Agosto 9th, 2025 Riccardo Fucile
IL FIGLIO D’ARTE DEL GRANDE RAOUL DENUNCIA LA SITUAZIONE
Il turismo in Italia è cambiato, e una delle sue note più amare è proprio il caro prezzi
che sembra non avere mai fine. Tra le località più colpite c’è la Riviera romagnola, meta estiva per molti italiani. A confermarlo al Corriere della Sera è anche Mirko Casadei, figlio d’arte del grande Raoul, che non nasconde la frustrazione: «Quando per due gamberi fritti spendi 25 euro — per fortuna non ovunque — qualche domanda te la fai». Sono parole che suonano come un campanello d’allarme per una regione famosa per la vacanza spensierata e alla portata di tutti.
Il turismo nel post-Covid
Il periodo post-Covid ha portato il tutto esaurito. Ma oggi il turismo appare meno entusiasta, quasi dimesso. Casadei lo interpreta come un effetto del peso crescente delle spese familiari: si viaggia meno, si punta su weekend mordi e fuggi, si studiano i conti più di una volta. Anche perché il caro-Romagna non si limita al conto al ristorante: a pesare sul portafogli degli italiani ci sono anche i costi del carburante e degli hotel, i pedaggi autostradali, il traffico. Senza dimenticare l’inquietudine del tempo presente: «La vacanza è spensieratezza. Il contrario di quello che viviamo».
La difficoltà delle strutture ricettive
Anche le strutture ricettive fanno i conti con la crisi. «La piccola pensione da 20-30 camere con la zdaura che fa le tagliatelle non esiste più. Le nuove generazioni fanno fatica a reggere questo modello. Ma poi per aggiornarsi servono grandi investimenti e non tutti hanno la forza di sostenerli». Secondo Casadei, l’identità della Romagna deve tornare a fondarsi su ciò che la rende unica: festa e convivialità. «Siamo ancora identificati come la terra della festa e del divertimento. E da qui dovremmo ripartire. Negli ultimi anni abbiamo avuto un po’ la pancia piena, dimenticando come far fruttare questa cifra». Ha un sogno particolare: «Riaprire le spiagge di notte… un bagno notturno in una spiaggia illuminata. In Romagna devi essere libero di fare le ore piccole».
(da agenzie)
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Agosto 9th, 2025 Riccardo Fucile
“GIOVANI DETENUTI COLPITI CON SCHIAFFI E CALCI, REFERTI FALSIFICATI PER COPRIRE I PESTAGGI”
Salgono a 42 gli indagati nell’inchiesta della procura di Milano su pestaggi, torture e maltrattamenti nei confronti dei giovani detenuti del carcere minorile “Cesare Beccaria” di Milano. È quanto emerge dalla richiesta di incidente probatorio firmata dalla pm Rosaria Stagnaro e Cecilia Vassena, insieme all’aggiunta Letizia Mannella, notificata venerdì 8 agosto alle parti. Tra le persone indagate ci sono anche tre ex direttore dell’istituto milanese: Cosima Buccoliero e Maria Vittoria Menenti, che devono rispondere in particolare di non aver impedito «le condotte reiterate violenti e umilianti» commesse dagli agenti della polizia penitenziaria ai danni di «numerosi detenuti». Un altro ex direttore, Fabrizio Rinaldi, seppur non presente nella richiesta di incidente probatorio di ieri, è a sua volta coinvolto nell’indagine. Le accuse a vario titolo, vanno dalla tortura ai maltrattamenti aggravati, dalle lesioni al falso. Un solo indagato dovrà rispondere anche di violenza sessuale. L’anno scorso erano stati arrestati 13 agenti, mentre 8 erano stati sospesi. Le parti offese sono 33: si tratta di ex detenuti, di cui alcuni minorenni, che la procura vuole ascoltare con la formula dell’incidente probatorio, così da cristallizzare le loro testimonianze in vista di un eventuale processo.
Le violenze fisiche e psicologiche dal 2022 e al 2024
Gli episodi contestati si sarebbero registrati dal 2022 al 2024 nei confronti dei giovani detenuti del Beccaria. Agli agenti vengono contestate «ripetute violenze psicologiche e fisiche e umiliazioni», determinando nei ragazzini «uno stato di vessazione, disagio fisico e psicologico, alterazione emotiva e paura». Come scrivono le pm, li «insultavano e minacciavano»,
colpendoli «ripetutamente con schiaffi, calci e pugni». Tra gli episodi più violenti riportati nella richiesta di incidente probatorio, il pestaggio di un detenuto nel dicembre 2022. «Ti sparo, ti ammazzo», gli diceva un agente. Ma anche: «Mo’ ti strappo sto coso», mentre tentava di strappargli il piercing sulla guancia sinistra. Nell’aprile del 2021, quando un ragazzo ha tentato di suicidarsi in cella, è stato colpito «con schiaffi al volto e nel resto del corpo e con numerosi calci nella pancia», per poi essere portato nella cella di isolamento dove veniva minacciato: «Compare io ti mangio il cuore».
