».
(da Il Corriere della Sera)

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