Settembre 23rd, 2025 Riccardo Fucile
NEGATA AL PARLAMENTARE BONELLI L’ACQUISIZIONE DI INFORMAZIONI SUGLI ATTI CHE DENUNCIA: “I CITTADINI HANNO DIRITTO DI SAPERE COME VENGONO SPESI I SOLDI”
Ben due richieste di chiarimento sono arrivate da parte dell’Ue al governo italiano, su due
aspetti fondamentali che riguardano la progettazione del Ponte sullo Stretto: una è inerente all’impatto ambientale dell’opera, l’altra si concentra sulla normativa relativa ad appalti e contratti.
Oggi intanto l’ad di Stretto di Messina Pietro Ciucci ha risposto a una richiesta di acquisizione di documenti, avanzata dal parlamentare Angelo Bonelli. Il deputato di Avs, proprio per la sua funzione di parlamentare, chiedeva di conoscere il contenuto e i dettagli dell’Atto Aggiuntivo al Contratto originario tra la Concessionaria Stretto di Messina S.p.A. e il Contraente Generale Eurolink, guidato da Webuild, che sarà efficace a partire dalla pubblicazione della delibera Cipess in Gazzetta Ufficiale, non ancora avvenuta. Da quanto è emerso, il contratto prevede penali sia per la parte pubblica che per quella privata, nel caso in cui si venisse meno all’impegno di realizzare l’opera: il consorzio Eurolink dovrà pagare un milione di euro per ogni
giorno di ritardo e versare una cauzione di 650 milioni.
Bonelli dopo la firma dell’atto aggiuntivo al contratto originario tra la concessionaria Stretto di Messina (Stazione appaltante) e il contraente generale, aveva già osservato l’irritualità delle tempistiche: “Firmare un contratto, che impegna lo stato oltre 13,5 miliardi prima della pubblicazione in Gazzetta ufficiale e prima del parere della Corte dei conti è un atto di non rispetto delle istituzioni che sono chiamate a dare un parere”.
Nella sua lettera a Ciucci Bonelli chiedeva di acquisire copia dell’atto aggiuntivo “per le esigenze istituzionali legate alla funzione di parlamentare, che comporta l’acquisizione di ogni elemento informativo su materie di pubblico interesse”.
Oggi è arrivata la mail di risposta di Ciucci, che ha negato al deputato le informazioni richieste, spiegando che “la qualità di Parlamentare non attribuisce di per sé una posizione legittimante l’accesso ai documenti amministrativi”. Anche nel caso in esame, prosegue Ciucci, “l’istanza da Lei presentata appare difettare sia della prospettazione di un interesse personale, diretto e concreto legittimante l’accesso, sia della motivazione circa il nesso di strumentalità tra la documentazione richiesta e l’interesse sotteso alla domanda, come richiesto dalla disciplina generale in materia di accesso agli atti”.
Nella lettera, che Fanpage.it ha visionato, l’ad aggiunge anche che il Contraente Generale Eurolink, a cui è stata trasmessa la richiesta del parlamentare in qualità di controinteressato, “con
nota del 12 settembre 2025 ha formulato formale opposizione all’ostensione degli atti richiesti ritenendo, tra l’altro, che la stessa pregiudicherebbe i propri interessi economici e commerciali”.
“Oggi la società Stretto di Messina mi ha comunicato l’ennesimo diniego all’accesso agli atti relativi al contratto e all’atto aggiuntivo con Webuild”, ha scritto Bonelli in una nota. “È inaccettabile che un’opera pubblica del costo di 13,5 miliardi di euro, interamente finanziata dallo Stato, sia avvolta da un livello di segretezza deciso, di fatto, dalla parte privata per ‘pregiudizio ai propri interessi’. La società arriva perfino a sostenere che la qualifica di parlamentare non legittimi l’accesso a documenti amministrativi: una tesi grave e pericolosa per la democrazia e per il controllo pubblico. Chiedo al Governo e al Cipess la pubblicazione integrale di contratti, atti aggiuntivi, relazioni tecniche e cronoprogrammi, oltre ai pareri richiamati dal D.L. 35/2023. Su un’opera che impegna risorse pubbliche non possono esistere zone d’ombra: i cittadini hanno diritto di sapere come vengono spesi i soldi e quali obblighi vincolano lo Stato. Continuerò a esercitare ogni prerogativa parlamentare e adire tutte le sedi competenti per garantire trasparenza, legalità e responsabilità”.
I dubbi e le domande dell’Ue al governo Meloni sul progetto del Ponte sullo Strett
Non conosciamo nei dettagli il contenuto delle lettere che l’Ue ha inviato al governo, visto che si tratta di documenti riservati, ma sappiamo che la prima richiesta di chiarimenti si collega al fatto che a novembre 2024 la commissione Via-Vas aveva dato una Valutazione d’Incidenza Ambientale (VINCA) negativa su alcune aree vincolate. Ora Bruxelles dice che sono state individuate “aree su cui sono necessari chiarimenti, nonché ulteriori misure che dovrebbero aiutare le autorità italiane” a colmare eventuali “carenze” prima di avviare i lavori. Il contenuto della lettera, che è stata recapitata venerdì al ministero dell’Ambiente, è stato riportato da Bloomberg.
Sappiamo che in presenza di una VINCA negativa, come vi abbiamo spiegato in questo articolo – anche se nel frattempo il governo ha proposto delle opere di mitigazione, che sono state approvate a maggio dalla commissione Via-Vas – servirebbe comunque un ulteriore parere da parte della Commissione europea, per andare avanti. Ed è proprio per superare quest’eventuale ostacolo che il governo ha approvato il ‘report IROPI’ (acronimo di “Motivi Imperativi di Interesse Pubblico Prevalente”, ndr), cioè l’attestazione dei motivi imperativi di rilevante interesse pubblico dell’opera, un modo per velocizzare l’approvazione del progetto da parte del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e Sociale (Cipess), che poi effettivamente è arrivata quest’estate: di fatto con il report IROPI sarebbe possibile procedere in deroga ai vincoli ambientali, nonostante la Valutazione di Incidenza Ambientale, visto che il governo considera il Ponte un’opera importante infrastruttura con finalità militari. E a questo proposito è stato lo stesso governo a richiamare esplicitamente anche il piano dell’Unione europea Military Mobility, al cui interno rientrerebbe appunto l’infrastruttura che collegherebbe la Sicilia con la Calabria.
Oltre alla lettera con la richiesta di chiarimenti sull’impatto ambientale, il parlamentare di Avs Angelo Bonelli sabato ha fatto sapere di aver ricevuto a sua volta un’altra lettera dell’Ue, cinque giorni prima, da parte del vicepresidente della Commissione Stéphane Séjourné, in risposta a un suo esposto-segnalazione, che recava una richiesta di verifica di un’eventuale sussistenza di violazione delle regole comunitarie in materia di concorrenza, corretto funzionamento del mercato interno dell’Ue delle procedure di gara per l’assegnazione di lavori pubblici.
