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RISSE, PARTITE RINVIATE, ARBITRI PAGATI IN RITARDO E GUASTI AL VAR: LE FINALI DEL CAMPIONATO LIBICO A MILANO SONO UNA POLVERIERA

Agosto 12th, 2025 Riccardo Fucile

STASERA L’ULTIMO ATTO DELLA “PRIMA LEGA” LIBICA, CHE SI GIOCA IN ITALIA (A PORTE CHIUSE) IN VIRTÙ DELL’ACCORDO STRETTO DAL GOVERNO MELONI E TRIPOLI L’ANNO SCORSO, IN CAMBIO DEL LAVORO SPORCO SULL’IMMIGRAZIONE … FIN’ORA SI È VISTO POCO CALCIO, ANCHE UNA SCAZZOTTATA TRA DIRIGENTI NEGLI SPOGLIATOI

Un tale trionfo della commedia umana, questa fase finale a 6 squadre del campionato di calcio libico «espatriato» in Italia previo l’accordo tra i due Governi, fra risse di giocatori, dirigenti, allenatori, massaggiatori, e tifosi, ovvio, e con le partite a porte chiuse potendo entrare soltanto ultrà e amici degli amici e ras del petrolio, che quando (sia scritto col massimo rispetto) finalmente il torneo stava per concludersi, domenica, nello stadio di Meda, in provincia di Monza e Brianza, afa pazzesca e pazzesco servizio di sicurezza, varchi ai cancelli, artificieri, perquisizioni, ecco, nemmeno si è cominciato.
Il Var non funzionava, ed entrambe le squadre, la capolista al-Ahly di Tripoli a 10 punti e la seconda a 8 punti, l’al-Hilal di Bengasi, temevano irregolarità degli avversari non sanzionate. La Federazione calcistica libica aveva da corrispondere all’omologa italiana una somma, non bassa, per il regolare pagamento di arbitri, guardialinee, quarto uomo e personale addetto appunto al Var […] quindi senza soldi niente gare, sicché per accelerare il recupero, un funzionario libico si sarebbe presentato coi soldi in una valigetta, addirittura, e da dove venisse tutto questo (eventuale) denaro in contante, beh…
Il termine della competizione cadrà quest’oggi sempre a Meda con quelle due a sfidarsi, in un derby nazionale, la Tripoli sede del Governo a unità nazionale riconosciuto a livello internazionale del primo ministro Abdul Hamid Dbaibah, e la Bengasi nell’Est del generalissimo Khalifa Haftar, a capo dell’autoproclamato Esercito della Libia orientale.
Ma poi, si giocherà davvero? Pleonastico soffermarsi sulla permalosità dei protagonisti, costoro s’accendono per un niente, due le partite sospese in relazione a zuffe che hanno reso inevitabile la corsa in campo dei carabinieri a dividere i duellanti.
«Ormai siamo alla replica delle scene dei film di Bud Spencer e Terence Hill, avrà presente» mormorava, ma non lo trascriviamo, uno sconsolato steward sognando una vacanza di un anno. E un nostro amico libico, impeccabile nell’abito pregiato, ottimo inglese, confidava: «Il nostro calcio è questo». Ma non esagerare nel disfattismo, caro ragazzo, in fondo, come ci raccontano fonti tra tuoi connazionali, la Libia vuol sempre più far sapere all’Europa d’esistere senza essere serva né schiava nè iellato personaggio minore, e il pallone rimane uno straordinario simbolo del siamo-tutti-alla pari, una magia unica che unisce. Cioè, dovrebbe.
(da agenzie)

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IL PROBLEMA DEGLI ITALIANI, IMPOVERITI E CON SALARI DA FAME, NON È SOLO IL SALASSO IN SPIAGGIA, IL GUAIO È ARRIVARCI, AL MARE: IL PREZZO DEI VOLI NAZIONALI È AUMENTATO DEL 36% IN UN ANNO, QUELLO DEI TRAGHETTI DEL 10,9% E L’AUTONOLEGGIO IL 10

Agosto 12th, 2025 Riccardo Fucile

I BALNEARI FURBONI, PROTETTI DAL GOVERNO PER RAGIONI ELETTORALI, SE NE APPROFITTANO, MA IL TREND È GENERALIZZATO, E COLPISCE ANCHE IL CARRELLO DELLA SPESA: IL COSTO DEI BENI ALIMENTARI NON LAVORATI (CARNE, PESCE, FRUTTA E VERDURA) SALE DEL 5,1% (IL CAFFÈ SUPERA IL 20%)

