Agosto 6th, 2025 Riccardo Fucile
UN GOVERNO SEDICENTE “LEGGE E ORDINE” COME FA A LIBERARE UN CRIMINALE? FORAGGIARE UN GOVERNO CRIMINALE CON I SOLDI DEGLI ITALIANI CHE TIPO DI DESTRA SAREBBE? … NELLE SEZIONI DEL VECCHIO MSI VI AVREBBERO PRESI A CALCI NEL CULO
La premier Giorgia Meloni ha capito benissimo, e di sicuro prima degli altri, che il dibattito sull’autorizzazione a procedere contro i ministri Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano sarà una prova del fuoco per il governo, il momento di un possibile corto circuito tra ragioni di giustizia, ragioni di Stato e ragion politica della maggioranza.
Se ha aperto l’ombrello della corresponsabilità personale sui tre collaboratori è anche per questo. Come in altre circostanze è chiamata in prima persona a risolvere i pasticci e le approssimazioni dei fedelissimi, consapevole che la loro vecchia linea difensiva sulla scarcerazione e rimpatrio del generale libico Nijeem Osama Almasri, le giustificazioni tecniche, i vaghi accenni a verbali mal tradotti e a date contraddittorie, non saranno sufficienti a fare scudo all’esecutivo.
Certo, il voto d’aula favorevole ai ministri è scontato, ma tutto il resto no. A cominciare dal rischio politico connesso al salvataggio di un torturatore, con un lunghissimo curriculum criminale, un personaggio sulfureo che nelle logiche della destra avrebbe meritato il fine pena mai.
È largamente franata la linea difensiva degli esordi, quando si cercò di archiviare la questione come ennesima prova della malevolenza dei giudici (europei in questo caso) verso il centrodestra o addirittura come un complotto tedesco per riversare sull’Italia l’incombenza di un arresto complicato. Ma anche riferirsi a una manovra anti-governo della magistratura italiana è più difficile che in altri casi.
Il Tribunale dei ministri che chiede l’autorizzazione a procedere nei confronti di Nordio, Piantedosi e Mantovano è un organo collegiale costituito per sorteggio: esattamente la pratica che la destra vuole introdurre per l’elezione del Csm come massima garanzia di imparzialità.
Per di più l’inchiesta sulla liberazione e sul rimpatrio di Almasri non nasce “motu proprio” dall’iniziativa di un pubblico ministero ma dalla denuncia di un privato cittadino.
C’è infine l’assennatezza con cui lo stesso Tribunale, dopo i doverosi approfondimenti, ha archiviato la posizione della premier, distinguendo (lo ha spiegato ieri il presidente del Csm Cesare Parodi, un moderato non tacciabile di faziosità) tra responsabilità penale e politica. Insomma, risulta quasi impossibile riesumare il vecchio claim: vogliono abbattere il
governo per via giudiziaria.
Neppure la fuga di notizie è contestabile. L’annuncio dell’esito delle indagini preliminari l’ha data Giorgia Meloni in persona, non un quotidiano “avversario”, non una fonte interessata a intorbidare le acque, e vai a vedere quali carte e quali dettagli ha messo insieme il Tribunale, e in che misura contraddicono le spiegazioni date in aula da Nordio e Piantedosi forse nella convinzione che il caso si sarebbe inabissato senza code giudiziarie.
E tuttavia il corto circuito ha anche una natura più politica. I reati contestati ad Almasri, descritto dalle sue vittime come il sadico capo della polizia di Tripoli, torturatore e assassino anche di bambini, suscitano un rifiuto morale che non conosce destra e sinistra. Averlo di fatto graziato e persino rimpatriato con l’onore di un volo di Stato non è certo l’azione di un governo “legge e ordine”, che per di più si vanta di esercitare a tutto campo la sua sovranità.
È questo il cortocircuito che Giorgia Meloni dovrà affrontare in prima persona, perché se il dibattito d’aula ha un esito pratico già scritto – il centrodestra farà muro contro l’autorizzazione a procedere e vincerà – il risultato politico è tutt’altro che messo in sicurezza. La premier dovrà metterci la faccia. Coprire la pasticciata liberazione di Almasri con un “non possumus” in nome dell’interesse nazionale. E sperare che basti per accontentare almeno il pubblico dei suoi elettori.
