Agosto 4th, 2025 Riccardo Fucile
MARIO MONTI RICONOSCE CHE IL PASTROCCHIO SUI DAZI NON E’ SOLO RESPONSABILITA’ DI VON DER LEYEN MA DELL’OPPORTUNISMO DEI PAESI MEMBRI
L’ incontro con il presidente Trump nella club house di un suo campo di golf è costato alla presidente Ursula von der Leyen e all’Unione europea un’umiliazione di portata storica.
Per la prima volta in 500 anni, la frase scritta da re Francesco I di Francia alla madre la sera della sconfitta nella battaglia di Pavia
del 1525, «tutto è perduto, fuorché l’onore», suona come un understatement scozzese. «Tutto è perduto, a cominciare dall’onore», verrebbe da dire.
Eppure, a questo stato d’animo occorre reagire. Subito. Dobbiamo trarne la forza dall’insegnamento di un grande europeo e di un grande americano.
Jean Monnet, l’architetto politico e istituzionale della costruzione europea, l’uomo che Shimon Peres considerava il più grande statista della Francia moderna […] era solito dire, riferendosi al travagliato cammino dell’Europa: «Sconfitte sono solo quelle che si accettano».
Il presidente Franklin Delano Roosevelt, nel suo discorso inaugurale nel 1933, nel pieno della grande depressione, pronunciò la semplice ma storica frase «L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa, quel timore senza nome, senza ragione, senza giustificazione, che paralizza gli sforzi necessari per trasformare la ritirata in progresso».
Roosevelt ha convinto gli Stati Uniti a partecipare in modo decisivo al salvataggio dell’Europa dal nazismo e dal fascismo, che stanno tornando.
Monnet ha esortato noi europei a non dichiararci sconfitti di fronte a insuccessi che senza la forza d’animo si sarebbero cristallizzati in sconfitte irreversibili.
Con queste personalità nelle nostre menti e nel nostro patrimonio genetico, personalità che hanno davvero costruito l’Occidente del secondo dopoguerra, come abbiamo potuto farci prendere da vera paura e da scomposti atteggiamenti di sottomissione nei confronti del presidente Trump?
L’Europa ha validato il suo bullismo — lo dico con rispetto, data la carica che ricopre — incoraggiandone la ripetizione nel tempo.
Come riscattare, al più presto, l’onore perduto e recuperare almeno in parte le sostanze dissipate in forma di costosi doni fatti in anticipo al Grande Dealer nella speranza di placarne le ire e moderarne le pretese in materia di dazi?
Anzitutto, non si andrebbe da nessuna parte se si concentrasse la critica sulla sola Ursula von der Leyen.
Anche se non ricordo una pagina così infausta nella storia della Commissione, va riconosciuto che diventa quasi impossibile gestire l’esecutivo europeo, quando impera negli Stati membri un grado altissimo di ipocrisia e con un numero crescente di loro che si comportano da cavalli di Troia, chi della Russia di Putin, chi degli Stati Uniti di Trump, che ancora raffigurano come guida dell’Occidente.
Certo, per riscattare l’Europa e se stessa la presidente von der Leyen dovrebbe avere un soprassalto di fierezza e di franchezza, anche a costo di irritare i governi degli Stati membri, a cominciare dal suo.
Ma per fare che cosa? Per contribuire ad un dibattito italiano ed europeo molto urgente, indicherei alcuni punti in modo telegrafico.
Nato e Difesa europea. L’unico punto sul quale Trump (come i suoi predecessori) ha ragione riguarda il costo della difesa europea.
Non possiamo chiedere di essere difesi se non accollandoci un onere sensibilmente maggiore. Del resto, se abbiamo fatto quest
orrenda figura nella club house è anche perché abbiamo paura (l’unica paura piuttosto giustificata) di essere mollati al nostro destino. Dobbiamo anche esigere di avere maggiore voce in capitolo.
Se anche gli Stati Uniti accettassero di proteggerci per sempre a basso costo per noi, sarebbe imprudente affidarci ad occhi chiusi ad una potenza la cui politica estera è diventata volatile, imprevedibile, stravagante.
Certo, ci vorrebbe una politica estera europea comune. Sappiamo però che alcuni Paesi, tra cui l’Italia, sono contrari al superamento del diritto di veto.
Global minimum tax. Con questa voce iniziano invece i campi in cui dobbiamo mostrare agli Stati Uniti, con grande rispetto, che siamo stati incauti ma che non siamo stupidi.
Dopo il vertice della Nato all’Aja, i membri del G7 hanno accettato la richiesta americana che alle imprese americane, e solo ad esse, non si applichi la tassa del 15% decisa in sede Ocse per mettere un (modesto) limite all’elusione fiscale da parte delle multinazionali.
Regalo inconcepibile in vista di una clemenza sui dazi, doppiamente inconcepibile ora. Ebbene, al G7 c’era stato un semplice accordo politico, tra gli Stati Uniti e gli altri sei, ma l’accordo non è stato perfezionato in sede Ocse. Occorre che Francia, Italia, Germania, Regno Unito, Canada e Giappone, o almeno alcuni di essi, informino Washington che il 15% rimane, per tutti.
Digital tax. Per non contrariare gli Stati Uniti, l’Ue ha indicato che nel prossimo bilancio settennale dell’Unione non ci sarebbe
sicuramente stata l’introduzione di una tassazione digitale.
