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“A GAZA HO VISTO SPARARE SUI CIVILI. I CENTRI PER IL CIBO SONO TRAPPOLE DI MORTE” LA TESTIMONIANZA HORROR DI UNO DEI CONTRACTOR CHE SCORTAVA I FUNZIONARI DELLA “GAZA HUMANITARIAN FOUNDATION”, LA ONG USA CHE DISTRIBUISCE CIBO NELLA STRISCIA

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

SI CHIAMA ANTHONY AGUILAR E, NONOSTANTE ABBIA COMBATTUTO NELL’ESERCITO USA PER 25 ANNI, HA LASCIATO IL LAVORO DOPO QUELLO CHE HA VISTO: “VENGONO COMMESSI CRIMINI DI GUERRA. UN UFFICIALE DELL’ESERCITO ISRAELIANO HA ORDINATO A UN CECCHINO DI SPARARE CONTRO I BAMBINI”

Anthony Aguilar è stato nell’esercito Usa per 25 anni, ha fatto parte del corpo d’élite dei Beretti Verdi e ha combattuto «in Siria, Iraq, Afghanistan». Poi diventa contractor. In maggio entra in Ug Solution, compagnia che fa da scorta alla Gaza Humanitarian Foundation, la ong Usa che distribuisce cibo a Gaza.
Dopo 6 settimane lascia. È il primo militare a denunciare l’uccisione di civili presso i centri di distribuzione con interviste alla Bbc, France24 e altri media internazionali. In un lungo colloquio con il senatore democratico Chris Van Hollen ha raccontato di gravi violazioni. Israele nega e lo accusa di inesattezze. La Ug Solution sostiene di averlo licenziato per “cattiva condotta”.
Lei ha prestato servizio in Afghanistan, Iraq, Siria combattendo Al Qaeda e gli estremismi. Ma sostiene di non aver mai visto niente di paragonabile a Gaza.
«Nei numerosi luoghi in cui sono stato schierato per combattere, la distruzione a Gaza, gli sfollamenti della popolazione civile, la disumanizzazione delle persone, la fame che soffrono, sono a un livello che non ho mai sperimentato né visto da nessun’altra parte».
Ha parlato di testimonianze dirette dei crimini di guerra. Può parlarcene?
«Sì, quando parlo di crimini di guerra, quelli che sono specificamente identificati dalla Convenzione di Ginevra, nel diritto internazionale umanitario e nei protocolli della Convenzione Onu dei diritti dell’uomo. Ho identificato le nostre violazioni di quei protocolli: prendere di mira i civili, sparargli
addosso, ai piedi e sopra la testa, anche sparare laddove potrebbero esserci altri civili, è imprudente e pericoloso.
Sono crimini di guerra. Prendere di mira i civili con munizioni letali, utilizzare mezzi letali per controllare una folla o spostarla è un crimine di guerra. Inoltre, i siti di distribuzione sono stati costruiti in aree di combattimento attivo: anche questo è un crimine di guerra, una violazione dei protocolli».
Ha visto persone uccise nei siti di distribuzione degli aiuti. Per esempio, ha raccontato la storia di Amir. Può raccontarci perché questa storia l’ha toccata personalmente?
«Riguardo Amir, pensavo che avesse 6-7 anni, in realtà ne aveva 10. Ho avuto l’opportunità di parlare con sua madre, sopravvissuta. Il padre è stato ucciso in un attacco aereo. Sul posto, quel giorno, io e un altro contractor ci siamo accorti che Amir era solo. Quando si è avvicinato a noi, mi ha preso la mano e l’ha baciata. Stava solo dicendo “grazie”.
Pensavamo fosse ferito o che avesse bisogno di qualcosa, magari che stesse chiedendo aiuto a trovare la sua famiglia perché non aveva nessuno lì. Voleva solo ringraziarci. Gli ho messo una mano sulla spalla e gli ho detto che ci importava di lui, che agli Stati Uniti importava. E anche che non sarebbe stato dimenticato e che eravamo lì per fare la differenza, per portare cibo e aiuti. Poi mi sono inginocchiato, lui mi ha messo le mani sul viso, sentivo che le sue mani erano molto secche, disidratate, scheletriche. Mi ha baciato e mi ha detto: “Grazie”.
Quando si è unito al resto del gruppo che lasciava il sito, a cui era stato ordinato di uscire verso il corridoio umanitario, l’Idf aveva già iniziato a sparare colpi contro la folla che percorreva il
corridoio di Morag verso Ovest. Sparavano per farli avanzare. Il gruppo con cui si trovava Amir è rimasto un po’ indietro e si è trovato nel luogo in cui sparavano. Alcune persone hanno evitato i colpi, altre sono rimaste ferite. Qualcuno è morto. Amir era tra quelli. Come abbiamo saputo un paio di giorni fa, parlando con sua madre, il suo corpo non è stato ancora trovato».
In passato ha detto che c’è stato un episodio che l’ha profondamente disturbata…
«Era l’8 giugno. Mi trovavo nella sala di controllo vicino a Kerem Shalom. Quel giorno c’era molta ressa, tante spinte e panico. I bambini venivano schiacciati contro il muro di cemento. Un palestinese ha sollevato tre bambini, uno ad uno, sulla sommità della banchina in modo che non venissero schiacciati. Ma erano disarmati, non avevano niente in mano. Uno non indossava nemmeno una camicia. Nessuno di loro aveva le scarpe.
L’ufficiale di collegamento delle Forze di Difesa Israeliane, un ufficiale del Comando Sud dell’Idf nella zona di Kogat, si è agitato molto. Ha detto di farli scendere, portarli via da lì. I contractor di Ug sul posto avevano già parlato di abbatterli. L’ufficiale sosteneva che i tre bambini fossero un problema di sicurezza. Aveva detto ai cecchini israeliani nella postazione dell’Idf di ucciderli.
Chiaramente non erano dei combattenti e non rappresentavano affatto una minaccia. Erano spaventati. Non è successo nulla perché i bambini sono scappati. Ma lui era pronto a ucciderli. In quel momento mi è stato spiegato che l’Idf è il mio cliente. Uno dei rappresentanti senior della Safe Reach Solutions, mi ha detto
di non dire di no al cliente».
Non dire di no al cliente. Era implicito non dire di no, anche se significa commettere crimini di guerra?
«Dovevamo obbedire al cliente, ovvero all’Idf. Probabilmente sarebbe stata una storia diversa se l’Idf ci avesse detto di sparare ai bambini».