Tra gli indagati anche tre operatori sanitari
Tra gli indagati compaiono anche tre operatori sanitari: il coordinatore sanitario del carcere, il medico e il coordinatore infermieristico. Secondo l’accusa, avrebbero redatto «referti falsi o concordati con gli agenti della polizia penitenziaria» per occultare le lesioni riportate dai detenuti, e avrebbero assistito a «plurime aggressioni» senza mai attivare alcun tipo di «segnalazione o intervento»
(da agenzie)
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Agosto 9th, 2025 Riccardo Fucile
STORIA, SOCIETA’, INDIVIDUALISMO. L’INFELICITA’ DI OGGI E’ UN MISTERO
Il mondo sarà anche infelice, ma ciascuno è infelice a modo suo. La media statistica di
un mistero è un progetto arduo. Si accavallano simultanei e pressanti nuovi tentativi di penetrare gli enigmi dell’esistenza contemporanea, del grande cafard nell’èra degli schermi, degli specchi narcisisti, della crisi mentale diffusa dei giovani adulti, particolarmente in occidente. Per Michele Serra (Repubblica) il rimpianto ha un timbro storico, è immerso nello spavento senza più rifugio in una comunità o in un mito o in una realtà politica o in antichi strumenti di lettura e analisi sostituiti dal casino dei social: così tutto si spiega con la scomparsa dell’America liberatrice, del comunismo collettivista, dell’Europa comunitaria sovranazionale, dell’Onu e del diritto internazionale, dei partiti che ti garantivano di essere il corpo collettivo del potere invece che un sottomesso alle oligarchie del denaro, della Rai e dei giornali con il loro primato di élite. David Brooks (New York Times) dice che si è dissociato il tasso di
soddisfazione economica da quello di sicurezza sociale e comunitaria, per non dire del lato spirituale, il famoso percepire un senso della vita, e la sua analisi non procede dalla storia ma dalle indagini demoscopiche Gallup, e altre, sulla infelicitazione media del nostro mondo, beninteso sociologicamente comparata con gli altri mondi.
Per John Burn-Murdoch (Financial Times) alle origini delle nevrosi ansiose del contemporaneo, dell’incapacità progressiva a vivere criticamente la vita, a esaminarla e a rendersene responsabili, c’è una perdita di coscienziosità, quel particolare attaccamento alla realtà e quell’abilità nel destreggiarvisi che sono il segreto di una personalità forte ormai in declino per le nuove generazioni. Storiche, sociologiche o psicologiche, sono le strutture della coscienza e il suo adeguamento a una realtà che trascenda la solitudine dell’io quel che manca. Storia società personalità individuale. Bene. Le analisi che si affollano sono benintenzionate e spesso bene argomentate. Per Serra, se la cavano meglio i credenti e i fanatici, che hanno dalla loro rispettivamente la fede e il pregiudizio. Ma gli anni del secondo Dopoguerra e della Guerra fredda pullulavano di credenti e di fanatici, in fondo si potrebbe dire che la patologia delle generazioni relativamente felici d’antan era la mancanza della solitudine o dell’isolamento di fronte all’eterno grande spavento che è la vita del mondo nei secoli, e se si deve scegliere tra la coscienza intruppata dei molti “noi” collettivi del Novecento e la coscienza liberata dell’unico “io” che vive male, soffrendo, tra falsa indifferenza e falso impegno, il problema della scelta, della decisione personale, del giudizio, bè, è un bel tiro di dadi
dichiararsi per il meglio.
La vera cosa insopportabile, il sacrificio dei civili e dei bambini nelle guerre, lo scandalo dell’innocenza violata che vediamo e non vediamo (la guerra come violazione del diritto, l’aborto come diritto libero, e una seriale successione di fotografie possibili, vere false e verosimili dal ventre di Gaza al ventre di miliardi di madri), è anch’essa parte dell’universo politico di un mondo il cui stato mentale oggi è rimpianto. Lo slogan delle manifestazioni per il Vietnam era, precisamente come oggi nella torsione ideologica contro Netanyahu e l’Idf: “Hey, hey, LBJ (Lyndon Baines Johnson), how many kids have you killed today?”.
(da ilfoglio.it)
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Agosto 9th, 2025 Riccardo Fucile
“NON PORTERA’ A NULLA”
Le parole di Zelensky arrivano alla vigilia di un incontro
previsto per il 15 agosto in Alaska tra il presidente statunitense Donald Trump e quello russo Vladimir Putin, senza la partecipazione del capo di Stato ucraino
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ribadisce con fermezza che Kiev non accetterà alcuna cessione territoriale alla Russia e avverte che qualsiasi accordo di pace che escluda l’Ucraina è destinato a fallire. «Gli ucraini difendono ciò che è loro. Anche quelli che stanno con la Russia sanno che sta facendo del male. Ovviamente, non daremo alla Russia nessuna ricompensa per quello che ha fatto. Il popolo ucraino merita la pace. Ma tutti i partner devono capire cosa sia una pace dignitosa. Questa guerra deve finire, e la Russia deve porvi fine. La Russia l’ha iniziata e la sta trascinando, senza rispettare alcuna scadenza, e questo è il problema, non altro», scrive Zelensky su Telegram. Le parole di Zelensky arrivano alla vigilia di un incontro previsto per il 15 agosto in Alaska tra il presidente statunitense Donald Trump e quello russo Vladimir Putin, senza la partecipazione del capo di Stato ucraino. Secondo indiscrezioni del Wall Street Journal, Putin avrebbe presentato a Washington una proposta di cessate il fuoco che includerebbe «importanti concessioni territoriali» da parte di Kiev e il riconoscimento internazionale delle rivendicazioni russe.