Arrivarci, in spiaggia. Se rincarano biglietti aerei, traghetti, autonoleggi e case vacanza, il caro ombrellone diventa – letteralmente – l’ultimo dei problemi. I numeri diffusi ieri dall’Istat relativi al mese di luglio certificano infatti quello che gli italiani hanno osservato sul campo nelle ultime settimane: le vacanze quest’anno costano di più.
In un mese sostanzialmente stabile sul fronte della crescita dei prezzi (+1,7% a luglio rispetto a un anno prima, stesso dato registrato a giugno), spiccano proprio gli aumenti legati alle spese collegate alle ferie, dai trasporti ai soggiorni, passando per musei e attrazioni turistiche.
Aumenti a doppia cifra che hanno messo in allarme le associazioni di consumatori. «Si conferma la stangata sulle vacanze estive degli italiani, con tutte le voci legate a viaggi e turismo che segnano fortissimi rincari rispetto allo scorso anno», ha commentato il Codacons.
Non è quindi un’allucinazione estiva frutto del gran caldo se quel biglietto aereo da Milano alle spiagge della Puglia quest’anno è sembrato molto più caro del solito. In cima alla classifica dei rincari spiccano infatti proprio i voli nazionali, cresciuti su base annua del 35,9% rispetto a luglio 2024: oltre un terzo in più.
Va detto che l’aumento a doppia cifra dei biglietti aerei in Italia non è una novità delle ultime settimane ma si osserva già in maniera consistente da marzo. Allo stesso tempo se si va indietro di dodici mesi, a luglio 2024 i ticket nazionali costavano il 15,2% in meno rispetto al 2023. Parziale buona notizia per chi viaggia: spostarsi oltreoceano – in confronto – costa un po’ meno: i prezzi salgono infatti solo dello 0,7%, sempre rispetto al 2024.
La mazzata estiva non risparmia anche gli altri mezzi di trasporto.
Per i traghetti l’istituto di statistica registra un +10,9%, per i pacchetti vacanza nazionali +10,3%, per l’autonoleggio +9,9%. Non va meglio sul fronte di case vacanza e b&b, che segnano aumenti del 6%. Gli incrementi non risparmiano anche musei e monumenti storici, i cui prezzi medi salgono del 4%.
Capitolo a parte per gli stabilimenti balneari. Qui il rialzo è meno marcato +3,4%), anche se l’Istat non fornisce un dettaglio della singola categoria, ma li conteggia insieme ad altre strutture ricreative.
«I balneari dicono che non ci sono stati aumenti ingiustificati ma i costi dell’ombrellone pagano già i rincari mostruosi degli ultimi anni: +25% negli ultimi 5 anni e +16% negli ultimi anni, ben oltre la crescita dell’inflazione», attacca Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori.
Caro spiaggia o meno, i rialzi sembrano interessare l’intero ecosistema vacanze. E lo spaccato territoriale fornisce un altro dato interessante. La provincia in cui si registra il più marcato aumento dell’inflazione generale, quindi non solo legata al turismo, è Rimini, regina proprio del turismo balneare.
I prezzi sono saliti del 2,8%, contro l’1,7% nazionale, e la spinta neanche a dirlo arriva proprio dai servizi ricettivi e di ristorazione, i cui prezzi sono saliti del 7,3%. Spostandosi sulla costa tirrenica, fenomeno analogo si registra nella zona di Lucca, provincia di riferimento della Versilia, con i prezzi dei servizi
ricettivi che salgono del 6,9% oltre il triplo dell’indice generale dei prezzi nella provincia.
(da agenzie)

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“IL NOSTRO COLLEGA ANAS AL-SHARIF ERA GLI OCCHI E LA VOCE DI GAZA, PER QUESTO ISRAELE LO HA UCCISO”