A Gaza sarebbe in corso un processo di fame forzata. Eppure il primo ministro israeliano nega che Gaza stia morendo di fame. Ha visto segni di fame tra la popolazione di Gaza?
«Sì, è molto evidente che la popolazione stia morendo di fame. Ci stiamo avvicinando a una carestia totale, per l’intera popolazione. Chi nega tutto ciò è irresponsabile, tradisce la decenza umanitaria di base. Stiamo fornendo cibo dentro Gaza, ma non l’acqua. Ora stiamo fornendo i mezzi per cucinare il cibo, che dev’essere cotto. Non possono cucinare e non hanno acqua. Se questa operazione è intenzionale? Sì».
Lei ha detto che la Gaza Humanitarian Foundation è una trappola mortale.
«Per quanto riguarda i siti di distribuzione, sono stati deliberatamente costruiti in aree di combattimento attive. I civili hanno bisogno di cibo, ma per ottenerlo devono attraversare una zona di guerra attiva e tornare indietro. La Ghf li mette di fronte alla morte».
Il primo ministro Netanyahu ha detto che intende occupare Gaza. «A volte, dopo la guerra, si assiste all’occupazione. Quando si entra in una mentalità di occupazione, proteggere la popolazione civile, salvaguardare la popolazione civile, identificare i combattenti dai non combattenti diventa ancora più importante.
Un’occupazione delle Forze di Difesa Israeliane di un Paese in cui tutti muoiono di fame, con Hamas ancora lì, è un rischio. Se lo faranno senza un piano per salvaguardare e proteggere i civili, peggioreranno la situazione».
Nel dicembre 2023, il generale israeliano Ilyand Giora, consulente del ministero della Difesa, ha effettivamente scritto il piano di cui parla. Ha parlato dell’uso della carestia, della fame, delle malattie e delle infezioni come arma. L’America è complice di ciò che sta accadendo oggi a Gaza, dal momento che fornisce le armi?
«Gli Stati Uniti sono complici di crimini di guerra. Con la maggior parte della popolazione di Gaza isolata a Nord, perché mettere siti di distribuzione in un luogo in cui non ci sono esseri umani, a meno che l’intento non sia di spostare quegli esseri umani dove c’è il cibo?
La Gaza Humanitarian Foundation è coinvolta a pieno. Siamo complici e non stiamo facendo nulla per cambiare. Se gli Stati Uniti permettono a Israele di continuare su questa strada, lo isoleranno dal resto del mondo, e questo non è un bene per Israele. Questo non è un bene per gli Stati Uniti. Questo non è un bene per il mondo. Questa retorica secondo cui uccideremo tutti, significa isolare Israele nel mondo.
Non è nelle migliori intenzioni di Israele. Lo dico perché, primo, sono a favore dell’umanità. Sono a favore della dignità umana. Penso che dovremmo rispettare la vita. È un valore americano. Secondo, gli Stati Uniti, forti alleati e potenza mondiale, dovrebbero alzarsi in piedi e dare l’esempio dicendo che non ci sarà tolleranza. Terzo, aiuta il nostro alleato».
Israele ha bombardato tutti gli ospedali e il centro di desalinizzazione dell’acqua. Gaza è di fatto una terra desolata. Eppure, gli europei, che sono i maggiori partner commerciali di Israele, inviano armi. Il 30% delle armi che Israele riceve proviene anche da Paesi europei.
«Per i nostri alleati europei, così come al mondo, il mio messaggio è che, nonostante tutto, il comportamento e il trattamento a Gaza non è casuale. È intenzionale, la fame, la disumanizzazione dei palestinesi, la distruzione. Questo non è un incidente. Non è uno sfortunato sottoprodotto della guerra. E il mondo può intervenire e opporsi a tutto ciò».
Lei parla di responsabilità, ma l’altro aspetto della responsabilità è la totale impunità. La sensazione è che Israele si senta totalmente al di sopra della legge. È necessario mettere in atto un meccanismo per convincere Israele a obbedire e rispettare il diritto internazionale. Ha mai avuto queste discussioni con i partner israeliani sul campo?
«No. In questa situazione, gli alleati europei e gli Stati Uniti hanno imparato molto negli ultimi due decenni e mezzo in Iraq e Afghanistan, Siria e nelle Filippine meridionali. Abbiamo imparato cosa non fare. Questa è una grande opportunità per lavorare con il nostro partner Israele. Ci devono essere delle condizioni. Ho paura che non succederà e che il tutto continuerà fino al punto in cui Hamas non sarà sconfitto militarmente. Solo allora, in paesi molto piccoli con forze ribelli ridotte, un’azione militare funzionerà. La continua azione militare per far entrare Hamas a Gaza non porterà a nessun risultato.
Nei prossimi giorni il mondo avrà un’idea ravvicinata della verità di ciò che sta realmente accadendo a Gaza. Proprio come quando gli alleati scoprirono per la prima volta i campi di concentramento in Germania, nessuno sapeva della loro esistenza né della soluzione finale. E quando abbiamo visto per la prima volta il campo di concentramento, non riuscivamo nemmeno a capire cosa fossero. Era così inquietante che persino il generale MacArthur disse: “Voglio che tutto questo sia documentato”. Ci sarà quel momento nei prossimi giorni in cui il mondo vedrà per la prima volta cosa sta succedendo, e finirà in una terra desolata e devastata».
Questo è uno dei motivi per cui a molti giornalisti internazionali è stato impedito di entrare a Gaza, e i giornalisti palestinesi hanno fatto del loro meglio per documentare i crimini?
«Sì, l’intento è di tenerlo nascosto al mondo finché non arriverà al punto in cui il suo obiettivo è già raggiunto. Ma temo che ciò non accadrà così rapidamente come Israele potrebbe pensare. Sconfiggere Hamas non è un’impresa facile. Hamas non è ancora stato sconfitto. Più distruzione porti, più persone porti ad Hamas, più devi uccidere ad Hamas».
(da agenzie)

