Maggio 3rd, 2025 Riccardo Fucile
RENZI: “E’ UN CLOWN”… I SOVRANISTI “DIFENSORI DELLA FEDE” E LA “MADRE CRISTIANA” DOVE SONO? TACCIONO PER LA VERGOGNA O PER NON URTARE IL LORO PADRONE?
Il fotomontaggio di Donald Trump in versione Papa, postata sui profili social ufficiali
della Casa Bianca, indigna l’opposizione italiana, dal Pd al Movimento 5 stelle a Italia viva e Azione. Mentre dalla maggioranza, presumibilmente in imbarazzo, a più di dodici ore dalla diffusione dell’immagine non sono pervenuti commenti
Il primo ad attaccare è il leader di Italia viva Matteo Renzi. “Questa è una immagine che offende i credenti, insulta le istituzioni e dimostra che il capo della destra mondiale si diverte a fare il clown”, attacca l’ex premier che rincara la dose: “Nel frattempo l’economia americana rischia la recessione e il dollaro perde valore. I sovranisti fanno danni, ovunque”.
Di “insulto e farsa” parla la senatrice Raffaella Paita, capogruppo Iv al Senato. Di “sgomento” parla il senatore Iv Enrico Borghi. “Quel fotomontaggio non solo offende milioni di fedeli, ma è anche un tentativo di ingerenza molto grave
sul Conclave che sta per aprirsi”, aggiunge tirando in ballo Giorgia Meloni “che credo, tra questa vicenda e il Canada, cominci a sentire un po’ di puzza di bruciato e giochi a provare a smarcarsi un po’”.
Michele Fina, senatore e tesoriere del Pd, attacca la premier e il vicepremier leghista: “I sovranisti nostrani tutti Dio, Patria, Famiglia si ergono a difensori della fede solo quando fa più comodo, di solito contro i più deboli, contro le persone più emarginate o per fare i comizi in piazza tenendo in mano il rosario. Quando è il loro capo Trump a insultare la fede di milioni di credenti pubblicando una foto come Papa, Meloni e Salvini restano in silenzio, testa sotto la sabbia, non una singola parola sul delirio di pessimo di gusto del presidente americano. La loro ipocrisia e il loro servilismo verso Trump è sempre più imbarazzante”. Anche i 5 Stelle provano a stanare Meloni. “Quante se ne possono pestare in una volta sola? L’essere a capo degli Stati Uniti con questa ha segnato il record: le ha pestate tutte. Dalle relazioni diplomatiche al sentimento religioso di miliardi di persone. La madre cristiana ha nulla da dire? Davvero questo è il suo mentore politico?”, le parole della senatrice Alessandra Maiorino, vicepresidente del gruppo pentastellato a Palazzo Madama.
Durissima Azione con Osvaldo Napoli, esponente della segreteria nazionale che definisce il presidente americano “un pagliaccio che offende gli americani”. “Oltre al re d’Inghilterra, Dio pensi a salvare anche l’America che ne ha più bisogno”, continua.
Per i dem è intervenuto anche Antonio Mazzeo, presidente del Consiglio regionale della Toscana, secondo il quale “Trump ha superato ogni limite alla decenza”. Questa foto “non è solo un gesto di pessimo gusto. È uno sfregio alla Chiesa alla vigilia del Conclave e a pochi giri dalla morte di Papa Francesco, un misto di irriverenza e arroganza”.
(da agenzie)
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Maggio 3rd, 2025 Riccardo Fucile
“LA REAZIONE DEI MERCATI HA COSTRETTO TRUMP NON SOLO A FARE MARCIA INDIETRO RISPETTO AI DAZI MA ANCHE A IMPLORARE LA CINA DI SEDERSI AL TAVOLO DELLE TRATTATIVE. NELLA PARTITA A CHI CEDE PER PRIMO TRA TRUMP E IL PRESIDENTE CINESE XI JINPING, HA PERSO TRUMP”…LA SFIDA AL PRESIDENTE DELLA FED POWELL, GLI USA CHE TORNERANNO A CORRERE CON INTELLIGENZA ARTIFICIALE E TECH E L’EUROPA CHE DOVREBBE SEGUIRE LE RACCOMANDAZIONI DI DRAGHI E LETTA
Lo scorso dicembre ho sostenuto che, sebbene alcune delle politiche del presidente degli Stati Uniti Donald Trump sarebbero state stagflazionistiche (cioè avrebbero ridotto la crescita e aumentato l’inflazione), tali effetti sarebbero stati alla fine mitigati da quattro fattori: la disciplina dei mercati, una Federal Reserve indipendente, gli stessi consiglieri del presidente e le esigue maggioranze repubblicane al Congresso.