La replica di Zelensky al piano di Putin
Il presidente ucraino sottolinea che «la risposta alla questione territoriale ucraina è già nella Costituzione dell’Ucraina. Nessuno si discosterà da questo e nessuno potrà farlo. Gli ucraini non regaleranno la loro terra all’occupante». E aggiunge: «L’Ucraina è pronta a prendere decisioni concrete che possano
portare alla pace. Qualsiasi decisione contro di noi, qualsiasi decisione che escluda l’Ucraina, è allo stesso tempo una decisione contro la pace e non porterà a nulla. Sono decisioni morte, non funzioneranno mai. E noi tutti abbiamo bisogno di una pace reale, viva, che le persone rispettino. Siamo pronti a lavorare insieme al presidente Trump e a tutti i nostri partner per una pace reale e, soprattutto, duratura, una pace che non crollerà a causa dei desideri di Mosca».
L’ipotesi di uno scambio di territori
Ieri sera, Trump ha lasciato intendere che uno scambio di territori potrebbe far parte dell’intesa: «Ci stiamo pensando, ma in realtà stiamo cercando di recuperare qualcosa e di scambiare qualcosa. È complicato. Ma ne riavremo un po’. Ne scambieremo alcuni. Ci saranno alcuni scambi di territori per il miglioramento di entrambi», ha dichiarato. Zelensky ha concluso il suo messaggio ringraziando «tutti i nostri cittadini per essere uniti» e «tutti i nostri soldati per aver preservato la nostra indipendenza». «Restate saldi. Questa è la nostra terra, noi siamo l’Ucraina. Gloria all’Ucraina!».
(da agenzie)
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Agosto 9th, 2025 Riccardo Fucile
L’OBIETTIVO DI ISRAELE A GAZA E’ LA SCOMPARSA DELL’ALTRO
Ogni sera in un edifico senza finestre di Tan Son Nhut, noto come Macv (Military
Assistence Command Vietnam), ufficiali superiori sedevano ad un lungo tavolo lucido di fronte a un leggio affiancato dalla bandiera degli Stati Uniti e da due carte che coprivano tutta la parete. Ascoltavano la relazione di un maggiore che ripeteva ciò che i loro predecessori avevano già sentito innumerevoli volte: che i punti azzurri sulla mappa in
plastica a rilievo del Vietnam del Sud, ovvero le aeree controllate dagli americani e dagli alleati, erano sempre più “prevalenti”, e che i tratti in rosa, ovvero le aree controllate delle forze comuniste, si stavano ritirando verso le zone previste per essere eliminate “definitivamente”.
Gli ufficiali addestrati per tener d’occhio e informare “correttamente” i giornalisti lo ripetevano mostrando repliche di quella carta. Era il loro compito. In fondo, la propaganda in guerra cosa è, se non l’applicazione del detto “se avessimo fiducia in quello che diciamo pari a un granello di senape riusciremo a spostare le montagne”? Ma alcuni di loro davvero esibivano una fede quasi evangelica nella santità della crociata americana e in quello che la carta sembrava provare oltre ogni dubbio. I vietcong esistevano ancora, inutile negarlo, ma quelle aree sempre più grandi erano pacificate: “La gente adesso sa che “Charlie” è il loro nemico, ecco abbiamo lasciato i vietcong a secco…’’. La solita, dura, guerra, eserciti che vincono, altri che perdono, vittorie che non risolvono nulla, sconfitte che induriscono alla resistenza.
Adesso che Netanyahu ha imboccato la strada di quello che potrebbe diventare il suo Vietnam vale la pena di ricapitolare la grande strategia con cui il generale William Westmoreland ogni sera cullava di rassicuranti certezze i sonni inquieti del presidente Usa Lyndon Johnson che aspettava la vittoria… È questione di settimane, forse di giorni, presidente… I vietcong son tutti morti… Erano le cosiddette “zone di fuoco libero’’.
Le guerre (solo le guerre?) non insegnano mai nulla e su quelle genialità tattiche di contro guerriglia è calato un meritato
silenzio. Chi perde ha sempre torto. Eppure, è quanto più di mezzo secolo dopo Netanyahu e i suoi generali si apprestano a scatenare come ultima carta per agguantare la sfuggente vittoria nella Striscia di Gaza: portare via gli abitanti dalle rovine , riunirli in “villaggi protetti”. Come avrebbe detto il presidente Mao, “toglier l’acqua al pesce”. Che sarebbe Hamas. Stanare, sopra e sotto terra, e uccidere i cattivi che non potrebbero più mescolarsi e sfruttare la popolazione, sarebbe più agevole. Semplice no?
In fondo, in guerra non ci sono innocenti, solo collaborazionisti, simpatizzanti, potenziali terroristi, testimoni e intralci umani che impicciano le belle geometrie dei generali. Anche il generale Rodolfo Graziani, implacabile “pacificatore” della Libia, aveva applicato lo stesso principio. Nella Sirte (Libia) ancora lo ricordano. Ci sono similitudini che allarmano, assai più dei dubbi, un po’ ipocriti, del comandante dell’esercito israeliano che fa fronda, mugugna educatamente, avverte sui rischi. Ma poi si adegua agli ordini. Ricorda il viscido Badoglio di fronte all’annuncio della campagna di Grecia.