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PEDAGGIO A NOVE EURO, NODO ESPROPRI E RICORSI: TUTTE LE GRANE DEL PONTE SULLO STRETTO

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

LE INCOGNITE NEL DOSSIER: 1,6 MILIARDI SOLO DI MANUTENZIONE. LE PENALI DA 400 MILIONI

Basteranno nove euro per attraversare il Ponte sullo Stretto in macchina. Andata e ritorno, al netto dell’inflazione che potrebbe aumentare i costi. Ecco la grande promessa che nei piani del governo si materializzerà a partire dal 2033: uno sconto di circa l’80% rispetto alle tariffe attuali. Ma se il confronto è con i collegamenti europei, il quadro si fa meno virtuoso. Per andare su e giù dalla Calabria alla Sicilia bisognerà pagare 2,6 euro a chilometro, oltre un euro in più rispetto agli 1,4 che servono per passare dentro l’Eurotunnel che collega la Francia al Regno Unito.
I costi per i cittadini comunque caleranno rispetto a quelli attuali. Cresceranno, invece, i volumi di traffico. Almeno così dicono le stime. Dovranno aumentare sensibilmente per permettere al Ponte di ripagarsi. Per farlo ci vorranno 30 anni: i ricavi colmeranno il costo dell’opera solo nel 2062. Tanto più che la manutenzione straordinaria avrà un costo molto alto: 1,6 miliardi tra il 2034 e il 2060.
La scommessa del Ponte si muove tra certezze e nodi ancora da sciogliere. Emergono tutti in un documento del Dipartimento per la programmazione economica di Palazzo Chigi che Repubblica ha potuto visionare. Diciassette pagine che hanno fatto da guida alla delibera del Cipess approvata ieri
Il bollino della Corte dei conti
La registrazione della delibera da parte dei magistrati contabili è il timbro all’operato del governo. Senza sarà impossibile andare avanti. Il provvedimento sarà esaminato da due sezioni di controllo: in caso di disaccordo, il fascicolo passerà alle Sezioni riunite. È un passaggio determinante per il Ponte perché la Corte dei conti potrebbe validare la delibera, che poi diventerebbe operativa con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Ma potrebbe anche fare rilievi o, nella peggiore delle ipotesi per l’esecutivo, bloccare il provvedimento.
Le questioni ambientali
Al Ponte manca ancora il progetto esecutivo. Sarà pronto e approvato entro 470 giorni dall’entrata in vigore della delibera del Cipess. Dovrà anche dare risposte ai 62 rilievi della commissione del ministero dell’Ambiente per la verifica dell’impatto ambientale. Lo scorso novembre, infatti, il parere della commissione è stato vincolato a una lunga lista di prescrizioni. La maggior parte degli adempimenti è ancora da realizzare. Riguardano il clima e la qualità dell’aria, ma anche rumore e vibrazioni, oltre alla tutela dell’ambiente marino. […]
Gli espropri
In attesa del progetto esecutivo, la delibera del Cipess fa scattare subito il cosiddetto programma anticipato delle opere. Potranno, quindi, partire gli espropri e l’acquisizione di aree e fabbricati, oltre alle indagini archeologiche e alle opere di compensazione ambientale. L’incognita è legata ai ricorsi sugli espropri.
Le penali
La delibera del Cipess riattiva il contratto tra la società Stretto di Messina e il consorzio Eurolink, di cui Webuild è capofila. L’aggiornamento dell’accordo introduce una novità importante: la decadenza dei contenziosi. In caso di blocco dei lavori scatteranno le penali a carico dello Stato. Negli scorsi giorni era circolata una stima: 1,5 miliardi. Ma la società Stretto di Messina spiega che l’entità è «dimezzata» e che il calcolo deve partire dal
valore del contratto (10 miliardi) e non da quello dell’opera (13,5 miliardi). Il valore della penale dovrebbe ammontare a circa 400 milioni.
(da “la Repubblica”)

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PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA, DAL PROGETTO MANCANTE ALLA CORTE DEI CONTI: TUTTE LE INCOGNITE

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

I PROBLEMI TECNICI ANCORA DA RISOLVERE E L’ITER AUTORIZZATIVO NON ANCORA INIZIATO… CON UN GIUDIZIO FINALE CHE PENDE E I RISCHI DI BLOCCO PER LA DELIBERA DEL CIPESS