Lo scenario si è svolto esattamente come previsto. La reazione dei mercati azionari, obbligazionari, creditizi e valutari ha costretto Trump non solo a fare marcia indietro rispetto alle sue tariffe “reciproche” contro la maggior parte dei partner commerciali dell’America, ma anche a implorare la Cina di sedersi al tavolo delle trattative. Nella partita a chi cede per primo tra Trump e il presidente cinese Xi Jinping, ha perso Trump. I trader di mercato hanno battuto le tariffe, e i “bond vigilantes” si sono dimostrati perfino più potenti del presidente degli Stati Uniti – proprio come lo stratega politico James Carville sosteneva un quarto di secolo fa.
È poi arrivata la partita a muso duro con il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell. Anche qui, Trump è stato il primo a battere ciglio – almeno per ora. I mercati sono crollati quando ha lasciato intendere che avrebbe licenziato Powell, per poi ritrattare dichiarando di “non avere intenzione” di farlo. Nel frattempo, Powell ha chiarito che il presidente non ha alcuna autorità legale per rimuoverlo
Allo stesso modo, sebbene fanatici come Peter Navarro, principale consigliere
commerciale di Trump, abbiano inizialmente avuto la meglio – facendo leva sull’immagine che Trump ha di sé come “Tariff Man” (uomo delle tariffe) – ciò non è durato. Una volta che i mercati hanno vacillato, sembrano aver prevalso coloro che proponevano una strategia tariffaria del tipo “escalare per poi disinnescare”, come il segretario al Tesoro Scott Bessent e Stephen Miran, presidente del Council of Economic Advisers (un mio ex collega nel settore, nda).
Infine, alcuni repubblicani al Congresso hanno sostenuto leggi volte a limitare il potere del presidente di imporre dazi, mentre molte altre figure politiche – dai governatori degli Stati ai procuratori generali, fino ai gruppi imprenditoriali – stanno facendo causa all’amministrazione, denunciando un abuso di potere ritenuto illegale.
Oltre a questi quattro argini, vi è anche il fattore tecnologico. La crescita potenziale dell’economia statunitense si avvicinerà al 4% entro il 2030, ben al di sopra della recente stima dell’1,8% del Fondo Monetario Internazionale. Il motivo è evidente: l’America è leader mondiale in 12 settori industriali che definiranno il futuro, mentre la Cina è in testa solo nei veicoli elettrici e in altre tecnologie verdi. La crescita degli Stati Uniti è stata in media del 2,8% nel 2023-24, e la produttività è cresciuta in media dell’1,9% dal 2019, nonostante la flessione dovuta alla pandemia
Dal lancio di ChatGPT alla fine del 2022 – evento che avevo previsto nel mio libro del 2022 Megathreats – gli investimenti legati all’intelligenza artificiale hanno alimentato un boom di spese in conto capitale negli Stati Uniti. Neppure le tariffe e l’incertezza che ne è derivata hanno modificato sostanzialmente le indicazioni delle grandi aziende tecnologiche, dei colossi dell’AI e di altri soggetti. Molti stanno addirittura raddoppiando gli investimenti nell’AI.
Se la crescita passa dal 2% al 4% grazie alla tecnologia, si tratta di un aumento di 200 punti base del potenziale di crescita. Anche misure protezionistiche commerciali draconiane e restrizioni migratorie ridurrebbero la crescita potenziale al massimo di 50 punti base. Il rapporto tra fattori positivi e negativi è dunque di quattro a uno; la tecnologia prevarrebbe sulle tariffe nel medio periodo.