Agosto 12th, 2025 Riccardo Fucile

INTERVISTA A TAMER ALMISSHAL, GIORNALISTA DI AL JAZEERA, COLLEGA E AMICO

Corrispondente di Al Jazeera arabic a Gaza, Anas al-Sharif è stato ucciso nella notte tra domenica e lunedì, con un bombardamento mirato nella tenda in cui si trovava insieme a tutta la sua troupe. In un colpo solo Israele ha ucciso il giornalista Mohammad Qureiqaa, il fotoreporter Mohammed Al-Khaldi e i cameraman Ibrahim Zaher, Moamen Alaywa e Mohammad Nofal.
Dopo l’attacco, Fanpage.it ha intervistato il giornalista e presentatore senior di Al Jazeera Arabic Tamer Almisshal, collega e caro amico di Anas al-Sharif.
Che rapporto aveva con Anas al-Sharif?
Secondo l’Onu a Gaza oltre 300mila bambini rischiano di morire per malnutrizione acut
Prima di trasferirmi a Doha, ho lavorato come corrispondente a Gaza. In questa guerra, mi occupo della supervisione editoriale della nostra squadra a Gaza, quindi sono in contatto quotidiano con le nostre troupe, incluso Anas e gli altri colleghi. Ogni giorno li contattiamo per seguire il loro lavoro, supportarli e fornire tutto ciò che serve. L’ultima volta che ho parlato con Anas è stato domenica, il giorno dell’attacco. Per noi è stato uno shock terribile e un grande dolore: abbiamo perso sei giornalisti, quattro di Al Jazeera, un freelance e un altro palestinese locale. Tra loro, Anas Al Sharif e Mohamed Qureiqaa erano i due nostri corrispondenti più coraggiosi. Erano gli occhi di Gaza, le poche voci rimaste che raccontavano la realtà di questa guerra e portavano le notizie da Gaza al mondo intero. Stiamo vivendo un momento molto difficile, perdere questi due colleghi è un colpo durissimo, insieme agli altri giornalisti e operatori uccisi. Quello che è successo è un vero e proprio assassinio mirato contro la nostra squadra. Lo scopo è chiaro: nascondere i crimini e il genocidio che stanno avvenendo, impedendo che vengano raccontati da questi giornalisti coraggiosi. Anas, prima di essere ucciso, aveva documentato in modo unico la crisi della fame a Gaza. I suoi reportage sono stati utilizzati non solo da Al Jazeera ma anche da molti altri media internazionali. Proprio per questo è stato oggetto di una campagna di diffamazione, che è culminata nel suo assassinio. È un’operazione di omicidio mirato chiara che mostra come Israele tratta il giornalismo a Gaza. C’è un sistema che prende di mira i giornalisti gazawi: Anas e Mohamed non sono i primi. In questi 22 mesi di guerra, abbiamo
contato più di 230 giornalisti palestinesi uccisi, il numero più alto mai registrato in una zona di conflitto nella storia recente.
Una foto lo ritrae a Gaza di fronte ad Anas al-Sharif quando era ancora bambino, qual è la storia dietro quello scatto?
Eravamo nel campo di Jabalia, era il 2008, durante l’operazione “piombo fuso”. Io ero il corrispondente di Al Jazeera a Gaza e stavo intervistando Anas che aveva solo 12 anni. Anas ha pubblicato quella stessa foto mesi fa dicendo che da me aveva imparato il mestiere.
Quando avete iniziato a lavoravate insieme lei e al-Sharif?
Anas è entrato a far parte di Al Jazeera nel novembre 2023 e per due anni ha lavorato ininterrottamente, era sempre in diretta sui social, su Al Jazeera, rilasciava interviste ai media internazionali. Prima di Al Jazeera era un fotografo freelance conosciuto: i suoi scatti erano stati pubblicati dal New York Times, Washington Post e tanti altri media importanti. Per noi ha lavorato con grande impegno nonostante le minacce, le accuse, le difficoltà, e i numerosi tentativi di fermarlo. Ricordiamo tutti quando Israele ha ucciso suo padre: un ufficiale dell’intelligence israeliana aveva contattato Anas poco prima del bombardamento della sua casa chiedendogli di smettere di fare reportage, altrimenti sarebbe stato preso di mira. Lui ha rifiutato, convinto della sua professionalità, e pochi giorni dopo hanno colpito la sua casa uccidendo suo padre. Mohamed Qureiqaa, invece, ha assistito all’uccisione di sua madre nell’ospedale Al Shifa di Gaza durante l’invasione israeliana.
Credi che l’assassinio di Anas al-Sharif e dei suoi colleghi sia
collegato all’inizio del piano israeliano di occupazione totale di Gaza?
Sì, noi crediamo che sia così. Non vogliono che le immagini e le notizie escano da Gaza. Sanno che il lavoro di questi giornalisti mette in difficoltà la loro narrazione ufficiale. Nel caso di Anas, è stato preso di mira con la sua copertura della crisi alimentare: hanno cercato in ogni modo di smentire i suoi reportage, nonostante tutte le istituzioni internazionali, le Nazioni Unite e le organizzazioni mondiali ne avessero riconosciuto la credibilità. Eppure l’hanno ucciso lo stesso, insieme ai suoi colleghi. Quello a cui stiamo assistendo è un crimine e purtroppo c’è un silenzio assordante da parte delle autorità che dovrebbero intervenire. Ho parlato oggi con i nostri colleghi a Gaza e mi hanno chiesto di non contarli solo come numeri. Quanti altri giornalisti palestinesi devono essere uccisi prima che le organizzazioni internazionali intervengano seriamente per fermare questi crimini? È una situazione davvero sconvolgente e vergognosa.
Pensi che la comunità internazionale e la stampa globale non abbiano fatto abbastanza per proteggerli?
No, abbiamo avvisato tutti, ma nessuno è intervenuto davvero. È una vergogna che Anas, Mohamed e gli altri siano stati assassinati senza che nessuno abbia mosso un dito. Dove sono i diritti umani? Dove sono le leggi a tutela dei giornalisti? Israele ha commesso un crimine e, come se non bastasse, ha cercato di giustificare questi omicidi con accuse infondate. Questo è un altro crimine. Inoltre, Israele non permette indagini indipendenti né l’ingresso di giornalisti stranieri a Gaza, perché non vogliono
che la verità e la realtà di Gaza vengano raccontate. Per questo uccidono i giornalisti e inventano accuse false, dicendo che chi fa reportage a Gaza è un terrorista. Sono tutte falsità. Ricordo un altro caso: Ismail Ghul, corrispondente di Al Jazeera, ucciso a luglio 2024. Anche contro di lui Israele ha usato accuse infondate, nonostante fosse stato arrestato e rilasciato pochi mesi prima. Se fosse un terrorista, perché l’avrebbero rilasciato? Lo scopo è chiaro: uccidere la verità, nascondere il genocidio e i crimini che commettono.
Molti giornali internazionali, anche in Italia, hanno definito Anas “un terrorista”. Pensi che la stampa internazionale abbia contribuito direttamente a legittimare l’uccisione dei nostri colleghi?
Sì, e si tratta di un doppio crimine: uccidere e poi giustificare l’omicidio. Stiamo assistendo a un genocidio di giornalisti, un numero che non ha precedenti nella storia recente. La credibilità della narrativa israeliana è già stata messa alla prova più volte. Pensiamo a Shireen Abu Akleh, uccisa a Jenin nel 2022. Le forze israeliane hanno cambiato versione quattro volte su come è morta. Prima hanno detto che non l’avevano uccisa loro, poi che era stata colpita da un miliziano palestinese, poi che era stata colpita durante uno scontro a fuoco. Solo dopo settimane e un’indagine americana hanno ammesso che il colpo era partito da un cecchino israeliano, addirittura rivelandone il nome. Questo dimostra bene la scarsa credibilità delle accuse israeliane. Oggi un famoso giornalista investigativo israeliano ha scritto su Haaretz che Israele ha formato un’unità all’interno dei servizi
segreti fin dall’inizio di questa guerra con lo scopo di giustificare l’uccisione di giornalisti, civili e medici. Hanno cercato in ogni modo di giustificare queste uccisioni fabbricando prove e accuse false. Un esempio chiaro è il caso di Anas al-Sharif. Le accuse che il portavoce israeliano ha mosso contro di lui dopo la sua uccisione non sono nuove. Le aveva già pubblicate 15 mesi fa e nessuno, né il pubblico né le organizzazioni internazionali, gli ha mai creduto. Amnesty International ha addirittura premiato Anas al-Sharif nel 2024 per il suo coraggioso lavoro, quindi queste accuse sono del tutto inaffidabili. Se continuano a giustificare questi crimini, è come commettere un altro crimine contro Anas. L’hanno ucciso perché era l’unico occhio e l’unica voce coraggiosa e influente che proveniva da Gaza in questo momento. Quanti altri giornalisti devono ancora essere uccisi perché le organizzazioni internazionali intervengano seriamente? Questa è la domanda che ci pongono i nostri colleghi sul campo
Che impatto ha avuto l’uccisione di al-Sharif sulla redazione di Al Jazeera fuori e dentro Gaza?
Anas al-Sharif era un palestinese originario di Gaza, non un estraneo. Lui, Mohammad Qureiqaa e gli altri erano parte della loro terra, avevano famiglie lì, e si sentivano in dovere di difendere i loro diritti fondamentali come giornalisti e come esseri umani. Non volevano andarsene e continuavano a lavorare perché credevano nella verità e in chi la racconta. I colleghi di Anas non si arrendono. Continuano a lavorare perché credono che alla fine la vittoria sarà della verità e della realtà. Anas aveva scritto le sue ultime parole prima di essere ucciso, chiedendo che
venissero pubblicate nel caso in cui fosse stato ucciso dagli israeliani. Diceva: “Ho lavorato per portare la verità fuori da Gaza, per raccontare al mondo cosa ci sta succedendo. Per favore, non abbandonate il mio messaggio e la mia strada”. Noi, come colleghi e amici, non ci arrenderemo. È nostro diritto e crediamo che alla fine la verità e la libertà di stampa prevarranno sull’occupazione israeliana.
Cosa chiedete alla comunità internazionale e ai giornalisti di tutto il mondo?
Dove sono le organizzazioni internazionali? Dove sono i giornalisti di tutto il mondo? È il momento di solidarizzare con i colleghi di Gaza, di stare al loro fianco, di alzare la vostra voce e dire che bisogna proteggere i giornalisti e fermare questi crimini. Oggi non sappiamo chi sarà la vittima di domani.
(da agenzie)