Nella lettera il vicepresidente della Commissione Séjourné ha informato Bonelli del fatto che Bruxelles ha chiesto chiarimenti a Roma anche sulla normativa relativa ad appalti e contratti. La violazione delle norme europee riguarderebbe appunto la procedura di gara: il primo nodo è l’importo della gara, che è aumentato, quando, con la legge n. 58/2023, il governo Meloni ha riavviato l’iter finalizzato alla realizzazione dell’opera, riattivando il vecchio progetto, senza lanciare una nuova gara d’appalto, riprendendo il contratto firmato il 27 marzo 2006 tra SdM ed Eurolink: il costo del contratto originario ha subito però un incremento superiore al 300%, passando da 3,9 a oltre 13,5 miliardi; e poi è cambiato anche l’oggetto del bando di gara, si è passati da un project financing a un normale contratto di appalto, e questo violerebbe le regole della concorrenza
Cosa succede dopo la richiesta di chiarimenti da parte dell’Unione europea al governo sul Ponte
Cosa succede adesso dopo questa richiesta di chiarimenti da parte dell’Ue? È presto per dirlo, perché potrebbe bastare anche una semplice risposta da parte dell’esecutivo di Giorgia Meloni a Bruxelles. A quel punto l’apertura dei cantieri potrebbe avvicinarsi, e Salvini ha indicato una nuova data di partenza a ottobre, dopo l’ok da parte della Corte dei Conti.
Oppure la Commissione Ue potrebbe valutare insufficienti le spiegazioni fornite da Roma, e ritenere essenziale esprimersi con un parere sul progetto. Questo secondo scenario comporterebbe sicuramente un prolungamento dei tempi (per un parere potrebbero passare anche 5 mesi), e comunque questo farebbe decadere la delibera del Cipess, approvata nonostante ci fossero dei vincoli ambientali europei (con una forzatura evidente delle norme da parte del governo).
Per il momento l’ad di Stretto di Messina Spa, Pietro Ciucci, ha minimizzato la richiesta di approfondimenti, derubricando tutto a normale dialettica tra lo Stato italiano e l’Unione europea. Ciucci ha inoltre ricordato che “la Commissione Tecnica di Valutazione dell’Impatto Ambientale del Mase “ha espresso parere
favorevole con prescrizioni che saranno ottemperate in sede di redazione del progetto esecutivo prima dell’apertura dei cantieri del ponte”.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 23rd, 2025 Riccardo Fucile
SECONDO IL SONDAGGIO DI TERMOMETRO POLITICO LA FORBICE CON TRIDICO SI E’ RIDOTTA A 5-6 PUNTI
Nella tornata elettorale che porterà ben sette Regioni al voto in autunno, la Calabria è tra le prime: le elezioni si svolgeranno domenica 5 e lunedì ottobre, tra meno di due settimane. I candidati sono tre, e il favorito sembrerebbe essere Roberto Occhiuto, presidente uscente di centrodestra. Poco dietro si piazza Pasquale Tridico, ex presidente dell’Inps, eurodeputato con il Movimento 5 stelle e candidato del centrosinistra. Infine, Francesco Toscano di Democrazia sovrana popolare.
Il sondaggio politico pubblicato da Termometro politico pochi
giorni fa è l’ultimo che è stato possibile realizzare: negli ultimi quindici giorni prima del voto non si possono pubblicare nuove rilevazioni per non influenzare gli elettori. Il dato, perciò, è particolarmente rilevante. Se le opinioni degli elettori cambieranno nelle prossime settimane, lo si scoprirà solamente alle urne.
A guidare la classifica è Roberto Occhiuto, che nella stima dovrebbe ottenere tra il 48% e il 54% dei voti. È un margine ampio, ma si può immaginare che il risultato più probabile sia attorno al 51%, a metà dell’intervallo. E in ogni caso, nonostante si tratti di uno ‘spazio di incertezza’ di sei punti, il distacco degli avversari resta piuttosto marcato.
Pasquale Tridico, infatti, otterrebbe oggi tra il 42,5% e il 48,5%. Facendo la stessa media, si può pensare che si arrivi attorno al 45-46%. Sarebbe una distanza di cinque o sei punti da Occhiuto. Infine, Francesco Toscano dovrebbe piazzarsi tra il 2% e il 5%.
Se il candidato di centrodestra facesse il suo miglior risultato possibile (sempre stando al sondaggio), e Tridico il peggiore, il risultato sarebbe un vantaggio di quasi dodici punti per il primo. Al contrario, se il presidente uscente dovesse arrivare appena al 48% (la parte bassa del margine di errore) e l’eurodeputato del M5s ottenesse il massimo dei voti ipotizzati, quest’ultimo vincerebbe di mezzo punto.
Al di là delle ipotesi, come detto, la cosa più realistica con un risultato simile è che il distacco si aggiri attorno ai cinque-sei
punti. Va detto che nei sondaggi pubblicati a metà settembre la distanza tra Occhiuto e Tridico era tra gli otto e i nove punti, mentre una prima proiezione fatta alla fine di agosto (quando il candidato del centrosinistra era stato confermato da pochi giorni, però) piazzava addirittura il presidente in carica al 60% e l’ex presidente Inps al 37%.
Non sappiamo con certezza se ci sia stato un assottigliamento delle distanze negli ultimi giorni, se continuerà nelle prossime due settimane, ed eventualmente a che ritmo. Il dato di fatto è che, stando agli ultimi dati disponibili, il presidente uscente parte favorito. Resta da vedere se il risultato sarà confermato alle urne.
Come detto, la Calabria sarà tra le prime Regioni a votare: la anticiperanno solo Valle D’Aosta e Marche, dove i cittadini andranno al voto già questo fine settimana. Nelle Marche , il margine di vantaggio del presidente uscente di centrodestra Acquaroli è anche più ridotto contro il candidato del centrosinistra Ricci. Il campo largo potrebbe sperare che u’eventuale vittoria ‘aiuti’ anche nelle regionali successive, ma ogni elezione fa storia a sé.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 23rd, 2025 Riccardo Fucile
“MI VERGOGNO, APPARTENGO ANCH’IO A QUELL’OCCIDENTE CHE NON HA FATTO NULLA E NON FA ANCORA NULLA DI INCISIVO PER FERMARE QUESTO STERMINIO”
Raffaela Baiocchi, ginecologa di Emergency rientrata poche settimane fa dalla Striscia di
Gaza, racconta il genocidio dei palestinesi, i bombardamenti, la fame e la carenza di farmaci per curare i feriti. Infine confessa: “Mi vergogno. Appartengo anche io a quell’Occidente che non ha fatto nulla, e non fa ancora nulla per fermare lo sterminio”.
“Per un periodo non c’erano neanche gli antidolorifici. E allora non c’era molto da fare. Quando possibile, abbiamo fatto ricorso a creatività e alla fortuna per trovare delle soluzioni decenti contro il dolore. Ma il più delle volte ai pazienti potevamo dare solo una pacca sulla spalla, e invitarli ad avere pazienza”. È con queste parole che la dottoressa Raffaela Baiocchi, ginecologa di Emergency rientrata poche settimane fa dalla Striscia di Gaza, descrive una delle sfide più drammatiche del lavoro medico in zona di guerra: curare senza farmaci, perché bloccati da Israele insieme agli altri aiuti umanitari, nella cinica strategia di stremare la popolazione palestinese non solo con bombe e missili, ma anche con fame e malattie.