Nouriel Roubini
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Maggio 3rd, 2025 Riccardo Fucile
VI È CERTEZZA CHE È IN ATTO “IL CONDIZIONAMENTO MAFIOSO DELLE ATTIVITÀ DI IMPRESA COLLEGATE ALLA REALIZZAZIONE DEL PONTE”… “LO STRETTO DI MESSINA E’ UN’AREA AD ALTA DENSITÀ MAFIOSA: DA UNA PARTE I CLAN DEL REGGINO, DALL’ALTRA LA MAFIA MESSINESE”
Il procuratore aggiunto della Dna Michele Prestipino è stato indagato dalla Procura di
Caltanissetta per aver rivelato notizie coperte da segreto investigativo a Gianni De Gennaro – ex capo della polizia e oggi presidente di Eurolink, il consorzio di imprese, general contractor per la progettazione e costruzione del Ponte sullo stretto di Messina – e a Francesco Gratteri, anch’egli super poliziotto antimafia, storico collaboratore di De Gennaro e consulente per la sicurezza della società Webuild, socio di maggioranza del consorzio.
La notizia è importante, non solo perché coinvolge un magistrato da sempre in prima fila nel contrasto alla criminalità organizzata, ma anche e soprattutto perché fornisce la dimostrazione che quel pericolo di infiltrazioni mafiose nella realizzazione della infrastruttura sta concretamente attuandosi, tanto da determinare l’apertura di indagini da parte di più procure. Ciò emerge a chiare note dal comunicato emesso dal Procuratore Nazionale antimafia Giovanni Melillo che – nel ritirare a Prestipino le deleghe del coordinamento investigativo tra le Dda che svolgono indagini su ‘ndrangheta e mafia – ha garantito che “l’ufficio che dirigo e le Procure distrettuali che conducono le indagini relative a ogni tentativo di condizionamento mafioso delle attività d’impresa collegate alla realizzazione del Ponte sullo stretto di Messina continueranno ad assicurare il loro comune impegno e la loro immutata dedizione per la completezza e la tempestività delle investigazioni”
Ciò smentisce platealmente le infondate dichiarazioni rese lo scorso anno con le quali l’ex poliziotto antimafia, già braccio destro di Giovanni Falcone, sentenziava: “Nessun rischio di infiltrazione per la realizzazione del Ponte sullo Stretto… Mi sento assolutamente sereno e tranquillo sul fatto che ci saranno tutte le condizioni per lavorare in trasparenza, legalità e rispettando le norme”.
Si tratta dello stesso De Gennaro che, per anni è stato a capo di quella Direzione investigativa antimafia (Dia, voluta da Falcone) che, a partire dal 1995, con una serie di relazioni, dava l’allarme sugli “interessi della ’ndrangheta e di Cosa Nostra sollecitati dal progetto per la realizzazione del Ponte sullo Stretto”. Del resto, tutti sanno – e a maggior ragione l’ex capo della Dia e della polizia – che lo Stretto di Messina si caratterizza per essere un’area ad alta densità mafiosa: da una parte la mafia messinese, dall’altra parte i “clan” del Reggino. Questi ultimi hanno sempre intercettato i grandi interventi pubblici come il porto e la megacentrale di Gioia Tauro nonché il rifacimento dell’A3 SA-RC, ove le famiglie mafiose – Mancuso, Pesce, Piromalli, Alvaro, Tripodi, Laurenti e De Stefano – in un summit in contrada Bosco di Rosarno, avevano deciso le spartizioni territoriali dei lotti compresi tra gli svincoli di Mileto e Gioia Tauro.
Qualsiasi persona di buon senso dovrebbe essere contraria alla realizzazione dell’opera sia perché essa dà luogo a un devastante impatto ambientale, sia perché oggi vi è certezza che è in atto “il condizionamento mafioso delle attività di impresa collegate alla realizzazione del Ponte”. Ciò dovrebbe indurre a un serio ripensamento il ministro dei Trasporti Salvini, promotore dell’ecomostro, ma la sua faziosità e inadeguatezza, nonché gli interessi in gioco non fanno presagire nulla di nuovo e di buono.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Maggio 3rd, 2025 Riccardo Fucile
I CARDINALI NON POTRANNO COMUNICARE CON IL MONDO ESTERNO, PENA LA SCOMUNICA “LATAE SENTENTIAE” … I PORPORATI, A CUI VIENE SEQUESTRATO IL TELEFONO, DORMIRANNO A SANTA MARTA DOVE CONSUMERANNO PASTI “SOBRI”
Vesti rosse, silenzi assoluti, telefoni ritirati e sigillati, stanze assegnate per
sorteggio. Mentre il mondo attenderà la fumata bianca, i cardinali vivranno giorni di clausura, preghiera, tensioni e discernimento nel cuore del Vaticano. La mattina del 7 maggio, nella basilica di San Pietro, si aprirà ufficialmente uno dei momenti più carichi di storia, fede, fascino, mistero e potere che il mondo conosca:
il Conclave per l’elezione del nuovo papa. A presiedere la Messa Pro eligendo Romano Pontifice sarà Giovanni Battista Re, decano del Sacro Collegio. La Celebrazione, cui parteciperanno anche i cardinali ultraottantenni (senza diritto di voto), dà inizio al rituale secolare che condurrà all’elezione del Successore di Pietro.