Dunque. I vietnamiti che dovevano esser “salvati” venivano informati con un lancio di manifestini che ordinavano dove radunarsi per essere “messi i sicurezza”, parola, da sempre, genuinamente omicida. Tra il lancio degli avvisi e il fuoco delle prime salve d’artiglieria, che in gergo erano definiti “minuti folli”, passava un tempo che si aggirava da un massimo di sei ore a un minimo di un’ora.
Tra il 1964 e il 1966 due milioni di vietnamiti furono ridotti a sbandati senza casa da questa strategia. Anche i numeri, stranamente, coincidono. Venivano portati in villaggi difesi da trincee e trappole esplosive, cintati con il filo spinato. Dotati anche di modernissimi gabinetti chimici portatili gialli, con sciacquone funzionante a batteria. Le democrazie hanno questi lussi. Le istruzioni distribuite ai marines prevedevano poi di “vendere loro le libertà basiche come scritto a pagina 233 del Programma di pacificazione e di conquistare le menti e i cuori come indicato a pagina 86 del medesimo manuale’’.
Anche ai “trasferiti” di Gaza verranno distribuiti, come promettono Israele e Donald Trump, con più comodo, dopo averli “protetti” in zone cintate dal filo spinato anti Hamas, cibo, forse anche caramelle, palloncini per le feste e spazzolini da denti, come avvenne nel Vietnam del Sud. I miliziani di Hamas, come i guerriglieri viet, si nasconderanno nei tunnel e nelle gallerie, da cui usciranno per colpire i soldati e ricordare che sono sempre lì, imprendibili e letali. Non credo invece che Netanyahu sprecherà tempo e mezzi per conquistare le menti e i cuori. La tragedia di quanto succede in Palestina è che entrambi considerano il solco d’odio come ormai invalicabile e che l’unica soluzione è nella scomparsa dell’altro.
I nuovi sionisti non portano più nello zaino i vecchi testi di un socialismo agrario, del far fiorire i deserti, le parole d’ordine di emancipazione, redenzione e egualitarismo. Semmai bibbie e mappe di terre da riconquistare. Anche Israele è popolata di preti fanatici, credenti esaltati e demagoghi nazionalisti inselvatichiti da una antica, orribile tentazione che si chiama pulizia etnica. Si nota la superbia di credere che dal male si possa comporre il bene. Israele dovrebbe sapere che solo Dio sa trarre il bene dal
male.
La fase finale della operazione Gaza con le sue nebulose prospettive di futura consegna ad arabi di buona volontà (e di sicuro vassallaggio), non farà che completare quello che è già accaduto nella rappresaglia del dopo 7 ottobre: la rovina brutale di innumerevoli vite, famiglie, amicizie, affetti, reti di pietà e di umili speranze si dissolveranno in campi senza fogne ed acqua corrente; paura, nevrosi, brutalità e avarizia corroderanno le loro vite al di là di ogni rimedio. La gente lotterà in modo animalesco per il cibo, i figli inganneranno i padri, gli anziani saranno abbandonati a se stessi.
In Vietnam fu così. Il vero dolore è la non vita, non le sofferenze della vita. La storia è ciò che sta accadendo: era scritto sulla “Jeep dell’ospitalità” all’ingresso della immensa base americana di Danang, la più grande del mondo. Nel 1975 fu espugnata da una mezza dozzina di quadri vietcong che agitavano fazzoletti bianchi dal cassone di un camion.
Domenico Quirico
per lastampa.it
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Agosto 9th, 2025 Riccardo Fucile
DALLA NON FLORIDA AZIENDA DI FAMIGLIA ALL’ATTUALE COLOSSO DELLE COSTRUZIONI. GRAZIE ALLA CASSA DEPOSITI E PRESTITI… I
RAPPORTI POLITICI, I PRANZI DAL “MORO”, I CONTI NON BRILLANTI
Perché i governi dicono sempre di sì a Pietro Salini? Perché l’ex capo della polizia ed ex sottosegretario ai servizi segreti Gianni De Gennaro due anni fa è stato nominato presidente di Eurolink, il consorzio titolare dell’appalto per il Ponte di Messina?
Perché lo Stato, attraverso la Cassa depositi e prestiti, nel 2019 è entrato nell’azionariato di Webuild versando 250 milioni di euro?
Non si può comprendere chi siano il costruttore Pietro Salini e l’impresa romana fondata dalla sua famiglia, che attraverso una serie di mutazioni genetiche è diventata Webuild, nome che significa “noi costruiamo”, senza considerare una certa “geopolitica” e le abitudini del costruttore .
E dunque il “fabbricatore” Pietro Salini, nato a Roma 67 anni fa, guida l’impresa fondata dal nonno omonimo. Il cuore e il cervello sono radicati in una strada che più romana non si può, via della Dataria, che conduce da un vicolo che si affaccia sulla Fontana di Trevi su fino al Quirinale. E lì vicino, in un ristorante frequentato da politici, affaristi, lobbisti, Il Moro, fin da giovane Pietro Salini ha pranzato quasi ogni giorno, concludendo ogni pasto con una rilassante partita a carte napoletane.