Raffaela Baiocchi ha trascorso mesi nella clinica che l’organizzazione umanitaria italiana fondata da Gino Strada e Teresa Sarti gestisce nell’area di Khan Younis, il governatorato centrale della Striscia. Da lì ha assistito al progressivo deteriorarsi della situazione sanitaria e alimentare di una popolazione sotto assedio da ormai quasi due anni. La sua testimonianza – che abbiamo raccolto a San Benedetto del Tronto in un’iniziativa organizzata da Piceno per la Palestina – offre uno spaccato crudo di quella che definisce “una catena infinita” di sofferenza.
Farmaci razionati e “creatività” forzat
La carenza di farmaci essenziali ha trasformato la pratica medica in un esercizio di equilibrismo e creatività, con necessità cliniche inderogabili che devono fare i conti con le poche risorse disponibili. “Sono circa due mesi che non ci sono più farmaci per la tiroide a Gaza. Stiamo parlando di medicinali che normalmente sono facili da trovare ovunque. Ma lì sono finiti”. Racconta la ginecologa che scarseggiano anche i farmaci per le convulsioni, così come garze e materiale per le medicazioni di ferite e traumi. In questo quadro, i medici sono costretti ad arrangiarsi: “Gli antibiotici – spiega ancora – sono stati i primi a finire. E lì ci si mette a studiare, a capire, perché un farmaco non vale l’altro. Si cerca di individuare quali possano essere le equivalenze, cosa si può dare, e ci si chiama in continuazione tra colleghi per cercare una soluzione”. Anche antidolorifici e antinfiammatori nei mesi scorsi sono stati carenti, così le sofferenze di feriti e malati si sono inutilmente acuite. “Ora ne abbiamo a sufficienza, ma siamo costretti a usarli con raziocinio”.
Ferite sempre più complesse
Il tipo di lesioni che i medici si trovano a curare riflette la particolare natura di questo conflitto, in cui i morti e feriti sono in larghissima parte tra la popolazione civile palestinese, vittime per lo più di esplosioni e crolli di edifici. Ma non sono solo i traumi da guerra a preoccupare i dottori. Le condizioni di vita precarie hanno moltiplicato tipologie di lesioni prima inimmaginabili: “Vediamo di tutto; anche persone che a causa di
questi traumi sono immobilizzate e quindi hanno enormi piaghe da decubito. Se qualcuno ha un anziano in casa in Italia e vede delle macchie rosse subito corre ai ripari. A Gaza invece non c’è niente da fare: parliamo di buchi in cui si vedono le ossa, anche nei bambini”.
Le ustioni rappresentano un’altra emergenza quotidiana. “Abbiamo una quantità di ustioni incredibile perché nella Striscia non si vive più in case normali; si sta in tende sovraffollate. Basta che ti muovi e puoi bruciarti con una pentola, riportare lesioni da contatto. Oppure possono caderti addosso acqua e olio bollenti. Oppure ti scotti perché non c’è più combustibile, quindi fondi delle bottiglie di plastica racimolate qua e là”. Un episodio emblematico delle condizioni disperate di vita a cui sono sottoposti i gazawi: “L’unico furto che abbiamo avuto nella nostra clinica è stato il gel, quello per disinfettare le mani. Abbiamo detto: ‘Che strano furto!’ E una persona del nostro staff ci ha spiegato: ‘Eh, ma con quello si accende il fuoco’”.
Lesioni e traumi che non guariscono a causa della fame
Le condizioni igieniche precarie aggravano ogni tipo di lesione. E come se non bastasse, la carenza di cibo peggiora il tutto. “Se non mangi o mangi male, anche una ferita banale impiega una vita a guarire. Molte persone vivono in tende di fortuna sulla spiaggia di Gaza, e le loro ferite sono costantemente a contatto con la sabbia. Così non guariscono mai, si infettano, e il giron infernale ogni volta ricomincia da capo”.
La mancanza di materiali sanitari di base costringe a improvvisazioni che in contesti normali sarebbero impensabili. Persino le grandi organizzazioni internazionali sono in difficoltà: “Emergency in Italia è molto famosa, ma a livello internazionale siamo una realtà di medie dimensioni. Ci sono organizzazioni enormi che sono venute a bussare ai nostri magazzini, perché avevano finito le riserve di alcuni farmaci o di altro materiale indispensabile”.
I divieti imposti da Israele: niente ossigeno e pali per le tende
Tra gli aspetti più kafkiani del lavoro umanitario a Gaza, Raffaela Baiocchi racconta i divieti – imposti da Israele – che impediscono l’ingresso di materiali assolutamente innocui ma spacciati per potenziali armi. “Quando sono arrivata ho scoperto che l’idea iniziale di Emergency a Gaza era quella di realizzare una struttura mobile da campo. Perché non si è fatta? Perché le tende non possono entrare. E perché le tende non possono entrare? Perché non possono entrare i pali di metallo. Questi oggetti sono nella lista israeliana del ‘dual use’, cioè delle cose che potrebbero essere usate non solo per lo scopo che tu dichiari – come costruire un ospedale – ma anche per finalità belliche”. Vale anche per l’ossigeno, gas indispensabile in ambito sanitario, ma che teoricamente potrebbe essere impiegato anche come esplosivo. “E questo – aggiunge la dottoressa – farebbe quasi ridere, se non fosse un dramma”
La fame anche sui volti dei medici
Oltre alle ferite e alle malattie, i medici di Gaza devono confrontarsi con un nemico ancora più subdolo: la malnutrizione. “Io la fame l’ho vista anche sulle facce e sui corpi delle persone che lavorano con me, perché li ho visti a mesi di distanza. Ho notato che hanno perso molti chili”, afferma la dottoressa. La malnutrizione colpisce però soprattutto i gruppi vulnerabili presenti nella Striscia: “Si parla dei bambini perché togliere a loro alimenti significa comprometterne lo sviluppo, non solo il mantenimento in salute, ma proprio lo sviluppo cerebrale, fisico, lo sviluppo in altezza e quello muscolare”. Oltre a loro ci sono “gli anziani, i disabili, le donne incinte: stanno aumentando tutte le complicanze legate alla malnutrizione, all’anemia e allo stress in gravidanza. Il latte materno è la sostanza più nutriente del mondo, però se non mangi abbastanza, se non ti idrati abbastanza, quel latte scarseggia”.
Feriti per un pezzo di pane
In questo quadro catastrofico la ricerca disperata di un po’ di cibo spinge le persone a rischiare la vita. D’altro canto quando non mangi da giorni e vedi precipitare un sacco di farina gli corri incontro, senza pensare che potrebbe essere caduto in un’area molto pericolosa, piena di esplosivi o cecchini. “Abbiamo visto che anche parenti dei nostri dipendenti – che già hanno un lavoro, quindi hanno un minimo potere d’acquisto – sono spesso finiti al pronto soccorso con colpi d’arma da fuoco: erano andati
nei centri di distribuzione di cibo gestiti da Israele o sulle rotte dei camion che portano i fantomatici aiuti. Ma anziché cibo, hanno rimediato pallottole”.
Come è noto, infatti, i centri di distribuzione degli aiuti alimentari sono diventati zone di guerra: “Ricordo una signora venuta in ospedale con una ferita lungo tutto l’addome. Le ho chiesto: ‘Come ti sei fatta questo?’. ‘Stavo cercando del cibo con le mie buste, ma c’era un cecchino israeliano e mi ha colpita‘”.