È essenziale che, anche qui, l’Europa dichiari che si riserverà di decidere autonomamente, indipendentemente dai desideri degli Stati Uniti.
Coordinamento delle democrazie liberali e orientate al multilateralismo. Se dentro l’Unione europea si stanno manifestando forze politiche e addirittura governi che si sentono più vicini a varie forme di autocrazie o democrazie illiberali, come con encomiabile trasparenza le chiama il primo ministro ungherese Victor Orbán, stanno crescendo nel mondo le forze politiche e i governi che credono fermamente nella governance multilaterale della globalizzazione, che vedono i terribili e ormai incombenti danni arrecati dal cambiamento climatico, dalla distruzione della natura, dalla mancanza di un governo internazionale della sanità pubblica.
E credono, naturalmente, nelle democrazie liberali. Nella speranza che certamente l’Italia, ma anche l’Ungheria e tutti gli altri vogliano continuare a far parte attivamente dell’Unione europea, alcuni Paesi europei dovrebbero formare un nucleo ideale e politico, più che geografico, che porti avanti i valori che gli Stati Uniti fino a poco tempo fa, l’Europa ed altri hanno coltivato.
Il Canada, per esempio, pur essendo così vicino e a volte malmenato da Trump che ad alcuni europei basterebbe la metà, sta dimostrando con il primo ministro Mark Carney un’encomiabile resilienza sui principi e sulle decisioni concrete.
Analogamente, ci sono oggi ragioni di vicinanza tra Ue e Regno Unito che qualche anno fa non c’erano
Insomma, cari europei e carissimi italiani, non facciamoci impietrire dalla paura o, ancora peggio, non sventoliamo cinicamente gli «interessi nazionali» o della «sovranità nazionale», che verrebbero ben serviti genuflettendoci a chi se ne fa un baffo.
Come si è visto con i dazi. E come forse si vedrà con la farsa, a mio parere da respingersi risolutamente, di usare soldi dei (non molti) contribuenti italiani o dell’Europa per «ristorare» le imprese che, è vero, soffriranno a seguito di politiche sbagliate sul piano della dignità nazionale e prive degli sperati benefici concreti da «fedeltà» al più potente
Mario Monti
per il “Corriere della Sera”
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Agosto 4th, 2025 Riccardo Fucile
LA “BANQUE VERTE” HA UNA PRATERIA DI FRONTE A SÉ, DOPO IL RITIRO DELL’OPS DI UNICREDIT, FERMATA DAL MURO DEL GOLDEN POWER ERETTO DAL GOVERNO. A PALAZZO CHIGI PENSANO CHE UN GRUPPO FRANCESE TUTELI MEGLIO GLI “INTERESSI STRATEGICI NAZIONALI”, DI UNA BANCA ITALIANA
Il Credit Agricole detiene dal 30 luglio il 20,1% di Banco Bpm. Il 19,804% è con diritti di
voto, lo 0,3% in derivati, secondo una comunicazione obbligatorie alla Consob. Il socio francese di Banco Bpm aveva fatto sapere di voler chiedere alla alla Bce di superare la soglia del 20%.
La partecipazione totale pari al 20,1% è detenuta da Credit Agricole tramite la controllata Delfinances. Il derivato sullo 0,3% è un contratto Total return swap con regolamento in contanti ma con diritto di Delfinance di richiedere, previo ottenimento delle autorizzazioni necessarie, che il regolamento avvenga con consegna fisica delle azioni sottostanti al contratto derivato.
Il gruppo francese, socio al 19,8%, aveva comunicato l’11 luglio che avrebbe richiesto alla Bce l’autorizzazione della Bce a superare la soglia del 20% con l’obiettivo di rafforzare il suo investimento ma senza voler “acquisire né esercitare il controllo su Banco Bpm”, mantenendo la propria partecipazione al di sotto della soglia di opa obbligatoria.
Nella dichiarazioni d’intenti alla Consob la Banque Verte segnala ora che “ha avviato il processo per la presentazione di formale istanza presso le competenti autorità di vigilanza ai fini dell’ottenimento delle autorizzazioni necessarie, ai sensi della disciplina applicabile, ad incrementare la propria partecipazione diretta o indiretta in Banco Bpm al di sopra del 20%.
Ciò permetterà a Credit Agricole di qualificare il proprio investimento e la propria partecipazione, da un punto di vista tecnico e – in particolare – contabile, nell’ambito della cosiddetta influenza notevole, in maniera stabile e coerente con il proprio
ruolo di socio e di partner industriale di lungo termine”.
Inoltre “non intende acquisire o esercitare il controllo sulla Banca e manterrà la propria partecipazione al di sotto della soglia d’opa obbligatoria”. L’Agricole, “anche per il tramite di Delfinances, eserciterà i diritti sociali e le prerogative societarie ad essa spettanti nella qualità azionista diretto o indiretto di Banco Bpm in conformità alla legge e allo statuto”
(da agenzie)
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Agosto 4th, 2025 Riccardo Fucile
I GIURISTI: “IL GOVERNO RIFIUTA I PRINCIPI DELLO STATO DI DIRITTO”…IL PROTOCOLLO CON L’ALBANIA FUORI DALLE REGOLE EUROPEE
A pochi mesi dall’approvazione del nuovo Patto europeo su migrazione e asilo, l’Italia guarda a Bruxelles con la speranza di anticiparne l’entrata in vigore. L’obiettivo è chiaro: rendere pienamente operativo l’accordo stretto con l’Albania, che prevede la gestione di una parte delle procedure per i migranti soccorsi in mare al di fuori del territorio nazionale. Ma mentre Roma spinge sull’acceleratore, l’Europa segnala che qualcosa non torna: nella sua relazione pubblicata a giugno, la Commissione europea ha infatti evidenziato come l’Italia sia ancora lontana dall’essere “pronta”: manca l’individuazione delle aree dove dovrebbero sorgere i nuovi centri di frontiera, non risultano avviate le gare d’appalto, e non c’è poi alcuna traccia di una pianificazione finanziaria dettagliata. Se la situazione non cambierà in tempi brevi, si rischia di non rispettare la scadenza fissata per la piena applicazione del Patto,
prevista nell’aprile 2026.