Grandi relazioni, intuizione nel fare le alleanze giuste, come quella con Francesco Gaetano Caltagirone per la Metro C di Roma, opera eterna cominciata nel 2007 che verrà completata nel 2033 (almeno così dicono), capacità di pianificazione degli obiettivi, sono gli ingredienti che hanno portato Pietro Salini a trasformare l’impresa di famiglia nel primo gruppo italiano di costruzioni.
Il bilancio consolidato 2024 dichiara 12 miliardi di euro di ricavi consolidati (+20%), un portafoglio ordini di 63,2 miliardi che spazia in oltre 50 paesi.
La crescita – ha detto Webuild – è trainata dallo sviluppo delle attività in Italia (le commesse per l’alta velocità ferroviaria Milano-Genova, Verona-Padova, Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina), in Australia e in Arabia Saudita. Pur dichiarando un utile netto rettificato di 247 milioni, il 2% dei ricavi, il gruppo non appare così robusto nei conti, con i profitti 2024 ha distribuito 0,081 di euro di dividendo alle azioni ordinarie e 0,26 euro alla manciata di titoli di risparmio, i soci hanno ricevuto poco più di 80 milioni, non granché.
Webuild dichiara una posizione finanziaria netta positiva a fine 2024, per 1,44 miliardi, vuol dire che la liquidità supera i debiti, ma la realtà è diversa: durante l’anno i debiti medi hanno pesato, perché il gruppo ha pagato interessi passivi netti per 112 milioni, 20 milioni in più del 2023. Infatti il bilancio dice che l’indebitamento lordo nel 2024 è aumentato da 2,07 a 2,94 miliardi.
La chiave della svolta nella storia del gruppo è in due operazioni straordinarie, attraverso le quali Salini ha comprato aziende
molto più grandi. L’azienda romana era la terza in Italia, dietro al binomio composto dalla milanese Impregilo e dalla romana Astaldi. Nel 2012 Pietro Salini ha approfittato delle incertezze fra i soci di comando di Impregilo, fuori la famiglia Benetton che pensava a incrementare i profitti autostradali e andato a fondo Salvatore Ligresti, era rimasto solo Gavio con il 29,9% del capitale. Con una spesa di qualche centinaio di milioni Salini ha comprato azioni Impregilo in Borsa fino quasi al 30% e ha scalzato Gavio nel luglio 2012. Poi ha fuso le due società dandogli il nome di Salini Impregilo, alla presidenza al posto di Fabrizio Palenzona ha nominato Claudio Costamagna, ex Goldman Sachs, e si è autonominato Ad. L’anno successivo il “fabbricatore” è stato nominato Cavaliere del lavoro dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Con l’acquisto di Impregilo Salini si è trovato in pancia il contratto per costruire il Ponte di Messina. La commessa era stata aggiudicata nel 2005 all’azienda milanese, quando era guidata dalla famiglia di Cesare Romiti, e Impregilo era l’azionista principale del consorzio Eurolink, general contractor della controversa opera. Quando il governo Monti nel dicembre 2012 ha dichiarato la “caducazione” del contratto per il Ponte, Salini è passato al contrattacco e ha fatto causa in tribunale chiedendo 700 milioni di danni. Il tribunale gli ha dato torto, ma Eurolink (e qui entra in gioco De Gennaro) ha fatto appello.
Nel 2015 Costamagna è stato nominato presidente di Cdp dal governo di Matteo Renzi, è rimasto in carica fino al 2018, quando il primo governo Conte (M5S-Lega) ha nominato un nuovo vertice di Cdp, guidato dall’Ad Fabrizio Palermo. L’anno
successivo le strade di Salini e della Cdp si sono incrociate. Astaldi era in concordato preventivo schiacciata dai debiti, Salini ha concepito un piano di salvataggio di Astaldi insieme a Cdp. Salini Impregilo ha fatto un aumento di capitale di 600 milioni in Borsa e con la liquidità ha così potuto sottoscrivere un aumento di capitale riservato di Astaldi di 225 milioni, così ha comprato l’altro grande concorrente rimasto.
Ma attenzione, i soldi dell’aumento di capitale di Salini Impregilo non li ha messi l’azionista di maggioranza, Pietro Salini ha versato solo 50 milioni. Il grosso è arrivato dalla Cdp, cioè dallo Stato, che ha speso 250 milioni ed è diventata il secondo azionista con il 18% circa del capitale. Le banche, Intesa Sanpaolo, Unicredit e Bpm, hanno convertito i crediti in azioni per 150 milioni, una cifra analoga l’hanno versata investitori istituzionali, tra i quali Leonardo Del Vecchio e il fondo Elliott. L’operazione è stata chiamata “Progetto Italia”, la creazione di un polo nazionale delle costruzioni. L’anno successivo il gruppo ha cambiato nome in Webuild.
“Abbiamo salvato Astaldi” era il mantra caro a Salini. Ma è stata salvata anche Salini Impregilo, grazie ai 250 milioni della Cdp. L’azienda, che nel 2019 dichiarava un calo dei ricavi consolidati da 5,2 a 5,13 miliari, non se la passava tanto bene. Ed è curioso che Cdp abbia dato 250 milioni a Salini senza neppure chiedere che Eurolink (di cui Webuild ha il 45%) rinunciasse al contenzioso con lo Stato per il Ponte.