(da La Stampa)
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Agosto 6th, 2025 Riccardo Fucile
LO SCIVOLAMENTO VERSO IL CETO MEDIO-BASSO
Dovendo qui occuparci di creature immaginarie, lasciamo stare gli unicorni e parliamo
di ceto medio. Formula piuttosto vaga, un po’ economica, un po’ sociologica, un po’ comoda per dire molto, ma anche niente. Con una certezza: in Italia il ceto medio – più degli unicorni – soffre le pene dell’inferno, al punto che un recentissimo sondaggio (Demos & Pi, per Repubblica) segnala allarmato che sempre meno italiani si sentono “ceto medio”, con uno scivolamento cospicuo verso il “ceto medio-basso”. Traduco: si sentono (e sono) più poveri, ma vedremo che non è solo questo.
Senza perdersi nella complessità dei numeri, in soldoni, gli italiani che si identificano come “ceto medio” sono oggi il 45 per cento: Erano il 50 un anno fa, il 52 nel 2019 e addirittura il 60 per cento nel 2006, vent’anni fa. Insomma, non è difficile oggi entrare in un bar, o salire su un treno, ed esclamare: “Guarda! Una volta qui era tutto ceto medio!”.
Secondo le tabelle e le regole (che mai come in questo caso sembrano statiche di fronte a una situazione dinamica) sarebbe ceto medio chi guadagna tra i 15 e i 50 mila euro l’anno, il che già rende l’idea della precarietà della formula “ceto medio”. A 15 mila euro, infatti, sei piuttosto povero, a seconda di dove vivi, anzi di dove sopravvivi, e considerarti ceto medio richiede una certa dose di fantasia e ottimismo. Verso i 50 mila, specie se hai
figli a carico e abiti in posti con prezzi londinesi, tipo Milano o altre lande che va di moda chiamare “attrattive”, non rischi la povertà – per ora – ma nemmeno puoi ambire al salto di specie verso la riccanza. A tutti sarà evidente la povertà di questa spannometrica classificazione, dato che “ceto medio”, è una categoria più sociologica che economica, che potremmo far coincidere con una categoria politica, cioè quella chi si chiamava, un tempo, “borghesia”, piccola o media anche lei, ma insomma, un gradino sopra il proletariato, a cui guardava spesso con malcelato disprezzo (ricambiata, ovviamente). Questo per dire quanto le parole siano inadeguate.
Ma insomma, non è una cosa nuova, e un’altra ricerca (Cida-Censis, maggio 2025) ci raccontava della crisi: il 45 per cento del “ceto medio” riduce i consumi, e il 51 per cento incoraggia i figli ad andare all’estero. Per quanto sfocate, come tutta la realtà che si ordina in cifre e colonne, sono pur sempre fotografie, e tutte smentiscono un abbaglio durato decenni. La leggenda di quando si credeva, appunto, che fosse tutto ceto medio, si recitava la favoletta che “tanto gli operai non ci sono più” e si teorizzava la fine della manifattura sostituita dal terziario. Via! Tutti impiegati! Hurrà! Dimostrando così, tra l’altro, di non aver capito nulla di capolavori della letteratura politica italiana, tipo le avventure di Fantozzi, che sulla proletarizzazione del “ceto medio” costruì la sua esilarante epopea.
Pure dal punto di vista politico, le cose sono tutt’altro che semplici, anche se una cosa è sicura: il ceto medio aumenta in presenza di una decente redistribuzione della ricchezza, cosa dimenticata da anni. Con, anzi, uno sbilanciamento verso i
basso, per cui è sacrilegio e spreco immane aiutare chi resta indietro (esempio: il reddito di cittadinanza) ed è invece giusto e sacrosanto concedere privilegi fiscali ai ricchi (esempio: le ridicole tasse di successione in Italia). Insomma, è la vecchia storia: sul tavolo ci sono dieci panini, i ricchi ne mangiano nove e poi urlano: “Ehi, ceto medio! I poveri vogliono mangiare il tuo panino!”.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Agosto 6th, 2025 Riccardo Fucile
LA REAZIONE ISTERICA DI FRONTE ALLA INTERISTA DELLO SCRITTORE ISRAELIANO GROSSMAN CHE HA PARLATO DI GENOCIDIO
«Non è una citazione, è tutto inventato!» dice furibondo un
membro del Likud in risposta al deputato di sinistra che ha deciso di leggere nel Parlamento israeliano il passaggio
dell’intervista di Repubblica a Grossman nel quale compare la parola «genocidio» — si comprende quanto devastante, in quel luogo, per la coscienza di ciascuno e per la memoria di tutti.