Il caso Albania: fuori giurisdizione europea
È proprio in questo scenario che si inserisce l’accordo con l’Albania, presentato dal governo italiano come una svolta nella gestione dei flussi migratori; ma per Bruxelles, quel modello resta ai margini del nuovo impianto normativo. L’Albania, infatti, non fa parte dell’Unione europea e, proprio per questo, non rientra nelle regole che impongono agli Stati membri di istituire centri di frontiera solo all’interno del proprio territorio o in aree sotto giurisdizione comunitaria. Nei documenti ufficiali dell’UE non compaiono né Gjader né Shëngjin, località indicati dall’Italia per ospitare i migranti trasferiti secondo il protocollo. Anche se operative, quelle strutture potranno al massimo servire da luoghi di trattenimento per chi è già stato respinto e attende il rimpatrio. Nulla a che vedere, insomma, con la gestione delle domande d’asilo o con l’applicazione delle nuove procedure di frontiera previste dal Patto.
Centri in Italia: pochi, sottoutilizzati e fragili sul piano legale
Sul territorio italiano, la situazione non è molto diversa: in questo momento esistono infatti solo due centri operativi dedicati alla procedura di frontiera, uno a Pozzallo e l’altro a Porto Empedocle, con una capienza complessiva di poco più di 150 posti. Entrambi sono destinati a ospitare persone provenienti da Paesi considerati “sicuri”, per le quali si prevede una valutazione accelerata della domanda d’asilo. In gran parte dei casi, però, i provvedimenti di trattenimento vengono annullati dai giudici. Il motivo? Mancano le garanzie previste dal diritto europeo: dal diritto alla difesa, al controllo giurisdizionale
effettivo. Tutti elementi che la Corte di giustizia dell’UE ha ribadito in una sentenza pubblicata lo scorso marzo, e che ora diventano cruciali per valutare la compatibilità del sistema italiano con il nuovo assetto normativo. Un terzo centro era stato annunciato in Puglia, ma a oggi non è stato formalmente istituito: non ci sono gare d’appalto né indicazioni chiare su dove e quando sarà realizzato. Anche su questo punto, la Commissione invita l’Italia a “rafforzare gli sforzi” per garantire che le nuove regole possano essere applicate entro la scadenza prevista. Ma il tempo stringe.
Asgi: “Governo italiano restio a riconoscere piena tutela del diritto di asilo e alla protezione internazionale”
“La pronuncia della Corte di giustizia è importante, ma non arriva come un fulmine a ciel sereno”, spiega a Fanpage.it il giurista Dario Belluccio, membro dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi). “La Corte richiama ampiamente le sue precedenti decisioni che avevano già affermato che ogni provvedimento in materia deve potere essere oggetto di contestazione da parte del singolo e sottoposto a verifica da parte dell’autorità giudiziaria. Si ribadiscono alcuni principi fondamentali: il diritto di difesa e il primato del diritto dell’Unione europea sulle leggi nazionali nelle materie (come quella dell’asilo) oggetto di regolamentazione a livello europeo”. Secondo Belluccio, il cuore del problema è che: “Il governo italiano, come altri in Europa, sembra restio ad accettare proprio questi principi dello Stato di diritto e, ancor prima, il riconoscimento pieno del diritto d’asilo e della protezione internazionale. Questo è il vero nodo politico, che traspare anche
dalla lettura del nuovo Patto sulle migrazioni e l’asilo”.
Una distanza che rischia di trasformare le nuove regole in uno strumento puramente formale, privo di efficacia concreta e che potrebbe così alimentare un doppio fallimento: da un lato l’incapacità di costruire una rete funzionante di strutture e procedure, dall’altro la tentazione di eludere, anziché attuare, le garanzie fondamentali previste dalla legge. In gioco quindi, non ci sarebbe solo l’efficienza del sistema, ma la sua stessa legittimità democratica.
(da Fanpage)
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Agosto 4th, 2025 Riccardo Fucile
IL CLUB: “SI TENTA ILLEGALMENTE DI CREARE UN COLLEGAMENTO TRA IL BVB E UNA POSIZIONE POLITICA O UN COMPORTAMENTO DI VOTO, SUGGERENDO CHE UN TIFOSO DEL BVB VOTEREBBE O DOVREBBE VOTARE L’AFD. NON VOGLIAMO PERMETTERE QUESTA IMPRESSIONE, PERCHÉ CONTRASTA CON I VALORI DEL BORUSSIA DORTMUND”
Il Borussia Dortmund si oppone fermamente all’uso politico dei propri colori sociali da
parte dell’AfD di Dortmund. Il club ha deciso di intraprendere azioni legali per difendere la propria immagine e i suoi valori.