Nove euro per attraversare il Ponte sullo Stretto di Messina a partire dal 2033. La promessa del ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini si ripagherà in 30 anni. Nel senso che i ricavi colmeranno il costo soltanto nel 2062. E questo non è l’unico dubbio economico sulla grande opera: dopo la presentazione gli esperti puntano il dito sui problemi tecnici della costruzione e sull’iter autorizzativo. Sul quale pende ancora un giudizio. Quello della Corte dei Conti. Che potrebbe validare la delibera, che poi diventerebbe operativa con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Ma potrebbe anche fare rilievi o, nella peggiore delle ipotesi per l’esecutivo, bloccare il provvedimento.
Il progetto esecutivo che manca
La Repubblica oggi parla del documento del Dipartimento per la programmazione economica della presidenza del Consiglio. Dal quale emerge un dato: la manutenzione straordinaria dell’opera avrà un costo molto alto. 1,6 miliardi tra il 2034 e il 2060. La delibera del Cipess dovrà andare davanti alle due sezioni di controllo dei magistrati contabili. In caso di disaccordo passerà alle sezioni unite. La Corte dei Conti potrebbe quindi avere l’ultima parola sul progetto. Uno degli argomenti è che ancora manca il progetto esecutivo. Sarà pronto entro 470 giorni e dovrà rispondere ai 62 rilievi della commissione sull’impatto ambientale. Poi ci sono gli espropri e le indagini archeologiche. Con il rischio penali. E quello di altri giudizi negativi da parte di tribunali.
Le penali
Un altro argomento in discussione solo le penali. La delibera del Cipess riattiva il contratto tra la società Stretto di Messina e il consorzio Eurolink, di cui Webuild è capofila. Con la decadenza dei contenziosi precedenti. Ma in caso di blocco dei lavori scatteranno le penali a carico dello Stato. Ovvero 1,5 miliardi secondo alcune stime. La società Stretto di Messina spiega che il calcolo deve partire dal valore del contratto (10 miliardi) e non da quello dell’opera (13,5 miliardi). Il valore della penale dovrebbe quindi ammontare a circa 400 milioni. Sul Fatto Quotidiano invece Carlo Di Foggia intervista Emanuele Codacci Pisanelli. Il quale ha lavorato al progetto a fine anni Ottanta. E oggi boccia quello che è uscito fuori dal Cipess.
Il Cipess
Il cui vaglio, spiega, «è amministrativo, non tecnico, e riguarda la parte economica». I problemi tecnici rimangono: «Innanzitutto il progetto che presentano non è aggiornato come dicono, è lo stesso identico del 2011, con integrata la relazione del progettista in cui si impegnano a fare modifiche nella fase successiva, cioè nel progetto esecutivo. Alcune sono chiare, altre assolutamente irrazionali come quando dicono di voler usare un nuovo tipo di acciaio per cavi e pendini che avrebbe una resistenza del 20% superiore, visto che il progetto del ponte è vecchissimo». Un altro problema, secondo l’esperto, è «la pavimentazione. Il progetto del 2011 non la definisce perché prevede di fare delle prove per stabilire quella migliore. Può essere sottile, 10-15 millimetri, come il secondo ponte sul Bosforo, o anche più tradizionale, 4 cm, come il vecchio progetto di Messina».
Il comportamento aerodinamico e aerolastico
L’esperto dice che le verifiche sismiche dipendono anche dalla pavimentazione. Ci sono anche problemi sul comportamento aerodinamico, che «dipende dalle masse dell’impalcato». E da quello aerolastico: «Il progetto preliminare, studiato dall’ingegner Brown, prevedeva che gli impalcati avessero una pendenza trasversale verso l’interno, con una forma a cucchiaio. Si andava con le corsie invertite: chi andava in Sicilia a sinistra, chi verso il continente sulla destra. Questa soluzione è stata eliminata invertendo le direzioni, quindi il cucchiaio è rovesciato». Ora, spiega Codacci Pisanelli, «questo ha comportato vari problemi, come il traffico dei camion che è spostato verso l’esterno, il che porta a sollecitazioni dinamiche dei pendini estremamente elevate su cui non è stato fatto nessun
calcolo. Cambia anche tutta l’azione del vento, è tutta un’altra cosa rispetto al progetto di calcolo del 1992. Il progetto attuale non è mai stato testato, non si sa come si comporta».
Le 68 raccomandazioni
L’ingegnere se la prende anche con le 68 raccomandazioni del Comitato tecnico-scientifico. Alle quali, sostiene, ci vogliono anni per adeguarsi. Ma è complicato anche il punto delle fasi esecutive, che permette di costruire anche senza il progetto intero approvato: «È un’assurdità: che succede se il progetto non viene approvato? Rimani con le gallerie aperte? Forse non è chiaro: ad oggi non si sa se quel ponte, il più lungo sospeso del mondo, si può fare come da progetto». Secondo Codacci Pisanelli bisognerebbe «ricominciare da capo, coinvolgendo tecnici esterni. Questa corsa è inutile». Infine, «va notato che Eurolink è in causa con lo Stato a cui ha chiesto 700 milioni per lo stop del 2012 e non ha ancora rinunciato alla causa. In primo grado ha perso, ma se slittano ancora i tempi, si può arrivare in autunno-inverno all’esito dell’appello prima ancora che i contratti siano aggiornati e così potrà scegliere se continuare il contenzioso o firmare».
Costi e benefici
Infine, Matteo Pucciarelli su Repubblica intervista Graziano Delrio, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti dal 2015 al 2018, con i governi Renzi e Gentiloni. Delrio ricorda l’analisi dei costi e dei benefici di una decina di anni fa: «La commissione nazionale di esperti spiegò che andava rivisto il progetto del governo Berlusconi del 2005, e che andava preferita l’ipotesi a tre campate, meno impattante e più compatibile con le
opere del trasporto pubblico locale. Oggi non posso certo dire che sia un progetto trasparente: è mancato un vero dibattito pubblico con le popolazioni locali, e la ripresa in mano di quel vecchio progetto presenta forti criticità, anche sul piano della sicurezza dell’ambiente e dei costi finali».
Otto anni di lavoro
Sulla consegna nel 2033 Delrio dice che «ci sono ancora moltissimi passaggi da compiere. Non sappiamo, per esempio, che esiti avranno le prove di carico e sicurezza sui cavi, né come saranno gestite le oscillazioni. Magari apriranno prima alcuni cantieri collaterali. Un consiglio disinteressato, comunque: meglio non fare annunci». Infine, il rischio che l’apertura del cantiere venga fermata da un nuovo governo: «Non condivido la scelta della penale proprio per questa ragione. Con il governo Monti riuscimmo a liberarci da un ricatto, sciogliendo quella morsa. Ora punto e a capo».