“Il tonno? Neanche i gatti lo mangiano”
Quando gli aiuti riescono ad arrivare spesso sono di qualità scadente o totalmente inadeguati. Emblematico un aneddoto raccontato dalla ginecologa. “A maggio, quando era cominciato a entrare qualche aiuto, un giorno vediamo delle scatole di tonno. Una nostra collega palestinese che cucina per un gruppo di gazawi ci dice: ‘Finalmente riceviamo delle proteine’. Aprono questo tonno, lo mettono insieme a dei pomodori. Lo assaggiano, ma è immangiabile’. Si sforzano ancora un po’, ma nonostante la fame non ne possono più e lo danno al gatto”. Come è finita? “Il micio ha mangiato solo i pomodori. Neanche lui ha voluto quel tonno, che forse era scaduto dopo essere rimasto per mesi in un camion abbandonato al sole”.
Il peso della gratitudine
Per i medici occidentali che lavorano a Gaza, c’è anche il peso emotivo della gratitudine espressa quotidianamente dai pazienti. “Io soffro moltissimo la loro gratitudine; le persone di una certa
età, sia uomini che donne, cercano di baciarci la mano. Io mi ritraggo, e loro spesso ci rimangono male, ma faccio una gran fatica ad accettare i loro ‘grazie'”. Perché? “Mi vergogno. Appartengo anche io a quell’Occidente che non ha fatto nulla, e non fa ancora nulla di incisivo, per fermare questo sterminio”.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 23rd, 2025 Riccardo Fucile
SIAMO IN ASSENZA DI AZIONI CONCRETE CHE NE PERMETTANO L’ESISTENZA
Gran Bretagna, Francia, Canada, Australia e Portogallo hanno annunciato ufficialmente il riconoscimento dello stato palestinese alla vigilia dell’Ottantesima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite in corso a New York.
“Oggi, per rivitalizzare la speranza di pace per palestinesi e israeliani, e la soluzione dei due stati, la Gran Bretagna riconosce formalmente lo stato palestinese”, ha scritto su X il premier inglese, Keir Starmer.
Questa dichiarazione storica, sebbene tardiva, è una buona notizia per chi difende il diritto dei palestinesi ad avere un proprio stato. Purtroppo, però questo non significa che il passo fatto da questi paesi, che si sono uniti agli altri paesi membri delle Nazioni Unite che già riconoscono la Palestina, fermerà il genocidio in corso a Gaza.
Una dichiarazione simbolica?
Perché esista uno stato è necessario che ci sia un popolo, un territorio e la sovranità delle leggi. Dei tre criteri per poter parlare di stato, quello che manca sempre di più alla Palestina è il territorio. Questo avviene per la continua erosione della Palestina storica per opera di Israele in seguito alla Nakba (catastrofe) che nel 1948 portò alla nascita di Israele.
Da quel momento in poi la possibilità che nascesse uno stato palestinese al fianco di Israele, dando vita alla cosìddetta soluzione dei due stati, è stata costantemente minata dall’assedio della Striscia di Gaza, dalla politica degli insediamenti in Cisgiordania, dagli espropri a Gerusalemme Est. In altre parole, le autorità israeliane non vogliono che ci sia un territorio che possa essere chiamato Palestina.
E così per ottenere il loro scopo hanno tre strumenti che fin qui nessun paese al mondo ha impedito che vengano messi in pratica in Palestina: il genocidio dei palestinesi, la pulizia etnica di chi si rifiuta di lasciare la propria terra e l’apartheid di chi rimane ed è costretto a vivere in veri e propri campi di concentramento.
Il riconoscimento dello stato di Palestina: un momento storico ma arrivato molto tardi
Il riconoscimento della Palestina è un passo molto importante per affermare il diritto inalienabile dei palestinesi ad avere un loro stato, ma questa decisione è arrivata davvero con grande ritardo. “È un momento storico per il nostro diritto all’autodeterminazione”, è stata la reazione di alcuni ministri dell’Autorità nazionale palestinese.
Era il 1917 quando il governo britannico ha annunciato con il documento più breve della storia, la Dichiarazione Balfour, il suo sostegno per la formazione di un futuro stato di Israele in Palestina. E così, solo dopo 108 anni, è arrivato il riconoscimento da parte inglese dello stato palestinese. Come ha sostenuto Chris Doyle, direttore del Council for Arab-British Understanding, la realtà è che “il riconoscimento non fermerà le bombe, la carestia, il genocidio e l’apartheid”.
Ancora più dure sono state le parole di Hannah Bond, ceo di ActionAid Uk. “È una vergogna che non sia stato fatto prima e che il riconoscimento della Palestina sia stato usato come pedina di scambio per negoziare con le autorità israeliane”.
Lo scorso mese, il governo britannico ha pubblicato un Memorandum of Understanding con l’Autorità nazionale palestinese in cui si è impegnata a lavorare per la soluzione dei due stati, secondo i confini del 1967, per la formazione di uno stato palestinese indipendente e a “non riconoscere i territori palestinesi occupati da Israele, inclusa Gerusalemme Est”.
D’altra parte, le autorità inglesi hanno chiesto anche il disarmo di Hamas e hanno sospeso 30 delle loro 250 licenze per la vendita di armi a Israele anche se continuano a fornire all’Idf i potenti jet F-35.
Dal canto suo, il presidente francese, Emmanuel Macron, ha fatto sapere che la decisione segna “l’inizio di un processo politico e di un piano di sicurezza per tutti”. Parigi ha anche assicurato che non sarà aperta un’ambasciata francese in Palestina prima del rilascio di tutti gli ostaggi israeliani (48) in mano ad Hamas dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023.
Uno stato che non c’è
Il solo fatto di riconoscere uno stato, sebbene costantemente sotto assedio e cancellato dalle carte geografiche per mano dell’esercito israeliano, è di per sé una buona notizia. Sancisce il diritto all’esistenza per il popolo palestinese in un territorio che si spera sia il più vicino possibile ai confini definiti dalle Nazioni Unite nel 1948 o nel 1967.
E così Israele non ha potuto fare altro che tuonare contro l’iniziativa inglese, e francese, minacciando l’annessione dell’82% del territorio della Cisgiordania, dove già vive una buona fetta di coloni israeliani, mentre gli insediamenti continuano ad espandersi nel costante tentativo di prevaricazione demografica da parte degli israeliani che hanno relegato anche
gli arabi israeliani ad essere solo una minoranza politicamente irrilevante in Israele.
Non solo, a chiarire che nei progetti del governo israeliano non c’è alcuno spazio per la soluzione dei due stati, sono arrivate le parole di Netanyahu. Il premier israeliano ha detto che “non ci sarà mai uno stato palestinese” definendo il riconoscimento della Palestina come un regalo ad Hamas. Mentre il ministro radicale, Bezalel Smotrich, ha aggiunto che queste iniziative rappresentato la “pietra tombale” per i piani di costituire uno stato palestinese.
Gli Stati Uniti si accodano a Israele, come sempre
Neppure gli Stati Uniti, che nei giorni scorsi per la sesta volta hanno posto il veto alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che chiedeva un cessate il fuoco immediato a Gaza, hanno mai nascosto il loro disaccordo per l’iniziativa del riconoscimento dello stato palestinese, come sottolineato nella recente visita di Trump a Londra.