L’articolo di Faz descrive la situazione in questo modo:
Come riportato dalle ‘Ruhr Nachrichten’, il motivo sarebbe un adesivo del partito con la scritta ‘Beim Fußball Schwarz-Gelb Am Sonntag Blau’ (‘Nel calcio nero-giallo – la domenica blu’). L’adesivo fa riferimento ai colori sociali del club di calcio della Bundesliga e alle elezioni comunali del 14 settembre in Renania Settentrionale-Vestfalia.
In una dichiarazione del Bvb, in possesso delle ‘Ruhr Nachrichten”’, si legge: «Dopo un’attenta verifica, il Borussia Dortmund ha deciso di agire legalmente contro questa forma di pubblicità elettorale e di far valere i propri diritti di ingiunzione contro il circolo AfD di Dortmund».
Secondo il club, qui si tenta illegalmente di creare un collegamento tra il Bvb e una certa posizione politica o comportamento di voto, suggerendo che ‘un tifoso del Bvb voterebbe o dovrebbe votare AfD’. Il club non vuole permettere questa impressione, poiché ‘contrasta con i valori del Borussia Dortmund’.”
“Il Bvb sostiene, in un’ingiunzione di cessazione che è stata consegnata all’agenzia di stampa tedesca Dpa, di non poter accettare l’’appropriazione indebita’ dei colori sociali del club da parte dell’AfD.
Nel documento legale dei legali del Borussia Dortmund, inviato venerdì al deputato federale Matthias Helferich e al circolo AfD di Dortmund, si legge: «Lo stemma iconico della nostra assistita, così come i suoi colori sociali e tutta la comunicazione, sono rappresentati da una combinazione di colori nero-giallo unica nel panorama calcistico e conosciuta a livello mondiale».
Un portavoce del club ha detto alla Dpa: «Dal nostro punto di vista si tenta illegalmente di creare un collegamento tra il Bvb e una posizione politica o un comportamento di voto, suggerendo
che un tifoso del Bvb voterebbe o dovrebbe votare l’AfD. Non vogliamo permettere questa impressione, perché contrasta con i valori del Borussia Dortmund».”
(da agenzie)
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Agosto 4th, 2025 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA CHE INCHIODA LA FARSA MELONIANA: DA QUANDO E’ APERTO SONO ARRIVATE IN ALBANIA APENA 140 PERSONE E NE SONO USCITE 113, DI CUI 40 PER MANCATA PROROGA DEL PROVVEDIMENTO E SOLO 37 SONO I RIMPATRIATI
Nel Centro di Permanenza per i Rimpatri di Gjader sono presenti appena 27 persone. I 144 posti regolamentari sono in gran parte vuoti. Da quando è aperto sono arrivate in Albania 140 persone e ne sono uscite 113. 40 per mancata proroga del trattenimento, 37 perché rimpatriati, 15 per inidoneità sanitaria al trattenimento, sette per riconoscimento della protezione internazionale e altre per motivi diversi. Come il trasferimento in altri centri o la sospensiva del decreto di espulsione. Sono i numeri dei garanti dei detenuti di Roma e del Lazio Valentina Calderone e Stefano Anastasìa dopo la loro visita al Cpr. Dopo la quale chiedono la detenzione in Italia per i trattenuti.
I garanti
«Il numero estremamente limitato delle persone attualmente presenti nel Cpr, appena 27, insieme con la disponibilità di posti nei centri collocati sul territorio nazionale rende non giustificato il trasferimento in Albania di queste persone. Anche se abbiamo potuto verificare che le risorse umane, professionali e finanziarie a disposizione dell’ente gestore, consentono al momento un trattamento adeguato dei trattenuti. Naturalmente ci sono
difficoltà per i rapporti con i familiari e i legali dovute alla collocazione del Centro in territorio albanese e potenziali rischi per l’assistenza sanitaria, laddove non dovesse essere sufficiente quella prestata all’interno del centro, manca inoltre qualsiasi opportunità di attività nelle lunghe giornate all’interno del Cpr», scrivono in una nota Calderone e Anastasìa.
La competenza territoriale
Il centro di Gjader è sotto la responsabilità della Prefettura di Roma. Questo configura una competenza territoriale dei Garanti delle persone detenute di Regione Lazio e Roma Capitale. L’ente gestore si chiama Medihospes.I Garanti hanno incontrato anche la direttrice della sezione penitenziaria interna. E hanno visitato la struttura, al momento mai utilizzata, in grado di ospitare fino a 24 detenuti. Il Cpr consta di 144 posti regolamentari, con una capienza di 96 disponibili. Attualmente è inutilizzata la parte della struttura destinata ai richiedenti asilo appena sbarcati, che può ospitare fino a 880 persone. Le 27 persone attualmente trattenute provengono prevalentemente da Algeria, Senegal, Pakistan, India, Ghana.
La trasformazione
All’interno del perimetro del centro sono presenti unità di personale della Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza. Ed è presente l’Ufficio immigrazione, dipendente dalla Questura di Roma. Per l’ente gestore del Cpr, Medihospes, lavorano 113 persone, tra operatori dell’area sanitaria, dell’area legale, mediatori culturali.