(da agenzie)

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PANICO AL GOVERNO: BISOGNA SALVARE LE CHIAPPE A GIUSI BARTOLOZZI (CHE TANTI SEGRETI CUSTODISCE) – A PALAZZO CHIGI PENSANO DI ESTENDERE UNO SCUDO DI PROTEZIONE PER LA “ZARINA” E PROTEGGERLA DALL’INCHIESTA SUL CASO ALMASRI DOPO CHE I PM L’HANNO DEFINITA “MENDACE” (AVREBBE MENTITO)

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

UNA SCAPPATOIA POTREBBE ESSERE LA LEGGE COSTITUZIONALE 219 DEL 1989, PER ESTENDERE IL DINIEGO DELL’AUTORIZZAZIONE PURE A CHI HA AGITO “IN CONCORSO” CON ESPONENTI DI GOVERNO, “ANCHE SE NON MINISTRO NÉ PARLAMENTARE”…IL TEMA È CONTROVERSO: SE I PM NON FOSSERO D’ACCORDO CON QUESTA LETTURA, SI POTREBBE SOLLEVARE UN CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE

Scudare la “zarina”, se si renderà necessario. Anche se non è né ministro né parlamentare, né ha un posto di sottogoverno. Giusi Bartolozzi è solo un capo di gabinetto, per quanto potente. Con la richiesta di processo per Nordio, Piantedosi e Mantovano che sarà affossata dal centrodestra sul finire di settembre, ai piani alti del governo si ragiona su come mettere al riparo dall’inchiesta anche lei, Bartolozzi, l’ex deputata azzurra oggi fedelissima capo-staff del ministro della Giustizia.
A oggi non è indagata, ma nella relazione spedita dal tribunale dei ministri a Montecitorio la sua condotta viene descritta come «mendace». Avrebbe mentito. Non solo: dalle carte dell’inchiesta si desume che abbia avuto un ruolo tutt’altro che marginale, nel pasticciaccio Almasri.
Nell’esecutivo il sospetto, o comunque il timore, che possa essere coinvolta nell’inchiesta c’è. Dunque si cercano scappatoie. Una, in particolare: fonti di governo raccontano che gli uffici legislativi sono al lavoro per capire se pure Bartolozzi possa essere scudata dal Parlamento, nel caso finisse sotto indagine. L’appiglio: un passaggio della legge costituzionale 219 del 1989, l’articolo 4.
Consentirebbe di estendere il diniego dell’autorizzazione pure a chi ha agito «in concorso» con esponenti di governo, «anche se non ministro né parlamentare». In soldoni, la tesi del centrodestra è che la procura di Roma non potrebbe indagare Bartolozzi senza chiedere l’autorizzazione alla Camera, se fosse
appunto accusata di avere agito in concorso con Nordio, per gli stessi reati. Ma il tema è controverso. Tanto che se i pm non fossero d’accordo con questa lettura, ambienti di governo arrivano a ipotizzare di sollevare un conflitto di attribuzione.
C’è però un’altra variabile: l’ipotesi che l’alta dirigente di via Arenula possa essere accusata di un altro reato, come la falsa testimonianza. Senza «concorso». Anche i tempi sono un fattore, in questa intricata partita politico-legale. Perché se Bartolozzi venisse indagata dopo il voto della Camera sui ministri, sarebbe impossibile accorpare il suo iter in Aula a quello che coinvolge i tre esponenti di governo. Salterebbe l’automatismo. E s’inasprirebbe lo scontro con la procura.
Di certo, su pressione di Nordio, ma col placet anche di Mantovano, la destra non ha intenzione di scaricare la capo di gabinetto del Guardasigilli, che tanti segreti custodisce.
Addirittura fonti di maggioranza ipotizzano per lei una candidatura a Montecitorio, alle Politiche del ‘27
Intanto si spulciano le carte arrivate alla Camera, soprattutto i verbali degli 007: per FdI si è recato nella stanza che custodisce le 1.300 pagine di allegati, sotto stretta sorveglianza dei funzionari del Parlamento, il deputato Dario Iaia.
In parallelo, ecco lo sprint sulla separazione delle carriere: dopo una riunione di maggioranza martedì sera, ieri l’ufficio di presidenza della commissione Affari costituzionali di Montecitorio ha discusso di un’accelerazione. Obiettivo: portare a dama le due letture mancanti in Parlamento entro dicembre. Per accorpare il referendum alle amministrative del ‘26.