Con i dividendi del bilancio 2024 Pietro Salini, che ha il 35,7%, ha incassato 29,4 milioni, la Cdp, che ha il 16,5%, 13,5 milioni. Da urlo lo stipendio di Pietro Salini: 6,38 milioni lordi nel 2022,
scesi a 4,86 milioni nel 2023 e nel 2024. Quest’anno, grazie alla firma del contratto da oltre 10 miliardi per il Ponte, la busta paga del “fabbricatore” dovrebbe tornare a crescere. Una buona occasione per festeggiare al Moro.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Agosto 9th, 2025 Riccardo Fucile
IL CAMPO LARGO E’ RIDOTTO A TERRA INCOGNITA
Un’estate fa, alla festa di Avs del Parco Nomentano, i leader dell’opposizione siglavano
il famoso “patto della birra”. Schlein, Conte, Fratoianni, Bonelli e Magi, con un bel boccale di Peroni
in mano suggellavano la santa alleanza del glorioso “campo largo”.
L’ennesima foto-simbolo nell’album di famiglia della sinistra, quello delle grandi speranze poi naufragate: dal patto di Vasto del 2011 (Bersani, Di Pietro e Vendola) a quello di Narni del 2019 (Zingaretti, Di Maio, Conte e Speranza). Anche a Roma, un anno fa esatto, il clima era buono ma il tempo non prometteva niente di buono: pioveva sui capi dell’italica izquierda unida, mentre il padrone di casa Fratoianni salutava l’evento con una pennellata di sano luogo-comunismo: «Coalizione bagnata, coalizione fortunata, e fatemelo dire, piove governo ladro». Dodici mesi dopo cosa rimane di cotanta speme? Bagni parecchi, fortuna poca. Governo ladro, quello sì. Verso le regionali d’autunno, vede un cieco che Meloni è in crisi di nervi e che la sua sgangherata maggioranza è impresentabile. Le prospettive economiche sono sconfortanti. Il pil scenderà a meno 0,5% nel 2026, la produzione industriale è negativa da ventisei mesi, l’effetto dazi farà crollare l’export di 10 miliardi l’anno: Giorgia voleva fare “il ponte”, Ursula voleva fare “il partner”, e ora si ritrovano entrambe a fare le damigelle di Trump.
Le ultime disavventure giudiziarie sono devastanti. Le motivazioni della Corte di giustizia europea sui Paesi sicuri sono una pietra tombale sulla penosa Operazione Albania: un buco nero da quasi un miliardo di euro, con 20 richiedenti asilo per 5 giorni di operatività in un anno e mezzo e un costo di 153 mila euro per singolo posto letto. Le ricostruzioni del Tribunale dei ministri nell’autorizzazione a procedere contro Nordio, Piantedosi e Mantovano sull’affare Almasri sono una campana
a morto per lo Stato di diritto: un simile impiastro di menzogne e abusi di potere si era visto solo ai tempi del Cavaliere e di Ruby nipote di Mubarak. Per nascondere tutta questa vergogna, la premier fa quello che da sempre le riesce meglio: lo squadrismo istituzionale come dispositivo di autodifesa complottista-vittimista. L’attacco ai “giudici golpisti” — dagli studi addomesticati del Tg5 — distrugge l’ordine costituzionale e costruisce il capro espiatorio in vista delle velenose prossime campagne elettorali sulle amministrative e sul referendum per la separazione delle carriere.
Per un’opposizione degna, non ci sarebbe terreno più fertile di questo. Torniamo al “patto della birra”. Cosa è successo, da allora? Il “campo largo” è ridotto a terra incognita, dove si coltivano indignazione per gli orrori della destra e rassegnazione per gli errori della sinistra. Elly Schlein, sempre “testardamente unitaria”, bevendo quella pinta di lager aveva detto una cosa giusta: “Sono convinta che le persone si aspettino da noi un’alternativa credibile, e questa si costruisce sui temi e non sui nomi”. Parole sante. Ma tradite ancora una volta, per responsabilità condivisa. A parte sanità e salario minimo, su cui tutti combattono la stessa battaglia, per tutto il resto la “coalizione fortunata” non si è vista e non si vede. Non si vede sulla politica economica, dove tra fisco e previdenza ogni partito formula le sue raccomandazioni e squaderna le sue proposte. Non si vede sulla politica estera, dove dall’Ucraina a Gaza ogni partito vota le sue mozioni e mobilita le sue piazze. Non si vede sulla politica migratoria, dove non basta condannare il razzismo xenofobo e disumano dei patrioti al di là e al di qua
dell’Atlantico. Non esiste una piattaforma unitaria, praticamente su nulla. Magi, sotto quel diluvio estivo, aveva suggerito un “tavolo permanente, per iniziare ad affrontare le differenze” e a ipotizzare un programma comune. Ottima idea, caduta nel vuoto. E in questo vuoto, per paradosso, la voce dell’opposizione che in questo momento sembra risuonare più forte e più chiara è quella di Matteo Renzi, il royal baby che flirtava con Berlusconi e che adesso bastona la Meloni, il “grande rottamatore” che ha sfasciato la sinistra e che ora sembra incarnarla più degli altri.