(da agenzie)
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Agosto 4th, 2025 Riccardo Fucile
TUTTO PUR DI AIUTARE UN AMICO DI GIOVENTÙ, IL GOVERNATORE FRANCESCO ACQUAROLI, DATO PERDENTE DAI SONDAGGI CONTRO IL PIDDINO MATTEO RICCI … IL “MODELLO” MARCHE DI CUI BLATERANO I FRATELLI D’ITALIA: PRIVATIZZAZIONE PROGRESSIVA
“Abbiamo scelto di dare a questo territorio una opportunità in più: il Consiglio dei ministri di oggi approverà la norma che consente di allargare la zona economica sociale anche alla Regione Marche e alla Regione Umbria”.
Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni presentando ad
Ancona gli interventi del governo per le Marche. “Come possiamo aiutare questi territori a fare ancora di più e meglio? – ha detto la premier – Nella condizione di competere con tutti gli strumenti adeguati? Andando al cuore di quei problemi strutturali che” le Marche “si portano dietro da diversi anni e che per diversi anni non si era avuto il coraggio di affrontare: la questione centrale è quella del deficit infrastrutturale, questa regione vive un paradosso incredibile, è al centro dello Stivale ma è irraggiungibile e così non può combattere ad armi pari”.
C’è il “sistema a pettine – ha ricordato la premier che parte dalla A14 e si sviluppa nell’entroterra dividendo in quadranti la regione senza avere una corrispondente infrastruttura per connettere velocemente le aree interne e le diverse valli marchigiane”.
Per questo “abbiamo lavorato fin da subito su opere come la Pedemontana delle Marche, un sogno che diventa realtà, e opere ferme per decenni, la Galleria della Guinza, una delle grandi incompiute d’Italia, sulla Fano-Grosseto, la famosa superstrada dei due mari pensata per collegare Adriatico e Tirreno e sanare il divario tra le due coste”.
“La giornata di oggi cambierà il destino di questo territorio, la Pedemontana è fondamentale e tirerà fuori le Marche da un isolamento insensato considerata la sua posizione geografica”.
Così la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, durante il suo intervento all’avvio dei lavori di un tratto della Pedemontana del sud delle Marche a Cessapalombo (Macerata). “C’è stato un sistema di viabilità che ha condizionato la vita di imprese, lavoratori e cittadini. – ha aggiunto Meloni – Con ques
infrastruttura diamo l’opportunità di poter competere avendo gli strumenti per farlo, per consentire alle aziende di trasportare facilmente i prodotti ed esportarli, mettendole nelle condizioni di base per poter dimostrare loro valore”.
“Oggi ad Ancona, Meloni ha promesso di tutto: manca solo ‘sarà tre volte Natale’. Lo fa per aiutare il suo amico di gioventù Acquaroli, lo fa perché sa bene che da solo il Presidente delle Marche non avrebbe niente da raccontare, visto come ha ridotto la sanità pubblica. A Meloni, versione Wanna Marchi, non crede più nessuno: dalle accise alla riforma delle pensioni, le italiane e gli italiani hanno imparato che sono solo promesse elettorali. Nella realtà si traducono in tagli ai servizi, aumento delle tasse e della povertà”. Così in una nota Chiara Braga e Francesco Boccia, Capigruppo PD alla Camera dei Deputati e al Senato.
(da agenzie)
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Agosto 4th, 2025 Riccardo Fucile
MOLTO VICINI A FRATELLI D’ITALIA SONO I VERTICI DELLA POTENTISSIMA” SPORT E SALUTE”, SEMPRE PIÙ LONGA MANUS MELONIANA NELLA GESTIONE DEI MILIONI DI EURO CHE RUOTANO NEGLI EVENTI SPORTIVI… IL PRESIDENTE È L’IMPRENDITORE MARCO MEZZAROMA, AMICO DELLE SORELLE MELONI. ALLA DIREZIONE SPORT E COMMUNITY C’È GIUSEPPE DE MITA, ALTRO AMICO DELLA DUCETTA E DELLA SORELLA
Tennis, vela, volley, basket. E ovviamente il calcio, incluso il commissario sullo stadio, nell’attesa di riformare l’assegnazione dei diritti televisivi. Con il fiore all’occhiello dell’Olimpiade Milano-Cortina, che la Lega con Matteo Salvini vuole intestarsi. L’accerchiamento del governo al mondo dello sport è completo. La regia è del ministro dello Sport, Andrea Abodi.
L’unico ko è stato quello del Coni, dove l’ha spuntata Luciano Buonfiglio, sostenuto da Giovanni Malagò, contro Luca Pancalli, preferito di Abodi.
Ma il comitato olimpico è oggi meno influente di un tempo, quasi un peso piuma in confronto allo strapotere di Sport e Salute, società del ministero dello Sport, cassaforte che elargisce i contributi alle federazioni, voluta dall’attuale ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, quando era sottosegretario ai tempi del governo Conte. E oggi è sempre più valorizzata.
L’ultimo mattone è stato piazzato con il decreto Sport, approvato alla Camera in settimana e inviato al Senato, su cui si è innescato uno scontro istituzionale. Il governo è arrivato a sfidare il Quirinale come mai aveva fatto prima.
Il Colle ha mosso dei rilievi informali su due norme. La prima che impone la presenza proprio di Sport e Salute nell’organizzazione degli eventi sportivi – in cui rientrano la Coppa Davis di tennis e l’europeo di Volley del 2026 – beneficiari di almeno 5 milioni di euro di finanziamenti pubblici.