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LA GAFFE SULL’INGLESE DEL MINISTRO URSO ALLA CAMERA, COSI’ UNA FABBRICA DIVENTA “UNA FATTORIA”

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

A MONTECITORIO SI PARLA DI UNA DELLE INFRASTRUTTURE TECNOLOGICHE PIU’ AVANZATE IN ITALIA, LO SCIVOLONE DEL MINISTRO

Per due secondi il ministro del Made In Italy, Adolfo Urso, si è fermato mentre leggeva il suo discorso. Qualcosa non gli tornava, ma a un certo punto doveva andare avanti e così si è lanciato. Il ministro però è scivolato in un errore di traduzione dall’inglese, che è finito dritto sui social. Durante il question time alla Camera, Urso illustrava le potenzialità tecnologiche dell’Italia nel settore delle giga-factory europee. Ed è stato a quel punto che qualcuno nel suo staff non deve essersi accorto dell’errore infilato sul suo foglio.
La gaffe sull’AI di Urso
Urso stava sottolineando i primati tecnologici del nostro Paese: «L’Italia è l’unico Paese europeo a ospitare tre tra i più potenti supercomputer al mondo». Faceva riferimento al supercomputer di Leonardo a Bologna, vantando l’emergente eccellenza italiana nel settore dell’intelligenza artificiale. Ma nel momento in cui ha citato le «AI-factories», il ministro le ha tradotte erroneamente come «fattorie», confondendo il termine tecnico inglese che indica fabbriche e in questo caso le strutture dedicate all’intelligenza artificiale con il suono che suggeriva la parola in italiano. Così una delle infrastrutture più avanzate dal punto di vista tecnologico è diventata un’azienda agricola.
(da agenzie)

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IL POTERE GLI HA DATO ALLA TESTA: QUEL BURINO RIPULITO DEL VICEPRESIDENTE AMERICANO JD VANCE HA FATTO MODIFICARE IL DEFLUSSO DI UN LAGO PER ANDARE IN KAYAK CON LA FAMIGLIA

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

NEL GIORNO DEL SUO COMPLEANNO, LO SCORSO 2 AGOSTO, JD VANCE HA PERCORSO IL FIUME LITTLE MIAMI, IN OHIO: IL SUO TEAM HA CHIESTO AGLI INGEGNERI DELL’ESERCITO DI MODIFICARE IL FLUSSO DELL’ACQUA AFFINCHE’ LE CONDIZIONI DI NAVIGAZIONE FOSSERO IDEALI PER LUI E PER LA SUA FAMIGLIA

Il team del vicepresidente americano JD Vance ha chiesto agli ingegneri dell’Army Corps di modificare il deflusso del Caesar Creek, un lago dell’Ohio. Aumentando i livelli dell’acqua del fiume Little Miami per fare in modo che ci fossero tutte le condizioni ideali per praticare il kayak. A scriverlo è The Guardian, ricordando che il 2 agosto, giorno in cui festeggiava il suo 41esimo anno di età, Vance, in vacanza con la famiglia nel sud-ovest dell’Ohio, è stato avvistato dalla gente del posto mentre scendeva in canoa lungo il fiume Little Miami.
La richiesta di modificare il deflusso
Ufficialmente la richiesta di modificare il deflusso del lago fatta agli esperti aveva lo scopo di garantire una navigazione sicura senza alcun rischio per Vance. Ma una fonte anonima ha riferito al quotidiano britannico che si volevano soprattutto creare le condizioni ideali sull’acqua affinché il vicepresidente americano potesse godersi una pagaiata lungo il fiume senza troppi problemi.
La notizia ha sollevato non pochi interrogativi sul fatto che l’ufficio di Vance stesse potenzialmente sfruttando le risorse delle infrastrutture pubbliche solo per il suo svago personale. In
un momento in cui l’amministrazione Trump ha tagliato miliardi di dollari in aiuti esteri, ricerca scientifica e posti di lavoro governativi come parte della sua spinta all’efficienza. A una richiesta di commento avanzata dal quotidiano l’ufficio del vicepresidente non ha fornito alcuna risposta.
(da agenzie)