Colpisce il tipo di reazione. Non “Grossman è un traditore”, oppure “Grossman mente”. Non, cioè, il contrasto duro, anche feroce, attorno alla stessa materia dolente, che sono le parole pronunciate da Grossman.
No: la negazione del fatto stesso, forse perché risulta impossibile credere che il più grande scrittore israeliano vivente, che ha perso un figlio in guerra nel 2006, definisca «genocidio» quanto accade a Gaza.
Questa cancellazione dell’evidenza, ormai da qualche anno, è epidemica. Non è più l’isolata fuga dalla realtà di chi non ne regge l’impatto. È un metodo.
Se i termini della discussione sono troppo faticosi, o troppo dolorosi, o troppo impegnativi, si rovescia il tavolo: “non è vero”. Se le parole di Grossman suonano insostenibili, si nega che le abbia dette. E non sui social, dove il falso è al governo da tempo. In un Parlamento, che dovrebbe essere il luogo della discussione per eccellenza.
Discutere attorno agli stessi materiali, e con le stesse regole, sta diventando una rarità e forse un privilegio. È come se la realtà fosse diventata un bene di lusso: e invece è il pane.
(da La Repubblica)
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Agosto 6th, 2025 Riccardo Fucile
HA RICOPERTO VARI RUOLI NELLA SUA CARRIERA MILITARE
Sembra durata poco la luna di miele tra il capo di Stato maggiore delle Idf, il generale
Eyal Zamir, e il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che lo scorso febbraio lo ha scelto per sostituire Herzi Halevi.
Zamir, 24esimo capo delle Idf, ha infatti espresso dubbi e mostrato resistenza rispetto al piano di Netanyahu di occupare Gaza. «Se non è d’accordo si dimetta», hanno fatto sapere fonti dell’ufficio del premier.
Eppure secondo Netanyahu e il ministro della Difesa Israel Katz, Zamir è sempre stato il favorito a sostituire Halevi, che, lasciando a gennaio, si era assunto la responsabilità per il fallimento del 7 ottobre.
E’ riuscito ad avere la meglio sugli altri due candidati, il generale Amir Baram vice di Halevi e sul generale Tamir Yadai, capo delle forze di terra delle Forze di difesa israeliana. E questo grazie alla sua notevole esperienza nella gestione dei sistemi di sicurezza e delle sfide alla sicurezza nazionale.
In precedenza, Zamir ha ricoperto il ruolo di vice capo di Stato maggiore, capo del comando meridionale delle Idf e segretario militare del primo ministro. Nominato nel 2023 direttore del ministero della Difesa dall’allora ministro Yoav Gallant, Zamir aveva espresso l’intenzione di dimettersi a novembre dello scorso
anno, ma poi aveva fatto marcia indietro su richiesta di Katz. Alla vigilia del rilascio dei primi tre ostaggi, Zamir ha dato indicazioni al ministero della Difesa perché tutte le risorse fossero rese disponibili per l’attuazione dell’accordo, l’accoglienza degli ostaggi rientrati e per il sostegno alle loro famiglie.
Durante la riunione ristretta il capo di stato maggiore israeliano Eyal Zamir ha messo in guardia contro le conseguenze di un’occupazione completa della Striscia di Gaza. «L’operazione metterà seriamente in pericolo la vita degli ostaggi e causerà un logoramento significativo alle forze armate», ha dichiarato, chiarendo che supporta «l’approccio basato sull’accerchiamento e raid mirati da posizioni di controllo per logorare Hamas, ma si oppone a un’occupazione totale che includerebbe anche aree dove si trovano ostaggi».
Lo riferiscono le tv israeliane. Zamir ha aggiunto che «un’operazione del genere potrebbe durare mesi, aggravando la pressione sull’esercito regolare e sulle riserve»
(da agenzie)
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