La seconda disposizione normativa poco gradita alla presidenza della Repubblica riguarda la commissione indipendente per il controllo dei conti delle società professionistiche, quindi calcio e basket, istituita già lo scorso anno, ma che va a rilento nella sua attuazione.
La struttura avrà un costo complessivo di 3,5 milioni di euro circa e graverà in parte (1,9 milioni di euro, il resto tocca alle società) sulle spalle delle federazioni, che attualmente tengono in piedi il meccanismo della Covisoc con poco più di 300mila euro.
Viene, inoltre, richiesto alle federazioni di garantire il personale per far funzionare la macchina, facendo sollevare dubbi sul rispetto delle autonomie delle federazioni. Mentre per il governo i controllati devono pagare il conto per i controllori. Fatto sta che per l’eventuale controversia l’unica strada percorribile sarebbe quella del ricorso.
Un emendamento, approvato nel decreto Sport, fissa però un paletto preciso: la giurisdizione spetta al giudice ordinario e non alla giustizia amministrativa, che avrebbe potuto agire con maggiore celerità attraverso le sospensive. Per il Quirinale non va bene: chiede che la mini-riforma sia cancellata, non per una questione di merito ma perché non rileva (come per l’altra norma) i criteri di urgenza necessari a un decreto.
Il governo, attraverso Abodi, ha ribadito in settimana la volontà di andare avanti. Si è prefigurato uno scenario da showdown istituzionale. Il presidente della Repubblica potrebbe rifiutarsi di promulgare la legge, rimandandola in parlamento in pieno agosto. E il 29 agosto il decreto, senza conversione, decade. Per questo a palazzo Chigi è in corso una riflessione, trapela la
possibilità di stralciare – lunedì mattina – i due commi prima dell’esame e del voto in Senato
In tal caso, comunque, il governo troverebbe la formula per difenderne il contenuto: l’eventuale passo indietro arriverebbe per evitare lo scontro estivo con il Quirinale.
La pietra angolare della strategia di Abodi resta la riforma dello sport più amato dagli italiani: il calcio. È noto che uno degli obiettivi del suo mandato sia la revisione dell’assegnazione dei diritti televisivi.
C’è una bozza di riforma, sono in corso incontri con gli attori interessati. Ma soprattutto la commissione sui conti è il termometro dell’avanzata della destra, al netto del reclutamento del personale. Alla presidenza è stato nominato Massimiliano Atelli, già capo di gabinetto di Abodi mentre il ruolo di segretario andrà a Mario Morelli, a sua volta consigliere giuridico del ministro dello Sport (lascerà l’incarico all’insediamento nel nuovo ruolo).
Insomma, la commissione nasce indipendente, ma al timone ci sono dirigenti di fiducia del ministro. Alimentando le voci di una “fratellizzazione dello sport”.
Oltre le singole dispute, il decreto Sport è un “decreto Sport e Salute”, nel senso della società di proprietà ministero dell’Economia, sempre più longa manus meloniana nella gestione dei milioni di euro che ruotano intorno agli eventi sportivi.
Certo, i sospetti di un allargamento voluto ad hoc crescono di fronte a un dato di fatto: i vertici societari sono molto vicini a Fratelli d’Italia. Il presidente è l’imprenditore Marco
Mezzaroma, amico di vecchia data delle sorelle Meloni, uno dei pochi a poter condividere le vacanze con la famiglia della premier. Nel ruolo di potente capo della direzione Sport e community (che sovrintende il marketing e il patrimonio dei dati) c’è invece Giuseppe De Mita, altro amico della premier e di Arianna Meloni, che lo avrebbe voluto lo scorso anno ad di Cinecittà.
A chiudere il cerchio dirigenziale, c’è l’amministratore delegato, Diego Nepi Molineris. Non si tratta di un meloniano, ma di un manager – con una lunga carriera all’interno di Coni Servizi (progenitore di Sport e Salute) – molto stimato dal ministro Giorgetti. Negli anni, Nepi Molineris ha saputo intessere rapporti trasversali con il mondo della politica, soprattutto con le amministrazioni di Roma.
A Sport e Salute guardano con interesse al contenuto del provvedimento. Ci sono svariati motivi. La società è stata indicata, tra le varie cose, come soggetto attuatore dell’America’s Cup, che si svolgerà a Napoli nel 2027. Dovrà gestire 7,5 milioni di euro per vari compiti per vari compiti, incluse la progettazione delle infrastrutture e la promozione della competizione. Mentre la società acquisisce poteri, altri enti locali non toccheranno palla. La regione Campania, oggi guidata da Vincenzo De Luca, è stata estromessa dal comitato di gestione, alimentando la sensazione di una scelta politica.
Dal mare alla Mole, Sport e Salute dovrà co-organizzare le Atp Finals di Torino, stipulando un’apposita convenzione con la federazione italiana tennis e padel. E ancora un’altra funzione attiene il supporto agli investimenti nel settore a 360 gradi […]
L’elenco dei poteri assegnati e lungo non si ferma. La società può prestare il proprio personale ai Giochi del Mediterraneo di Taranto 2026. Avrà un ruolo centrale anche l’organizzazione dell’Europeo di calcio del 2032, di cui l’Italia è paese ospitante insieme alla Turchia. Il commissario straordinario potrà avvalersi, manco a dirlo, del supporto di Sport e Salute. Tutto passa dal Foro Italico. E da palazzo Chigi lo rivendicano.