Gli elettori si raduneranno nella Cappella Paolina, e da lì, in processione e al canto delle Litanie dei Santi, si dirigeranno verso la Cappella sistina. All’ingresso, si intonerà il Veni Creator Spiritus, l’invocazione allo Spirito Santo che accompagna l’inizio dell’elezione.
Ogni cardinale si presenterà singolarmente al centro della Sistina, dove su un leggio sarà aperto il Vangelo. Appoggiando la mano sul testo sacro, pronuncerà il giuramento di segretezza. Solo allora risuonerà l’antico comando latino: Extra omnes!, fuori tutti, scandito dal maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, monsignor Diego Ravelli. Da quel momento, nessuno – se non gli elettori e pochi addetti – potrà più accedere alla Cappella: il Conclave ha inizio.
I 133 elettori vivranno a Casa Santa Marta, la residenza vaticana in cui ha scelto di abitare Francesco rinunciando all’appartamento papale. Le stanze vengono assegnate per sorteggio, come ha confermato il direttore della Sala stampa vaticana Matteo Bruni. Ogni cardinale ha una camera singola: semplice, essenziale, con un piccolo bagno privato.
I pasti sono sobri e preparati da un personale selezionato, anch’esso sottoposto a rigide regole di segretezza. Saranno consumati nel refettorio. La Santa Sede non ha ancora dato indicazioni, ma si tratterebbe di una colazione leggera a base di tè, caffè, pane e marmellata; a pranzo e cena pasta o riso, carne bianca o pesce, pane, verdure e frutta di stagione.
Vino previsto in piccole quantità, niente superalcolici. Il dolce solo per eventuali occasioni particolari. Cuochi e camerieri non possono avere contatti con l’esterno, né scambiare parole inutili con gli elettori
Ogni giorno i cardinali saranno accompagnati alla Cappella sistina a bordo di autobus isolati, lungo un percorso protetto da ogni contatto col mondo. Sono tassativamente vietate le comunicazioni con l’esterno. Pena: la scomunica latae sententiae. Tutti i dispositivi elettronici – cellulari, smartphone, tablet, computer – verranno schermati e ritirati prima dell’ingresso. Niente televisori, niente giornali. Le finestre della Sistina oscurate, ogni ambiente sigillato e bonificato.
Per garantire l’assoluto riserbo, tutta l’area della Sistina e di Casa Santa Marta sarà sottoposta a un sofisticato sistema di bonifica elettronica, con tecnologie anti-intercettazione. Anche nelle stanze dei cardinali sarà applicata una bonifica ambientale per escludere la presenza di microspie. Dispositivi anti-spionaggio verranno installati anche nelle aree comuni e nelle cucine. Durante le ore libere, sarà possibile fare passeggiate o restare nella propria stanza.
I primi due scrutatori leggono in silenzio i nomi; il terzo li pronuncia ad alta voce. Le schede vengono poi forate, legate con ago e filo, e bruciate nella stufa. Se l’elezione non è avvenuta, una mistura colorante fa salire fumo nero dal comignolo. Se invece si raggiungono i due terzi dei voti per un candidato, il fumo sarà bianco.
In quel momento, all’eletto viene posta la doppia domanda: «Accetti l’elezione?» e «Con quale nome vuoi essere chiamato?». Dopo le risposte, si accede alla cosiddetta «stanza delle lacrime», dove il nuovo pontefice si veste con l’abito bianco. Il protodiacono Dominique Mamberti si affaccerà dalla loggia delle benedizioni per annunciare l’Habemus Papam. Il nuovo vescovo di Roma benedirà la città e il mondo con l’Urbi et Orbi, mentre in piazza San Pietro si alzerà il boato della folla. Il conclave si chiuderà.