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“NETANYHAU È SCHIAVO DI UN GRUPPO DI ESTREMISTI DELIRANTI CHE VOGLIONO STABILIRSI A GAZA”: L’ATTACCO DURISSIMO DEL LEADER DELL’OPPOSIZIONE YAIR LAPID, CHE RANDELLA IL PREMIER ISRAELIANO

Agosto 12th, 2025 Riccardo Fucile

“NON PUÒ SCONFIGGERE HAMAS PERCHÉ HA IL GOVERNO SBAGLIATO E NON HA UN PIANO, NON LO HA FATTO PER QUASI DUE ANNI, OGNI VOLTA TROVA UNA SCUSA DIVERSA, NON SA COME VINCERE” … DALL’ALTRO LATO “BIBI” E’ MESSO ALL’ANGOLO DAI MINISTRI DI ESTREMA DESTRA BEN GVIR E SMOTRICH CHE LO CRITICANO DI ESSERE STATO TROPPO BUONO CONTRO I PALESTINESI (NONOSTANTE I 60 MILA MORTI NELLA STRISCIA)

È sempre più nell’angolo, Benjamin Netanyahu, contestato sia dall’opposizione interna, sia dalla società civile israeliana, finanche da alcuni suoi ministri, ma anche da numerosi Paesi e organismi internazionali. La sua conduzione della guerra ha sempre provocato molte critiche, dovute al pensante bilancio di vittime, al prolungarsi di un conflitto che non vede soluzione, alla sensazione che metta questioni personali dinanzi al bene comune.
Ma dopo l’approvazione alle prime luci dell’alba di venerdì del nuovo piano per occupare Gaza City e il restante 25% della Striscia ancora non sotto il controllo dell’esercito, le critiche e le condanne sono aumentate arrivando da più parti.
Scontate quelle degli oppositori. Da oltre tre anni il sabato è la giornata di protesta contro Netanyahu. Prima per la sua riforma della giustizia, poi per la gestione della guerra. Da sabato a domenica: due giorni fa decine di migliaia hanno manifestato contro il piano di Gaza.
Familiari degli ostaggi, ex prigionieri a Gaza, riservisti, società civile si sono dati appuntamento per domenica prossima, sciopero generale non appoggiato dal sindacato, Histadrut, ma che comunque avrà un impatto. La preoccupazione è che Hamas, che ha più volte dimostrato di non avere a cuore le sorti di civili israeliani e palestinesi, possa rivalersi sui venti ostaggi ancora vivi.
Non solo, si teme per la vita dei soldati e che il bilancio delle vittime civili a Gaza possa aumentare. Anche se il sindacato non ha aderito («uno sciopero non porterà alla fine della guerra», ha
detto Arnon Bar-David, il capo del sodalizio che appoggia le famiglie degli ostaggi), saranno molte le organizzazioni che parteciperanno per esprimere il proprio dissenso.
Avevano cominciato i militari. Per loro l’operazione è troppo rischiosa, hanno pochi uomini. Ma poi, da bravi soldati, hanno iniziato a prepararsi. Pur preferendo un approccio che privilegi il rilascio degli ostaggi piuttosto che sconfiggere Hamas, il capo di stato maggiore Zamir ha detto che «Siamo all’inizio di una nuova fase dei combattimenti a Gaza. Svilupperemo il metodo migliore in base agli obiettivi definiti, mantenendo al contempo la professionalità e i principi che guidano le nostre azioni».
Netanyahu, «Non può sconfiggere Hamas perché ha il governo sbagliato e non ha un piano, non lo ha fatto per quasi due anni, ogni volta trova una scusa diversa, non sa come vincere perché è schiavo di un gruppo di estremisti deliranti che vogliono stabilirsi a Gaza», ha detto il leader dell’opposizione Yair Lapid, esprimendo tutto il suo dissenso al piano di occupare la città più importante della Striscia. Critiche anche dall’interno del suo governo.
Se durante la riunione di gabinetto si sono mostrati contrari il ministro degli esteri Sa’ar e il responsabile degli ostaggi Hanegbi, ora anche gli estremisti Ben Gvir e Smotrich sono contrari. Perché non vogliono la fine della guerra, perché i cinque punti di Netanyahu non garantiscono l’occupazione permanente di Gaza. Sempre più Paesi e organizzazioni internazionali condannano l’annuncio della nuova operazione, temendo il pesante bilancio umanitario.
Alcuni, come Australia e Nuova Zelanda, lo fanno anche annunciando il riconoscimento dello Stato palestinese, mossa che, per Israele, equivale ad un premio a Hamas. Condanne a Israele in queste ore anche per l’uccisione in una tenda a Gaza di sei giornalisti tra i quali il corrispondente di Al Jazeera, Anas al-Sharif, che per il Paese ebraico era organico anche militarmente ad Hamas. Le Nazioni Unite, tra i tanti, hanno chiesto una indagine indipendente, e hanno ribadito che i giornalisti non sono un obiettivo.
(da la Stampa)