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I CASI ALMASRI E CPR: PIU’ CHE GOVERNARE VOGLIONO COMANDARE

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

MODELLO ORBAN: FAR TACERE LA MAGISTRATURA

Piccolo recap della soap opera “Terra amara”, ovvero la tragicomica vicenda delle deportazioni di migranti in Albania. Il 6 novembre 2023 Giorgia Meloni e il collega Edi Rama firmano il protocollo per inviare in Albania – in due centri a giurisdizione italiana, nelle città di Gjader e Shengjin – i migranti soccorsi nel nostro territorio: lì – lontano dagli occhi lontano dal cuore – saranno effettuate le procedure di frontiera e rimpatrio. L’intesa (altrimenti detta “in ginocchio da te” per il galante benvenuto riservato alla regina Giorgia dal cavalier Rama) è ratificata con una legge a fine febbraio 2024. I ministri brindano e danno i numeri: è l’ora della liberazione, tremila deportati al mese! S’immaginano di trasportare i migranti su e giù per l’Adriatico, cosa che non avverrà a botte di tremila per volta perché quando un giudice rileverà l’illegittimità del trattenimento di ogni migrante questo dovrà essere liberato e, parola del premier
albanese, rispedito in Italia: è un diritto soggettivo, in capo a ogni singolo. Le opposizioni fanno presente che molti profili giuridici rispetto all’attuazione sono dubbi, scoppia pure una polemica sugli esorbitanti costi del personale da destinare ai centri e salta fuori la cifra di 9 milioni l’anno. Ma dal palco di Atreju, con cipiglio arcigno, la presidente del Consiglio tuona: “I centri in Albania fun-zio-ne-ran-no!”. ¡No pasarán! Intanto ci si mettono i soliti giudici che, a raffica, non convalidano i provvedimenti di trattenimento per i pochi migranti deportati perché i Paesi in cui dovrebbero essere rimandati non possono dirsi “sicuri” sempre e comunque; premier e ministri s’infuriano contro i magistrati: caccia a toga rossa.
Il governo s’indigna e s’intigna, partorendo l’ennesima ideona: trasferire la competenza dei trattenimenti alle Corti d’appello. Non funziona nemmeno questo trucchetto: il 31 gennaio 2025 quella di Roma non convalida il trattenimento di 43 migranti a Gjader. E dunque, altra ideona, si pensa di impedire il trasferimento dei giudici dai Tribunali alle Corti d’appello. Però è complicato perché metter mano all’ordinamento giudiziario con un decreto nottetempo non è possibile, e allora – ennesimo decreto – si decide di trasformare i centri albanesi in Cpr, Centri di permanenza per i rimpatri. Tra l’altro, dicembre 2024, la Cassazione aveva stabilito che sì è il governo a decidere quali sono i Paesi sicuri ma i giudici possono disapplicare la valutazione. Principio riaffermato venerdì scorso pure dalla Corte di Giustizia Ue, sollecitata per l’interpretazione dal Tribunale di Roma, che con una sentenza ha ribadito l’ovvio: un Paese dell’Unione può designare Paesi d’origine come sicuri con
un atto legislativo, a patto che la designazione possa essere oggetto di controllo giurisdizionale. Meloni e soci gridando per l’ennesima volta allo sconfinamento della magistratura; il vicepremier Salvini parla di sentenza “politica, scandalosa, vergognosa, imbarazzante”; il fratello d’Italia Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera, addirittura dice “eversiva”. Nei centri sono transitati 140 migranti, ne sono usciti 113, i rimpatriati sono stati 37, attualmente ce ne sono 27. L’anatema sillabato, fun-zio-ne-ran-no, non ha funzionato. Ora bisogna capire se il governo andrà avanti con altre forzature, a suon di decreti: non è un braccio di ferro, come scrivono alcuni giornali, è che non sopportano di avere argini, come si evince dalle reazioni per nulla istituzionali alla gravissima vicenda Almasri, dal tentativo di imbrigliare l’azione della magistratura (riforma della giustizia) e concentrare ancora di più i poteri in capo all’esecutivo (premierato). Non vogliono governare, vogliono semplicemente comandare
(ilfattoquotidiano.it)

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ALMASRI, IL CONFINE DELL’ARBITRIO

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

IL GOVERNO SCEGLIE LA STRADA DELLA MENZOGNA

Se lo si dovesse misurare per l’esito che produrrà, del caso Almasri non meriterebbe conto occuparsi oltre. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, il ministro di Giustizia Carlo Nordio e quello dell’Interno Matteo Piantedosi resteranno al loro posto, la giunta per le autorizzazioni a procedere e l’aula parlamentare respingeranno la richiesta formulata dal collegio per i reati ministeriali, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ci regalerà verosimilmente qualche
altra performance social in assenza di contraddittorio. Le salmerie dei partiti di maggioranza seguiranno, portando legna utile all’ordalia referendaria sulla separazione delle carriere dei magistrati. A pagare per intero il conto — forse — sarà la capa di gabinetto del ministero di Giustizia, Giusi Bartolozzi. Perché in ogni cortocircuito che si rispetti, c’è sempre un fusibile da sacrificare. A maggior ragione se, come nel suo caso, già così compresa nel ruolo di ventriloquo del ministro.
E tuttavia, questa storia ci consegna alcune incoercibili evidenze utili per un giudizio politico — e si sottolinea, politico — su una classe di governo la cui sconcertante inadeguatezza è pari solo alla sua arroganza. La relazione finale del collegio per i reati ministeriali ci offre infatti il fermo immagine di una gestione della sicurezza nazionale, dei rapporti di cooperazione giudiziaria internazionale, della lealtà istituzionale dovuta al Parlamento (e dunque al Paese) da Stato delle banane.
Posti di fronte a un dilemma complesso e ricorrente in ogni democrazia quale è quello che misura il rapporto e il confine tra la tutela della sicurezza nazionale e il rispetto delle leggi ordinarie e del diritto internazionale, Meloni, Mantovano, Piantedosi e Nordio si muovono infatti con la dabbenaggine, l’approssimazione e l’assenza di cultura istituzionale propria non solo di chi non ha nel proprio bagaglio strumenti adeguati a risolvere il dilemma. Ma, peggio, di chi, risolvendo l’azione di governo nell’atto del comando, ignora quale sia il confine oltre il quale il potere si trasforma in arbitrio.
Non potendo e non volendo spiegare al Paese — il che è comprensibile — che l’integrità dei nostri vitali interessi in Libia
(dalla sicurezza dei nostri cittadini che lì lavorano, a quella delle nostre aziende, a cominciare da Eni) e il controllo dei flussi migratori diretti verso l’Italia dipendono in buona misura dalla “Rada”, milizia trasformata in forza di polizia e formalmente alle dipendenze del ministro dell’Interno di Tripoli e dal torturatore che quella milizia guida (il generale Almasri), il governo aveva una strada maestra. Assumere su di sé la responsabilità di porre il segreto di Stato sull’indicibile. Lì dove l’indicibile era ed è, appunto, il potere di ricatto che le milizie libiche oggi esercitano sui nostri interessi vitali. Di comunicare dunque quella decisione con lealtà alla Corte penale internazionale, al Parlamento, e, ovviamente, di pagarne il prezzo politico. Va da sé che di strada ne esisteva anche una seconda. Ottemperare agli obblighi cui l’Italia è tenuta con la Corte penale internazionale, consegnare il torturatore Almasri al suo giudizio, e risolvere in separata sede e lontana dai riflettori i conti con i malumori di Tripoli. Ne avrebbe giovato la nostra immagine e forza di Stato sovrano (parola inflazionata dalla destra ma mai utilizzata a proposito). Ma, a quanto pare, l’idea non è mai neppure balenata a Palazzo Chigi.
Come ormai sappiamo, le cose sono andate altrimenti. Il governo sceglie la strada della dissimulazione e della menzogna. L’unica non contemplata dalla Costituzione. E per farlo affida la pratica al ministro Nordio che, disonorando la toga di magistrato indossata per molti anni, arringa il Parlamento con una impettita oratoria che dovrebbe suonare come la lectio magistralis di un fine giurista indignato per come la Corte penale internazionale maneggia le norme penali e il sacro principio dell’habeas corpus
Ma che è soltanto il soliloquio da improvvisato avvocato d’ufficio di un torturatore, come il collegio per i reati ministeriali avrà modo di segnalare nella sua relazione richiamando con puntuale severità e rigore i principi generali del diritto internazionale, la dottrina, la giurisprudenza. Lo zelo di Nordio è tale che forse qualcuno potrebbe consigliargli misura, non fosse altro perché a tenergli bordone è un ministro dell’Interno che, mai come in questa occasione, mostra cosa significhi essere e definirsi “un questurino”.
Ma, appunto, nessuno frena Nordio. Non Mantovano, pure magistrato come lui. Non l’avvocatessa e parlamentare Giulia Bongiorno. Neppure quando sceglie scientemente di dissimulare, tacere e manipolare la sequenza di fatti e circostanze che hanno portato alla scarcerazione di Almasri e al suo rimpatrio in Libia. Per il quale sarà poi Piantedosi a fornire una giustificazione da film di Totò. Era un uomo così pericoloso per la nostra sicurezza nazionale — dice — che abbiamo deciso di non tenerlo in galera in Italia, di non mandarlo in galera in Olanda, ma di farlo ritornare libero in Libia con un aereo di Stato per riconsegnarlo alla sua milizia di torturatori.
Di questa drammatica farsa la presidente del Consiglio, non più tardi di tre giorni fa, si è assunta la piena responsabilità politica. Incapace infatti di distinguere tra il suo ruolo di presidente del Consiglio e quello di capopartito, tra un’idea tribale e partigiana della politica e quella propria di un capo di governo, ha ceduto ancora una volta al richiamo della foresta. Convinta, probabilmente, che non ne dovrà pagare il conto. Che anche Almasri scivolerà lentamente nei titoli di coda agostani e tra due
mesi nessuno ricorderà più. Forse qualcuno farebbe bene ad avvertirla che la sicurezza nazionale è materia molto delicata e molto scivolosa. Dove non si recita a braccio e, soprattutto, dove i nodi, prima o poi, vengono al pettine. E a quel punto un selfie potrebbe non bastare più.
(da repubblica.it)