(da La Stampa)
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Maggio 3rd, 2025 Riccardo Fucile
HANNO RAGGIUNTO LA MAGGIORANZA ASSOLUTA, CROLLO DEI CONSERVATORI
Dopo il Canada, tocca all’Australia. L’effetto Trump si abbatte sulle elezioni nei
Paesi anglofoni a diverse latitudini del mondo, danneggiando i candidati percepiti come più vicini alla Casa Bianca. È successo così in Australia, dove alle elezioni di oggi, sabato 3 maggio, i laburisti del premier Anthony Albanese hanno conquistato una storica vittoria. Non solo il primo ministro resta al suo posto, confermato dopo aver governato negli ultimi tre anni, ma consolida la sua leadership. Secondo le proiezioni non ancora definitive, il Partito laburista ha raggiunto la maggioranza parlamentare con i 76 seggi necessari a governare senza bisogno di alleanze o stampelle.
Anzi, la maggioranza si è persino ampliata rispetto alla legislatura appena conclusa. Soprattutto, non accadeva da addirittura due decenni che un primo ministro uscente fosse eletto. Il successo di Albanese è ovviamente l’altra faccia della medaglia del fallimento di Peter Dutton, il candidato conservatore. La sua coalizione Liberal-Nazionale ha incassato una clamorosa sconfitta. le proporzioni del ko sono talmente umilianti che lo stesso leader conservatore ha perso il suo seggio contro uno sfidante laburista. «Me ne assumo la piena responsabilità», ha detto Dutton.
Il centrodestra, come accaduto in Canada, è stato enormemente sfavorito dai dazi imposti da Donald Trump. Fino all’insediamento del presidente degli Stati Uniti, parevano in vantaggio i conservatori, tradizionalmente più vicini alla Casa Bianca. Dopo il «Liberation Day», si è ribaltato tutto. Non sono bastati gli ultimi tentativi di Dutton di prendere le distanze da Trump. Un po’ per ragioni storiche, visto che i liberali sono tradizionalmente molto vicini a Washington. Un po’ per ragioni contingenti, visto che il suo programma sembrava in molti casi simile a quello con cui il tycoon repubblicano ha vinto negli Stati Uniti. Qualche esempio? Le proposte di ridimensionamento della burocrazia federale, di tagli alle assunzioni pubbliche e di una riforma dell’efficienza statale.
I laburisti hanno colto la palla al balzo. Pur senza attaccare frontalmente gli Usa, che restano i primi alleati in materia di sicurezza e difesa, hanno enfatizzato la necessità di costruire una politica commerciale-diplomatica autonoma e non troppo dipendente dalla Casa Bianca. Negli scorsi anni, Albanese ha confermato gli impegni presi dai predecessori sul programma AUKUS, che prevede la costruzione e il dispiegamento di sottomarini a propulsione nucleare con Stati Uniti e Regno Unito. Ma il premier è stato anch
protagonista di un significativo disgelo con la Cina, tanto da venire ricevuto da Xi Jinping a Pechino dopo anni di tensione che avevano fatto esplodere una guerra commerciale.
Dutton è invece stato ribattezzato maliziosamente Temu Trump, dal nome della piattaforma di ecommerce di fast fashion cinese. Il tutto per suggerire il leader conservatore sarebbe una copia a basso costo del presidente americano. La strategia ha pagato, anche perché l’economia australiana è profondamente dipendente dall’export ed è assai integrata nelle catene di approvvigionamento dell’Asia-Pacifico, il cui equilibrio è ora messo in discussione dai dazi di Trump. Albanese, che ha definito le tariffe «autolesionismo economico» è riuscito a convincere gli elettori che solo un governo moderato, stabile e autonomo rispetto a Washington possa essere in grado di proteggere l’Australia dalle grandi incertezze economiche globali. «Una cosa è chiara: abbiamo tenuto fuori Dutton», esultano i laburisti, sorpresi a loro volta dalle proporzioni della vittoria. «Abbiamo detto molto chiaramente che non vogliamo che la politica in stile Trump arrivi in Australia».