(da “Domani”)
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Agosto 4th, 2025 Riccardo Fucile
SOGEI EP LA SOCIETA’ PUBBLICA CE SI OCCUPA DEI SERVIZI DIGITALI PER LA P.A…. DIVERSE VICENDE GIUDIZIARIE HANNO COINVOLTO SUOI DIRIGENTI
Non c’è pace per Sogei, la società pubblica di servizi informatici controllata dal ministero
dell’Economia, finita negli ultimi mesi al centro di una bufera giudiziaria. Prima, a ottobre 2024, con l’arresto del direttore generale Paolino Iorio accusato di
corruzione. E poi a marzo 2025, con l’inchiesta che ha coinvolto l’amministratore delegato Cristiano Cannarsa, nata dalle dichiarazioni ai pm dello stesso Iorio, che nel frattempo ha patteggiato una pena di tre anni.
Interrogato dai magistrati a maggio, Cannarsa ha respinto tutte le imputazioni a suo carico – incentrate sui rapporti con Stefania Ranzato, titolare della Deas Spa -, ma a oggi risulta ancora indagato. E le voci all’interno di Sogei lo descrivono come un capitano sempre più indebolito alla guida dell’azienda, distante dalle dinamiche del funzionamento quotidiano del gruppo, in rapporti deteriorati con una buona fetta della dirigenza e del personale.
“In Sogei situazione insostenibile”
Critiche che traspaiono anche dai recenti comunicati interni della Rsu di Sogei. “Il vertice aziendale (non solo questo, ovviamente) ha trascinato tutta l’azienda in una situazione insostenibile”, si legge in una nota del 25 luglio. Che prosegue: “Se il nostro Ad facesse una passeggiata tra i corridoi, partecipasse a qualche riunione operativa, riscuotesse la fiducia di un management che invece è impaurito nel raccontargli tutte le cose che non vanno, se ne renderebbe conto facilmente”.
Claudio Cannarsa è stato nominato amministratore delegato di Sogei a giugno del 2023, su input del viceministro dell’Economia di Fratelli d’Italia Maurizio Leo. Ma aveva in curriculum già una precedente esperienza al vertice della società, tra il 2011 e il 2017, con risultati considerati positivi. Per i sindacati però ora il manager pubblico “si è chiuso nella sua torre d’avorio e preferisce vantarsi dei risultati del concordato
fiscale (risultati del governo e non di Sogei), essere attivo sui social network, ricevere ambasciatori e politici”.
Nelle confessioni private raccolte da Fanpage.it da diverse fonti all’interno della società del Mef si va anche oltre, parlando di un amministratore delegato più impegnato a curare (e forse proteggere) la sua immagine all’esterno, che a governare la società. Una delle conseguenze di questo atteggiamento – sostengono le fonti – è un clima ormai diffuso di sfiducia tra il vertice e chi sta sotto: non solo i dipendenti, ma anche i dirigenti.
Questa situazione – viene riferito – starebbe generando crescenti criticità nel funzionamento di Sogei. Anche perché non è stato colmato il vuoto lasciato dall’uscita di scena dei due direttori generali nominati dallo stesso Cannarsa a marzo 2024: uno, Iorio, revocato dopo l’arresto; l’altro andato in pensione. L’organizzazione del lavoro oggi è descritta come frammentata e senza coordinamento, con nove direttori che faticano a prendersi responsabilità, anche per l’assenza di chiarezza nel mandato.
L’ascesa della ‘zarina’ legata a Fratelli d’Italia
In questa zona grigia c’è però anche chi pare aver guadagnato un peso non da poco. Rosangela Cesareo è formalmente una consulente esterna per la comunicazione di Sogei. In realtà fonti a conoscenza della questione la descrivono quasi come una “direttrice ombra” nell’azienda, che pur da soggetto esterno all’organigramma societario, ufficiosamente guiderebbe l’area personale. E avrebbe assunto un ruolo sempre più rilevante nelle relazioni esterne del gruppo
Dall’interno di Sogei si fa notare come Cesareo accompagni
ormai Cannarsa in tutte le occasioni pubbliche che coinvolgono la società: dalle missioni istituzionali alle audizioni parlamentari, fino agli incontri con altre personalità e manager. Un ruolo esercitato spesso scavalcando gli altri dirigenti e creando quindi non pochi malumori.
Rosangela Cesareo è una professionista che può vantare certamente entrature in diversi ambienti della “Roma che conta” e a palazzo Chigi, dove ha collaborato con il Dipartimento per le politiche antidroga. Mentre il marito Mauro Nicastri è capo segreteria della sottosegretaria del ministero delle Imprese, Fausta Bergamotto. La consulente di Sogei esibisce anche un rapporto privilegiato con il mondo Fratelli d’Italia.
Sui social, Cesareo non nasconde il suo supporto a Giorgia Meloni e la partecipazione a diverse iniziative del partito della premier. Ma soprattutto è legata da un rapporto di fortissima amicizia personale con il deputato Luca Sbardella e la moglie, da lei definiti come “la sua famiglia romana”. Un’amicizia dichiarata e documentata dalle foto di cene e vacanze assieme, postate sui social network direttamente dai protagonisti.
Sbardella è un deputato di Fratelli d’Italia, vicinissimo a Giovanni Donzelli, di cui fa il vice capo, nel dipartimento organizzazione di Fdi. Si tratta insomma uno dei principali uomini macchina di via della Scrofa, tanto che a marzo scorso è stato anche spedito in Sicilia, per commissariare il partito regionale, segnato dagli scandali.