Nella cacofonia sui “temi”, i leader cedono alla lotteria dei nomi. È quello che accade sui governatori in corsa alle regionali, sfida cruciale che chiamerà alle urne 17 milioni di italiani in regioni chiave come Veneto, Toscana, Marche, Campania e Puglia. E qui — di fronte a una Schlein tanto collaborativa da apparire quasi remissiva — si staglia Conte. Complice la ventata di inchieste giudiziarie che soffia da Milano a Reggio Calabria, “Giuseppi” gioca da auto-proclamata autorità morale del fronte progressista: boccia o promuove gli altrui candidati in base a regole che cambiano secondo convenienza. Nelle Marche dà il via libera “d’imperio” a Ricci, in Toscana concede il disco verde “condizionato” a Giani, facendolo benedire dal risorto “sacro blog”. In Campania — come contropartita per i Cinque Stelle — esige il lasciapassare a Fico. Sul resto si vedrà (a partire dalla Puglia, dove vaga l’anima in pena di De Caro sovrastata dal fantasma di Emiliano e dove si attende la mediazione del plenipotenziario Boccia, il Witkoff del Tavoliere). Non ci sarebbe niente di scandaloso, se questo pasticciato suk rientrasse in un accordo organico, da lanciare oggi nelle regioni e domani
nel Paese. Ma non è così, perché l’ex premier rivendica con orgoglio “l’autonomia del Movimento” e i Ghini di Tacco pentastellati ci tengono a far sapere che “non ci sono alleanze strutturali” nei territori perché “lo scambio di figurine non fa parte del nostro dna”. Ci vorrebbero i ris come a Garlasco, per riconoscere quel benedetto dna contaminato da troppi “Ignoto uno” rispetto all’antica e presunta purezza di Grillo&Casaleggio.
Il peggio è che le camarille sui candidati governatori nascondono quelle sul candidato premier. Schlein si sente predestinata: ha recuperato a sinistra tutti i voti che poteva, più di questo non sa fare, i sondaggi fotografano un Pd inchiodato al suo massimo da settimane e pur sempre primo partito dell’opposizione. Conte non vuole cedere sovranità: M5S ha perso 9 milioni di voti dal 2018, ma lui giura che non convincerebbe mai i suoi a votare un “cartello” guidato dalla segretaria dem. Autentica realpolitik o malcelata nostalgia di Palazzo Chigi? Sta di fatto che nei polverosi cantieri “riformisti” (qualunque cosa significhi, ormai) si sognano “papi stranieri”: meglio se disposti di ricomporre l’eterna diaspora centrista. Deliri da notti di mezza estate, che Meloni rischia di spazzare via in un amen. Le basta convincere Salvini e Tajani a cambiare la legge elettorale, introducendo l’indicazione del candidato premier sulla scheda, e il “campo largo” diventerà davvero camposanto. Invece di perdersi in baruffe chiozzotte, i compagni della “non coalizione” si diano subito un programma, o sarà troppo tardi
(da La Repubblica)
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Agosto 9th, 2025 Riccardo Fucile
IL DOSSIER IN 10 REGIONI… ASSOBALNEARI CONFERMA RINCARI E CROLLO DELLE PRENOTAZIONI: “COLPA DELLA CRISI ECONOMICA”… CONSUMATORI: “MACCHE’, ABBASSATE I LISTINI”
Se anche i vip s’arrabbiano, allora la cosa si fa seria. Nel 2008 era Walter Veltroni a portare a spasso l’ombrellone, pronto a piantarlo sulla spiaggia libera di Sabaudia. Oggi dai social spunta Alessandro Gassmann che in un tweet fa gentilmente a pezzi i gestori degli stabilimenti balneari: «Cari amici, leggo che la stagione non sta andando bene, forse avete un po’ esagerato con i prezzi? Abbassateli e, forse, le cose andranno meglio», s’azzarda a dire, «gli italiani scelgono la spiaggia libera e il pranzo al sacco». Menù preferito per uno su tre, dice Coldiretti: schiscetta con insalata di riso. E poi c’è Mirko Casadei; il papà Raoul cantava Ciao mare, lui va liscio all’attacco: «Quando per due gamberi fritti spendi 25 euro, qualche domanda te la fai».
Se la sono fatta in tanti se sulle spiagge, confessa l’Assobalneari, c’è il 20-30 per cento in meno di villeggianti, tranne la domenica, che è sacra. Una «crisi» che la ministra del Turismo Santanché nega: «Allarmistica e fuorviante». Come il Berlusconi del 2011, quello dei «ristoranti tutti pieni». E, ancora, di quasi un terzo si sono contratti pure gli ordini di vongole e panzanelle. Colpa del caro-vita, secondo l’associazione delle imprese balneari, giammai del caro-lidi. Il Codacons racconta però un’altra storia ed è quella del ritocco dei listini, rivisti di anno in anno, prima per il Covid, poi per le bollette.