(da agenzie)
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Maggio 3rd, 2025 Riccardo Fucile
IL VESTITO TIPICO BALINESE, OTTENUTO DURANTE IL SUO PRIMO G20 – DALLA LIBIA, LA MELONI HA RIPORTATO 5 TAPPETI E 4 QUADRI … LE SCARPE DI PITONE BLU CON TACCO IN ORO E POI VINI, TAZZINE DA CAFFE’, LO SKATEBOARD, LA STATUETTA CON LA MOTOSEGA DI MILEI E L’IPAD PORTATO DA ZELENSKY … QUANDO I DONI SUPERANO IL VALORE DI 300 EURO LA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO LI DEVE METTERE A DISPOSIZIONE DI PALAZZO CHIGI, CHE PUO’ VENDERLI
Lo hanno già chiamato il “forziere” di Giorgia Meloni. La stanza, al terzo piano di Palazzo Chigi, si sta riempiendo. Non c’è più spazio. Tanto che si sta iniziando a pensare di portare i doni in un deposito fuori Roma. L’inventario segna un numero: 000273. Sono i regali ricevuti dalla premier. Quando viaggia all’estero, ma anche in Italia, Meloni non torna mai a mani vuote: sono i doni che sovrani, capi di Stato, di governo, facoltosi imprenditori, filantropi e associazioni regalano alla nostra presidente del Consiglio.
Lei, però, per legge, non può riceverli né usarli a fini privati. Quelli di valore superiore a 300 euro deve consegnarli al cerimoniale di Palazzo Chigi che li registra e mette a disposizione della Presidenza del Consiglio. In 31 mesi di governo Meloni ne ha ricevuti 273, 9 al mese. Oggi si possono conoscere perché, su richiesta del deputato di Italia Viva Francesco Bonifazi, il ministro Luca Ciriani ha depositato la lista alla Camera dei deputati.
Il primo risale al novembre 2022 quando al G20 di Bali i padroni di casa le regalarono il “tipico vestito da donna” indonesiano, l’ultimo in ordine temporale è del 7 marzo di quest’anno quando, dopo la visita al Cern di Ginevra, la direttrice generale Fabiola Giannotti ha donato alla premier una chiavetta usb e un cavo ad alta conduzione.
Certo a mani piene torna sempre dalle sue visite in Africa. Il 28 gennaio 2023, nella sua prima missione di Stato in Libia dal primo ministro Dbeibeh riceve sette tappeti e due bracciali in metallo.
Cinque mesi dopo, sempre da Tripoli torna a Roma con 5 tappeti e 4 quadri. Un anno dopo, il 7 maggio 2024, dalla sua visita per il Piano Mattei rientra con regali pregiati: un piattino in metallo, una parure di gioielli – collana, bracciale, anello, orecchino – un quadro e una targa. Quadri d’epoca li riceve anche dopo la sua visita in Egitto da Al-Sisi.
Nei suoi viaggi in Medio Oriente, invece, sono i sovrani del Golfo a riempire la premier di doni per un intero guardaroba. Il più vistoso, e pacchiano, lo riceve da Kamel Al-Mubnajjed, il presidente dell’Italian-Saudi Business Council: un paio di scarpe di pitone blu, con stiletto e tacco in oro della stilista Norah Alhumaid. Chissà che la premier non voglia contendere alla ministra del Turismo Daniela Santanchè il ruolo di nuova “pitonessa”.
Il 27 gennaio scorso dal Barhein, invece, la premier si porta dietro un vaso da fiori, uno scrittoio in valigetta rossa e un cofanetto con cintura in oro e perle. Un vaso lo porterà anche dal Vietnam nel 2023, un set di trucchi dal Giappone e un “crest” della Nato dall’Iraq. L’unica delusione proviene dal Pakistan da cui ha ricevuto solo una confezione di riso.
15 gennaio scorso, per il suo compleanno, la premier era ad Abu Dhabi al forum sulla sicurezza energetica e viene ricoperta di doni. Il premier albanese Edi Rama le regala un foulard nero, il saudita Mohammed bin Salman una mattonella e due vasi (uno alto e uno basso, recita l’inventario di Chigi), il premier slovacco una spilla, un anello, orecchini d’autore e portagioielli, quello dell’Uzbekistan una catenina in oro citrino e diamanti.
Poi ci sono gli amici di estrema destra, particolarmente generosi. A giugno 2024 il premier ungherese Viktor Orbán regala a Meloni un servizio di tazzine da caffè in porcellana Herend e sei bottiglie di vino bianco. A novembre scorso, invece, il presidente argentino Javier Milei dona alla premier una sua statuetta con la motosega.
Nell’inventario del cerimoniale viene registrato come “soprammobile Milei con sega elettrica”, oltre a un tessuto a mano con ciondolo. L’ex presidente americano Joe Biden le ha regalato una ciotola in ceramica, mentre il governo ucraino le ha donato un tablet iPad.