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D’ORA IN POI, CHI SCRIVE RECENSIONI ONLINE POTRA’ NASCONDERE LA PROPRIA IDENTITA’, MA DOVRÀ DIMOSTRARE DI ESSERE STATO AL LOCALE RECENSITO PUBBLICANDO LA FOTO DELLO SCONTRINO

Agosto 12th, 2025 Riccardo Fucile

UNA NOVITÀ CHE HA FATTO INCAZZARE I PROFESSIONISTI DEL SETTORE: “CHI FA UN APPLAUSO O CRITICA DEVE MOSTRARE LA FACCIA. ANCHE PERCHÉ SI POSSONO SPACCIARE DEGLI SCONTRINI ALTRUI COME PROPRI. STIAMO GIOCANDO COL FUOCO”

Nel mondo dei social, le recensioni spopolano. E possono segnare il successo o gettare in cattiva luce un’osteria, un albergo o un negozio. Le regole ci sono, ma non bastano. Nel prossimo disegno di legge sulle Piccole e medie imprese, un provvedimento annuale che tra gli obiettivi ha anche «la lotta alle false recensioni online», un emendamento (FdI e Lega) ha eliminato la possibilità che il consumatore «dimostri la propria identità».
Adeguamento necessario per allinearsi con la disciplina Ue sul diritto alla Privacy. Il cliente deluso dovrà dimostrare (scontrino alla mano) di esserci stato davvero, ma vedrà tutelato il proprio anonimato. «Il rischio concreto che si sta profilando è che le nuove norme vengano annacquate al punto da scendere anche sotto il livello di protezione attuale — teme Alessandro Nucara,
direttore generale di Federalberghi —. Proprio l’identificabilità è uno dei cardini di una politica sana di gestione del fenomeno».
Secondo Matteo Musacci, vicepresidente della Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) e di Confcommercio, «la responsabilità dell’utente è importante ed è ancora più importante che venga prevista anche quella della piattaforma online». Aggiunge Musacci: «Noi non siamo contro le recensioni, perché anche quelle negative possono aiutare a migliorare il servizio. Siamo contro quelle palesemente false, attacchi personali o a situazioni che non dipendono dall’esercente e che provocano un danno alla struttura».
Anche lo chef stellato Andrea Berton trova «un controsenso che chi scrive non possa essere identificato. Va bene tutelare il diritto alla riservatezza, ma è corretto che chi fa un commento non utilizzi un profilo anonimo».
Dello stesso parere anche il maestro pasticcere Iginio Massari. «Chi fa un applauso o critica deve mostrare la faccia — afferma —. Anche perché si possono spacciare degli scontrini altrui come propri. Stiamo giocando col fuoco. E parlo per esperienza personale: un anno fa ho denunciato una pasticcera di Lucca che sotto un nickname mi aveva dato del delinquente e dell’incapace a lavorare».
Tra le altre novità, presentate da un subemendamento di FdI, una definizione ancora più precisa di recensione lecita. Se non rispettata, potrà essere «impugnata», viene ribadito, dal titolare dell’esercizio per richiederne la rimozione. Le piattaforme, inoltre, non potranno più definirla «verificata». I requisiti: lo
scrivente deve essere una persona fisica, che ha avuto un’esperienza del servizio. Inoltre sarà autentica se corredata da una documentazione fiscale, scontrino o fattura (le modalità sono da specificare). E il termine per pubblicarla resta di 15 giorni (e non 90 come nel primo emendamento).
(da “Corriere della Sera”)

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“L’INCONTRO TRA TRUMP E PUTIN IN ALASKA AVRA’ CONSEGUENZE GEOPOLITICHE PER MOLTI ANNI. LA CINA FARÀ MOLTA ATTENZIONE A QUEL CHE SUCCEDERÀ”