«Ci sono spiagge per tutte le tasche, con tariffe e servizi proporzionali a ogni tipo di pubblico», si difendono i gestori
riuniti sotto Confindustria. Vero. Sotto la “tenda imperiale” del Twiga, «idea rivoluzionaria» nata per «riformare» quella «cosa misera» che erano gli stabilimenti balneari (copyright del creatore Flavio Briatore), per 1500 euro al giorno si prende l’ombra. All’estremo opposto, non solo geografico, c’è Roccella Jonica dove si può svoltare la giornata avendo nel portafoglio appena 13 euro. Tra un polo e l’altro, Altroconsumo spiega che adesso, sotto il sole giaguaro, per un ombrellone e due lettini in uno stabilimento da famiglia, c’è una maggiorazione del 5 per cento rispetto allo scorso anno. Di più, urla Federconsumatori: l’8 per cento i lettini, il 7 per le sdraio, il 10 addirittura per canoe e pedalò. C’entreranno pure i nuovi trend estivi in alta quota, ma per ora i lidi si riempiono a metà. Summer on a solitary beach.
Lazio
A Santa Marinella, in provincia di Roma, nel fine settimana un ombrellone e due lettini costano 60 euro al giorno. Una cifra monstre che gli habitué del posto giustificano: «Qui non è per tutti, è da sempre un luogo caro, si sa che è così». Il lido è “La perla del Tirreno”, che rispetto alla maggioranza degli stabilimenti intorno vanta una lunga lingua di sabbia al posto degli scogli. Per la responsabile Leila Fares è però impossibile proporre un listino più basso. «I nostri ombrelloni sono più distanziati rispetto alla norma e ogni giorno puliamo materassini e teli: il nostro è un servizio attento, diamo lavoro a 20 persone e non facciamo pagare l’ingresso dei bambini». Ma qualche critica, ammette, è arrivata: «Mi hanno chiesto se fossimo in Costa Smeralda», racconta Fares. A pochi metri ci sono un bar che chiede 5 euro per una crema di caffè e un chiosco che si fa
pagare 14 euro un cheeseburger di tonno con cipolla, rucola e maionese.
Veneto
In Veneto non va meglio rispetto al resto d’Italia. Tra Jesolo e Caorle, cuore del mare organizzato e dei servizi per famiglie, ormai si adottano trucchi per evitare i vuoti tra gli ombrelloni. Prendi tre e paghi due. Se prenoti uno o due giorni feriali insieme a una domenica il gestore del lido ti fa lo sconto del 15 per cento, del 30 se arrivi a prenotare l’intera settimana. Qui parliamo di spiagge con migliaia di ombrelloni e lettini da riempire e dove neanche il ferragosto, spiegano gli addetti ai lavori, è più attraente come prima. Tutto troppo caro, rinunceremo al lettino e alla cabina, è il ragionamento. Le presenze, dicono i dati, non sono diminuite: si attestano sui numeri del 2024 ma quello che è cambiato è il costume, la possibilità di spendere. Meglio allora la vecchia cara spiaggia libera, portarsi l’ombrellone e il panino da casa, quel panino vietato in alcuni lidi che ti obbligano ad acquistarlo al bar.
(da agenzie)
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Agosto 9th, 2025 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DELL’ASSOCIAZIONE PRECARI IN RETE
Dimenticate la favola dei postini introvabili. Non si tratta di una carenza di candidati,
ma di un copione scritto a tavolino, uno spettacolo di cinismo aziendale che si ripete senza fine. La verità è che Poste Italiane non cerca dipendenti, ma carne da macello: un esercito di giovani “usa e getta” illusi da contratti a tempo determinato che sono una vera e propria beffa.
Vengono assunti per pochi mesi, al massimo un anno, con la tacita prospettiva di un posto fisso che non arriverà quasi mai. Le stabilizzazioni, infatti, esistono, ma toccano una minima parte dei lavoratori, fungendo da carota per tenere alta la speranza (e bassa la voce) del resto della forza lavoro precaria.
Invece di premiare chi si dimostra affidabile, l’azienda preferisce farli ruotare come ingranaggi di una catena di montaggio. Chi alza la voce o rivendica i propri diritti viene scartato, mentre chi si adatta viene ricompensato con una breve proroga del contratto, prima di essere inevitabilmente messo da parte per far spazio alla prossima ondata di precari.
Dal 2017 a oggi, oltre 100.000 persone sono state macinate dal “tritacarne” di Poste Italiane. Di queste, solo a malapena 18.000
hanno ottenuto la stabilizzazione. Gli altri lavoratori, quelli con almeno sei mesi di servizio, vengono relegati nel limbo di una graduatoria infinita, trasformati in un semplice numero in attesa di un’opportunità che la maggior parte sa già non arriverà mai. Per chi ha lavorato meno, non resta che l’anonimato.
L’obiettivo? Mantenere un bacino di manodopera flessibile, a basso costo e, soprattutto, privo di tutele e diritti. Un sistema che va oltre il mero precariato. Sfrutta la vulnerabilità dei giovani negando o limitando diritti fondamentali come il pagamento degli straordinari, le ferie e le tutele in caso di malattia o infortunio. La paura di non ottenere una riconferma li costringe ad accettare condizioni al limite dello sfruttamento, garantendo a Poste Italiane un servizio efficiente a un prezzo irrisorio.
E così la tragicommedia si ripete: si apre il sipario, si cercano nuovi postini. La stampa si indigna, i sindacati si lamentano, ma il meccanismo va avanti, perfettamente oliato dalla disperazione di chi cerca un lavoro e dal cinismo di chi offre solo false speranze.
Carmine Pascale
a nome dell’Associazione Precari in Rete
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