Dai suoi viaggi in Italia, invece, Meloni si è portata dietro uno skateboard dal “World Skate Games” di Montesilvano (Pescara), un cappello dei bersaglieri da Ascoli e degli alpini da Udine. Al G7 di Borgo Egnazia, il suo nemico Michele Emiliano le ha lasciato una bambola pugliese. In teoria, secondo la legge, Palazzo Chigi potrebbe devolvere una i regali in beneficienza o farci una mostra: il caveau di Meloni, da segreto, potrebbe aprire al pubblico
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Maggio 3rd, 2025 Riccardo Fucile
ASSENZA DI UNA REALE NECESSITA’ URGENTE NEL PROVVEDIMENTO
Il giudice Giuseppe Biondi della Corte d’Appello di Lecce ha sollevato la questione di
legittimità costituzionale del Decreto Flussi (dl 145/2024), sospendendo il giudizio sulla proroga del trattenimento di due persone migranti nel Centro per i rimpatri di Restinco, a Brindisi. Il provvedimento, tra i primi in Italia, mette in dubbio la compatibilità del decreto con diversi articoli della Costituzione e nasce da un ricorso presentato contro il rigetto della richiesta di protezione internazionale dei due migranti. Il ricorso è stato avanzata
dall’avvocato Bartolo Gagliani, legale dei due migranti, uno di origini tunisine e l’altro marocchine, contro la decisione della Commissione Territoriale di Lecce.
Le questioni sollevate dal giudice di Lecce
Il decreto in questione era stato emanato in seguito a diverse ordinanze della sezione immigrazione del tribunale di Roma, che avevano bloccato i trattenimenti nei Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) allestiti dal governo in Albania. Il consigliere Biondi ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in riferimento agli articoli 77, comma 2, 25 e 102 della Costituzione, mettendo così in luce la possibile compressione dei diritti di difesa e la mancanza dei requisiti di necessità e urgenza previsti per ogni decreto-legge. Il giudice ha fatto notare l’assenza di una specializzazione del giudicante su un tema così complesso, come quello della protezione internazionale. Nella sua ordinanza, Biondi ha poi sollevato profili di incostituzionalità in relazione all’articolo 3 della Costituzione, che stabilisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali.
(da agenzie)
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Maggio 3rd, 2025 Riccardo Fucile
LA REPLICA DI BERLINO: “QUESTA E’ DEMOCRAZIA” (PAROLA ESTRANEA AI SOVRANISTI)

Il partito di estrema destra è bollato come minaccia all’«ordine democratico» da parte dei servizi segreti. Sulla vicenda interviene il segretario di Stato Usa. E dalla Germania rispondono
«Questa è la democrazia. Questa decisione è il risultato di un’indagine approfondita e indipendente a tutela della nostra Costituzione e dello stato di diritto». Queste le parole del ministero degli Esteri della Germania, su X al segretario di Stato americano Marco Rubio, che ha denunciato una «tirannia mascherata» in Germania dopo la decisione dei servizi segreti tedeschi di classificare il partito Afd guidato da Alice Weidel come «estrema destra». Su X Rubio ha invitato Berlino a un passo indietro. Lo stesso post è stato condiviso
dal vicepresidente Usa J.D. Vance. Segnale questo della linea comune statunitense, dentro la Casa Bianca, nei confronti della Germania.
La Germania ha «conferito alle sue agenzie di intelligence nuovi poteri per sorvegliare l’opposizione: questa non è democrazia, ma una tirannia mascherata da tale», precisa Rubio. Ad essere «davvero estremista», ha aggiunto, non è il partito di estrema destra Alternativa per la Germania (AfD), ma la «mortale politica dei confini aperti portata avanti dalle autorità, a cui l’AfD si oppone. La Germania dovrebbe invertire la rotta».
Perché Afd «persegue azioni contro l’ordine democratico»
L’Ufficio federale per la protezione della Costituzione ha comunicato oggi che Alternativa per la Germania (AfD) sarà d’ora in poi classificato come realtà di estrema destra. Finora l’intelligence locale lo aveva definito come «caso sospetto di estrema destra». La decisione dell’Ufficio è motivata nel «carattere estremista del partito, che ignora la dignità umana» e dal fatto che «stia perseguendo azioni dirette contro l’ordine fondamentale democratico».