Agosto 12th, 2025 Riccardo Fucile

RICHARD HAASS, CHE HA GUIDATO PER 20 ANNI IL “COUNCIL ON FOREIGN RELATIONS”: “SI PARLA GIÀ DI CONCESSIONI TERRITORIALI. SE ANDRÀ COSÌ, SARÀ UN GRAVE ERRORE PER L’OCCIDENTE. DECADRÀ LA SACRALITÀ DEI CONFINI CHE HA SEGNATO GLI EQUILIBRI DALLA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE A OGGI…L’EUROPA NON HA LA FORZA PER SOSTITUIRSI ALL’AMERICA NEL TUTELARE L’ORDINE CHE CONOSCIAMO. LA VERA BATTAGLIA È FRA CINA E STATI UNITI, SU VARI FRONTI”

Più ci avviciniamo al vertice di Ferragosto tra Donald Trump e Vladimir Putin per chiudere l’aggressione di Mosca contro Kiev, più la posta in gioco sale sul piano storico. In Alaska non si discuterà solo della soluzione possibile per un conflitto regionale che minaccia l’Europa. Sul tavolo c’è una partita molto più grande che potrebbe riaffermare o compromettere quella leadership americana globale, già predisposta a un ridimensionamento.
Richard Haass, protagonista di molte vicende chiave per la politica estera americana ci aiuta a percorrere lo stretto corridoio negoziale per Donald Trump. Haass ha lavorato con quattro presidenti, riscritto la dottrina di politica estera Usa nell’ultima amministrazione Bush, ha guidato per vent’anni il Council on foreign relations.
«Con il vertice Trump-Putin, passeremo dalle parole ai fatti, con conseguenze geopolitiche per molti anni a venire, con implicazioni per il rapporto con la Cina, per il futuro dell’Europa per gli assetti del Medio Oriente. È un vertice storico. Spero ancora che il presidente Trump faccia la cosa giusta»
E cioè?
«Dovrà ottenere un cessate il fuoco immediato e rimandare a un secondo tempo e a un contesto di legalità e non ricattatorio eventuali negoziati territoriali. Invece l’impostazione è bilaterale e si parla già di concessioni territoriali. Se andrà così, l’errore sarà grave per la credibilità della presidenza Trump e per l’Occidente».
Sembra che le concessioni territoriali ci saranno.
«Trump sta ascoltando anche i leader europei, Trump capirà che svendere la fine di un conflitto in nome di una promessa elettorale avrà ricadute drammatiche».
Ad esempio?
«Decadrà formalmente la sacralità dei confini che ha segnato gli equilibri dell’ordine internazionale dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi. Per quella sacralità l’America nel 1991 andò al fronte per restituire la sovranità al Kuwait occupato dall’Iraq. Occorreva riaffermare quel principio, scolpito nella carta dell’Onu in un momento storico delicatissimo: con la fine della Guerra Fredda il rischio di un disordine planetario era altissimo. E il presidente Bush chiarì che colpi di mano o di testa non sarebbero stati tollerati in nessun caso. E rifondò la missione della Nato con la dichiarazione di Roma del 1991. Oggi come allora siamo a un crocevia. E rischiamo di perdere la visione strategica se l’America cederà al ricatto di Mosca».
È la tesi dell’Europa.
«Concordo con la posizione europea che chiede un cessate il fuoco e l’inclusione di Zelensky. L’Europa si fa interprete di
quell’ordine basato sulla legalità dei confini e sul multilateralismo voluto da Washington: le Nazioni Unite, Bretton Woods, la Banca Mondiale e il Fondo monetario, il Gatt e ora la Wto sono i pilastri su cui ha poggiato quell’ordine. Ricorderemo questo periodo come un’età dell’oro: senza conflitti globali, con enormi progressi nella medicina, nella tecnologia, nella lotta alla fame nel mondo e per i diritti civili. Vogliamo cestinarlo?».
Ma Trump, è stato eletto democraticamente con un mandato: cambiare.
«Vero, la democrazia consente innovazioni. Cambiare, adattare, è una cosa. Distruggere è un’altra. Gli imperi o gli equilibri geopolitici nella storia cambiano. In genere i crolli di un ordine costituito avvengono per due ragioni. Per l’arrivo di un rivale, di un nemico potente che scardina quell’ordine. O perché non ci sono più i mezzi o la volontà o la forza per continuare. Con l’arretramento dell’America, con le azioni del presidente Trump su più fronti, anche su quello commerciale, stiamo assistendo allo smantellamento volontario di quell’ordine da parte di chi l’ha architettato e costruito. Un fatto senza precedenti nella storia. E perché?».
Torniamo all’Europa, potrà raccogliere la staffetta per tutelare quei valori di fondo?
«l’Europa oggi non ha la credibilità o la forza — politica, economica e militare — per sostituirsi all’America nel tutelare l’ordine che conosciamo. Oggi la vera battaglia è fra Cina e Stati Uniti su fronti come l’Intelligenza artificiale, le nuove tecnologie
militari. La Cina farà molta attenzione a quel che succederà in Alaska. L’unica possibilità di rimettere ordine dipende dall’America e dal presidente Trump».
(da “Corriere della Sera”)

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TRUMP STA TRASFORMANDO LA CASA BIANCA NELLA PACCHIANA SUCCURSALE DI MAR-A-LAGO: IL PIANO DI RISTRUTTURAZIONE DA 200 MILIONI DI “THE DONALD”, CHE VUOLE TRASFORMARE LA RESIDENZA PRESIDENZIALE