Ovviamente non ci sono prove che questi rapporti di Cesareo siano da mettere in relazione con la sua scalata dentro Sogei. È innegabile però che a Cannarsa possa far comodo una figura di
raccordo con gli ambienti del principale partito di maggioranza, nel momento in cui deve puntellare il suo ruolo. E che d’altra parte per Fdi possa essere utile avere un orecchio in più a terra, in questa fase, dento la società del Mef.
Forse è anche per questo – si sussurra nei corridoi di Sogei – che nelle prossime settimane sarebbe pronto per la pubblicazione un bando, per la ricerca di un nuovo responsabile delle relazioni istituzionali del gruppo. Un ruolo che sembra ritagliato su misura per Cesareo, che in questo modo otterrebbe la stabilizzazione e la certificazione della sua influenza dentro la società.
Se la circostanza trovasse conferma sembra destinata a creare nuove polemiche interne. Come pare testimoniare un’altro passaggio contenuto in un comunicato delle Rsu, stavolta del 30 luglio: “L’azienda deve essere guidata da chi la conosce davvero, da dentro. Da quando, con il supporto di chi non conosce Sogei, il vertice ha iniziato a mettere mano direttamente alla macchina operativa è iniziato il caos e il declino”.
I timori per lo smembramento di Sogei
Le preoccupazioni dei sindacati per i silenzi dell’Ad Cannarsa però sono ben più ampie. Da un lato perché sembra confermata la volontà del manager di alleggerire il portafoglio di commesse di Sogei. La società negli ultimi anni ha ampliato molto il suo raggio di azione: oggi, oltre al ministero dell’Economia e ai suoi satelliti, Sogei fornisce servizi digitali anche a molti altri dicasteri e soggetti pubblici. Un carico che peserebbe eccessivamente sul funzionamento dell’azienda creando problemi che potrebbero essere risolti, cedendo una parte dei contratti a un’altra Spa pubblica, la 3-I
I rappresentanti dei lavoratori non sono contrari a quest’operazione, ma chiedono lumi sul destino di chi oggi opera nei settori che sarebbero oggetto della cessione. E vorrebbero rassicurazioni su un’altra voce raccolta in ambienti di governo: cioè che questo potrebbe essere solo il primo passo, per arrivare allo smembramento della società. Con il centro di elaborazione dati e le attività correlate che – secondo questa tesi – potrebbero passare sotto il controllo di un altro soggetto pubblico (qualcuno fa il nome dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato).
Di fronte alle Rsu, raccontano fonti sindacali, Cannarsa si sarebbe detto contrario a quest’ipotesi e pronto a difendere l’integrità di Sogei, ma non avrebbe smentito che l’idea sia sul tavolo e oggetto di discussione dentro la maggioranza di centrodestra. Il timore dei rappresentanti delle Rsu è che qualora questa strada si facesse più concreta, l’amministratore delegato non si opporrebbe, se questo gli servisse per salvare se stesso.
(da agenzie)
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Agosto 4th, 2025 Riccardo Fucile
SIMEU, LA SOCIETÀ ITALIANA DELLA MEDICINA DI EMERGENZA-URGENZA, STIMA CHE IL 20-30% DEI PRONTO SOCCORSO LI ANNOVERINO IN ORGANICO E CHE COPRANO L’80% DEI TURNI
Per tamponare i buchi in organico di pronto soccorso e 118, il Veneto vuole assumere in via temporanea medici stranieri con titoli conseguiti all’estero ma non ancora riconosciuti in Italia. «Testiamo ogni via possibile per reagire», ha giustificato l’intraprendenza l’assessora regionale alla Sanità Manuela Lanzarin. Molti contratti con i gettonisti sono in scadenza e la sanità pubblica annaspa anche per la sovrapposizione con le ferie estive. I direttori delle Asl si stanno ingegnando, essendo obbligati a privarsi di medici e infermieri esterni, presi da cooperative e società.
È la conseguenza, più volte annunciata, di un decreto del ministro della Salute Orazio Schillaci (datato 17 giugno e pubblicato in Gazzetta il 25 ottobre del 2024). Prevede la scomparsa progressiva di queste figure. I loro contratti, durata massima 12 mesi, una volta scaduti non devono essere rinnovati. Entro la fine dell’anno i rapporti in essere andranno esaurendosi. Ammesso che non vada a segno uno degli emendamenti della maggioranza al disegno di legge sulle prestazioni sanitarie all’esame della Commissione affari sociali della Camera: introduce la possibilità per le aziende di fare affidamenti agli
esterni con la possibilità di «ripeterli nel tempo e prorogarli fino al 30 giugno 2028».
Non si conosce il numero dei gettonisti ora al lavoro.
Sempre Simeu stima che il 20-30% dei Pronto soccorso li annoverino in organico e che coprano l’80% dei turni. Matteo Zanella è amministratore delegato della Società Mst group, una srl, da cui attingono medici Sardegna, Veneto e Friuli-Venezia Giulia: «Abbiamo 350 professionisti al momento, tutti presi, e alcune Asl prima del 31 luglio hanno bandito gare di appalto per reclutare». Giovanni Migliore, presidente di Fiaso, la Federazione delle aziende sanitarie ospedaliere, getta acqua sul fuoco: «Non c’è e non ci sarà alcuna emergenza estate.
È una situazione ampiamente prevista».
(da agenzie)
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