Come se non bastasse, gli Usa hanno pianificato la vendita di armi per 6 miliardi di dollari a Israele, inclusi elicotteri Apache e veicoli di assalto per la fanteria. Non solo, Washington si è accodata all’Idf nell’attacco alle infrastrutture militari e nucleari nella guerra dei 12 giorni contro l’Iran, dimostrando sempre di più che è Tel Aviv a dettare l’agenda di Trump in Medio Oriente.
Per i ministri radicali del governo Netanyahu, come Itamar Ben-Gvir, la decisione di Francia e Gran Bretagna richiede “contromisure immediate” con l’acquisizione da parte di Israele
della “sovranità su Giudea e Samaria”.
Anche se questo piano radicale non dovesse essere approvato, nonostante gli Stati Uniti abbiano dimostrato fin qui di non porre nessun freno alle politiche genocidiarie israeliane e di aver reagito negativamente soltanto agli attacchi di Idf che hanno azzerato i negoziati di pace in Qatar, Netanyahu potrebbe comunque dichiarare l’annessione unilaterale di parte della Cisgiordania nel suo discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
La strada delle sanzioni
E così il riconoscimento della Palestina sarebbe significativo solo se favorisse nuove sanzioni contro Israele per la guerra a Gaza, che puntino a colpire anche i ministri più oltranzisti con i loro discorsi di odio verso i palestinesi e le provocazioni continue che mettono in atto per alimentare le violenze nei territori occupati.
Queste misure dovrebbero portare all’isolamento commerciale di Tel Aviv e alla fine delle forniture di armi spingendo le autorità israeliane a voltare pagina e chiudere la stagione del conflitto nella Striscia.
Dopo la decisione annunciata domenica, anche l’Unione europea dovrebbe approvare nuove sanzioni contro Tel Aviv. Fin qui i provvedimenti adottati da Bruxelles sono sembrati davvero timidi e poco efficaci con paesi come l’Italia contrari, non solo al riconoscimento della Palestina, ma anche a premere il pedale sull’acceleratore per approvare misure sanzionatorie che mirino a fermare il genocidio a Gaza.
La Palestina vista dal mondo arabo
Una reazione dura da parte israeliana al riconoscimento della Palestina provocherebbe anche i paesi arabi vicini, impegnati a limitare i danni delle deportazioni forzate di palestinesi da Gaza. Forse oltre 400mila persone hanno lasciato la Striscia mentre è in corso l’operazione di terra di Idf a Gaza City che sta devastando quello che rimane della principale città dell’enclave.
Per esempio, gli Emirati Arabi Uniti hanno definito qualsiasi ulteriore annessione di territorio in Cisgiordania una “linea rossa” per le relazioni diplomatiche con Israele dopo il riconoscimento formale, insieme al Bahrain, avvenuto dopo le storiche decisioni negli ultimi decenni di allacciare rapporti diplomatici con Tel Aviv da parte di Egitto, Marocco e Giordania.
Proprio il Cairo è tra i paesi più preoccupati per le deportazioni dei palestinesi. E così la tensione è alle stelle nel Sinai mentre aumenta il dispiegamento dei militari egiziani nella regione di confine. E questo ha accresciuto le preoccupazioni di Idf che ha chiesto agli Stati Uniti di intervenire contro presunte violazioni del Trattato di pace del 1979 con il Cairo mentre l’esercito israeliano ha chiesto di fermare immediatamente la guerra a Gaza.
Un tribunale per denunciare le violazioni del diritto internazionale umanitario a Gaza
Se in Italia, la decisione dei governi inglese, canadese, australiano e portoghese appare un passo decisivo per il futuro del conflitto, a Londra l’iniziativa di Starmer sembra ancora
troppo poco. E così l’ex leader labourista Jeremy Corbyn ha guidato l’iniziativa di un Tribunale per Gaza per denunciare le violazioni del diritto internazionale umanitario a Gaza a cui partecipa il governo britannico ignorando i suoi obblighi legali per impedire che il genocidio a Gaza continui.
Dopo aver ascoltato le testimonianze di 29 esperti, Corbyn riferirà al ministro degli Esteri britannico per spiegare che Londra ha fatto troppo poco per denunciare le gravi responsabilità israeliane favorendo Tel Aviv con la condivisione di informazioni di intelligence, continuando a importare prodotti da Israele, e ancora, non chiedendo la verità sull’uccisione dell’operatore britannico, James Henderson, dell’inglese World Central Kitchen, il primo aprile 2024 per mano di un attacco di Idf.
Il riconoscimento dello stato palestinese da parte di Francia e Gran Bretagna, insieme ad altri paesi, mentre altri membri delle Nazioni Unite, come Italia e Germania, continuano a rimandare una decisione così significativa, è una buona notizia per l’infinito conflitto israelo-palestinese ma arriva troppo tardi.
Appare agli occhi di molti osservatori come un tentativo di lavarsi le mani, a costo zero, da parte di governi che sono complici o attori diretti nel genocidio israeliano a Gaza con i suoi 65mila morti. E così l’iniziativa, sebbene positiva, non spingerà Israele a fermare il genocidio mentre sta già radicalizzando ancora di più le posizioni dei politici ultraconservatori a Tel Aviv. Questo dimostra una volta di più che Israele ha sempre ostacolato la formazione di uno stato
palestinese rendendo vani i riferimenti alla soluzione dei due stati.
A questo punto però i paesi che riconoscono la Palestina hanno tutti gli strumenti necessari, e già esistenti, per imporre sanzioni dure contro Israele e fermare davvero il genocidio. Il solo riconoscimento dello stato palestinese in assenza di misure concrete che ne permettano l’esistenza rischia di non rappresentare un vero argine alla deriva genocidiaria di Israele e di rimanere solo una simbolica dichiarazione di intenti.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 23rd, 2025 Riccardo Fucile
A INNESCARE L’IMPENNATA DEI PREZZI È IL CROLLO DI FIDUCIA NEGLI STATI UNITI E NEL DOLLARO, CHE HA PERSO IL SUO RUOLO DI VALUTA GUIDA… LA COMBINAZIONE TRA DEBITO PUBBLICO AMERICANO IN CRESCITA ESPLOSIVA, POLITICA FISCALE SENZA FRENI E PRESSIONI DI “THE DONALD” SULLA FEDERAL RESERVE HA INNESCATO UN CORTOCIRCUITO
L’oro ha sfondato la soglia dei 3.700 dollari l’oncia, un record assoluto che segna un
passaggio storico. Non è soltanto il movimento di un mercato: è la fotografia di un mondo che inizia a dubitare della solidità del dollaro e della capacità degli Stati Uniti di continuare a reggere da soli il peso del sistema finanziario globale.
La combinazione tra debito pubblico in crescita esplosiva, politica fiscale senza freni e pressioni dirette del presidente Donald Trump sulla Federal Reserve ha innescato un cortocircuito di fiducia. E il risultato è che investitori, fondi sovrani e banche centrali preferiscono rifugiarsi in un bene antico, dotato di un potere simbolico e materiale che attraversa i secoli: il metallo giallo.