(da agenzie)
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Maggio 3rd, 2025 Riccardo Fucile
LA PRESSIONE FISCALE E’ SALITA AL 47,1%, A PAGARE SONO I SALARI MEDIO-ALTI
Per la Festa dei Lavoratori, Giorgia Meloni celebrato i risultati positivi del mercato del
lavoro: record del numero di occupati, aumento dei contratti a tempo indeterminato, riduzione del lavoro precario. La premier ha anche detto che, da ottobre 2023, i salari reali sono in aumento con una dinamica migliore rispetto al resto d’Europa. Se i dati positivi sul mercato del lavoro sono indiscutibili, quelli sulla dinamica dei salari sono quantomeno fuorvianti.
Non ha molto senso guardare la dinamica salariale a partire dal secondo tempo (ottobre 2023) anziché dall’inizio del film. Se si riavvolge la pellicola dal principio dell’ondata inflazionistica, la storia appare molto diversa. Lo fa l’ultimo Bollettino economico della Banca d’Italia che mostra sì, come dice Meloni, un forte aumento delle retribuzioni nel 2024 (+4%) per il rinnovo di molti contratti scaduti. Ma nonostante questo, scrive Bankitalia, a febbraio 2025 le retribuzioni contrattuali risultano ancora inferiori dell’8% rispetto ai livelli del 2021. Vuol dire che i lavoratori hanno perso, mediamente, un mese all’anno di salario: la perdita di potere d’acquisto è stata più contenuta nell’industria (-5,1%), ma molto più intensa nei servizi (-10,2%). Nel confronto europeo è tra i risultati peggiori. Secondo l’ultimo Wage Bulletin dell’Ocse, tra tutti i paesi l’Italia è il terzo con il gap salariale più ampio da recuperare rispetto al livello pre-crisi.
Molto di questa dinamica retributiva lenta e tardiva dipende dall’inefficienza della contrattazione collettiva e su questo il governo potrebbe fare qualcosa attraverso una riforma da discutere insieme alle parti sociali. Ma ciò su cui si può fare di più è la parte fiscale, che peraltro è stata a lungo un vanto del governo Meloni che ha dedicato gran parte delle risorse in questa legislatura alla decontribuzione dei salari medio-bassi. Una misura che, però, ha creato non pochi problemi e distorsioni. Ad esempio un aumento del cuneo fiscale.
Pare paradossale, vista la quantità di risorse senza precedenti messe dal governo per ridurlo, ma è il dato che emerge dal rapporto Taxing Wages pubblicato dall’Ocse a ridosso del Primo Maggio. Il dato sorprendente del report è che, nel 2024, l’Italia è il paese dell’Ocse che ha registrato il più forte incremento del cuneo fiscale (+1,61 punti), portando la pressione fiscale e contributiva al 47,1%, al quarto posto dopo Belgio, Germania e quasi a pari merito con la Francia (47,2%). Un notevole balzo in avanti rispetto all’anno scorso, quando il tasso era rimasto pressoché invariato.
Da cosa dipende? Dal fatto che nel 2024 il salario medio – che nel 2023 era pari a 34.277 euro – è salito a 35.616 euro, superando così la soglia critica di 35 mila euro lordi annui al di sotto della quale i contribuenti beneficiavano della decontribuzione introdotta dal governo Meloni. Ciò vuol dire che questo incremento del salario lordo di circa il 4% ha prodotto un aumento dell’aliquota media del 7,5%. In pratica, come facilmente prevedibile, il disegno di quella
misura ha fatto in modo che il rinnovo dei contratti si trasformasse in un salto d’aliquota, con una consistente riduzione del salario netto.
Si tratta di una forma di fiscal drag molto più brutale di quella che riguarda l’Irpef, che peraltro i redditi medi da lavoro avevano già subito in maniera più intensa nel 2023 (+2,36 punti secondo l’Ocse nel report del 2024). In pratica, mentre riducevano il cuneo fiscale ai redditi medio-bassi, la premier e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti lo aumentavano notevolmente ai redditi medio-alti.
Ma nel dibattito pubblico non c’è spazio per una discussione basata sui dati: il fatto che il governo Meloni e Giorgetti abbiano ridotto le tasse ai lavoratori più poveri aumentandole alla classe medio-alta non fa comodo né alla narrazione della destra (meno tasse per tutti) né a quella della sinistra (più redistribuzione a favore dei poveri).
(da ilfoglio.it)
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