Agosto 12th, 2025 Riccardo Fucile

IL TYCOON HA GIA’ MODIFICATO LO STUDIO OVALE, ARREDANDOLO CON ORRENDE STATUE E MOQUETTE DORATA. IN PROGRAMMA LA COSTRUZIONE DI UN ENORME SALONE DOVE ORGANIZZARE FESTE… IL PRESIDENTE HA NASCOSTO I RITRATTI DEI PREDECESSORI NEGLI ANGOLI PIÙ REMOTI DELLA CASA BIANCA

Dal gigantesco salone delle feste alla riorganizzazione degli spazi interni per nascondere i ritratti dei suoi predeccesori, Donald Trump torna nei panni del magnate dell’immobiliare per lasciare la sua impronta alla Casa Bianca. Un piano di ristruturazione milionario che, secondo gli esperti, rischia di trasformare la sobria residenza presidenziale del 1800 in una succursale del lussuoso resort di Mar-a-Lago tanto che qualcuno l’ha già ribattezzata Mar-a-Washington.
La trumpizzazione di uno degli edifici più iconici al mondo, al 1600 di Pennsylvania Avenue, è iniziata subito dopo il suo insediamento con la ristrutturazione dello Studio Ovale, ricoperto d’oro dal soffitto al pavimento. Dorate le stelle che circondano il sigillo presidenziale, dorate le statue sul camino e sulle mensole.
Il presidente ha anche riempito le pareti di numerosi ritratti, mentre appena fuori dalla stanza ha piazzato la sua famosa foto segnaletica. The Donald ha, inoltre, annunciato che intende sostituire il bagno nella Lincoln Room, la più grande stanza degli ospiti al secondo piano della Casa Bianca, perché antiquato e ristrutturato “in modo terribile” dai suoi predecessori. All’esterno, Trump ha eretto un paio di imponenti pennoni con la bandiera a stelle e strisce, “i più grandi e belli mai visti”, e ha pavimentato una parte del Rose Garden suscitando l’ira degli ambientalisti e l’ironia sui social media.
Ma il suo più grande progetto ad oggi è stato annunciato solo qualche giorno fa: un maxi salone delle feste in grado di ospitare 650 ospiti per gli eventi che fino ad ora erano stati organizzati all’interno di enormi tende nei giardini della Casa Bianca. “Sono
distanti centinaia di metri e quando piove o nevica, è un disastro”, ha detto il commander-in-chief annunciando il piano da 200 milioni di dollari che, ha sottolineato, saranno finanziati direttamente ed esclusivamente da lui.
“Qualsiasi cosa io faccia è finanziata da me”, ha assicurato il tycoon qualche giorno fa durante ‘una passeggiata’ sui tetti della residenza. Quello che ha escluso è un ampliamento dell’angusta Brady Room, la sala stampa. “Non vi voglio far stare comodi”, ha scherzato con i media durante una conferenza stampa super affollata dove non c’erano neanche più posti in piedi e alcuni giornalisti sono stati costretti a seguire l’evento dalla caffetteria. Grandi opere a parte, a casa sua The Donald ama occuparsi anche dei dettagli più piccoli.
Qualche giorno fa, il tycoon ha ordinato di spostare i ritratti di Barack Obama, George W. Bush e del padre George W.H. Bush nascondendoli agli occhi delle migliaia di persone che visitano la Casa Bianca ogni giorno. Quello del democratico, in particolare, sarebbe finito in cima alla scalinata principale, uno dei luoghi più remoti della dimora. Non è la prima volta che il ritratto di Obama viene riposizionato da Trump. Ad aprile, il dipinto era stato spostato dall’altra parte del Grand Foyer della Casa Bianca e sostituito con un quadro raffigurante l’attentato contro il presidente a Butler, in Pennsylvania, un anno fa.
(da agenzie)

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SIAMO ALLE SOLITE: L’EUROPA “ABBAIA”, MA NON “MORDE”, SI CONCLUDE CON UN NULLA DI FATTO LA RIUNIONE DEI MINISTRI DEGLI ESTERI EUROPEI, CHIAMATI A DISCUTERE DEI PIANI DI NETANYAHU DI INVADERE LA STRISCIA

Agosto 12th, 2025 Riccardo Fucile

LE SANZIONI RESTANO UN TABÙ: SERVIREBBE UNANIMITÀ, MA OGNUNO SI VORREBBE MUOVERE IN MODO DIVERSO. PAESI BASSI, FINLANDIA, ROMANIA, UNGHERIA E ITALIA SI OPPONGONO. CHI VORREBBE AGIRE HA IDEE DIVERSE… IL BELGIO PARLA DI SANZIONI GENERICHE, LA GERMANIA DI EMBARGO PARZIALE SULLE ARMI, L’IRLANDA BANDISCE PRODOTTI DAGLI INSEDIAMENTI, LA SPAGNA PUNTA A COLPIRE MINISTRI ISRAELIANI … LA LINEA DELLA MELONI E’ CHIARA: SEGUIRE TRUMP