All’inizio dell’estate l’oro era intorno ai 3.200 dollari, a fine agosto ha superato quota 3.500 e ora naviga oltre i 3.700, con un guadagno di oltre il 40% dall’inizio dell’anno.
Sono numeri che ricordano le grandi fiammate speculative, ma qui non c’è solo la mano degli hedge fund: ci sono scelte strategiche che partono dalle banche centrali di Asia e Medio Oriente, che accumulano riserve d’oro per liberarsi gradualmente dalla dipendenza dal dollaro. Secondo i dati del World Gold Council, il 2025 sarà il terzo anno consecutivo con acquisti sopra le mille tonnellate, un ritmo che non si vedeva dalla fine di Bretton Woods.
La motivazione è semplice: dopo che le riserve russe in valuta estera sono state congelate da Washington e Bruxelles all’indomani dell’invasione dell’Ucraina, molti governi hanno compreso che i dollari non sono solo un bene rifugio, ma anche una leva politica nelle mani degli Stati Uniti. L’oro invece non può essere bloccato né sanzionato. È un asset che sfugge al controllo di ogni cancelleria.
Il quadro interno americano rende la fuga verso il metallo ancora più intensa. Il debito federale ha superato i 37mila miliardi di dollari e cresce a ritmo vertiginoso. Trump, tornato alla Casa Bianca con la promessa di tagliare le tasse, ha ampliato i disavanzi e rilanciato una politica commerciale fatta di dazi e barriere.
In parallelo ha scelto di colpire frontalmente la Federal Reserve, accusata di non sostenere abbastanza la crescita. Il tentativo di rimuovere la governatrice Lisa Cook è diventato il simbolo di uno scontro istituzionale che mina l’autonomia dell’istituto. Per gli investitori, significa solo una cosa: rischio di inflazione più alta e politiche monetarie piegate alla volontà politica.
In questo contesto, i Treasury americani smettono di essere il porto sicuro di un tempo, e il dollaro perde smalto come moneta di riserva globale. Non a caso Goldman Sachs ha messo nero su bianco uno scenario che fino a poco tempo fa sembrava inverosimile: se la Fed venisse realmente indebolita, l’oro potrebbe spingersi fino a 5.000 dollari l’oncia
Il segnale più forte è arrivato però dalle banche centrali: secondo un sondaggio Omfif, il dollaro è scivolato al settimo posto nelle preferenze dei gestori di riserve ufficiali. L’euro recupera spazio,
lo yuan avanza, mentre l’oro diventa l’assicurazione ultima. È un processo lento, non un terremoto immediato, ma che erode la centralità della moneta americana.
E colpisce un pilastro strategico: la capacità di Washington di finanziare il proprio debito a costi contenuti grazie alla domanda globale di Treasury. Se questo meccanismo si indebolisce, anche la potenza politica e militare americana rischia di essere ridimensionata.
Per gli investitori privati, il messaggio è chiaro. I fondi legati all’oro hanno registrato afflussi record durante l’estate, con livelli che non si vedevano dal 2023. Non è un riflesso culturale, ma una strategia di difesa: in un mondo in cui il dollaro appare meno solido e i titoli di Stato meno sicuri, l’oro diventa un diversificatore credibile nei portafogli globali.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 23rd, 2025 Riccardo Fucile
CONFERMATA LA STIMA SULL’AUMENTO DEL PIL: +0,7%. MERITO DELL’AGRICOLTURA, DELLE COSTRUZIONI E DEI SERVIZI. SOFFRE INVECE L’INDUSTRIA
Fisco sempre più pesante. Nel 2024 la pressione fiscale complessiva (ammontare delle imposte dirette, indirette, in conto capitale e dei contributi sociali in rapporto al Pil) è risultata in crescita e pari al 42,5% (era 41,2% nel 2023).
Il motivo, spiega l’Istat, è legato all’aumento delle entrate fiscali e contributive (5,8%) superiore rispetto a quello del Pil a prezzi correnti (+2,7%). L’istituto ha ritoccato leggermente al ribasso la stima di marzo scorso (42,6%), spiegando che la pressione fiscale è cresciuta di oltre un punto percentuale, attestandosi sui valori registrati nel 2020-2021.
Confermata, invece, la stima della crescita economica. Nel 2024 il tasso di variazione del Pil in volume è stato pari a 0,7%, invariato rispetto alla stima del marzo scorso. Sulla base dei nuovi dati, scrive l’Istat, nel 2023 il Pil in volume è aumentato dell’1%, con una revisione positiva di 0,3 punti percentuali rispetto alla stima di marzo. Diminuisce, seppur leggermente, la
stima sul debito 2024, dal 135,3% previsto a marzo a 134,9%.
Crescono agricoltura, costruzioni e servizi, ma non l’industria
“A tale sviluppo hanno contribuito sia la domanda nazionale al netto delle scorte (per +0,6 punti percentuali) sia quella estera netta (per +0,1 punti)”, scrive l’istituto di statistica. L’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche in rapporto al Pil, il deficit, è stato pari nel 2024 a -3,4% (-7,2% nel 2023), invariato rispetto alla stima di marzo.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 23rd, 2025 Riccardo Fucile
IERI IL CAPO DELLO STATO HA INAUGURATO L’ANNO SCOLASTICO ALL’ISTITUTO PROFESSIONALE “ROSSINI” DI FUORIGROTTA, A NAPOLI (INSIEME A JOVANOTTI): “I SOCIAL SONO ARMI, COMBATTETE IL BULLISMO E NON FATEVI TENTARE DALL’IA” – POI MATTARELLA HA VISITATO IL CARCERE MINORILE “NISIDA” (CHE HA ISPIRATO “MARE FUORI”) E I BIMBI DELL’OSPEDALE “PAUSILIPON”
“Ricordare il sacrificio della vita di Siani porta inevitabilmente alla mente i numerosi
giornalisti morti perché colpevoli di testimoniare la verità, di raccontare le violazioni del diritto, le aggressioni, le guerre, lo sterminio senza pietà.
L’assassinio dei giornalisti è un assassinio delle nostre libertà, di una parte di noi a cui la comunità non intende rinunciare”. Così il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in una dichiarazione nella quale ricorda come “Giancarlo Siani venne barbaramente ucciso da killer della camorra perché aveva acceso la luce sulle attività criminali dei clan, svelato i loro conflitti interni, le viltà che li caratterizzano”.§
“Sono trascorsi quarant’anni – ricorda il capo dello Stato parlando dell’assassinio di Siani – da quell’agguato. La sua testimonianza vive nella società che rifiuta l’oppressione delle mafie e dei gruppi di criminalità organizzata e tra i suoi colleghi giornalisti fedeli all’etica della professione e impegnati ogni giorno in una funzione cruciale per la libertà della convivenza civile.
Quel feroce assassinio è parte incancellabile della storia e della memoria della Repubblica. Lo animava un forte senso di giustizia sociale che si nutriva di legalità. Il suo impegno di cronista ne “Il Mattino” e nelle altre testate con cui ha collaborato era strettamente legato a valori di umanità e di civismo. Far conoscere la realtà criminale che la camorra voleva occultare era un modo per tentare di liberare il territorio dallo strangolamento operato dalle attività illegali che ne opprimono vita e sviluppo.