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ORA IL GOVERNO VUOLE SCUDARE LA “ZARINA” DI NORDIO

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

SI STUDIA UN “SALVACONDOTTO” PER EVITARE CHE LA BARTOLOZZI FINISCA INDAGATA E PARLI… IPOTESI PERSINO DI FARLA ELEGGERE IN PARLAMENTO, SIAMO ALLA FARSA

La strategia del governo è quella di salvare i ministri per cui è stata chiesta l’autorizzazione a procedere che, visti i numeri in parlamento, sarà negata. Si sta ponendo, anche se non vi è alcuna
accusa né tanto meno iscrizioni nel registro degli indagati, pure la questione Giusi Bartolozzi, la potente capo di gabinetto del ministro della Giustizia. Non è indagata, ma nella richiesta per gli altri, la sua testimonianza (è stata sentita come persona informata sui fatti) è stata ritenuta dai giudici “inattendibile e mendace”.
Bartolozzi – è il ragionamento di alcuni – rispetto ai ministri, in teoria non godrebbe di forme di immunità essendo una libera cittadina ma ieri ai vertici del governo si faceva strada l’ipotesi di uno “scudo” anche per lei.
L’appiglio giuridico è il comma 2 dell’articolo 4 della legge del 1989 che disciplina i reati ministeriali in cui, per i reati in concorso, potrebbe servire l’autorizzazione del Parlamento anche per un “non parlamentare”. Un tema che il centrodestra se servirà farà emergere in giunta per le autorizzazioni, anche a costo di sollevare conflitto di attribuzioni alla Consulta.
Tra l’altro, non sarebbe una decisione facile da spiegare in termini di consenso perché costituirebbe una sorta di salvacondotto per una figura non ministeriale. Sarebbe, quindi, difficilmente sostenibile la tesi di Meloni di aver condiviso la decisione di rimpatriare Almasri insieme ai suoi ministri. Una cosa però è certa: al ministero della Giustizia si stanno studiando i precedenti. E, tra le ipotesi sul tavolo, c’è anche quella di darle un seggio con Fratelli d’Italia nel 2027. Un piano “B” che servirebbe solo nel caso in cui, alla fine, la posizione di Bartolozzi si dovesse fare insostenibile.
Nella maggioranza c’è imbarazzo per la posizione della capo di gabinetto. In molti, a destra, la mal sopportano per i suoi modi da
“zarina”, a partire da Forza Italia, partito da cui uscì in polemica nel 2021. “Se il ministro rileva un problema nel suo ufficio deve prendere una decisione”, dice a Omnibus il forzista Giorgio Mulè.
La giunta per le autorizzazioni intanto ieri si è riunita per la prima volta. Avrà 30 giorni per decidere e altri 30 per l’aula. Meloni non andrà in aula per rispondere, come chiede l’opposizione.
(da Il Fatto Quotidiano)

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