A Ciampino i C-130 scaldano i motori. Destinazione: Gaza. Trentaquattro bambini da curare arriveranno domani in Italia, novantuno familiari al seguito. Un’operazione pulita, umanitaria. Fortemente voluta dal governo. Eppure, sul fronte politico, a Roma si resta fermi o quasi.
Si aspetta. Washington prima, noi dopo: è la regola non scritta. Così, mentre Benjamin Netanyahu bombarda e affama laStriscia,
l’Italia resta ad esempio nel gruppo dei “no” alla sospensione dell’accordo di associazione tra Bruxelles e Tel Aviv.
«Non bisogna tagliare i ponti con Israele», si ripete nei corridoi del governo, anche dopo che il ministro della Difesa Guido Crosetto si è rivolto a Netanyahu con toni più duri di quelli finora usati da altri esponenti dell’esecutivo. La linea – spiegano ai vertici – «è decisa da Giorgia Meloni e Antonio Tajani» e «non intendono modificarla».
La condanna formale c’è, il linguaggio si è fatto via via più severo, ma di nuove sanzioni a Israele o del riconoscimento della Palestina non se ne parla. Per ora c’è solo la trincea umanitaria, con i piccoli e i loro assistiti che atterreranno domani nella Capitale, a Milano e a Pisa.
Anche di questo parla Meloni con il presidente palestinese Abu Mazen. Fonti vicine ai due leader raccontano che ad alzare il telefono è stato Abu Mazen, volendo ringraziare l’Italia per il ruolo «fondamentale» nel sostegno umanitario e per le posizioni finora assunte. Meloni, dal canto suo, esprime forte preoccupazione per le mosse israeliane, viste come un’ulteriore escalation militare, e ribadisce come la situazione umanitaria a Gaza sia ingiustificabile e inaccettabile.
Dietro le quinte, anche Tajani fa sentire la sua voce chiara nel corso del vertice straordinario dei ministri degli Esteri tenuto in videocollegamento: l’Italia è contraria a qualsiasi piano di occupazione di Gaza e a uno sfollamento di massa dei palestinesi. L’uccisione di giornalisti da parte dell’esercito israeliano ha acceso nuove preoccupazioni. Il rischio reale è che
un’escalation militare possa provocare la morte di migliaia di civili innocenti.
In privato, si insiste sulla necessità di porre fine alla guerra, liberare gli ostaggi e garantire pieno accesso agli aiuti umanitari. Sul piano politico, Tajani è netto: ogni tentativo di annessione di Cisgiordania o Gaza rafforza Hamas e allontana la possibilità di una soluzione a due Stati.
La riunione di ieri conferma profonde spaccature: nessuna decisione concreta, nessuna sanzione, solo la solita condanna a Netanyahu per l’operato contro Hamas. La Francia ha provato a scuotere le acque con la proposta di un protettorato Onu sui territori palestinesi. Macron teme che un’occupazione di Gaza scateni un conflitto permanente. Dietro questa idea si sono schierati Paesi come Spagna, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Portogallo e Slovenia, che hanno rivendicato una soluzione a due Stati con riconoscimento del palestinese.
Ma le sanzioni restano un tabù: servirebbe unanimità, che manca. Paesi Bassi, Finlandia, Romania, Ungheria e Italia si oppongono. Chi vorrebbe agire ha idee diverse: il Belgio parla di sanzioni generiche, la Germania di embargo parziale sulle armi, l’Irlanda bandisce prodotti dagli insediamenti, la Spagna punta a colpire ministri israeliani.
Stefan Löfven, ex premier svedese e leader socialista europeo, ad esempio, chiede di sospendere l’accordo Ue-Israele, ma viene ignorato. La leva più concreta resta il riconoscimento dello Stato palestinese: il Portogallo annuncerà a settembre la sua decisione all’Onu, diventando il 13° paese Ue a farlo, segno evidente della frattura europea. In questo quadro di incertezza, Roma tiene la barra ferma su un doppio binario: umanità e diplomazia. Ma dietro le quinte, la partita è tutt’altro che chiusa.
(da agenzie)

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80 EURO AL GIORNO PER UNA SEDIA A ROTELLE, LO SFOGO DI UNA TURISTA AMERICANA IN PUGLIA: L’INCIDENTE IN VACANZA E LA “TRAPPOLA”

Agosto 12th, 2025 Riccardo Fucile

L’ENNESIMA FIGURA DI MERDA CHE FINIRA’ SUI MEDIA INTERNAZIONALI: “UNA TRAPPOLA PER TURISTI, IN ITALIA C’E’ SCARSA UMANITA’”

Angela Myers, 27 anni, informatica texana in vacanza con gli amici tra la Valle d’Itria e la costa di Fasano, non dimenticherà facilmente l’esperienza in Puglia.
Dopo un incidente in moto nei pressi di Savelletri, si è ritrovata con una gamba fratturata e l’impossibilità di muoversi. Dimessa dal pronto soccorso di Monopoli con il divieto di camminare, ha cercato una sedia a rotelle a noleggio.
In un centro specializzato di Fasano le hanno chiesto 350 euro di caparra e 80 euro al giorno, solo in contanti. «Pensavamo fosse un malinteso», racconta a Repubblica. «All’inizio ho creduto si trattasse di una cauzione restituibile. Poi ho capito che era solo l’inizio: ogni giorno avremmo dovuto pagare altri 80 euro». Nessun contratto, nessuna ricevuta: «Solo la richiesta di cash immediato. A quel punto abbiamo ringraziato e siamo andati via».
Una carrozzina a 80 euro al giorno? «Una trappola per turisti»
Il gruppo, ospite in una masseria vicino Savelletri, ha trovato una carrozzina tramite contatti a Bari. Ma il fastidio resta. «Ci è sembrata una trappola per turisti, ma anche qualcosa di peggio: cinismo, scarsa umanità, una forma molto sottile di abuso».
«La Puglia è meravigliosa e siamo stati trattati bene quasi ovunque. Ma certo non si può dire che il turista venga visto sempre allo stesso modo. Non siamo dei riempitori di tasche altrui».
(da agenzie)

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