Le verità raccontate sono state la ragione della spietata rappresaglia. Il percorso giudiziario, che ha portato alle
condanne di esecutori e mandanti, mostra una volta di più che gli assassini mafiosi possono essere colpiti”, conclude il presidente della Repubblica.
Tra i bambini dell’ospedale Pausilipon, con i reclusi del carcere minorile di Nisida che ha ispirato “Mare fuori” e, infine, insieme agli studenti dell’istituto professionale “Rossini” di via Terracina, nel quartiere di Fuorigrotta, mentre anche a Napoli le strade sono percorse dalle manifestazioni per la Palestina.
Tra questi volti e in questo clima, il Capo dello Stato Sergio Mattarella apre a Napoli l’anno scolastico 2025/2026 con il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, accompagnati dal presidente della Regione Vincenzo De Luca, dal sindaco Gaetano Manfredi (entrambi affiancati dagli assessori all’Istruzione Lucia Fortini e Maura Striano), dal direttore scolastico regionale Ettore Acerra, dal cardinale Domenico Battaglia, dai vertici delle forze dell’ordine, il questore Maurizio Agricola, il prefetto Michele Di Bari.
Nell’istituto che ha ispirato “Mare fuori”, Mattarella incontra Jovanotti che gli presenta un rap scritto dai ragazzi del laboratorio dedicato a Martina Carbonaro, vittima di femminicidio a 14 anni ad Afragola per mano dell’ex fidanzato diciottenne.
Il presidente sorprende, ricordando come “Il rap è apparso circa 50 anni fa e io avevo già più di trent’anni. È nato come strumento di cambiamento e orienta al futuro, come desiderio di protesta e di cambiamento”. Jovanotti dà un nome e un cognome alla protesta: “Mi unisco alle piazze che chiedono lo stop alle morti a
Gaza”. E Mattarella: “La musica è libertà e consente di superare gli ostacoli, di andare col pensiero dappertutto, al di là dei limiti. State lavorando bene qui, questa fusione straordinaria tra musica e parole è di grandissimo pregio. E un enorme grazie a Jovanotti”.
Circondato dai disegni dei piccoli pazienti, il presidente Mattarella si sottopone alle loro domande. “Perché nel mondo esiste la guerra?” chiede, ansimando, un bambino del Santobono-Pausilipon. Mattarella: “Purtroppo esiste il male, la violenza. Nel quotidiano e, in grande, nella scena internazionale. Hai ragione, è incomprensibile. La guerra distrugge tutto, perdiamo tutti. Incomprensibile.
Per questo voi bambini siete così importanti: per fare crescere la consapevolezza in tutti che occorre allontanare questo pericolo. Questa consapevolezza che manifestate è preziosa, perché in futuro la vostra generazione sarà in grado di fare più e meglio di quanto fatto dalla mia”.
L’incontro viene condotto da Lillo e c’è spazio anche per parlare di “come rendere divertenti materie come la matematica – ricorda Valditara – in una scuola che deve pensare anche al tempo libero con sport e teatro”. Mattarella ricorda l’importanza dello “studio di gruppo” rivolgendosi ai piccoli pazienti che frequentano la scuola all’interno dell’ospedale diretto da Rodolfo Conenna, presente all’incontro con la maestra Grazia Russo:
“Siamo una scuola flessibile, per seguire i tempi della malattia, ma qui i ragazzi trovano un’oasi di tranquillità, non bisogna lasciare indietro nessuno”, dice Russo. I piccoli pazienti hanno
infine regalato a Mattarella e Valditara la maglia dello Scugnizzo Club nato all’interno dell’ospedale: “Da oggi – ricorda Lillo – siete ufficialmente ammessi”.
Il Capo dello Stato prende quindi la parola per il suo discorso, che inizia con un monito. “Il ritmo così veloce delle trasformazioni che attraversiamo richiede sempre più sguardo aperto, disposizione al cambiamento. L’innovazione tecnologica ci consegna opportunità straordinarie, impensabili fino a pochi anni or sono. Ma anche incognite: dobbiamo riconoscerle per evitarne i rischi.
I giovani che frequentano le scuole sono nati nell’era del digitale e sanno avvalersene con un approccio nuovo. È una grande sfida anche per gli insegnanti. Tanti ragazzi, ne è stato un esempio Carlo Acutis, sanno bene che è necessario usarne gli strumenti e non farsene usare. Per non diventarne dipendenti. Non cadete nella tentazione dell’IA: affidare i compiti all’Intelligenza Artificiale vuol dire addormentare la propria intelligenza”.
Tecnologia è anche sinonimo di social. “Armi che colpiscono in profondità” accusa Mattarella, passando a parlare di bullismo: “Va combattuto, con tenacia. La scuola deve essere il luogo in cui ogni forma di violenza deve essere bandita. Insegnanti e dirigenti scolastici devono essere consapevoli ma non devono essere lasciati soli. La violenza gratuita della prepotenza del bullismo che emargina e sovente aggredisce. I giovani hanno invece bisogno di amicizia, senza cresce l’emarginazione”.
“La scuola – ricorda ancora Mattarella – è il luogo dell’apertura, ove si valorizzano i talenti di ciascuno e deve regnare la
consapevolezza che la diversità delle opinioni sono una ricchezza da difendere. Una libertà conquistata a caro prezzo dal nostro Paese. Il nuovo inizio riguarda tutti, studenti e insegnanti, le famiglie, la società intera. La scuola produce futuro, contribuisce a formare persone e cittadini consapevoli”.
“La nostra Costituzione – prosegue il presidente – stabilisce che la scuola è aperta a tutti: è l’affermazione di un diritto. Ed è un dovere integrare tutti, tutti, sconfiggendo l’abbandono. Occorre l’impegno che la scuola sia ovunque, per includere chi è svantaggiato. Ovunque, ovunque, ovunque naturalmente nel mondo. Questo non è consentito dove la scuola non è frequentabile o viene interrotta per colpa di guerre o occupazioni militari: si realizza un’ulteriore, inaccettabile, gravissima responsabilità storica per chi muove guerre”.
“Le famiglie – conclude Mattarella – sono chiamate a costruire, anno per anno, un rapporto di fiducia con gli insegnanti, nella comune opera educativa. Fiducia anche nei ragazzi. Hannah Arendt ha scritto che l’amore per i figli sta anche nel coraggio di non strappare loro di mano ‘l’occasione per intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa di imprevedibile per noi’.
In questa stagione di profondi mutamenti epocali, è necessario pensare che saranno i giovani, diversi dagli adulti, a interpretarli e governarli. Un grande maestro dell’Università, vittima del terrorismo, Vittorio Bachelet, diceva: ‘Nel momento in cui l’aratro della storia scava a fondo’ è importante gettare seme buono, seme valido. La scuola è una grande, preziosa seminatrice”.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 23rd, 2025 Riccardo Fucile
LA DICHIARAZIONE CONGIUNTA DEI PAESI NORDICI E BALTICI ALL’ONU: “LA DIFESA DEI PRINCIPI DI SOVRANITÀ, INDIPENDENZA E INTEGRITÀ TERRITORIALE SANCITI DALLA CARTA DELLE NAZIONI UNITE È UNA QUESTIONE CHE RIGUARDA TUTTI NOI, NON SOLO L’UCRAINA. L’INTERA COMUNITÀ INTERNAZIONALE DEVE CHIEDERE ALLA RUSSIA DI PORRE FINE ALLA SUA GUERRA DI AGGRESSIONE”
Dopo il sorvolo di droni sullo scalo di Copenaghen, la Danimarca è davanti a una “significativa minaccia di sabotaggio” e la situazione “è estremamente grave”. Lo ha detto il capo dei servizi d’intelligence danesi, Flemming Drejer, in conferenza stampa.
Il capo del Pet ha sottolineato che le autorità stanno vagliando “tutte le ipotesi”, senza escludere la pista russa. “E’ evidente che
questa è oggi la minaccia principale e ciò che osserviamo sul piano internazionale ne rafforza la consapevolezza”, ha spiegato.
“La difesa dei principi di sovranità, indipendenza e integrità territoriale sanciti dalla Carta delle Nazioni unite è una questione che riguarda tutti noi, non solo l’Ucraina. L’intera comunità internazionale deve chiedere alla Russia di porre fine alla sua guerra di aggressione”.
Lo afferma una dichiarazione congiunta dei Paesi nordici e baltici, letta la scorsa notte durante la riunione informale dei ministri degli Esteri dell’Unione europea, tenutasi a margine dell’80a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite in corso a New York.
Il documento invita a tal proposito la comunità internazionale a isolare con maggior decisione la Federazione russa e la Bielorussia e a inasprire le sanzioni nei loro confronti al fine di limitare i proventi con cui viene alimentata la guerra in Ucraina. La dichiarazione ha inoltre invitato a difendere i valori della Carta delle Nazioni unite e ad opporsi al riconoscimento dei territori dell’Ucraina occupati dalla Russia.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 23rd, 2025 Riccardo Fucile
STESSA SITUAZIONE IN NORVEGIA: L’AVVISTAMENTO DI UN DRONE HA PORTATO ALLA CHIUSURA DELLO SPAZIO AEREO SU OSLO…ZELENSKY TUONA: “SONO VIOLAZIONI DA PARTE DELLA RUSSIA”. MA LA POLIZIA DANESE NON CONFERMA
Circa cinquanta voli cancellati, altrettanti deviati in altri scali. E’ il bilancio di una serata di
caos sui cieli di Copenaghen, quando sull’aeroporto della capitale danese hanno iniziato a sorvolare “3-4 droni di grandi dimensioni”, secondo la polizia, entrando e uscendo allo scalo. Per diverse ore. Massimo il dispiegamento delle forze dell’ordine per tentare di riportare la situazione alla normalità.
L’aeroporto di Kastrup, il più grande della Danimarca, è stato chiuso intorno alle 20,30, hanno riferito i media locali, il seguito al rilevamento di alcuni droni sospetti che sorvolavano lo scalo. Alcuni voli che sarebbero dovuti atterrare nella capitale sono stati deviati in altri aeroporti del Paese, mentre all’interno si formavano lunghe code di passeggeri rimasti a terra. Con il passare delle ore, una settantina di voli sono stati deviati, anche
in Svezia, a Malmö, e Göteborg. I decolli cancellati sono stati 50.
Un portavoce della Polizia, Anette Ostenfeldt, ha confermato trattarsi “di tre o quattro droni di grandi dimensioni, non da hobby” che si muovono dentro e fuori dalla zona dello scalo. Secondo altre fonti si sono alzati in volo alcuni elicotteri. Nel frattempo è stato deciso di tenere l’aeroporto chiuso almeno fino alle 9 di mattina. Anche dalla Norvegia è arrivata la segnalazione, rilanciata dai media locali, di droni che avrebbero sorvolato un’area militare presso la Fortezza di Akershus.
Per il quotidiano Aftonbladet i droni sono stati avvistati intorno alle 21, scoperti dalla Difesa norvegese: secondo prime informazioni non ufficiali, ci sono stati due arresti, apparentemente cittadini stranieri. Anche se, rilevano sempre i media, non ci sono ancora elementi per dire che l’incidente sia collegato ai droni che hanno provocato la chiusura l’aeroporto di Copenaghen. Un altro drone è stato avvistato in serata nei pressi dell’aeroporto di Oslo, e poco prima di mezzanotte Flightradar24 ha rilevato che, secondo l’audio della torre di controllo, gli aerei si sono messi in standby per “l’osservazione di droni” e hanno iniziato ad allontanarsi dallo scalo.
Bazooka anti drone
“L’aeroporto di Copenaghen riapre dopo la chiusura dovuta all’attività dei droni. Tuttavia, si verificheranno ritardi e cancellazioni. I passeggeri sono pregati di verificare con la
propria compagnia aerea”. Lo si legge nell’ultimo aggiornamento sul profilo X dell’aeroporto.
I droni sull’aeroporto di Copenaghen non sono stati abbattuti dalle autorità, ma sono scomparsi dalla zona da soli e non sappiamo dove siano andati. A dirlo, nel corso di una conferenza stampa, il vice ispettore di polizia Jakob Hansen. ‘Stiamo cercando di scoprire – aggiunge – che tipo di droni si trovavano nei pressi dell’aeroporto e da dove provengono’.
Saranno attuate diverse misure’ dice ancora, ma senza specificare di quali misure si tratti. “Verso le 20:30 – ricostruisce Hansen – la polizia di Copenaghen ha ricevuto una notifica da Naviair (l’ente che controlla e gestisce il traffico aereo) che lo spazio aereo era chiuso a causa dell’osservazione dei droni. La polizia, tuttora presente nello scalo, ha quindi avviato un’indagine approfondita, in collaborazione con il PET e le forze armate danesi”.
A causa di un nuovo avvistamento di un drone, lo spazio aereo sopra l’aeroporto di Oslo è stato chiuso. Avinor, responsabile di un gran numero di aeroporti e piste di volo in Norvegia, lo ha annunciato alle 00:30, secondo quanto riportato da NRK. Ciò significa che gli aerei in arrivo verranno dirottati verso l’aeroporto più vicino, ha dichiarato ai media l’addetta stampa Karoline Pedersen. In precedenza, si diceva che un drone avvistato vicino all’aeroporto non avesse influenzato il traffico aereo.
La polizia danese sta avviando una collaborazione con le autorità norvegesi per chiarire se esista un collegamento tra i droni avvistati sull’aeroporto di Copenaghen, e che ha costretto lo scalo allo stop per alcune ore, e quello segnalato su Oslo, obbligando alla chiusura dello spazio aereo cittadino. Lo ha detto nel corso di una conferenza Jakob Hansen, vice ispettore di polizia della polizia di Copenaghen, annunciando per domattina alle ore 7 una nuova conferenza stampa.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky su X rende noto di aver affrontato l’argomento delle ‘violazioni da parte della Russia dello spazio aereo degli Stati membri della NATO, anche il 22 settembre a Copenaghen’ con la direttrice generale del Fondo Monetario Internazionale , Kristalina Georgieva, .
‘Abbiamo scambiato – scrive – opinioni sulle ragioni. Se non ci sarà una risposta decisa da parte degli alleati – sia Stati che istituzioni – alle provocazioni, la Russia continuerà a perpetrare tali violazioni’. Nel corso della conferenza stampa conclusasi poche ore fa a Copenaghen, la polizia non ha né confermare né smentito che i droni siano russi, limitandosi a riferire di essere al lavoro.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »